DOSI, Giovanni Antonio (Giovan Antonio, Giovannantonio), detto Dosio
Figlio di Giovanni Battista, nacque a San Gimìgnano (prov. Siena) presumibilmente nel 1533. Lo scrittore fiorentino Raffaello Borghini (1584) indicò Firenze come sua cìttà natale, ma l'origine sangimignanese è sostenuta da quattro attendibili testimonianze contemporanee al D. (Roma, Bibl. ap. Vat., Vat. Manuz. 5237, e 129: taccuino di G. Giacoboni; Gamucci, 1565; Parigi, Louvre, Cabinet des dessins, n. 1156: G. Vasari, nota, parzialmente inesatta, al disegno del D. raffigurante la Madonna col Bambino preparatorio per la tomba Farratino ad Arnelia; Arch. di Stato di Firenze, Carteggio Mediceo, f. 1347: A. Primi, lettera a Firenze del 3 luglio 1609).
Nel 1548, dopo la morte del padre, si trasferi a Roma per lavorare come apprendista orefice; qui svolse la sua attività di scultore e di architetto fino alla maturità. A partire dal 1574 alternò a brevi soggiorni romani lunghe e operose permanenze a Firenze. Nel 1590, infine, si portò a Napoli, dove lavorò fino alla morte.
Il suo apprendistato di scultore ebbe luogo nella bottega di Raffaello da Montelupo, dal 1549 al 1551. In questo biennio il D. acquisì una formazione artistica fondamentale per la sua carriera a venire, dedicandosi allo studio della statuaria e dell'epigrafia romane antiche. È probabile che il maestro lo introducesse presso i primi committenti e protettorii Annibal Caro, segretario del fiorentino Giovanni Gaddi chierico di Camera, e la cerchia dei Famese. Nel decennio successivo al 1551 gli scarsi dati documentari, di interpretazione a volte incerta, sembrano testimoniare la collaborazione dei D. a varie imprese di scultura a Roma.
Il suo nome figura (1552-53) nei ruoli del cantiere della villa di papa Giulio III in relazione all'allestimento delle statue. Lavorò (1556) nel rinnovamento del portone di Castel Sant'Angelo per Paolo IV; partecipò alla decorazione del casino di Pio IV e alla sistemazione dei materiali antiquari nel boschetto di Belvedere in Vaticano (1561).
Il quel periodo il D. stabilì un rapporto di collaborazione proficuo e duraturo con lo scultore lombardo Guglielmo Della Porta. Insieme (Valone, 1977) elaborarono il progetto per la ricostruzione di S. Silvestro al Quirinale divisata da Paolo IV: al D. spetterebbe l'accurata delineazione della pianta e degli alzati della chiesa (Oxford, Ashmolean Mus., album Talman Grande, f. 37).
Tra il 1564 e il 1566 lavorò al servizio di Torquato Conti nella costruzione della cinta muraria di Anagni e nella decorazione di numerose stanze nella rocca Conti a Poli (attuale palazzo comunale), dove eseguì "molte cose di stucco e di marmo" (Borghini, 1584). Impegni diversi di lavoro lo condussero a visitare, tra il febbraio e il luglio del 1564, altre località dell'Italia centrale: Toscanella (oggi Tuscania), Orvieto, Amelia. Nel duomo di Amelia scolpì la tomba parietale del vescovo di Chiusi Bartolomeo Farratino a fronte di un altro sepolcro Farratino, opera di Ippolito Scalza; ad Amelia lo conobbe G. Giacoboni, che (come già ricordato) nei suoi appunti di viaggio lo cita come "Gio. Antonio D'Osi da S. Gemignano" scultore, aggiungendo di essere stato da lui dissuaso dal copiare le epigrafi romane della zona perché già egli stesso le aveva tutte trascritte in un proprio taccuino (se ne vedano i fogli in Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz, Kunstgewerbe-museum, a Berlino).
Insieme con le attività di mediatore, per acquisti di "anticaglie" e oggetti d'arte, e di restauratore di pezzi antichi (si veda la lettera di Cesare Gonzaga in Campori, 1866, del 18 nov. 1562), la produzione di monumenti funebri fu la maggiore risorsa del D. negli anni romani.
