DOTE (lat. dos; fr. dot; sp. dote; ted. Mitgift; ingl. dowry)
È il complesso di beni che la donna porta al marito per sostenere gli oneri del matrimonio.
Diritto romano e intermedio. - La dote è istituto antichissimo: benché non esclusivo della società romana, fu appunto in seno a questa che subì l'evoluzione più larga e profonda: regolato dapprima dal costume, cominciò a interessare il diritto all'epoca in cui, cresciuto fortemente il numero dei divorzî, apparve ingiusto lucro quello che il marito faceva trattenendo presso di sé la dote della moglie ripudiata: attraverso un'elaborazione profonda, se ne foggiò un istituto veramente caratteristico, prettamente iuris civilis, d'interesse pubblico. La dote, per la sua destinazione stessa, ad sustinenda onera matrimonii (negata, ma non convincentemente, da qualche romanista), presuppone il matrimonio: se questo, quindi, non è valido, essa stessa è nulla: e se venne costituita prima del matrimonio, soltanto nel giorno in cui questo fu conchiuso prende vita. Ogni sorta di elementi patrimoniali poteva essere costituita in dote: e obbligati moralmente a questa costituzione erano, oltreché la donna che andava sposa, i suoi congiunti. In epoca più tarda, anzi, probabilmente sotto Giustiniano, che impresse un'orma profonda all'evoluzione finale dell'istituto così da essere chiamato legislator uxorius, quell'obbligo, da morale, fu convertito in giuridico (dos necessaria). Si distinsero tre specie di doti: dos profecticia, costituita a patre vel parente; dos adventicia, costituita da un extraneus; dos recepticia, costituita pure da terza persona ma col patto della restituzione in proprio favore in caso di scioglimento del matrimonio. Tre erano i modi di costituire la dote: la dotis datio, l'effettiva trasmissione dei beni; la dotis promissio, l'obbligazione dotale conchiusa per mezzo di una comune stipulazione; la dotis dictio, la promessa obbligatoria tutta propria della dote.
Dal giorno del matrimonio, la dote passava in proprietà del marito e si confondeva col patrimonio di questo. Così almeno, nel diritto classico. Ma in epoca più tarda, dopo avere oscillato alquanto, il principio perdette molto della sua rigidità, pur senza cedere il campo decisamente al diverso principio che si andava intanto affermando, secondo cui il diritto del marito sulla dote non poteva essere che un usufrutto legale. E rende bene questo curioso contrasto fra la realtà della vita e il rigore tenace della logica giuridica, quel passo contraddittorio accolto nel Digesto: Quamvis in bonis mariti dos sit, mulieris tamen est (Trifonin., Dif., XXIII, 3, de iure dotium, 75). A ogni modo, fin dalla Lex Iulia de adulteriis, la libertà del marito nel godimento e nell'amministrazione della dote, subì restrizioni e divieti. In caso di scioglimento del matrimonio, all'epoca più antica, la dote era irripetibile: ciò, come si disse, parve ingiusto quando il numero dei divorzî crebbe. Si cercò di rimediarvi dapprima per via di cautiones rei uxoriae, con le quali il costituente si faceva promettere la restituzione della dote in caso di divorzio: ne nasceva in suo favore un'actio ex stipulatu. Ma verso la fine dell'età repubblicana nacque in favore della donna una vera e pr0pria azione dotale, l'actio rei uxoriae, indipendente da qualsiasi convenzione e con carattere di buona fede. Giustiniano, conchiudendo stranamente questa evoluzione (anno 530), abolì l'actio rei uxoriae, e concesse alla donna e ai suoi eredi unicamente un'actio ex stipulatu, ma col carattere di buona fede.
