dovere (sost.)
È adoperato di rado nell'opera di D., e precisamente soltanto nel Purgatorio e nel Paradiso (sette volte in tutto). Il significato si ricollega ai vari valori semantici che risultano nell'uso del verbo. Significa " debito ", particolarmente in senso figurato, nei due passi di Pg XIII 126 ancor non sarebbe / lo mio dover per penitenza scemo, / se ciò non fosse, ch'a memoria m'ebbe / Pier Pettinaio, e XXIII 15 Ombre che vanno / forse di lor dover solvendo il nodo. Qui la parola si riferisce a una tipica situazione del Purgatorio; ad altro aspetto semantico, la cui teorica è pure esposta in quella cantica, si ricollega Pg XVII 86 L'amor del bene, scemo / del suo dover, quiritta si ristora, in cui D, significa un'esigenza morale, una misura.
Più direttamente a un obbligo, di carattere morale o giuridico, accennano invece gli esempi di Pg X 92 e Pd IX 48. Nel primo s manifesta la decisione di Traiano, di aiutare la donna che implora giustizia (ei convene / ch'i' solva il mio dovere anzi ch'i' mova); nel secondo il sostantivo sembra voler indicare - pur nella varietà delle interpretazioni consentite da questo passo, non del tutto chiaro - la " soggezione " all'imperatore Enrico VII e al suo vicario, Cane della Scala, soggezione alla quale i guelfi padovani erano restii (tosto fia che Padova al palude / cangerà l'acqua che Vincenza bagna, / per essere al dover le genti crude). Gli ultimi due esempi, invece, indicano con d. " ciò che è opportuno fare ", in modo generico nel primo caso (Io mi rivolsi dal mio destro lato / per vedere in Beatrice il mio dovere, / o per parlare o per atto, segnato, Pd XVIII 53), più precisamente allo scopo di conseguire un certo risultato nel secondo caso (il settentrïon del primo cielo / ... faceva li ciascuno accorto / di suo dover, Pg XXX 5), nel quale il d., cioè il " comportamento " che ciascuno deve tenere, è significato in parallelismo - nella complessa struttura del paragone - con la rotta indicata dalle stelle.