GATTILUSIO, Dorino
Secondo di questo nome, figlio di Palamede signore di Enos (sulla costa della Tracia), nacque probabilmente fra il 1420 e il 1430 e pare che fosse destinato a ereditare unicamente le vaste proprietà terriere possedute dal padre nell'isola di Lesbo (dal 1355 feudo dei Gattilusio, genovesi di origine), ma la morte prematura del fratello maggiore, Giorgio, avvenuta nel 1449, fece di lui l'erede della signoria paterna, anche se Palamede, che aveva forse dei motivi di disaccordo con il figlio, dispose nel proprio testamento che il potere dovesse essere comunque condiviso dal G. con i figli del defunto fratello. Tuttavia alla morte del padre, nel 1455, il G. non esitò a impadronirsi dell'intero patrimonio, escludendo i nipoti, ancora bambini, da qualunque forma di condominio. Questa iniziativa, per quanto politicamente giustificabile con la necessità di una gestione accentrata del potere di fronte alla minaccia ottomana, provocò un forte stato di tensione nei rapporti con la fazione che sosteneva i diritti dei due fanciulli, a capo della quale si trovava la vedova di Giorgio. Visti respinti tutti i loro appelli per una composizione pacifica della vertenza, gli oppositori del G. si risolsero a inviare un loro rappresentante a Costantinopoli presso il sultano Maometto II, affinché quest'ultimo intervenisse presso il G. imponendogli, in quanto suo vassallo e tributario, di reintegrare nei loro diritti gli spossessati nipoti oppure, in caso di rifiuto, che lo destituisse.
Questa ambasceria trovò nel sultano un ascoltatore fin troppo disponibile; da tempo infatti Maometto aveva puntato la sua attenzione sui possedimenti del ramo cadetto dei Gattilusio: innanzi tutto, la città di Enos, con il suo porto posto in prossimità della foce della Maritza, all'epoca navigabile per un lungo tratto verso l'interno, costituiva una potenziale minaccia, in quanto la sua posizione avrebbe potuto farne, se si fossero concretizzati i progetti di crociata discussi in Occidente, una formidabile testa di ponte in prossimità dei Dardanelli, dalla quale si sarebbe potuto operare sia per terra sia per mare in direzione della stessa Costantinopoli.
A queste considerazioni di carattere militare va poi affiancata la valutazione, indubbiamente compiuta dal sultano, della ricchezza dei possedimenti del G.: anche se le entrate del signore di Enos non ammontavano più alle cifre favolose percepite dal suo antenato Niccolò (I), le isole della sua signoria avevano una ricca produzione agricola e zootecnica, i proventi della pesca erano notevoli, e soprattutto le entrate derivanti dalle saline del lago di Jala Göl, nonostante i due terzi delle entrate dovessero essere versati direttamente al sultano, si aggiravano ancora intorno alla cifra di 300.000 aspri d'argento ogni anno.
Pertanto, quando al sultano fu riferito che il G., in aperta violazione degli impegni a suo tempo assunti dal padre, stava rafforzando le proprie fortezze e incrementando le guarnigioni, proprio mentre dalla città di Ipsala giungevano accuse al G. di frode nella gestione economica delle saline, Maometto II - che indubbiamente, grazie alla sua ottima rete di spionaggio, sapeva che tutte queste accuse erano in buona parte frutto di invenzione - fu ben contento di cogliere l'occasione per intervenire militarmente contro il Gattilusio. Nel cuore del rigido inverno balcanico, il 24 genn. 1456, Maometto II lasciò Costantinopoli alla testa di un forte corpo di spedizione alla volta di Enos, mentre la flotta, al comando di Junus Pasha, si dirigeva via mare verso l'obbiettivo; il G., evidentemente all'oscuro di tutto, si era recato a trascorrere l'inverno nel suo castello di Samotracia e così, all'approssimarsi dell'armata ottomana, non vi fu da parte dei cittadini di Enos alcun tentativo di resistenza: una delegazione fu inviata al campo del sultano presso Ipsala per offrirgli la spontanea sottomissione della città, che fu accettata. Entrato in Enos, Maometto II garantì l'incolumità degli abitanti, ma, oltre a farsi consegnare 150 giovani prigionieri, fece spogliare di tutti i tesori il palazzo dei Gattilusio e le residenze dei loro cortigiani; quindi, dopo una permanenza di tre giorni, ripartì dopo aver nominato un nuovo governatore per la città e aver affidato a Junus Pasha l'incarico di procedere all'occupazione di Imbro e Samotracia. Giunto nella prima delle due isole, l'ammiraglio turco la occupò praticamente senza colpo ferire, traendo in arresto il governatore, il nobile bizantino Giovanni Lascaris Ryndakenos, e sostituendolo con Critobulo di Imbro, il futuro biografo di Maometto II, i cui sentimenti filoturchi erano da tempo ben noti alla corte ottomana; anche l'occupazione di Samotracia avvenne praticamente senza incontrare resistenza, ma in questo caso Junus Pasha non riuscì a conseguire il suo obbiettivo principale: avvertito dell'approssimarsi della flotta turca, il G. era infatti riuscito a fuggire a bordo di una piccola imbarcazione e a raggiungere la costa nei pressi di Enos, da dove coraggiosamente si diresse alla corte di Maometto, in quel momento ad Adrianopoli. Qui, grazie al proprio fascino personale e alla propria abilità di diplomatico, nonché ai ricchi doni che aveva portato con sé, il G. riuscì non solo a ottenere il perdono del sultano, ma quasi a convincerlo a restituirgli la signoria di Imbro e Samotracia, quando l'intervento di Junus Pasha, indispettito per lo scacco personale inflittogli dal G., convinse Maometto a insediarlo lontano dalla costa, dove forse avrebbe potuto rappresentare ancora un pericolo, assegnandogli il governo del distretto di Zichna, in Macedonia.