La prima scultura ricordata dal Borghini (1584) è la Speranza per la tomba del senese Giulio De' Vecchi (Del Vecchio) nella chiesa dei Ss. Apostoli, risalente al 1555-56; la statua andò perduta con altre memorie funebri nella ricostruzione della chiesa nel 1724. Gli si attribuiscono poi diverse tombe parietali con ritratti dei defunti: di Annibal Caro in S. Lorenzo in Damaso (1566-67); di Giovanni Pacini (medico del card. A. Farnese) nella stessa chiesa (1567-68); del giureconsulto Antonio Massa di Gallese in S. Pietro in Montorio (1568); di Michele Antonio marchese di Saluzzo in S. Maria in Aracoeli (non del Popolo come scrisse il Borghini), datata 1575. Dubitativamente gli viene assegnata (Valone, 1972) la tomba di Mario Nisio, già nella chiesa dei Ss. Apostoli e ora nel chiostro adiacente.
Completano il corpus delle sculture finora riferite al D. il busto di Giulia C. Naro in S. Maria sopra Minerva; il busto del cavaliere di Malta Pietro Dal Monte già a Berlino, nel Kaiser-Friedrich Museum (cfr. F. Schottmüller, Die italienische und spanische Bildwerke der Renaissance..., Berlin 1933, p. 179); la Testa virile barbata comparsa nella vendita Heini a Londra (catal., estate 1972, 15, n. 23) e oggi nell'Ackland Memorial art center della Univ. of N. Carolina, a Chapel Hill, N. C. (Recent Accessions., [1973]); un Busto virile barbato di ubicazione ignota (fotografia presso il Kunsthistorisches Inst. a Firenze).
I modi espressivi del D. subiscono notevoli mutamenti nella pur ridotta serie di opere. Nella tomba Farratino, sia la scelta compositiva sia i profusi dettagli decorativi rimandano alla tradizione instaurata dal Bregno e dal Sansovino. Pochi anni dopo invece, con le tombe Caro e Pacini, il linguaggio artistico del D. appare profondamente rinnovato. L'impianto compositivo comune alle due sepolture parietali (ripreso nel monumento Saluzzo) comprende una equilibrata sequenza ascendente di basamento, cartella con iscrizione e stemmi, coronamento a timpano racchiudente il ritratto del defunto (testa a tutto tondo entro conchiglia il Caro; profilo a mezzo rilievo entro medaglione il Pacini; busto loricato in nicchia il Saluzzo). Gli aggetti sono accortamente calibrati, il modellato resta asciutto e nitido anche negli ornati; solo nel monumento Saluzzo compaiono mascheroni chimerici di tipo michelangiolesco-tribolesco.
La composizione si dilata in orizzontale nella tomba Gallese; mentre risultano mediocri i genietti funebri e il busto ritratto, è di alta qualità il trattamento delle modanature e del bassorilievo centrale, che raffigura un'impressionante natura morta di libri e strumenti scrittorii. Tutte le tombe suddette sono eseguite in marmi policromi (sui ritratti funebri del D. cfr. Grisebach 1936). Della produzione di arredi funebri del D. fanno parte anche alcune lastre tombali pavimentali in marmi policromi e bronzo (Pacci, Rebiba, Orsini, Cicada) risalenti ai decenni '60 e '70 (cfr. Morrogh, 1985). Sono anche noti attraverso i disegni progetti di sepolture per i pontefici Paolo IV e Clemente VIII (non realizzati).
Fino dai primi tempi del soggiorno romano il D. si dedicò ad una vasta produzione grafica, intesa principalmente a documentare i molteplici aspetti delle reliquie di Roma imperiale, ma anche a ritrarre luoghi e architetture della Roma moderna. Tra i numerosi fogli superstiti dei taccuini del D. (si veda l'elenco dei principali fondi di disegni), molti ebbero anche una diffusione a stampa, isolati o in serie. La sua pianta prospettica di Roma, anteriore al marzo 1555 per la presenza di Giulio III, fu incisa da S. Del Re e pubblicata da B. Faleti nel 1561, con dedica al card. G. Paleotti.
Nel 1565 Bernardo Gamucci illustrò la sua guida Le antichità della città di Roma con incisioni tratte da disegni dosiani dei massimi monumenti romani con il loro intorno.
