Doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem
Quasi un triennio è decorso da quando la sentenza Grande Stevens della Corte europea dei diritti dell’uomo ha portato alla ribalta il problema della (in) compatibilità dei meccanismi di doppio binario sanzionatorio presenti nel nostro ordinamento con il divieto del bis in idem enunciato dall’art. 4, Prot. n. 7, CEDU, e di riflesso con il quasi gemellare divieto di cui all’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. In questo lasso tempo, si è registrato un florilegio di iniziative e prese di posizione giurisprudenziali intese ad elidere le frizioni, anche con il coinvolgimento della Corte costituzionale e della Corte di giustizia. Il panorama resta tuttavia ancora largamente fluido, nell’attesa di un’auspicata entrata in scena del “grande assente”, ossia del legislatore.
SOMMARIO 1. La ricognizione 2. La focalizzazione 2.1 L’apertura del conflitto: la sentenza Grande Stevens
2.2 Le ricadute, in particolare nel settore tributario 2.3 L’interpretazione conforme dell’art. 649 c.p.p. 2.4 La questione di legittimità costituzionale 2.5 L’applicazione diretta dell’art. 4, Prot. 7, CEDU 2.6 L’applicazione diretta dell’art. 50 CDFUE 2.7 Le soluzioni “a monte” 3. I profili problematici
Nella repressione degli illeciti, il legislatore è disposto non di rado a sacrificare l’economia dei mezzi sull’altare dell’incisività dell’intervento. A questa logica rispondono, di massima, le fattispecie di doppio binario sanzionatorio: metafora ferroviaria chiamata a designare i casi in cui, per la medesima violazione, sono comminate sanzioni appartenenti ai due genera nei quali si frammenta il sistema punitivo – il penale e l’amministrativo – applicate all’esito di procedimenti separati e autonomi. Ad una sanzione temibile, ma “lenta” e con significativi margini di “neutralizzabilità” tramite istituti “perdonistici” o la prescrizione (quale quella penale), si abbina altra sanzione più rapida e “certa”, applicata da un’autorità maggiormente specializzata (quale quella amministrativa). Almeno la seconda – si spera – giungerà prontamente a bersaglio: l’altra rincarerà lento pede la dose.
Il problema è che il raddoppio delle procedure sanzionatorie ha un costo non solo per l’ordinamento, ma anche per il presunto autore della violazione, costretto a fronteggiare in due diverse sedi l’accusa che gli viene mossa. Per questo verso, il congegno deve fare quindi i conti con uno specifico principio di garanzia, quale il divieto di bis in idem (processuale): divieto enunciato nell’ordinamento interno solo dalla legge ordinaria (art. 649 c.p.p.), ma eretto a diritto fondamentale dell’individuo da plurimi atti internazionali, e segnatamente dall’art. 4, Prot. n. 7, CEDU e dall’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), a mente dei quali un soggetto già assolto o condannato penalmente con sentenza definitiva non può essere ulteriormente perseguito o condannato per il medesimo reato.
Che il divieto sia circoscritto da entrambe le norme al comparto penale non disinnesca il problema, stante la lettura “sostanzialistica” del concetto di «matiére penale», convenzionalmente rilevante, sposata da tempo, in chiave “antielusiva”, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (e, di rimbalzo, dalla Corte di giustizia): lettura che trova il suo distillato negli sperimentatissimi Engel criteria1, al lume dei quali la caratura penale d’una imputazione discende non solo dalla qualificazione nel diritto interno, ma anche – e al di là di questa – dalla natura dell’infrazione e dalla natura e gravità della sanzione cui l’accusato si trova esposto. Etichettare come amministrativo uno dei due “binari” non scongiura perciò l’impatto con le previsioni considerate.
