DRAGO
Il d. è uno degli animali fantastici la cui frequente natura composita, funzionale a intenti di rappresentazione simbolica, rivela contemporaneamente una forte attitudine ornamentale. In particolare la morfologia del d., data in origine dall'assimilazione della testa di mammifero al corpo di rettile, si adattava a questa duplice esigenza, decretandone il successo e la continua applicazione nell'arte.Al d. non corrisponde un'immagine univoca, in quanto essa muta sia in funzione delle diverse culture che lo hanno rappresentato sia per un'evoluzione interna al soggetto iconografico, sottoposto a diverse contaminazioni. Anche la sua interpretazione può variare e l'immagine incarnare un principio positivo o negativo, rivelando in entrambi i casi l'ampiezza dello spettro simbolico. In Oriente, dove pure si riscontra una certa variabilità di significato, prevale la concezione del d. come creatura benefica, investita di una soprannaturale valenza cosmogonica. Nella civiltà cinese, in cui esso diviene l'animale simbolico per eccellenza, è segno di regalità e potenza e viene raffigurato in posizione centrale tra acqua, terra e cielo. Anche in Occidente il d., nella sua formulazione canonica, partecipa dei tre elementi naturali, con l'aggiunta del fuoco nel colore rufus (Ap. 12, 3), ma sempre quale rappresentazione di forze malefiche.Descritto nelle fonti - Isidoro di Siviglia, Etym., XII, 5 (PL, LXXXII, coll. 442-443); Giovanni Damasceno, De draconibus (PG, XCIV, coll. 1599-1602); Rabano Mauro, De Universo, VIII, 3 (PL, CXI, coll. 229-230) e, in particolare, bestiari, come nello pseudo-Ugo di San Vittore, De bestiis et aliis rebus, II, 24 (PL, CLXXVII, col. 71ss.) - come un animale reale originario dell'Etiopia, il d., sulla falsariga dell'esegesi didattico-allegorica dei testi sacri, è costantemente identificato con Satana sino a far coincidere il simbolo con il significato; le dimensioni enormi, il fiato velenoso e la lunga coda capace di soffocare la vittima ne manifestano il potere terrifico. La raffigurazione del d. nei bestiari illustrati (v. Bestiario), dove a volte è confuso o assimilato ad altri animali demoniaci come il basilisco, restituisce quella che è da considerarsi la sua iconografia standard nel Medioevo (Aberdeen, Univ. Lib., 24, c. 65v, dell'inizio del sec. 13°; Roma, BAV, Reg. lat. 258, c. 14v, dell'inizio del sec. 13°; Oxford, Bodl. Lib., Ashmole 1511, c. 78v, del 1210 ca.); la testa, di solito crestata, è di mammifero, la lingua è biforcuta, le zampe, artigliate, nel numero di due o quattro, sono prese in prestito da uccelli rapaci o da grandi felini, mentre ali piumate si innestano sul tronco caudato, che varia da quello del mammifero a quello del rettile.In sintesi il d. è da considerarsi la risultante di due tipi iconografici: uno riconducibile al mostro acquatico serpentiforme, l'altro all'animale composito. Il primo origina sia da modelli cinesi e medio-orientali, come il d. mesopotamico, sia dalla tradizione classica, da cui deriva il cetus dell'episodio biblico di Gio. 2, in origine simile al d. (come nel sarcofago, del sec. 3°, in S. Maria Antiqua a Roma), fino a esemplari romanici come nell'ambone della cattedrale di Ravello, della prima metà del 12° secolo. Il d. classico era un serpente di grandezza irreale, quindi dai connotati mostruosi e già in nuce malevoli: in quanto tale lo si ritrova a guardia di luoghi sacri (come il d. del giardino delle Esperidi o della leggenda di Giasone; Pottier, 1892), tradizione radicata anche in Oriente e che continuò nel Medioevo con frequenti raffigurazioni di d. nelle guarnizioni di porte (Troia, cattedrale, reggibatacchio della porta bronzea di facciata, del 1120 ca.; Copenaghen, Davids Samling, battenti bronzei artuqidi, del sec. 13°) e, più in generale, nella decorazione monumentale di portali, con funzioni apotropaiche - come nel caso della porta del