La remota residenza non poteva certamente essere gradita al G., timoroso fra l'altro dei repentini cambiamenti di opinione del sultano che già erano costati la vita ad altri principi cristiani affidatisi con eccessiva fiducia alla sua grazia. Il G. pertanto, massacrati, con l'aiuto di alcuni suoi fedeli, i membri della sua "guardia d'onore" turca (incaricati di sorvegliarlo strettamente), fuggì, raggiunse la costa e si imbarcò. Giunto a Nasso dopo una breve permanenza a Mitilene, trovò rifugio alla corte del duca Giacomo II Crispo, suo parente, che gli diede in seguito in moglie la propria figlia (il cronista turco, Asik Pashazade, non contemporaneo agli avvenimenti, si riferisce a una moglie, un figlio e una figlia del G., presenti all'epoca della caduta di Enos, ma probabilmente li confonde con la cognata e i nipoti). Non è nota la durata della permanenza del G. a Nasso, ma è assai probabile che, dopo la caduta di Mitilene e durante il periodo di grave crisi degli insediamenti latini nell'Egeo, culminata con la caduta di Negroponte (1470) e con i ripetuti attacchi a Rodi (1479, 1480), egli abbia ritenuto più prudente abbandonare l'Oriente per raggiungere Genova, dove la sua presenza è attestata nel 1483.
A Genova, il 3 dic. 1488 il G. cedette al cognato Marco Doria "quondam Oberti" i diritti da lui vantati sul complesso dell'eredità della sua casa, riservandosi il diritto, in caso di liberazione di Mitilene, a recuperare i beni fondiari appartenuti personalmente al padre, oppure, in caso di riconquista anche di Enos, Imbro e Samotracia, a riprendere per sé i suoi antichi domini. Dopo quest'ultima testimonianza di un sogno ormai irrealizzabile, anche sul G. cala il silenzio delle fonti, né risulta che egli abbia avuto figli maschi dal suo matrimonio, cosicché la discendenza della casata derivò unicamente da suo cugino Giuliano, uno dei più famosi pirati del suo tempo.
Fonti e Bibl.: Genova, Bibl. civica Berio, V.1.1.16: Acquisitio insule Mitileni; Ducas Michaelis nepos, Historia Byzantina, a cura di J. Bekker, in Corpus script. hist. Byzantinae, XVI, Bonn 1834, p. 335; L. Chalcocondylas, Historiarum demonstrationes, a cura di J. Bekker, ibid., VI, ibid. 1843, p. 469; M. Critobulos, De rebus per annos 1451-1467 a Mechemete II gestis, a cura di C. Müller, in Fragm. historic. Graec., V, 1, Paris 1870, II, cc. 11-16; III, c. 24; A. Sanguineti, Iscrizioni greche della Liguria, in Atti della Società ligure di storia patria, XI (1876), 2, pp. 345 s; A. Luxoro - G. Pinelli Gentile, Documenti riguardanti alcuni dinasti dell'Arcipelago, in Giornale ligustico di archeologia, storia e belle arti, V (1878), pp. 370-372; A. Ferretto, Annali storici di Sestri Ponente e delle sue famiglie (dal secolo VII al secolo XV), ibid., XXXIV (1904), p. 345; Asik Pashazade, Chronikon tis Dynasteias tu Osman, a cura di N. Papazoglou, Athine 1940, p. 224; J. von Hammer-Purgstall, Histoire de l'Empire Ottoman, Paris 1835-43, II, p. 20; W. Miller, The Gattilusi of Lesbos (1355-1462), in Essays on the Latin Orient, Cambridge 1921, pp. 338 s., 351, 353; F. Babinger, Maometto il Conquistatore, Torino 1957, pp. 145, 190; G. Pistarino, Genovesi d'Oriente, Genova 1990, pp. 388, 407, 419 s.; Id., I signori del mare, Genova 1992, p. 335; E. Ivison, Funerary monuments of the Gattelusi at Mytilene, in Annual of the British School at Athens, LXXXVII (1992), p. 424; G. Olgiati, I Gattilusio, in Dibattito su famiglie nobili del mondo coloniale genovese nel Levante. Atti del Convegno, Montoggio… 1993, a cura di G. Pistarino, Genova 1994, pp. 97-99; E. Janin, Monete delle colonie genovesi nel Levante, ibid., p. 107; G. Olgiati, Il commercio dell'allume nei domini dei Gattilusio nel XV secolo, in Hi Gateluzi tis Lesvu, a cura di A. Mazarakis, in Meseonika tetradia, I, Athine 1996, p. 390; S. Kofopoulos - A. Mazarakis, I Gattilusio: revisioni genealogiche e numismatiche, ibid., pp. 400 s.; R.S. Lopez, Storia delle colonie genovesi nel Mediterraneo, Genova 1996, p. 318.