Rimasto a lungo latente, il conflitto è deflagrato per effetto della sentenza Grande Stevens c. Italia del 4.3.2014, con cui la Corte di Strasburgo ha posto all’indice l’ipertrofico apparato repressivo confezionato nel 2005 dal legislatore italiano in materia di abusi di mercato: apparato che implica la comminatoria, sostanzialmente per le medesime condotte, di un fuoco di fila parallelo di sanzioni, penali e amministrative, irrogate in piena autonomia dal giudice penale e dalla CONSOB (artt. 184 ss. d.lg. 24.2.1998, n. 58, inde t.u.f.).
Coralmente criticato in dottrina, il congegno non ha retto al vaglio di convenzionalità: l’art. 4, Prot. 7, – questo il verdetto di Strasburgo – non consente che si avvii o si prosegua un processo penale nei confronti del soggetto già sanzionato in via definitiva sul piano amministrativo per lo stesso fatto di manipolazione del mercato. Esito peraltro prevedibile, alla luce dei pregressi arresti della Corte europea sui tre profili che venivano sequenzialmente in rilievo.
Il primo è l’invalidità, ai sensi dell’art. 57 CEDU, delle riserve «di carattere generale» alle norme convenzionali2, quale quella formulata dall’Italia con riguardo al citato art. 4, volta ad escludere dal suo campo applicativo gli illeciti non qualificati come «penali» dalla legge nazionale. Il secondo è la ricordata perimetrazione “sostanzialistica” della «materia penale» sulla base degli Engel criteria, univoci nell’avocare ad essa il sedicente illecito amministrativo di cui all’art. 187 ter t.u.f. L’ultimo è l’adozione – costante a partire dalla sentenza della Grande Camera 10.2.2009, Zolotukhin c. Russia – di una nozione storico-naturalistica, anziché legale, del concetto di «idem factum», con conseguente irrilevanza delle discrepanze tra la fattispecie astratta del predetto illecito amministrativo e quella dell’omonimo reato di cui all’art. 185, a fronte dell’identità del fatto concreto perseguito nelle due sedi.
Pur essendosi limitata a prescrivere misure riparatorie di ordine individuale, la Grande Stevens ha portato indubbiamente allo scoperto una distonia “strutturale” dell’ordinamento interno, allocata a livello legislativo, cui occorre por rimedio onde evitare una proliferazione delle condanne. La portata della decisione travalica, d’altronde, l’hortus della regolamentazione del market abuse, per espandersi a raggiera sulla generalità delle ipotesi di doppio binario rinvenibili agli angoli del nostro sistema sanzionatorio.
Per tal verso, un settore che ha destato immediate preoccupazioni è quello tributario. Con una serie di recenti decisioni, la Corte di Strasburgo ha ritenuto che perseguire penalmente chi si è già visto irrogare in via definitiva una soprattassa per la medesima infrazione tributaria contrasti con l’art. 4, Prot. 7, ove a detta sanzione amministrativa debba riconoscersi una finalità deterrente e punitiva, e non meramente risarcitoria3: finalità che la rende “convenzionalmente penale”, a prescindere dalla sua levitas4.
Nell’ordinamento italiano, il pericolo di frizioni con la garanzia convenzionale dovrebbe rimanere escluso dal fatto che il comparto tributario è governato non più dalla vecchia regola del cumulo, ma dal principio di specialità: nel caso di concorso tra disposizioni sanzionatorie penali e amministrative se ne applica cioè una sola, quella speciale (art. 19 d.lg. 10.3.2000, n. 74). A tale regola si accompagna tuttavia un eccentrico marchingegno procedurale. L’art. 21 d.lg. n. 74/2000 prevede che l’amministrazione finanziaria, all’esito dell’attività di accertamento – svolta in piena autonomia rispetto al processo penale (art. 20) – debba non solo determinare il tributo evaso, ma anche irrogare le sanzioni amministrative relative alle violazioni accertate, benché integrative di ipotesi di reato: sanzioni che saranno eseguibili nei confronti dei soggetti penalmente responsabili solo in caso di loro proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto. In questo modo, se il ne bis in idem sostanziale resta salvo, non si evita il bis in idem processuale, contro cui è diretta la norma del Protocollo: il provvedimento applicativo della sanzione amministrativa ai sensi dell’art. 21, una volta divenuto definitivo, dovrebbe comunque impedire che il soggetto attinto sia giudicato una seconda volta per lo stesso fatto in sede penale5.