Talismano di Baghdad (1225) -, al centro di lunette o negli archivolti e negli stipiti (Como, S. Fedele, del 1130 ca.).Quanto agli animali compositi, presenti soprattutto nell'arte medio-orientale, il più significativo e simile al d. è il senmurv dell'arte sasanide, un cane-leone-uccello dai connotati benefici, di origine iranica, presente anche in area bizantina, soprattutto nella produzione tessile. Nei rilievi esterni della Santa Croce di Ałt'amar, in Armenia (sec. 10°), si trovano rappresentate quelle che potrebbero essere considerate le tappe successive dello sviluppo morfologico del d. cristiano: il serpente che tenta Eva, qui fornito di zampe, S. Teodoro che trafigge un d. sotto forma di serpente, dal corpo annodato, e, infine, gli episodi di Giona, con il cetus che ingoia il profeta e quindi lo rigetta sotto le sembianze di un senmurv.Al delicato processo di cristianizzazione delle creature fantastiche pagane si intreccia dunque l'osmosi culturale tra Oriente e Occidente. Si deve con ogni probabilità all'invasione di Turchi selgiuqidi, nel sec. 11°, l'importazione del d. cinese nell'Islam e da lì in area mediterranea (Curatola, 1989), ma la circolazione del motivo iconografico conobbe una spinta ulteriore in seguito alla formazione dell'impero mongolo, che dalla seconda metà del Duecento pose in contatto l'Europa con l'Estremo Oriente, anche grazie al fiorente commercio della seta. Infatti animali reali e fantastici, tra cui il d., scandivano la superficie dei tessuti alla stregua di arabeschi; l'originario significato simbolico dell'animale veniva 'dimenticato' dall'Occidente cristiano a favore della suggestione esotica delle stoffe preziose, tanto da riprodurlo in paramenti sacri, come per es. la dalmatica di manifattura veneziana con fenici e d. rampanti, del sec. 14° (Halberstadt, Domschatz; Romano, 1994).Costante è l'impiego dell'immagine del d. nelle arti suntuarie, sia in ambito profano sia in oggetti d'uso liturgico. L'elaborazione dell'elemento zoomorfo in prevalente accezione draghiforme è già presente nell'oreficeria barbarica (v. Animalistici stili), per continuare nel corso di tutto il Medioevo. Candelabri bronzei in forma di d. si trovano in area renano-mosana e sassone a partire dalla metà del sec. 12°, spesso con l'aggiunta di una figura umana nell'atto di combatterlo (Firenze, Mus. Naz. del Bargello, Coll. Carrand; Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny; Münster, Bischöfliches Diözesanmus. für christliche Kunst), mentre in quelli monumentali l'animale è raffigurato di norma nei piedi dell'oggetto (Brunswick, Herzog Anton Ulrich-Mus., candelabro della metà del sec. 12°; Milano, duomo, candelabro Trivulzio, del 1200 ca.). Numerosi acquamanili di bronzo rientrano nella medesima tipologia, a volte nella variante antropofaga (New York, Metropolitan Mus. of Art, The Cloisters, acquamanile della fine del sec. 12°; San Pietroburgo, Ermitage, acquamanile del sec. 13°), mentre nei manici di pastorali (per es. New York, Metropolitan Mus. of Art, donazione Friedsam, pastorale della fine del sec. 12°-inizi 13°) o quelli a tau di produzione anglonormanna (per es. Londra, Vict. and Alb. Mus., pastorale della metà del sec. 12°) l'animale si adatta alle terminazioni a voluta, assumendo forme allungate più simili al serpente. In una medesima concezione vitalistica dell'ornamentazione il d. è presente nei manoscritti, inserito nel tralcio vegetale, come corpo delle lettere iniziali o a terminazione delle aste, sino a far parte della fauna mostruosa della drôlerie gotica.Nell'Antico Testamento i rettili sono animali impuri (Lv. 11, 29-46), così come gli uccelli rapaci e i pipistrelli, tutte specie che è possibile trovare combinate nell'immagine del drago. L'interscambiabilità semantica, già esistente nel lat. draco, tra il d. e il serpente venne, con l'avvento del cristianesimo, potenziata da