Dr. No
(GB 1962, Agente 007 ‒ Licenza di uccidere, colore, 111m); regia: Terence Young; produzione: Albert R. Broccoli, Harry Saltzman per Eon; soggetto: dall'omonimo romanzo di Ian Fleming; sceneggiatura: Richard Maibaum, Johanna Harwood, Berkely Mather; fotografia: Ted Moore; montaggio: Peter Hunt; scenografia: Ken Adam; costumi: Tessa Prendergast; musica: Monty Norman, John Barry.
Dopo l'uccisione di Strangways, un agente segreto stanziato in Giamaica, il suo collega James Bond è incaricato di far luce sul caso: bisogna in particolare chiarire se ci sono punti di contatto con recenti sabotaggi al programma spaziale statunitense di Cape Canaveral. Il fascinoso agente britannico (nome in codice: 007) raggiunge l'isola caribica e sventa alcuni attentati ai suoi danni. Con l'aiuto dell'agente della CIA Leiter e di Quarrel (compare di Leiter e noleggiatore locale di barche da pesca), Bond scopre che il covo del nemico si trova presumibilmente sull'isola di Crab Key, di proprietà dell'asiatico Dr. No. Sbarcato sull'isola, Bond ammira emergere dalle acque la giunonica Honey Ryder, cercatrice di conchiglie. I due, dopo che Quarrel è stato ucciso, vengono catturati e internati nel lussuoso rifugio del Dr. No. Il criminale, che aveva offerto invano i suoi servigi sia a Est che a Ovest, spiega il suo piano di dominio sul mondo attraverso la minaccia dei missili nucleari. Bond, dopo una dura battaglia, lo elimina e fa saltare in aria l'isola. Prima di tornare a terra, si gode sulla motobarca il giusto relax con Honey.
Quando Dr. No di Terence Young apparve per la prima volta in Italia, a qualche mese dalla prima proiezione londinese, James Bond era noto solo agli attenti cultori dei "Gialli Garzanti", quelli siglati dalla tre inconfondibili scimmiette nere. Se fosse rimasto lì confinato, non avrebbe certo fruito degli studi che gli dedicarono Umberto Eco e Oreste Del Buono e non sarebbe divenuto il 'caso Bond'. Ma il film, che attirò tanti spettatori per l'insinuante bikini bianco di Ursula Andress, ben visibile nei manifesti, era proprio costruito in modo da crearlo, quel 'caso'. Non certo per via della trama: in fondo, l'aiuto che Bond fornisce agli USA, distruggendo la base giamaicana del Dr. No e della sua organizzazione Spectre, che rischia di rendere vani e pericolosi gli esperimenti missilistici di Cape Canaveral, non rappresenta una novità clamorosa nelle vicende delle spie.
Ma lo straordinario apparato di topoi, che si aggregano con precisione e anche con grazia ammiccante nel frenetico svolgersi della trama, riporta Bond a confrontarsi vittoriosamente con una archetipologia dell'immaginario che è gremita in modo così denso da stimolare, negli adulti, il ritorno di quello che Elemire Zolla definì "lo stupore infantile". Sembra perfino James Cook, a volte, questo eroe lieto, formidabile, ma permeato da un'aura delicata, fatta come di lucidità e di disincanto. Fin dal memorabile inizio, quello dei tre ciechi (sottratti alla Parabola dei ciechi del sommo Bruegel…) che, dopo un'apparizione dondolante e patetica, si trasformano in killer micidiali, il film dice di voler essere così: nutrito di arcane reminiscenze, ma rivolto a chiedere al gioco, al Grande Gioco, una sostanza invincibile perché junghiana, collegata con sedimenti molto profondi. Questo esotismo sentitamente inglese, si oppone all'esotismo di Pierre Loti, perché è certo intriso di nostalgia dell'Impero, ma è anche attraversato da sorridenti spudoratezze degne di Charles Dickens: dominavamo il pianeta, sappiamo ancora governarne qualche pezzetto, ma non siamo biechi tiranni. No, lo si vede bene dalle nostre spie, dal loro inconfondibile stile, che è ontologicamente kiplinghiano. Bond è il riconoscibile erede di Kim e del suo capo afgano, Mabub Alì: Kim sta conducendo il Grande Gioco, dissuade l'Orso Russo, l'impero degli Zar dal farsi illusioni attorno alla conquista dell'India, ma intanto vuol ben condita di ottime spezie la ciotola del suo amato Lama. Kim, proprio lui che si traveste, e si mescola con ladri e imbroglioni, studia in un severissimo collegio e stabilisce un modello: anche Bond sa essere spietato, ma le buone maniere sono impresse indelebilmente in ogni suo atto.