Un bis in idem anche sostanziale è parso poi derivare dalla norma che configura l’avvenuto pagamento delle sanzioni amministrative, unitamente al tributo evaso, come condizione di fruibilità di una diminuente per taluni reati e di accesso al “patteggiamento” (v. ora l’art. 13 bis d.lg. n. 74/2000, aggiunto dal d.lg. 24.12.2015, n. 158).
Capitolo a parte è quello delle fattispecie di omesso versamento delle ritenute e dell’IVA. Secondo la Cassazione, non vi è un rapporto di specialità, ma di «progressione», tra l’illecito amministrativo di cui all’art. 13 d.lg. 18.12.1997, 471 – che punisce l’omesso versamento alle singole scadenze mensili o trimestrali – e i delitti di cui agli artt. 10 bis e 10 ter d.lg. n. 74/2000, che colpiscono l’omesso versamento, superiore a determinate soglie, protratto oltre un successivo termine annuale: sicché le relative sanzioni, autonomamente applicate, si sommano6. È dubbio però che nel frangente non si sia al cospetto di un «idem factum», nell’accezione storico-naturalistica rilevante ai fini del ne bis in idem convenzionale: l’omesso versamento annuale presuppone necessariamente quello periodico, e dunque lo ricomprende.
Come evitare allora – per questi e altri profili – di incappare nuovamente negli strali di Strasburgo? I rimedi possono essere cercati su due fronti: “a valle” della disciplina che crea i presupposti del vulnus convenzionale e “a monte” di essa.
Sul primo versante, si tratta di scovare un modo per troncare il processo penale una volta definito il procedimento amministrativo relativo allo stesso fatto (e viceversa). Al riguardo, l’attenzione si è rivolta alla norma interna sul divieto di un secondo giudizio (art. 649 c.p.p.), nella prospettiva di una sua estensione ai procedimenti amministrativi volti ad applicare sanzioni da considerare penali ai fini della CEDU. La via più immediata di conseguimento del risultato, sperimentata da taluni giudici di merito, è l’interpretazione conforme: metodo primario di composizione delle antinomie tra l’ordinamento interno e la Convenzione, in base alla nota costruzione inaugurata dalle cd. sentenze gemelle (C. cost., 24.10.2007, nn. 348 e 349)7. La sua praticabilità è stata, tuttavia, persuasivamente esclusa dalla giurisprudenza di legittimità e dalla dottrina maggioritaria: il dato letterale, storico e sistematico circoscrive univocamente il cono applicativo della norma del codice di rito ai procedimenti “formalmente” penali secondo la legge italiana8.
Occorrerebbe quindi imboccare – sempre in base ai dicta delle “gemelle” – la strada della questione di legittimità costituzionale della suddetta norma per contrasto con l’art. 117, co. 1, Cost.: ciò sul presupposto che l’art. 4, Prot. 7, CEDU, come letto da Strasburgo, si presti ad integrare l’evocato parametro quale “norma interposta”, non collidendo – malgrado talune contrarie opinioni – con alcuna disposizione costituzionale interna (e in specie con gli artt. 25 e 112 Cost.)9.
Gli esperimenti in questa direzione sono rimasti, tuttavia, sinora senza esito: due questioni, sollevate da altrettante sezioni della Cassazione in relazione a fatti di abuso di mercato, sono state dichiarate inammissibili per vizi di formulazione10; per una terza, sollevata in rapporto all’omesso versamento IVA, il rimettente si è visto restituire gli atti per ius superveniens (la riforma introdotta dal d.lg. n. 158/2015, incidente sulla rilevanza)11.