Il sistema dotale romano non si mantenne integro nei secoli di mezzo. Specie nell'alto Medioevo le consuetudini germaniche ebbero il sopravvento. Queste ignoravano la dote nel senso romano: avevano però qualcosa che le s'accostava: così, il corredo di vesti e utensili domestici che la donna apportava alla nuova famiglia, detto dai Longobardi faderfio (vater vieh = pecunia patris); e poi ancora la meta o mephium, che, da prezzo versato originariamente dallo sposo al padre della sposa per acquistarne il mundio, passò a significare l'assegno che lo sposo costituiva alla sposa in caso di vedovanza; e infine la Morgengabe, dono fatto dallo sposo alla sposa nel mattino seguente alla prima notte di matrimonio. Queste consuetudini germaniche s'infiltrarono largamente nella vita italiana, dove più dove meno, pur senza mai spegnere il sistema dotale romano. Il quale infatti tornò in onore dopo il Mille, come riflesso di nuove condizioni politiche e in particolare della nuova economia, che aveva fortemente accresciuto i capitali, specie mobiliari, e quindi elevato il tenor di vita: ma vi contribuì anche il risorgere del diritto romano. L'antico sistema, però, non rivisse integro. Gli statuti dei comuni, che se ne occuparono largamente, guidati da angusto egoismo di campanile, limitarono molto la misura delle doti, per evitare che i beni del comune fossero goduti dal cittadino di altro comune: fino a renderle di entità illusoria. E spesso si sanciva ancora che la donna dotata perdesse ogni altro diritto sui beni paterni. Norme minute si diedero pure per la restituzione della dote e per i lucri dotali, sulla scorta del diritto romano. Ma nel sec. XVIII molte di quelle restrizioni vennero abolite: e decaddero pure via via alcuni residui di costumanze straniere.
Si dava il nome di dovario o dotario all'assegno o dono che il marito faceva alla moglie in occasione delle nozze per il caso di vedovanza. V. anche lista civile.
Bibl.: Per la comparazione, cfr. A. Post, Giurisprudenza etnologica (trad. Bonfante e Longo), II, Milano 1908, p. 111 segg. della vasta letteratura romanistica ricordiamo soltanto: A. Bechmann, Das römische Dotalrecht, Erlangen 1865-67; C. Czyhlarz, Das röm. Dotalrecht, Giessen 1870; G. Petroni, La funzione della dote romana, Napoli 1897; O. Gradenwitz, Zur Natur der Dos, in Mélanges Gérardin, Parigi 1907; P. Bonfante, Corso di diritto romano, v. 1, Roma 1925; E. Albertario, La connessione della dote cogli oneri del matrimonio in dir. rom., in Rendiconti dell'Istituto Lombardo, LVIII (1925), ecc. Per il diritto intermedio, A. Pertile, Storia del diritto ital., III, 2ª ed., p. 312 segg.; C. Nani, Storia del diritto privato italiano, Torino 1902; F. Ercole, Vicende storiche della dote romana nella pratica medievale dell'Italia superiore, in Archivio giuridico, 1908; id., L'istituto dotale nella pratica e nella legislaz. statut. dell'It. sup., in Riv. it. per le scienze giurid., 1909; F. Schupfer, Il dir. priv. dei popoli germanici, II, Città di Castello 1914 (e ivi bibliografia sul dir. germ.); F. Brandileone, Scritti di storia del diritto priv. ital., I, Bologna 1931.
Diritto vigente. - Diritto italiano. - Il codice civile italiano (art. 1388) definisce dotali i beni apportati espressamente a questo titolo dalla moglie o da altri per essa al marito, per sostenere i pesi del matrimonio. L'atto costitutivo della dote, da stipularsi davanti a notaio, prima del matrimonio, sotto pena di nullità (art. 1382 cod. civ.) e non modificabile dopo la celebrazione del matrimonio, è cioè un negozio giuridico bilaterale o trilaterale a seconda che intervenga soltanto fra la moglie e il marito, o fra questi e un terzo. Si discute però se esso rientri fra gli atti a titolo oneroso o fra quelli a titolo gratuito, e ciò interessa, fra l'altro, in rapporto all'azione revocatoria o pauliana contemplata nell'art. 1235 cod. civ.
Di regola la dote è costituita dal padre o dalla madre o da entrambi i genitori alla figlia; ma questa non ha azione contro i genitori per ottenere un assegnamento a titolo di dote (art. 147 cod. civ.) ed è da escludere per i genitori anche l'esistenza di una semplice obbligazione naturale. Può, però, la dote essere costituita da un terzo estraneo o dalla donna a sé stessa o dal marito alla moglie. In ogni caso coloro che costituiscono una dote sono tenuti a garantire i beni assegnati in dote (art. 1396); e, in mancanza di convenzione contraria, a pagare gl'interessi dal giorno del matrimonio, quantunque si sia pattuita una dilazione al pagamento della dote (art. 1397 cod. civ.). Tranne il caso in cui nello stesso contratto di matrimonio sia stata permegsa l'alienazione o l'ipoteca della dote, questa non può essere in alcun modo alienata o limitata, se non col consenso di entrambi i coniugi e mediante decreto del tribunale che può darne l'autorizzazione nei soli casi di necessità o utilità evidente (art. 1404-1405). Reipublicae interest mulieres dotes salvas habere; ma l'alienazione compiuta con l'autorizzazione del tribunale non può essere impugnata col dare la dimostrazione dell'effettiva mancanza di necessità o di utilità. Oggetto della dote possono essere i beni presenti e i beni futuri, i beni immobìli e i mobili, siano essi specificamente determinati o no (art. 1389 cod. civ.).
