PIETRI, Dorando
PIETRI, Dorando. – Nacque a Villa Mandrio di Correggio, in provincia di Reggio nell’Emilia, il 16 ottobre 1885 da Desiderio (1846-1910), piccolo fittavolo, e da Maria Teresa Incerti (1846-1913), massaia. Era terzogenito di quattro figli maschi: oltre lui Antonio Ettore (1879), Ulpiano Oreste (1881) e Armando (1889).
Allievo della maestra Bianca Salati, Pietri fu iscritto alla prima classe nell’anno 1891-92 e, come attestato dal foglio matricolare del Distretto militare di Modena («sa leggere e scrivere»), è da ritenere che il suo curricolo d’istruzione si sia fermato alla terza classe elementare.
Da Villa Mandrio – dove sopravviveva con i magri cespiti di un campo di mezza biolca (2856 mq) – il 22 ottobre 1897 la famiglia Pietri emigrò nella vicina Carpi.
Era questo un centro più dinamico che, sotto la spinta dalla nascente industria del truciolo, stava attraversando una stagione di crescente sviluppo demografico ed economico. Qui la famiglia si stabilì in via delle Mura di Levante, dove il padre avviò un modesto esercizio di fruttivendolo a Porta Modena.
Dall’età di quattordici anni Pietri lavorò come garzone presso la pasticceria Roma di Pasquale Melli, sita nei portici di piazza Vittorio Emanuele II. Nel 1903, attratto dall’affermarsi degli sport moderni anche a Carpi, entrò a far parte della locale Società Ginnastica La Patria: un sodalizio che, fondato il 7 maggio 1879, era destinato a recitare un importante ruolo anche sotto il profilo politico nella vita cittadina.
Con la nomina a presidente, nel 1895, di Gaetano Gilioli e con quella successiva di Arturo Marchi (sindaco di Carpi dal 13 marzo 1911 al 9 luglio 1914), il sodalizio si avvicinò agli orientamenti socialisti orbitando nella sfera d’influenza del parlamentare Alfredo Bertesi (1851-1923), l’indiscusso capo del socialismo riformista carpigiano.
Con l’iscrizione alla polisportiva, che dal 10 aprile 1900 aveva attivato anche una sezione di velocipedismo, Pietri aveva in progetto di dedicarsi a tale disciplina. Il 9 e il 21 agosto 1904, a Modena, partecipò infatti a due gare ciclistiche, ma una caduta riportata in quest’ultima competizione, lo indusse ad abbandonare simili velleità. A farne un podista fu pertanto, nel settembre 1904, l’arrivo a Carpi di uno dei più famosi professionisti della corsa: l’atleta laziale Pericle Pagliani.
Su un tracciato ad anello approntato nella centralissima Piazza Vittorio Emanuele II, Pagliani ebbe tra i suoi sfidanti il giovane Dorando che, pur dovendo cedergli, mise in luce spiccate qualità di resistenza. Si trattò di un risultato sorprendente, ottenuto da un’atleta improvvisato, un brevilineo di 1,59 m per 60 kg, con una falcata di appena 122 cm. Magro ma compatto nella sua figura essenziale, incarnava il prototipo di quell’Italia povera e contadina, avara di una sana alimentazione e di condizioni d’igiene adeguate: un uomo normale, lontanissimo dal mito che, di lì a non molto, venne elaborato intorno alla sua persona.
Avviatosi così, in modo assolutamente naïf, alle prove podistiche, Pietri intraprese subito a ritmi intensissimi una carriera agonistica nazionale e internazionale (su pista e strada, all’aperto e indoor, dai 1000 m alla maratona) che, nelle 121 gare ufficiali disputate tra il 1904 e il 1911 lo vide collezionare 90 vittorie, comprese le 8 ottenute nelle 17 maratone complessivamente corse. Questo, dunque, l’esaltante ruolino dell’esperienza atletica di Pietri, i cui primi acuti risalgono al 1905.
Quell’anno, il 18 giugno, a Vercelli, conquistò il campionato dell’Unione pedestre italiana (UPI) sui 25 km, imponendosi in 1h 30′ 10″ su Giacinto Volpati, e il 1° settembre, a Savona, ottenne sui 10 km il titolo della Federazione ginnastica nazionale. Ma soprattutto, il 15 ottobre 1905, colse il suo primo trionfo all’estero vincendo la VI edizione della Traversata di Parigi. Sui 30 km del percorso, in 1h 55′, precedette di quasi 5′ il francese Emile Bonheure e l’inglese Charles Wigginthon. Rientrato in patria, il 21 novembre 1905 fu chiamato alle armi e, il 3 dicembre, assegnato al 25° Reggimento fanteria, decima compagnia, di Torino. Grazie ai buoni uffici del presidente dell’UPI, Luigi Mina, Pietri – nonostante il periodo di ferma – non solo poté proseguire gli allenamenti con la società torinese Atalanta, ma fu autorizzato a concorrere alle prove di qualificazione per le Olimpiadi intermedie di Atene del 1906 (mai riconosciute dal barone Pierre De Coubertin). Le selezioni ebbero luogo a Roma, il 2 aprile, e sui circa 42 km si affermò in 2h 42′ 00″. Ciò gli valse la partecipazione alla maratona ateniese del 1° maggio 1906; ma una condotta di gara eccessivamente spavalda unitamente all’alta temperatura, quando conduceva con 5′ di vantaggio sul secondo, ne determinò il ritiro al 25° km.