I soggetti appartenevano all'album del D. che si designa comunemente come "Libro delle antichità", ovvero un taccuino compilato a partire dal 1560 c., contenente vedute di Roma, monumenti e, secondo la dicitura dell'autore stesso, "Dis manibus, pili, epitaffi et altre cose antiche", che, smembrato ab antiquo, pervenne a raccolte grafiche diverse (Firenze, Gabinetto d. disegni e d. stampe d. Uffizi e Bibl. nazionale centrale; Berlino, Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz, Kupferstichkabinett; copie a Windsor, Royal Library).Con altri fogli del medesimo periodo G. B. Cavalieri costituì una raccolta di tavole incise di grande formato che diede alle stampe a Roma nel 1569 con la dedica a Cosimo I de' Medici e con il titolo Urbis Romae aedificiorum ... (per ediz. facsimile cfr. Borsi, 1970). Fu forse un tentativo del D. di accattivarsi la committenza granducale, subito deluso dalla cortesia puramente formale della risposta di Cosimo (lettera del 22 giugno 1569, in Gaye, III, 1840).
Vari disegni dosiani del decennio 1555-65 documentano inoltre l'interesse dell'artista per la costruzione della cupola di S. Pietro: studi di sezioni del tamburo e della calotta, tratti dal modello ligneo di Michelangelo, e interessanti vedute del cantiere con le macchine per il sollevamento dei carichi in funzione (Firenze, Gab. d. disegni e d. stampe d. Uffizi).
La nutrita serie dei disegni ricordati rivela la piena padronanza dei mezzi grafici da parte del D., che documenta con rigorosa attendibilità gli aspetti archeologici di Roma antica anche grazie ai suoi studi assidui sul campo: si sa infatti che tra il maggio e il giugno 1562 partecipo, come ricorda il Gamucci (1565), agli scavi dietro la chiesa dei Ss. Cosma e Damiano che riportarono alla luce i pezzi superstiti della marmorea Forma Urbis Romae, risalente al III secolo d. C.
Nei suoi disegni il D. evita ogni completamento analogico dei monumenti diruti o interrati, anzi testimonia con precisione effetti devastanti del tempo quali la corrosione o la caduta di elementi lapidei, la sovrapposizione di corpi di fabbrica recenziori, le quote rialzate dei piani pavimentali, l'invasione della vegetazione. Né manca la restituzione della vitalissima aura atmosferica e ambientale che circonda la reliquia monumentale, attraverso mezzi grafici diversificati: stesura di piani luminosi, contomi nitidi, ombrature ora pastose ora trasparenti, nervosi schizzi di figura.
I modi grafici del D. cambiano sensibilmente in una serie di disegni destinati a comporre un trattato di architettura. Secondo una notizia (circa 1720) del Gabburri, il trattato pur incompìuto del D. avrebbe dovuto andare alle stampe nel XVIII secolo, il che non risulta sia accaduto. La crescita delle ambizioni culturali del D. si rivela già negli anni attorno al 1568, periodo in cui frequentò il segretario di Ferdinando de' Medici, Gherardo Spini, assistendolo nella stesura dei tre primi libri di un trattato, rimasto incompiuto, sugli ordini architettonici. Negli anni seguenti il D. approfondì lo studio dei massimi edifici romani sia antichi sia moderni (tra questi ultimi S. Pietro in Montorio, il palazzo Massimo, la cupola petriana in costruzione e altri) per costituire con essi un trattato più attendibile di quello del Serlio. Come il D. stesso scrisse nella lettera a Niccolò Gaddi dell'8 maggio 1574 (Bottari-Ticozzi, III, p. 300), le tavole dei rilievi quotati non sono ombreggiate "perché l'acquerello offusca i numeri". Nei fogli per il trattato identificati dallo Hülsen (1912; Firenze, Gab. d. disegni e d. stampe d. Uffizi) la presentazione grafica risponde a una disciplinata ricerca di chiarezza e correttezza, affinché si comprendano (come evidenzia il D. nei commenti a margine) le proporzioni e i caratteri morfologici degli ordini in rapporto ai precetti di Vitruvio.