Il marito soltanto ha l'amministrazione e il godimento dei beni dotali durante il matrimonio (art. 1399): egli solo è legittimato, quindi, ad agire contro i debitori e detentori della medesima, a riscuotere i frutti e gl'interessi e ad esigere la restituzione dei capitali. Tuttavia può talvolta una parte delle rendite dotali essere assegnata alla moglie per le sue minute spese e per i bisogni della sua persona (spillatico).
Nel caso peraltro di cose mobili costituite in dote, il marito ne diviene proprietario, ove esse siano state stimate nell'atto costitutivo, senza la dichiarazione che tale stima non ne produce la vendita (art. 1401). Viceversa, per gl'immobili costituiti in dote non basta la stima per il trasferimento della proprietà e occorre una espressa dichiarazione in tal senso (art. 1402). Ricorrendo le ipotesi sopra menzionate di trasferimento della proprietà, il marito non è debitore che del prezzo di stima dei beni costituiti in dote.
Sulla dote e sui frutti dotali i creditori della moglie posteriori all'atto costitutivo non hanno alcun diritto; quelli anteriori possono far revocare la costituzione, ove sia stata fatta dalla moglie a sé stessa, in frode delle loro ragioni. Quanto ai creditori del marito, si discute se abbiano diritto a pignorare e sequestrare i frutti della dote. Secondo alcuni si avrebbero l'impignorabilità e l'insequestrabilità complete dei frutti dotali; per altri potrebbero essere pignorati e sequestrati soltanto i frutti eccedenti i bisogni della famiglia.
La dote e le ragioni dotali sono garantite dall'ipoteca legale concessa alla moglie sui beni immobili del marito (art. 1969, n. 4, cod. civ.). In mancanza di beni immobili, la moglie però non può pretendere dal marito una cauzione, se non ne è stato stabilito l'obbligo nell'atto di costituzione dotale.
Mentre il terzo che ha costituito la dote, in caso di trasformazione o di diminuzione del patrimonio del marito, per cui la dote venga ad essere in pericolo, ove sia nel novero delle persone tenute alla prestazione degli alimenti, non può che rivolgersi al tribunale per le cautele opportune per la sicurezza della dote (art. 1400 capov.), spetta soltanto alla moglie il diritto di domandare giudizialmente la separazione della dote, quando corra il pericolo di perderla o quando il disordine degli affari del marito lasci temere che i beni di lui non siano sufficienti per soddisfare i diritti della moglie o quando la moglie abbia ottenuto sentenza di separazione personale contro il marito per colpa di quest'ultimo o per colpa comune. In conseguenza della separazione, la moglie ha la libera amministrazione dei beni dotali, i quali restano tuttavia inalienabili, (art. 1424); ma deve contribuire in proporzione delle sue sostanze e di quelle del marito alle spese domestiche e a quelle dell'educazione della prole (art. 1423). La sentenza che pronuncia la separazione rimane senza effetto, ove nel termine di 60 giorni non sia stata eseguita volontariamente o non se ne sia iniziata e proseguita l'esecuzione forzata. Sciolto il matrimonio per morte di uno dei coniugi o per annullamento del vincolo, la dote deve essere restituita alla moglie o ai suoi eredi in base all'inventario redatto giusta l'art. 1408 cod. civ. e, in mancanza di esso, in base alle prove da fornirsi dai richiedenti. Se il matrimonio, però, ha avuto la durata di 10 anni dopo la scadenza dei termini stabiliti per il pagamento della dote e se la moglie non ne è la debitrice, essa o i suoi eredi possono ripeterla dal marito o dai suoi eredi dopo lo scioglimento, senza essere tenuti a provare che il marito l'abbia ricevuta, ove non si giustificasse avere il medesimo usato inutilmente tutte le diligenze per procurarsene il pagamento. Quanto al tempo della restituzione infine bisogna distinguere fra la dote la cui proprietà è rimasta alla moglie (dote di specie) e quella la cui proprietà è passata al marito (dote di quantità). La prima deve essere restituita senza dilazione, sciolto che sia il matrimonio; per la seconda la restituzione non può domandarsi che un anno dopo lo scioglimento del matrimonio (articoli 1409 e 1410 cod. civ.).