Si è prospettata, peraltro, anche una diversa strategia, che prescinde dal coinvolgimento della Corte costituzionale: ossia l’applicazione diretta da parte del giudice comune delle norme sovranazionali sul ne bis in idem.
Secondo un’autorevole opinione, l’operazione sarebbe esperibile con riguardo allo stesso art. 4, Prot. 7, CEDU. Da un lato, infatti, la norma risulterebbe inserita nell’ordinamento interno per effetto della legge di ratifica del Protocollo (l. 9.4.1990, n. 98); dall’altro, la sua applicazione diretta non comporterebbe la disapplicazione di alcuna norma nazionale antinomica (inibita al giudice comune secondo le sentenze gemelle), ma riempirebbe uno spazio lasciato “vuoto” dall’art. 649 c.p.p.12 La tesi resta tuttavia fortemente problematica: considerando direttamente operante il ne in idem convenzionale, il giudice comune disapplicherebbe (inammissibilmente), in realtà, le norme speciali interne che prevedono la duplicazione di sanzioni e procedimenti per il medesimo fatto.
Il panorama muta ove si guardi all’altra norma sovranazionale di rilievo: ossia all’art. 50 CDFUE, che reca un divieto omologo a quello del Protocollo13. L’avvenuta “trattatizzazione” della Carta (art. 6, par. 1, TUE) fa sì che le relative disposizioni assumano il carattere di primazia sul diritto nazionale proprio della normativa dell’Unione europea, munendole di un possibile effetto diretto idoneo a far scattare il poteredovere del giudice nazionale di non applicare le norme interne contrastanti. L’art. 50 CDFUE risponderebbe ai requisiti per produrre un simile effetto, in quanto latore non di un generico principio, ma di un precetto chiaro, preciso e incondizionato14. Conclusione alla quale, del resto, la Corte di giustizia appare già pervenuta con la sentenza Fransson del 201315.
Come ogni altra disposizione della Carta, l’art. 50 sconta un limite di operatività, legato alla condizione che la controversia pendente davanti al giudice nazionale ricada nel campo applicativo del diritto dell’Unione (art. 51 CDFUE). Tale condizione è peraltro riscontrabile in rapporto ad almeno due delle ipotesi di doppio binario generatrici di ambasce: quella inerente agli abusi di mercato, trattandosi di materia regolata dalla normativa secondaria dell’Unione (dapprima la direttiva 2003/6/CE, poi la direttiva 2014/57/UE), e quella relativa alla repressione degli illeciti in materia di IVA, essendo l’IVA un tributo di rilevanza “comunitaria”16.
Nel suddetto ambito, l’applicazione diretta dell’art. 50 CDFUE dovrebbe garantire una piena composizione delle discrepanze tra l’ordinamento interno e l’art. 4, Prot. 7, CEDU. In forza della “clausola di equivalenza” di cui all’art. 52, par. 3, CDFUE17, la disposizione della Carta è destinata infatti ad assumere un significato corrispondente a quello della disposizione del Protocollo, come letta dalla giurisprudenza di Strasburgo18. In concreto, però, la posizione espressa dalla Corte di giustizia con la citata sentenza Fransson non è parsa pienamente sintonica a questa19, specie per l’ambiguo riferimento alla necessità che il giudice nazionale, onde escludere il cumulo tra sanzioni penali e amministrative per la stessa violazione in materia di IVA20, verifichi – in uno alla natura penale delle seconde alla stregua degli Engel criteria – anche l’adeguatezza delle sanzioni residue: requisito estraneo alla lettura di Strasburgo, che sembra postulare un bilanciamento tra diritto dell’individuo al ne bis in idem e la tutela degli interessi finanziari dell’Unione.