Le imprese giamaicane di 007 sono strategicamente collocate entro una situazione estremamente contraddittoria, ma questo eroe dell'immaginario sembra conoscere benissimo il senso più profondo degli anni in cui fa la sua prima apparizione cinematografica. C'è, infatti, il disgelo, tra Est e Ovest si palesano scambi e confronti, sembra davvero finita la Guerra Fredda, l'incubo atomico sembra attenuato dalla ragionevolezza. Ma ecco la crisi di Cuba, ecco l'erezione del muro di Berlino: dunque l'autunno delle spie non era propriamente iniziato e Henri-Georges Clouzot aveva troppo presto, peraltro genialmente, mostrato le sue spie (Les espions, 1957) come travolte da un delirio manicomiale. In questa ribalta tanto indecifrabile appare Sean Connery, una spia nuovissima in un mondo che ammette a fatica di averne ancora bisogno. Il suo James Bond (seguiranno altri volti e altri stili in una serie di film tuttora inesausta) possiede una freschezza e un'eleganza che sembrano ispirate da una totale volontà di rinnovamento, però la sua duttilità, l'ampiezza dei toni di cui compone la sua espressività, ne fanno propriamente un eroe della Pop Art, che esplode insieme a lui.
Dice molte cose, con quel suo sorriso da ragazzo elegante che sa di avere pugni durissimi. Dice che loro, gli inglesi, eredi diretti degli eroi di Kipling, sanno essere più forti degli americani, ma non ci tengono a sottolineare questa constatazione. Le sue radici sono molto profonde, come largo è il suo sorriso: al Dr. No, che possiede lo stesso acquario del capitano Nemo, chiarisce che lì si vedono "sardine che si atteggiano a balene", perché lo schermo è convesso. E allude a J. Verne anche con un'isola misteriosa dotata di un'indubbia ascendenza da feuilleton, o evita il veleno della vedova nera, come farebbe al suo posto Lord Lister. Ma si di-stacca anche da Kim e dagli eroi delle dispense d'epoca, quando, proprio alla fine, rimane con Honey, nella barca, loro due, inequivocabilmente soli. È finito il tempo degli eroi ascetici, dei cavalieri solitari che sembravano anche monaci, degli eterni adolescenti portaspada, in fuga dalle Morgane e dalle Melusine. L'Occidente, al cospetto del muro di Berlino, si difende anche mettendo in scena un eroe pacatamente libertino, che gode quel tipo di eros negato, appunto, al di là del muro.
Interpreti e personaggi: Sean Connery (James Bond), Ursula Andress (Honey Ryder), Joseph Wiseman (Dr. No), Jack Lord (Felix Leiter), Bernard Lee (M), Anthony Dawson (professor Dent), Lois Maxwell (Miss Moneypenny), Eunice Gayson (Sylvia Trench), Zena Marshall (Miss Taro), John Kitzmiller (Quarrel), Lester Prendergast (Puss-Feller), Tim Moxon (John Strangways).
P. Houston, Dr. No, in "Sight & Sound", n. 4, Autumn 1962.
Rich., Dr. No, in "Variety", October 17, 1962.
F. Di Giammatteo, Un agente segreto per allietare la coesistenza, in "Bianco e nero", n. 4, aprile 1966.
J. Brosnan, James Bond in the cinema, London 1972.
James Bond, eroe con stile, a cura di C. Woodhead, Firenze 1996.
Guida completa a James Bond, a cura di F. Giovannini, Alessandria 2000.