Dalla corrispondenza con il gentiluomo dilettante d'architettura cav. Niccolò Gaddi (lettere note dal 1574 al '79 in Bottari-Ticozzi, III, pp. 299, 300-302, 305, 308, 310 s.) provengono indicazioni sugli spostamenti e sull'attività del D., presente sempre più spesso a Firenze e in Toscana ma saltuariamente attivo anche a Roma. Nel giugno del 1574 era a Firenze, dove lo raggiungeva una lettera del Della Porta (W. Gramberg, Die düsseldorfer Skizzenbücher des Guglielmo della Porta, Berlin 1964, III, pp. 33 s.), il quale inviava disegni per il "libro" del Gaddi e chiedeva il prezzo del Perseo del Cellini. Nello stesso mese il D. lavorò in collaborazione con l'Ammannati alla villa medicea dell'Ambrogiana a Montelupo (poi ristrutturata nell'ampliamento ferdinandeo, successivo al 1587). In una lettera dell'Ambrogiana (14 gìugno 1574; Bottari-Ticozzi, III, pp. 302 ss.) chiedeva in prestito al Gaddi libri di Leon Battista Alberti o altri trattati d'architettura.
Probabilmente già da qualche anno il Gaddi aveva fichiesto la collaborazione del D. nella progettazione della cappella familiare in S. Maria Novella, per la quale infatti il D. approntò una quantità di disegni preparatori (Firenze, Gabinetto d. disegni e d. stampe d. Uffizi) e un modello ligneo; la costruzione della cappella si protrasse fino al 1578.
La cappella gotica esistente (la prima del braccio sinistro del transetto), a pianta quadrata, fu trasformata con un rivestimento architettonico di morfologia moderna; le monofore vennero sostituite con aperture a lunettone e per ribassare la volta fu costruita una nuova copertura a padiglione. L'ordine architettonico corinzio con colonne inalveolate, lesene angolari e trabeazione, fu realizzato in pietra serena, al pari delle cornici delle finestre centinate. Le pareti, cui sono addossati i sarcofagi dei due cardinali Gaddi sormontati da edicole in cui alloggiano bassorilievi di Giovanni dell'Opera, sono interamente rivestite di pregiati marmi policromi. Anche il pavimento venne eseguito a commesso marmoreo secondo lo schema puntualmente predisposto dal Dosi. La volta fu decorata con stucchi del D. e affreschi di A. Allori, la pala d'altare è di Agnolo Bronzino.
La policromia intensa e preziosa di questa architettura dosiana, prima manifestazione a Firenze di un gusto romano, suscitò l'ammirazione dei contemporanei (A. F. Grazzini detto il Lasca, Le rime burlesche, a cura di C. Verzone, Firenze 1882, n. CXVIII, p. 449). I modi architettonici del D. vi appaiono sostenuti e maturi, sia nel controllo rigoroso delle scelte formali (elaborate attraverso lunghi studi, che illustrano il passaggio dalle prime versioni ricche di spunti antiquari alla scelta definitiva, di severo carattere michelangiolesco), sia nella disposizione sapiente dei materiali.
Ancora per il Gaddi il D. elaborò la ristrutturazione del prospetto, e forse in parte dell'interno, del palazzo in via del Giglio; lavoro finora mai incluso nel corpus dosiano, che gli si attribuisce qui in base a ricordi grafici contemporanei (in Zangheri, 1980). P, noto inoltre che il D. studiò a fondo fl tema della testata angolare del palazzo, con il portale d'ingresso agli orti gaddiani; gli eredi dei cavaliere preferirono però il progetto del Cigoli.
Sembra infine possibile attribuire al D. il progetto per la magnifica villa Gaddi di Font'all'Erta (Camerata), finora creduto, ma senza prove, dell'Ammannati; la trasformazione dell'edificio, voluta da N. Gaddi, non era ultimata alla sua morte (1590).
A Firenze, dove il D. affittò una casa nel quartiere dì S. Spirito (1576; cfr. C. Pini-G. Milanesi, La scrittura di artisti ital., Firenze 1876, III, p. 239), fece parte dell'Accademia del disegno dal 1575 al '78. Compì viaggi in località costiere (Pisa, Massa, Carrara) per acquistare marmi, come risulta anche da annotazioni su disegni del codice N.A. 618, conservato nella Bibl. nazionale di Firenze. A Roma risulta iscritto tra i Virtuosi del Pantheon dal 1574 in poi. Al 1575 risale il già ricordato monumento funebre Saluzzo. Apartire dal 1574 circa Giovanni Battista Altoviti (lontano parente del Gaddi) incaricò il D. della ristrutturazione della capella familiare in Trinità dei Monti, opera che, per l'irresolutezza del committente, si protrasse fino al 1584 circa.