In presenza di dubbi circa la corretta interpretazione della disposizione della Carta, resta peraltro salva la facoltà del giudice nazionale di interpellare in via preventiva la Corte di giustizia, tramite rinvio pregiudiziale. Plurimi giudici italiani hanno già chiesto in effetti alla Corte di chiarire se l’art. 50 CDFUE osti al doppio tracciato sanzionatorio prefigurato dal nostro ordinamento tanto in materia di omesso versamento IVA21 che di abusi di mercato22, e di precisare, in caso affermativo, se il giudice nazionale possa fare diretta applicazione della norma della Carta. Il responso di Lussemburgo è atteso come imminente, quantomeno in rapporto agli illeciti fiscali.
Le soluzioni “a valle” presentano però un intrinseco limite di validità: quello di essere dei “rimedi tampone”, che preservano il diritto individuale in discussione, ma a prezzo di rendere il sistema irrazionale e stabilmente contrastante con il principio di eguaglianza. Il doppio percorso sanzionatorio diviene insensato, una volta che uno dei due procedimenti sia destinato in partenza a non sortire alcun esito: tanto più che l’imbarazzante duplicità non potrebbe essere fatta cessare fin quando una delle procedure non venga definita, non fornendo il ne bis idem sovranazionale alcuna tutela contro la semplice litispendenza23. Al tempo stesso, il regime punitivo rimarrebbe improntato all’assurda regola “vince chi arriva prima”: la sanzione per lo stesso fatto sarebbe cioè penale o amministrativa a seconda di quale tra i due procedimenti giunga prioritariamente al traguardo (evento casuale, ma in parte anche pilotabile tramite i meccanismi di impugnazione).
La reale soluzione del problema va, dunque, cercata “a monte”: nella rimozione delle cause e non semplicemente degli effetti. In quest’ottica, la direttrice primaria di intervento non può che essere quella dell’energica riaffermazione del principio del ne bis in idem sostanziale. Le due declinazioni del ne bis in idem – quella sostanziale (divieto di punire più volte una persona per il medesimo fatto) e quella processuale (divieto di sottoporre a giudizio più volte una persona per il medesimo fatto) – rispondono notoriamente a rationes diverse: la prima a un’istanza-guida di giustizia materiale; la seconda a far sì che chi è stato condannato o assolto venga “lasciato in pace”, e non esposto indefinitamente a una reiterazione di procedimenti penali per lo stesso episodio di vita. È indubbio però che, specie nei rapporti tra illecito penale e illecito amministrativo, dette declinazioni presentino un’intima connessione funzionale24. Nella generalità dei casi, il bis in idem processuale, convenzionalmente sconveniente, è infatti figlio di una deroga al principio del ne bis in idem sostanziale, espresso a livello generale dall’art. 9 l. 24.11.1981, n. 689, in forza del quale i rapporti tra norme sanzionatorie penali e amministrative sono regolati dal principio di specialità. Proprio da una di tali deroghe, particolarmente vistosa, deriva del resto la condanna riportata dall’Italia nel caso Grande Stevens25?
La prima opera cui occorre por mano è dunque quella del ripristino della regola generale. Anche su questo versante, si è provato a conseguire il risultato a mezzo del sindacato di legittimità costituzionale, sia con riferimento al market abuse26 che all’omesso versamento IVA27: tentativi parimenti inciampati contro ostacoli preliminari, impeditivi dello scrutinio di merito28. Specie con riguardo al market abuse, sarebbe lecito peraltro sperare che sia il legislatore a ricomporre la frattura, conformemente ai voti della stessa Corte costituzionale29: tanto più che l’operazione gli è imposta dall’esigenza di dare attuazione alla nuova normativa europea sulla materia (direttiva MAD II 2014/57/UE e regolamento n. 596/2014). Ribaltando l’approccio della direttiva 2003/6/CE, essa vincola gli Stati membri a colpire con sanzioni penali gli illeciti considerati, configurando come facoltativa la comminatoria congiunta di sanzioni amministrative; nel contempo, li richiama specificamente al rispetto del ne bis in idem sancito dall’art. 50 CDFUE30. Il criterio di delega legislativa enunciato dall’art. 11, co. 1, lett. m), l. 9.7.2015, n. 114 non sembra peraltro cogliere appieno il problema, prefigurando, onde evitare «la duplicazione o il cumulo di sanzioni penali e sanzioni amministrative per uno stesso fatto», non soltanto la soluzione di distinguere le fattispecie, ma anche quelle di prevedere l’applicazione della sola sanzione più grave o imporre al giudice penale o alla CONSOB «di tenere conto, al momento dell’irrogazione delle sanzioni di propria competenza, delle misure punitive già irrogate»: soluzioni che, perpetuando la duplicità dei processi, non assicurerebbero il rispetto del ne bis in idem convenzionale31. L’opzione razionale sarebbe, di contro, all’evidenza, quella di rendere l’illecito amministrativo “residuale” rispetto a quello penale32.