quella simbolica, per poi subire un graduale processo di distinzione testimoniato dall'iconografia; il serpente, da cui pure il d. biblico, serpens antiquus (Ap. 12, 9), deriva, viene sostanzialmente relegato nell'arte medievale all'episodio (Gn. 3) del peccato originale (v. Adamo ed Eva), mentre il d. assume su di sé l'intero universo demoniaco.Dall'età paleocristiana il d. appare sotto i piedi del Cristo stauroforo nell'illustrazione di Sal. 91 (90), 13-14: "Camminerai su aspidi e vipere, schiaccerai leoni e draghi". Il testo si riferisce al d. distinguendolo dal serpente, ma nella quasi totalità delle sue raffigurazioni il d. si differenzia solo con rare eccezioni, quasi esclusivamente per la testa più accennata (Ravenna, battistero degli Ortodossi e cappella arcivescovile, metà del sec. 5°; Bruxelles, Mus. Royaux d'Art et d'Histoire, dittico eburneo da Genoels-Elderen, sec. 8°; Oxford Bodl. Lib., Douce 176, coperta eburnea, sec. 9°; Roma, BAV, Mus. Sacro, parte di coperta dell'Evangeliario di Lorsch, sec. 9°; Olevano sul Tusciano, grotta di S. Michele, secc. 9°-10°). Solo più tardi - come nel Cristo benedicente del portale centrale della cattedrale di Amiens (1220-1235) - si attestò una morfologia più definita. Sembra infatti corretta l'ipotesi di un'evoluzione tendente a sviluppare in larghezza il corpo, sostenuto da zampe e fornito di grandi ali che nel Gotico sono spesso a membrana, così come la cresta dorsale.Il d. appare descritto nell'Apocalisse sotto forma di una grande creatura con sette teste, altrettanti diademi e dieci corna, in vari momenti: quando tenta di catturare alla mulier amicta solis il 'figlio' (Ap. 12, 1-5), nella sua lotta contro le schiere angeliche (Ap. 12, 7-12), nell'episodio della 'bestia' venuta dal mare che dal d. riceve forza e potenza (Ap. 13, 4) e in quello della sua cattura (Ap. 20, 1-3). Nella maggior parte delle raffigurazioni anteriori al sec. 13° esso è un grande serpente, non sempre alato, con l'aggiunta delle altre sei piccole teste sul dorso e con le corna che si dispongono sulle teste senza seguire un criterio uniforme (Evangeliario di s. Agostino, del sec. 6°, Cambridge, C.C.C., 286; Apocalisse, del sec. 9°, Treviri, Stadtbibl., 31, cc. 9r, 38r, 39r; Apocalisse, dell'inizio del sec. 9°, Valenciennes, Bibl. Mun., 99, c. 23r; Apocalisse, del 1001-1002, Bamberga, Staatsbibl., Misc. Bibl. 140, cc. 29v, 31v; manoscritto di Beato, del sec. 11°, Gerona, Mus. de la Catedral, Arx. i Bibl., 7, cc. 171v-172r). Nel corso del Duecento si diffuse il tipo di d. con teste delle stesse dimensioni su altrettanti colli, come per es. in un'Apocalisse veronese, della prima metà del sec. 13° (Roma, BAV, Vat. lat. 39, c. 163r), nell'Apocalisse di Oxford, del 1255-1260 (Bodl. Lib., Auct.D. 4.17, c. 8v), dove una testa è posta all'estremità della coda, o nell'Apocalisse dei Cloisters, del 1300-1325 (New York, Metropolitan Mus. of Art, The Cloisters). Un caso eccezionale, oltre ai manoscritti miniati, in cui il d. è raffigurato in ogni episodio apocalittico che lo vede protagonista, è costituito dagli arazzi di Angers (Château, Mus. des Tapisseries, Gal. de l'Apocalypse), del 1375-1382. Nella pittura monumentale, che imponeva una versione limitata del ciclo apocalittico, era sempre compresa la scena con s. Michele nell'atto di trafiggere il d., con la frequente inclusione dell'episodio della mulier amicta solis, assimilata simbolicamente alla Chiesa e spesso iconograficamente alla Vergine (Fasano, tempietto di Seppannibale, della metà del sec. 9°; Novara, battistero, della fine del sec. 10°; Castel Sant'Elia, basilica, della fine del sec. 11°-inizi 12°, con il d. monocefalo; Saint-Savin-sur-Gartempe, abbaziale, degli inizi del sec. 12°; Civate, S. Pietro al Monte, degli inizi del sec. 12°; Assisi, basilica superiore, transetto sud, del 1280 ca.; Pomposa, S. Maria, navata centrale, della metà del