Come ricorda il Borghini (1584), il D. lavorò ad un'altra cappella Altoviti nella basilica di Loreto, eseguendo tra l'altro stucchi oggi non più esistenti. Nel corso della visita a Loreto il D. preparò anche uno studio grafico per la facciata del santuario e vari disegni per la decorazione della S. Casa (cfr. Firenze, Gabinetto dei disegni e d. stampe d. Uffizi).
Un importante lavoro d'architettura a Firenze provenne al D. dal senatore Giovanni Niccolini, legato da amicizia con il Gaddi, che nel 1579 circa lo incaricò di progettare la sua cappella, da costruirsi nella testata settentrionale del transetto di S. Croce (consacrata nel 1585, ultimata però nel XVII secolo).
Il D., come risulta dai numerosi disegni del Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi, propose varie differenti versioni progettuali; nella complessa vicenda intervennero anche con propri disegni Andrea Palladio (disegno nello Szepniuvészeti Muzeum a Budapest), N. Gaddi e G. B. Caccini, collaboratore del Dosio.
La cappella, nel suo aspetto definitivo, ha pianta rettangolare con accesso dal lato lungo meridionale, attraverso un portale corinzio di marmi policromi. All'interno un ordine di lesene corinzie scanalate rudentate sorregge il robusto architrave, sopra il quale si aprono quattro finestre a lunetta; copre la cappella una cupola ovale su tamburo finestrato, non visibile dall'esterno. L'interno è rivestito di marmi, con bassorilievi decorativi in stucco. Alle pareti lunghe sono addossati due sarcofagi sormontati da edicole tuscaniche, che racchiudono le statue del Francavilla, autore anche delle tre statue allegoriche entro nicchie timpanate. L'uso di marmi policromi inquadrati da membrature bianche rende l'ambiente molto più luminoso rispetto alla cappella Gaddi.
Per G. Niccolini il D. acquistò a Roma statue, busti, colonne e marmi destinati al palazzo nell'attuale via de' Servi (già Montauto), dove fu ospitato per qualche tempo intorno al 1590; gli si attribuisce il disegno del fronte loggiato prospiciente il giardino (cfr. Ginori Lisci, 1972, p. 450).
L'unico palazzo fiorentino progettato ex novo dal D. fu quello di Filippo Giacomini (passato poi ai Larderel) in via Tornabuoni, a cui già si lavorava nel marzo 1580 (cfr. Arch. di Stato di Firenze, Capitani di parte, f. 1466, n. 141). Sebbene il Borghini inspiegabilmente non ne parli e l'attribuzione sia del Gabburri (c. 1720), l'edificio mostra spiccati caratteri dosiani, specie nel prospetto severamente impaginato dai cantonali di paraste bugnate, con tre ordini di finestre timpanate, che rielabora motivi propri dell'architettura fiorentina del primo Cinquecento (per es. del palazzo Bartolini Salimbeni).
Altre importanti commissioni impegnarono il D. nel nono decennio del secolo. Nel 1582 l'arcivescovo di Firenze, Alessandro de' Medici, lo incaricò della ricostruzione parziale del palazzo arcivescovile, danneggiato sui lati orientale e settentrionale dall'incendio del 1533.
Gli alti prospetti furono articolati dal D. in tre ordini di finestre di diverse forme e dimensioni, con stretti portali al piano terreno, entro una griglia di paraste e cornici marcapiano dal contenuto spessore. Con l'allargamento della piazza S. Giovanni nel 1895 il palazzo fu parzialmente demolito e la facciata orientale (prospiciente il battistero) ricostruita in una imitazione non fedele dell'originale. Il cortile esistente non spetta al D. (Venturi, 1939), ma a B. Ciurini (XVIII secolo); al disegno dosiano possono ricondursi alcune porte.
Nel 1583 gli Altoviti commissionarono al D. il riassetto dell'abside della chiesa dei Ss. Apostoli, dove furono traslate le spoglie del vescovo Antonio, morto dieci anni prima.