All’allineamento del sistema interno alle linee tracciate dalla Corte di Strasburgo dovrebbe peraltro cooperare anche la giurisprudenza, evitando di privilegiare, nell’applicazione del principio di specialità, soluzioni che minimizzino il ne bis in idem sostanziale. La vicenda relativa all’omesso versamento delle ritenute e dell’IVA è paradigmatica: l’indirizzo giurisprudenziale che esclude il concorso apparente di norme è di per sé discutibile, posto che l’applicazione della norma penale è idonea ad assorbire l’intero disvalore del fatto33.
Per il resto, quando il bis in idem processuale non dipenda da deroghe al ne bis in idem sostanziale, ma da altri congegni extra ordinem – quale quello delineato in materia tributaria dall’art. 21 d.lg. n. 74/2000 – si tratterà semplicemente di bonificare il sistema da essi, riportandolo alla normalità.
L’excursus condotto restituisce dunque un panorama magmatico e in divenire, ancora in attesa di soluzioni tranquillizzanti.
Ad accrescere il clima di incertezza contribuisce anche la prospettiva di una possibile correzione di rotta nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Pende infatti dinanzi alla Grande Camera un procedimento nel quale il governo resistente e altri governi intervenuti hanno sollecitato i giudici europei a rivedere la propria posizione – in effetti sin troppo rigida – riguardo alla natura penale delle sovrattasse inflitte dall’amministrazione finanziaria (spesso a seguito di procedimenti conciliativi con il contribuente) per violazioni configurate anche come reati34. È chiaro, d’altronde, che una – per ora solo ipotetica – rimeditazione dell’approdo potrebbe avere effetti di ricaduta sulle altre frange del dibattito, suggerendo cautela nello sperimentare talune delle vie illustrate35.
Note
1 Dal leading case cui si deve la prima enunciazione: C. eur. dir. uomo, 8.6.1976, Engel e altri c. Paesi Bassi.
2 Per un precedente analogo, C. eur. dir. uomo, 23.10.1995, Gradinger c. Austria.
3 Tra le altre, C. eur. dir. uomo, 20.5.2014, Nykänen c. Finlandia; C. eur. dir. uomo, 27.11.2014, Lucky Dev. c. Svezia; C. eur. dir. uomo, 10.2.2015, Kiiveri c. Finlandia.
4 Cfr. C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 23.11.2006, Jussila c. Finlandia; C. eur. dir. uomo, 20.5.2014, Nykänen c. Finlandia.
5 Tra gli altri, Giovannini, A., La Corte EDU ribadisce il divieto di doppia sanzione e la Cassazione rinvia alla Consulta, in Corr. trib., 2015, 905 ss. Il problema non si pone, peraltro, ove il rapporto fiscale faccia capo a società o enti dotati di personalità giuridica, nel qual caso le sanzioni amministrative gravano esclusivamente su questi (art. 7 d.l. 30.9.2003, n. 269, conv. con modif. in l. 24.11.2003, n. 326), sicché non vi è identità con il soggetto giudicato in sede penale (la persona fisica autrice della violazione).