sec. 14°).La fortuna devozionale di s. Michele come immagine singola, estrapolata dal contesto apocalittico, si deve anche al suo essere divenuto un emblema di vittoria nei confronti del male; il d., diventato attributo fisso del santo, ritorna al comune tipo monocefalo, atterrato e trafitto, ma con la testa alzata in un ultimo tentativo di contrattacco (Ipswich, St Nicholas, lastra scolpita, del 1120 ca.; Halberstadt, Domschatz, arazzo di Abramo, della fine del sec. 12°; Spoleto, S. Pietro, rilievo sopra il portale sinistro, degli inizi del sec. 13°; Siponto, S. Leonardo, portale, degli inizi del sec. 13°; Crespina, presso Pontedera, chiesa di S. Michele, tavola di Bernardo Daddi, del 1328). In un capitello del sec. 12° nel priorato di Moirax (Aquitania) al Peccato originale si affianca, ripetuto su ambo i lati, S. Michele. Il collegamento tra Eva e il d. si ritrova in una statua nel transetto della cattedrale di Reims, in cui Eva, vestita, accarezza un piccolo d. con le fauci spalancate (ante 1241). Maria, nuova Eva, madre di colui che libererà il mondo dalla minaccia di Satana, viene invece raffigurata in trono nell'atto di calpestare il leone e il d. (per es. nel Salterio di Amesbury, del 1250-1255; Oxford, All Souls College, 6, c. 4r). Il Cristo trionfante che regna sull'intero creato, comprese le bestie sataniche, tra cui lo stesso d. (Sal. 148, 7), si stigmatizza nelle immagini in cui l'animale compare in posizione sottomessa e in atteggiamento mansueto, come nella rara iconografia - tratta dal Vangelo dello pseudo-Matteo (Taylor, 1970, p. 234) - della Fuga in Egitto del duomo di Orvieto (terzo pilastro di facciata, della metà del sec. 14°), in cui un piccolo d. si piega all'avanzare dell'asino.Il d. come simbolo del culto degli idoli pagani, ai quali la nuova religione si sostituiva, costituisce il nucleo significante di tanti episodi agiografici come, tra i più famosi, quelli di s. Giorgio, s. Teodoro o s. Silvestro, in cui analogo è il riferimento all'affrancamento di un luogo dalla tirannia del mostro. Nella leggenda di s. Silvestro (Jacopo da Varazze, Legenda aurea, 12) il pontefice romano rende innocuo il d. che terrorizzava la popolazione, legandogli la bocca con il filo e l'anello crocesegnato, come è raffigurato negli affreschi, della prima metà del sec. 13°, di S. Silvestro a Tivoli o in quelli di Maso di Banco della cappella Bardi, del 1340 ca., in Santa Croce a Firenze. Il racconto di s. Matteo che addormenta con il segno della croce due d. che uccidevano agli ordini di 'maghi' (Legenda aurea, 140) ripete il medesimo schema narrativo, come nel polittico di Iacopo di Cione, del 1370 ca. (Firenze, Uffizi), così come la tarda leggenda provenzale di s. Marta di Betania che cattura la Tarasque, d. della città provenzale di Tarascona, aspergendola di acqua benedetta, come nel polittico di scuola di Bernardo Daddi, della fine del sec. 14° (Barga, Conservatorio di S. Elisabetta).Tra i numerosi santi a cui il d. viene collegato come generico riferimento alla vittoria sul diavolo, un posto particolare occupano i santi militari greci (s. Giorgio, s. Demetrio, s. Teodoro), per i quali esso diviene un attributo fisso, anche se non sempre giustificato dalle fonti. Lo stesso s. Giorgio rimanda, per il racconto in cui libera la principessa dal d., a una tarda rielaborazione in chiave leggendaria della sua vicenda biografica (Legenda aurea, 58). Un probabile prototipo iconografico risiede nell'immagine di Costantino il Grande (v.), a cavallo, che atterra e trafigge il d., simbolo dell'idolatria, testimoniato per la prima volta da Eusebio (Vita Const., III, 3); la volontà di distinguersi e contrapporsi all'Impero romano trova riscontro nella sostituzione, operata dallo stesso Costantino, del d., presente sugli stendardi dell'esercito, a partire dalla metà ca. del sec. 2°, con il labarum (Leclercq, 1921). L'iconografia