Il D. pose il sarcofago marmoreo in una nicchia al centro della conca absidale, subordinando ad esso, in un raffinato sistema di decorazione parietale con aggetti diversificati, due porte dalle mostre marmoree sormontate da busti di Carlo Magno e di Antonio Altoviti (opere di G. B. Caccini). Gli stucchi parietali, nonché l'altare e il pavimento in marmi che completavano la sistemazione monumentale dell'abside, furono eliminati nei restauri novecenteschi.
Sempre nel 1583 il D. collaborava con il Giambologna ad una cappella nella chiesa del Cestello e partecipava allo studio del tema del monumento equestre a Cosimo I (cfr. nel Gabinetto dei disegni e stampe degli Uffizi il dis. 1403 S).
Con suo progetto si costruì, tra il 1584 e l'88 circa, la chiesa di Gesù Pellegrino o dei Pretoni, connotata da soluzioni architettoniche di austero tradizionalismo. L'attribuzione, benché tarda (Fantozzi, 1842), è condivisa all'unanimità dalla critica.
Nel 1587, su richiesta del granduca Francesco I, il D. esegui un modello ligneo per la nuova facciata di S. Maria del Fiore: questo, conservato oggi nel Museo dell'Opera del duomo (n. 128), fu preferito dal granduca a quello concorrente del Buontalenti, ma la sua morte ne impedì la costruzione (fu riproposto, ma senza esito, da Ferdinando II nel 1634).
La facciata dosiana, ispirata agli esempi romani del Vignola e del Della Porta, è nettamente bipartita in un ordine inferiore, scandito da pilastri corinzi giganti, e in un att co timpanato che si raccorda al marcato architrave sottostante per mezzo di due semplici volute.
Nel 1589 il D. fece parte del gruppo di artisti che, sotto la direzione del cav. Gaddi, allestì gli apparati effimeri per le nozze di Ferdinando I e Cristina di Lorena (cfr. Borsi, 1974, p. 317). In quel periodo il D. mantenne contatti solo sporadici con la committenza romana. Fornì il progetto per la chiesa di S. Maria di Monserrato della nazione castigliana a Roma (ma i lavori furono diretti da B. Valperga). È poi dubbia la sua partecipazione ai lavori nella villa dei Farnese a Caprarola, benché siano documentati pagamenti a un "architetto Giovanni Antonio" per la sistemazione delle fontane nel giardino (S. Benedetti, Sul giardino grande di Caprarola ... in Quaderni dell'Ist. di st. dell'archit., XVI [1969], 91-96, p. 15). Di altri lavori e progetti dosiani restano solo testimonianze grafiche. Un ignoto cinquecentesco ricorda come suo un palazzo non identificato in via Larga (oggi Cavour) a Firenze. È recente (Morrogh, 1985) la proposta di attribuirgli il primo progetto del palazzo Guadagni in piazza Duomo. Tra i numerosi disegni conservati nel Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi si incontrano altri progetti di grande impegno, per lo più non realizzati, quali la facciata di S. Lorenzo a Firenze, la sistemazione dell'altare del Santo a Padova, ecc.
Per ragioni tuttora oscure, cui non rimase forse estranea la sua personale irrequietezza, nella tarda estate del 1590 il D. si trasferì a Napoli, dove ottenne la carica di ingegnere della Regia Corte nonché importanti commissioni con adeguati compensi (cfr. N. Faraglia, Il bilancio del Reame di Napoli..., in Arch. stor. per le prov. napolet., I [ 18 76], p. 424).
Si ricordano: l'ampliamento e la decorazione interna della chiesa nella certosa dì S. Martino (lavori condotti a termine da C. Fanzago nel secolo successivo), ancora alla certosa il chiostro grande (limitatamente all'ordìne inferiore di arcate su colonne tuscaniche, poiché il resto spetta al Fanzago) e il chiostro dei procuratori. Suo è anche il disegno del puteale al centro del chiostro grande, con citazioni del repertorio decorativo michelangiolesco e tribolesco.
Altri suoi interventi, in parte documentati, si segnalano nella chiesa dell'Annunziata (il podale d'ingresso alla cappella del tesoro. i tabernacoli tìmpanati delle reliquie, 1598); nel convento dei gerolamini (la chiesa a pianta basilicale con le colonne in granito, il chiostro tuscanico).