6 Cass. pen., S.U., 20.3.2013, n. 37424 e n. 374425.
7 Cfr. Trib. Asti, 7.5.2015, in www.altalex.com (con riguardo all’omesso versamento IVA); Trib. Brindisi, 17.10.2014, in Dir. pen. e processo, 2015, 438, che ha dichiarato improcedibile l’azione penale per danneggiamento aggravato nei confronti di un detenuto che, per lo stesso fatto, era già stato sottoposto alla sanzione disciplinare penitenziaria dell’isolamento. Sulla dubbia riconducibilità di quest’ultima al novero delle sanzioni penali secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo v. tuttavia Flick G.M.Napoleoni, V., A un anno di distanza dall’affaire Grande Stevens: dal bis in idem all’e pluribus unum?, in Riv. soc., 2015, 900 s.
8 Cass. pen., 10.11.2014, n. 1785/2015; Cass. pen., 21.4.2016, n. 25815; Cass., 20.9.2016, n. 20675; Di Bitonto, M.L., Una singolare applicazione dell’art. 649 c.p.p., in Dir. pen. e processo, 2015, 443; Lavarini, B., Corte europea dei diritti umani e ne bis in idem: la crisi del “doppio binario sanzionatorio, ivi, 2015, 87.
9 Al riguardo Flick, G.M.Napoleoni V., Cumulo tra sanzioni penali e amministrative: doppio binario o binario morto? («Materia penale», giusto processo e ne bis in idem nella sentenza della Corte EDU, 4 marzo 2014, sul market abuse), in Riv. soc., 2014, 974 ss.
10 C. cost., 12.5.2016, n. 102, a cui commento v. Viganò, F., Ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio in materia di abusi di mercato: dalla sentenza della Consulta un assist ai giudici comuni, in www.penalecontemporaneo.it, 16.5.2016. La questione sollevata dalla quinta sezione penale (in via subordinata rispetto a quella relativa all’art. 187 bis t.u.f. cui si accennerà più avanti) era infatti sorretta da una motivazione «perplessa», posto che secondo lo stesso collegio rimettente l’intervento richiesto sarebbe risultato di problematica compatibilità con un complesso di precetti costituzionali. Quanto all’ordinanza di rimessione della sezione tributaria, al carattere «dubitativo e perplesso» della motivazione si aggiungeva l’oscurità del petitum.
11 C. cost., 20.5.2016, n. 112.
12 Viganò, F., Ne bis in idem e contrasto agli abusi di mercato: una sfida per il legislatore e i giudici italiani, in www.penalecontemporaneo.it, 8.2.2016, 16 ss. In giurisprudenza, senza una particolare motivazione, Trib. Terni, 12.6.2015, ivi, 2.12.2015, con nota di Confalonieri, S.
13 Salvo il diverso ambito applicativo, limitato al singolo Stato dalla norma del Protocollo e esteso all’intero spazio giuridico dell’Unione da quella della Carta.
14 Viganò, F., Ne bis in idem e contrasto, cit., 12 ss.
15 C. giust., Grande Sezione, 26.2.2013, C617/10, Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson, ove si afferma, proprio con riguardo all’art. 50 CDFUE, che il giudice nazionale deve assicurare la piena efficacia della Carta, disapplicando ogni disposizione interna contrastante senza doverne attendere la rimozione in via legislativa o con procedimento costituzionale.
16 Cfr., oltre alla citata sentenza Fransson, la celebre C. giust., 8.9.2015, C105/14, Taricco.
17 Secondo la quale, ove la Carta preveda diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU, il significato e la portata degli stessi debbono intendersi uguali a quelli conferiti dalla Convenzione: regola che le Spiegazioni ufficiali all’art. 52 chiariscono essere riferibile anche ai protocolli.