Diritto comparato. - In tutte le legislazioni, dove l'istituto esiste, la dote è un insieme di beni apportati dalla moglie per sostenere gli oneri del matrimonio. Essa è costituita da beni o della moglie stessa o di terze persone. Data la funzione della dote questa è di regola inalienabile. Vi sono però gravi eccezioni. Secondo il rispetto più o meno assoluto di questo carattere peculiare dell'istituto, gli ordinamenti giuridici possono dividersi come segue: a) ordinamenti in cui i beni immobili sono fondamentalmente inalienabili e quelli mobili o sono egualmente inalienabili o possono venire alienati solo col consenso d'entrambi i coniugi (Francia, Italia, Portogallo); b) ordinamenti in cui i mobili sono fondamentalmente alienabili, gl'immobili invece solo col eonsenso di entrambi i coniugi e solo nei casi stabiliti dalla legge (Bolivia, Brasile, Cnile, Grecia, Romania. Uruguay); c) ordinamenti in cui i mobili e immobili sono liberamente alienabili dal coniuge che ne ha la disponibilità, con o senza il consenso dell'altro (Argentina, Austria, Perù, Spagna, Venezuela).
La dote si costituisce, di regola, mediante convenzione (Austria, Belgio, Bolivia, Brasile, Cecoslovacchia, Cuba, Francia, Grecia, Italia, Lussemburgo, Monaco, Perù, Polonia, Portogallo, Romania, Spagna). Alcune legislazioni però la contemplano come regime patrimoniale legale dei coniugi (Argentina, Paraguay, Uruguay). In qualche paese questo istituto non è legislativamente regolato (Inghilterra, Honduras). In altri il regime dotale non può venir costituito neppure convenzionalmente (Germania, Danimarca, Messico, Norvegia, Russia, Svezia, Svizzera).
La proprietà dei beni dotali spetta in linea di massima alla moglie. Vi sono però, in molte legislazioni, eccezioni importanti. Così la proprietà dei mobili passa di diritto al marito quando si tratti di cose consumabili (Austria, Francia, Italia, Perù, Spagna). In Brasile poi la proprietà di tutti i mobili passa al marito. Sui beni che non divengono proprietà del marito questi ha l'usufrutto (Austria, Bolivia, Francia, Italia, Portogallo, Spagna). Nel Perù e nell'Uruguay invece i frutti e gl'interessi divengono proprietà comune dei coniugi. In correlazione con l'usufrutto il marito ha anche il diritto e l'obbligo di amministrare i beni dotali. Come amministratore esso ha la figura di un rappresentante, onde gli atti compiuti entro i limiti legali producono effetti nei riguardi della moglie.
Il regime dotale ha fine con la morte di uno dei coniugi, col divorzio (laddove questo è ammesso), con la separazione personale quando sia seguita da separazione dei beni, e in caso d'assenza o interdizione del marito. Inoltre può la moglie, in alcuni gravi casi, chiedere la separazione della dote. Con la fine del regime dotale i beni vanno alla donna o ai di lei eredi, e solo eccezionalmente al terzo che li abbia costituiti in dote.
Bibl.: E. Galluppi, La dote secondo il diritto civile italiano, Torino 1876; E. Bianchi, Trattato dei rapporti patrimoniali dei coniugi, Pisa 1888; V. De Pirro, I rapporti patrimoniali fra coniugi, Milano 1913; G. Dallari, L'istituto giuridico della dote, Milano 1918. Per il diritto comparato: L. Guillouard, Traité du contrat de mariage, 3ª ed., voll. 4, Parigi 1894-96; J. Le Courtois e F. Surville, Du contrat de mariage, in G. Baudry Lacantinerie, Traité théorique et pratique de droit civil, XVI-XVIII, 3ª ed., Parigi 1906; F. K. Neubecker, Die Mitgift in rechtsvergleichender Darstellung, Lipsia 1909; A. Egger, Das Familiensrecht, in Kommentar zum schweizerichen zivilgesetzbuch, II, Zurigo 1912, pp. 81 segg.; M. Planiol, Traité élémentaire de droit civil, 6ª ed., III, Parigi 1913, pp. 253-323.