Nel duomo, dove gli si attribuisce (D'Addosio, 1883) un tabernacolo nella cappella del tesoro di S. Gennaro, costruì intorno al 1598 una cappella per Lelio Brancaccio, arcivescovo di Taranto. Il piccolo edificio a pianta rettangolare, che comunica con la navata sinistra della cattedrale ma si sviluppa nel cortile adiacente, è coperto da una cupoletta su tamburo finestrato ovale, spartita all'esterno da costoni marmorei e sormontata da un lanternino a volute; le sculture che lo adornano sono di Pietro Bernini. La sobria scansione dell'interno, con membrature in color pietra su superfici dealbate, si attiene ai modi della più austera tradizione toscana.
I documenti riguardanti la tarda attività del D. informano che egli non rinunciò a presentarsi in imprese architettoniche romane. Partecipò alla progettazione della cappella Caetani in S. Pudenziana; nel 1593 fornì un disegno per la facciata della chiesa Nuova. "È comparso da Napoli Giovan Anton Dosi" scrisse il 21 genn. 1607, con un'ombra di fastidio, il Cigoli a Michelangelo Buonarroti il Giovane, a proposito del concorso per la facciata di S. Pietro nel 1606-07 (A. Matteoli, Cinque lettere di L. Cardi Cigoli a M. Buonarroti il Giovane, in Boll. dell'Acc. degli Euteleti della città di San Miniato, XXXVII [1964-65], 37, p. 33; Orbaan, 1919, p. 74). Forse spinto da nostalgia della committenza medicea, si procurò un ruolo - benché marginale - nel lavoro di ristrutturazione del palazzo Firenze deciso da Ferdinando 1 nel 1609, chiedendo come unica ricompensa l'uso di una stanza nel palazzo stesso (Valone, 1972, p. 258; segnalazione di M. Chappell). Ma già nel febbraio del 1610 era tornato a Napoli, dove morì in data imprecisata.
I principali fondi di disegni del D. si trovano nelle seguenti raccolte: Firenze, Gabinetto d. disegni e d. stampe degli Uffizi: fogli conservati prevalentemente nelle categorie Architettura (A) e Ornato (Orn), in gran parte provenienti dalla raccolta Gaddi; Ibid., Bibl. nazionale: fogli inseriti nel codice N.A. 618; Ibid., Bibl. Marucelliana; Modena, Bibl. Estense: fogli inseriti nel codice YZ. 2.2 (già Campori, 1755); Berlino, Staatliche Museen Preussischer Kulturbesitz, Kupferstichkabinett: fogli inseriti nel codice 79.D.1, detto Codex Berolinensis; Ibid., Kunstgewerbemuseum; Windsor, Royal Library: fogli non autografi (copie contemporanee da originali dosiani) inseriti nel codice A.17, intitolato Ancient Roman architecture (già Albani, P.p. 239-A.2).
Alla cerchia dosiana si attribuiscono i disegni del ms. della Bibl. nazionale di Firenze, N.A. 1159.
Fonti e Bibl.: Oltre alla bibl. cit. all'interno della voce e in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, IX, p. 495, si veda: B. Gamucci, Le antichità della città di Roma, Venezia 1565; R. Borghini, Il riposo, Firenze 1584, pp. 601-604; A. Lapini, Diario fiorentino [1596 c.], a cura di G. O. Corazzini, Firenze 1900, pp. 215, 234; F. Baldinucci, Notizie de' professori del disegno da Cimabue in qua (1681-1728), Firenze 1846, III, p. 289; IV, pp. 347, 361; F. L. Del Migliore, Firenze città nobilissima illustrata, Firenze 1684, pp. 135, 474; Firenze, Bibl. nazionale, Cod. Palat. E. B. 9.5: N. Gabburri, Vite di pittori... [1720 c.], IV, c. 1170; G. Richa, Notizie istor. delle chiese fiorentine, Firenze 1754-62, I, p. 117; III, p. 70; IV, pp. 58, 61, 343; VI, pp.58, 61; G. B. Bottari-S. Ticozzi, Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed archit., I, Milano 1822, p. 262; III, ibid. 1822, pp. 299 s., 302-305, 308, 310 s., 313 (lettera del 28 ott. 1605 di Baccio Valori al D.); G. 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