18 Viganò, F., Ne bis in idem e contrasto, cit., 13.
19 De Amicis, G., Ne bis in idem e “doppio binario” sanzionatorio: prime riflessioni sugli effetti della sentenza “Grande Stevens” nell’ordinamento italiano, in www.penalecontemporaneo.it, 30.6.2014, 5 ss.; Vozza, D., I confini applicativi del principio del ne bis in idem in materia penale: un recente contributo della Corte di Giustizia dell’Unione europea, in Dir. pen. cont., 2013, fasc. 3, 297 s.
20 Il quesito verteva sulla possibilità di avviare un procedimento penale per frode fiscale nei confronti di soggetto cui era già stata inflitta una sovrattassa per lo stesso fatto di falsa dichiarazione IVA.
21 Cfr., tra gli altri, Trib. Bergamo, 16.9.2015, in www.penalecontemporaneo.it, 20.9.2015. Analogo rinvio è stato operato da Trib. Torino, 27.10.2014, ivi, 17.11.2014 in relazione all’omesso versamento di ritenute: riguardo ad esso, la Corte di giustizia ha dichiarato la propria incompetenza, discutendosi di imposizione sui redditi, estranea al diritto dell’Unione (C. giust., 15.4.2015, C497/14, Burzio).
22 Cass. pen., 20.9.2016, n. 20675, emessa nell’ambito dello stesso processo nel quale era stata sollevata la questione di costituzionalità dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale.
23 C. eur. dir. uomo, 27.11.2014, Lucky Dev c. Svezia.
24 Rivello, P.P., La nozione di “fatto” ai sensi dell’art. 649 c.p.p. e le perduranti incertezze interpretative ricollegabili al principio del ne bis in idem, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2014, 1415.
25 Altri esempi sono offerti dall’art. 3 l. 23.12.1986, n. 898, in tema di frodi FEOGA, e dall’art. 174 bis l. 22.4.1941, n. 633, in tema di diritti d’autore.
26 Cass. pen., 10.11.2014, n. 1782, dep. 15.1.2015, che ha sollevato questione di costituzionalità dell’art. 187 bis t.u.f., concernente l’illecito amministrativo di abuso di informazioni privilegiate, nella parte in cui reca una “clausola di cumulo” in luogo dell’ordinaria clausola di sussidiarità rispetto all’illecito penale.
27 Il Tribunale di Treviso ha chiesto, peraltro, l’eliminazione secca della norma penale dell’art. 10 ter d.lg. n. 74/2000.
28 La questione sul market abuse è stata sollevata nella sede sbagliata: ossia nell’ambito del processo penale, anziché nel giudizio di opposizione alle sanzioni amministrative (nella specie già definito), donde la sua inammissibilità per difetto di rilevanza (l’accoglimento, teso a rendere “residuale” l’illecito amministrativo, non avrebbe avuto alcuna influenza nel giudizio a quo né avrebbe impedito il prodursi del vulnus denunciato: C. cost. n. 102/2016). Per la questione in materia tributaria, l’esito è stato di nuovo la restituzione degli atti al giudice a quo per ius superveniens (C. cost., 8.9.2016, n. 209).
29 Espressi nella citata C. cost. n. 102/2016.
30 Per maggiori ragguagli sul punto, Flick, G.M.Napoleoni, V., Cumulo, cit., 982 ss.
31 Viganò, F., Ne bis in idem e contrasto, cit., 19.
32 Caldeggia la rinuncia tout court alle sanzioni amministrative, Viganò, F., Ne bis in idem e contrasto, cit., 20 ss.
33 Caianiello, M., Ne bis in idem illeciti tributari per omesso versamento dell’IVA: il rinvio della questione alla Corte costituzionale, in www.penalecontemporaneo.it, 18.5.2015, 3.
34 Caso A e B c. Norvegia, ricorsi n. 24130 e 29758/2011.
35 Sul punto, Viganò, F., Omesso versamento di IVA e diretta applicazione delle norme europee in materia di ne bis in idem?, in www.penalecontemporaneo.it, 11.7.2016.