Congedato l’11 settembre 1907, tornò nei ranghi de La Patria. Il 3 giugno 1908, malgrado un nuovo ritiro al 33° km nella maratona dei campionati italiani della nuova Federazione podistica italiana (FPI) di Roma – a causa di un’insolazione, – venne ugualmente convocato per l’Olimpiade di Londra. Qui, il 24 luglio 1908, con il numero 19, maglia bianca e pantaloncini rossi, alle ore 14,33 prese il via nella maratona dei Giochi, svolta in una giornata caldissima.
Gli atleti inglesi imposero immediatamente un ritmo elevato, tenendo il comando fino al 15° miglio allorché prese la testa il sudafricano Charles Hefferon che, al 20°, distaccava Pietri di quasi 4′. In costante recupero Pietri agganciò Hefferon a 2 km dall’arrivo, e proseguì sull’entusiasmo a un’andatura sostenutissima. Effetto di questa condotta tattica fu la crisi gravissima che lo colse nell’ultimo km, culminando nel penoso travaglio dei 325 m finali sulla pista del White City Stadium compiuti in un tempo di 9′ 46″ 4. Stremato e confuso cadde cinque volte, perdendo brevemente conoscenza e venendo aiutato dai commissari a tagliare il traguardo in 2h 54′ 46″ 2. Una vittoria ‘eroica’ e puramente morale, poiché il reclamo – per l’indebito soccorso ricevuto dai giudici – da parte del secondo classificato, l’americano John Hayes, ne determinò, come da regolamento, la squalifica.
Fu questo un dramma sportivo e umano che, nella sua dimensione epica, colpì profondamente l’immaginario collettivo del tempo, spingendo Arthur Conan Doyle a queste parole d’ammirazione: «Nessun romano antico seppe cingere il lauro della vittoria alla sua fronte meglio di quanto non l’abbia fatto Dorando nell’Olimpiade del 1908. La grande razza non è ancora estinta» (cit. in D. Pietri, L’educazione fisica per tutti, Milano 1908, p. 122).
Assurto a grande popolarità, Pietri intese monetizzare la fama acquisita gareggiando in maniera assai intensa specie negli Stati Uniti.
Il 25 ottobre 1908, lo sfortunato ‘eroe di Londra’ iniziò una lucrosa tournée da New York e, quattro giorni dopo, fu radiato dalla FPI in quanto reo di palese professionismo. A una tale svolta contribuì il fratello Ulpiano, inventatosi suo manager: sfruttando sino in fondo il momento di straordinario carisma di Dorando, lo iscrisse, tra il novembre 1908 e il maggio 1909, a 25 competizioni a ingaggio, con pubblico pagante in America (dove al Madison Square Garden di New York il 25 novembre 1908 si prese la rivincita sull’inglese Hayes) e Canada. Tra queste c’erano anche a 9 maratone, correndone dunque una media di più d’una al mese. Sforzi fisiologici enormi, difficilmente sopportabili da un fisico già allora affetto da una seria stenosi mitralica non diagnosticata, che ripresero nel dicembre 1909 e che si conclusero solo, toccando stavolta oltre agli Stati Uniti anche l’America Latina, nel luglio 1910.
Nel corso di questa attività frenetica, dopo essersi unito in matrimonio a Carpi con Teresa Dondi il 19 agosto 1909, si è calcolato che Pietri sia giunto a guadagnare, sino al definitivo ritiro dall’agonismo l’8 novembre 1911, oltre 250.000 lire. Una cifra enorme, malamente reinvestita. La peggiore di queste operazioni economiche consistette nell’acquisto, in comproprietà con il fratello ‘affarista’ Ulpiano, di un Grand Hotel Dorando a Carpi, costatogli nel 1911 90.000 lire e del quale si liberò rapidamente, nel 1917, conservando per sé soltanto i locali di un bar e il garage di un autonoleggio.
Richiamato alle armi durante la Grande Guerra fu subito riformato per un vizio cardiaco. Nel marzo 1921, con tessera numero 47.363, s’iscrisse ai Fasci di combattimento di Carpi. Un’adesione convinta, se ancora il 13 dicembre 1933, in un testamento olografo, pregava chi l’avrebbe assistito nel momento del trapasso di «non dimenticarsi che voglio mi sia messa la camicia nera con la sciarpa di campione italiano, vinta a Vercelli nel 1905» (Frasca, 2007, p. 270). Trasferitosi il 26 novembre 1923 a Sanremo per avvicinarsi ai fratelli Antonio e Armando che lì si erano stabiliti da tempo, vi svolse la professione di autista di piazza, avendo conseguito la patente di guida fin dal maggio 1911.
Durante il ventennio fascista ebbe qualche incarico ufficiale da parte della Federazione di atletica leggera, ma di non particolare rilievo. Nel 1936 ebbe la soddisfazione di essere nominato cavaliere della Corona d’Italia.
Morì a Sanremo il 7 febbraio 1942, senza eredi, in seguito a una repentina emorragia cerebrale.
Fonti e Bibl.: E. Carli, D. P. corridore di maratona, Verona 1973; R. Musumeci, La sfida di maratona, Milano 1985; L. Nora, D. P. tra mito e storia, Carpi 1990; S. Giuntini, D. P. oltre il mito. Cronache carpigiane, in Ludus. Sport & loisir, n. 2, luglio 1992, pp. 77-89; Id., D. P. dalla via Emilia al West, Palermo 2004; A. Frasca, D. P.: la corsa del secolo, Reggio Emilia 2007; S. Giuntini, ‘La Patria’ socialista. Una società ginnastica carpigiana dall’Ottocento al fascismo, in L’Almanacco. Rassegna di studi storici e di ricerche sulla società contemporanea, giugno 2012, n. 59, pp. 119-136.