bizantina di s. Giorgio prevede un lungo serpente annodato, come si può osservare, oltre che nei manufatti greci, nelle regioni influenzate da quella cultura figurativa ancora alla fine del sec. 13°, per es. nella cripta di S. Biagio, presso Brindisi, del tardo sec. 13°, e nella cattedra di Federico II, dello stesso secolo (Montevergine, Mus. e Galleria). In Occidente già si mostrava una netta preferenza per la soluzione draghiforme, come nella lunetta, del 1135 ca., del portale del duomo Ferrara e nella lastra, degli inizi del sec. 13°, murata sul fianco settentrionale della chiesa di S. Giorgio a Petrella Tifernina, in Molise. Con l'affermarsi della cultura cavalleresca, il santo militare si trasformò nel santo cavaliere, identificandosi quasi esclusivamente in s. Giorgio, e il d., animale favoloso, si inserì in un contesto da fiaba cortese, come per es. nel codice di s. Giorgio, del 1347 ca. (Roma, BAV, Arch. S. Pietro, C.129, c. 85r), e nella tavola di Vitale da Bologna, del 1350 ca. (Bologna, Pinacoteca Naz.).Il tema della caccia, reinterpretata simbolicamente in senso cristiano, fornisce notevoli suggestioni, come si può notare laddove figure umane, prive di qualunque attributo di santità, trafiggono o catturano d., come nell'architrave del portale della chiesa di S. Benedetto a Brindisi, degli inizi del sec. 12°, e nel capitello dall'abbazia di Bury St Edmunds del 1130 ca. (Londra, British Mus., Trustees).Il diavolo che aggredisce s. Margherita d'Antiochia sotto forma di d. viene, secondo la leggenda primitiva, sconfitto alla vista del segno della croce; maggiore fortuna iconografica ebbe un ulteriore sviluppo della scena, che vede la santa trionfare sul d. che l'aveva divorata, nel momento in cui riemerge incolume dal dorso dell'animale, in atto di preghiera - come nel rilievo con storie della santa, degli inizi del sec. 13°, della chiesa di S. Maria Assunta a Fornovo - o impugnando una croce, mentre dalle fauci del d. spunta ancora il lembo della veste, come nell'icona di S. Margherita della fine del sec. 13° (Bari, Pinacoteca Prov.) o in un manoscritto della fine del sec. 13° (Parigi, BN, nouv. acq. lat. 16251, c. 100r).La tradizione dei monaci insidiati da visioni demoniache, tratta dalla Vita di s. Benedetto (Legenda aurea, 49, 14), trova un'esemplificazione nell'episodio del monaco incostante a cui appare il d., come nell'affresco, del 1320 ca., proveniente da S. Agnese f.l.m. (Roma, Mus. Vaticani, Pinacoteca).La frequenza con cui i d. ornano i fonti battesimali (per es. Stoccolma, Statens historiska mus., fonte della prima metà del sec. 12°; Colonia, Antoniterkirche, fonte del sec. 12°) ha riscontro nella tradizione esegetica che fa riferimento all'immagine di Cristo che, ricevuto il battesimo nel Giordano, calpesta la testa del d., illustrata nel Salterio Chludov, dell'843 ca. (Mosca, Gosudarstvennyj Istoritscheskij Muz., Add. gr. 129, c. 72r). A questo proposito Cirillo di Gerusalemme (Procatechesi, 16, PG XXXIII, coll. 360-361; Catechesi, III, 11-12, ivi, coll. 441-444) ricorda che il battesimo salva l'uomo dall'essere divorato dal drago. L'immagine terrifica, usata come monito contro il peccato e la conseguente dannazione, è frequente soprattutto in quei particolari della scultura architettonica che vedono figure che tentano di liberarsi dalle fauci di d., spesso fuoriuscenti da mascheroni dalle sembianze mostruose, probabile riferimento al mondo degli inferi a cui i d. appartengono, come nei capitelli del sec. 12° della cattedrale di Sion. D'altronde la raffigurazione dell'inferno come un'enorme bocca, spesso assimilabile a quella del d., si riscontra per es. nel timpano della Sainte-Foy a Conques (1140 ca.) o in quello del portale centrale di Notre-Dame a Parigi (1220-1230). La stessa immagine si ritrova nelle illustrazioni dell'apologo di Barlaam e Iosafat (v.), come per es. nell'affresco, del 1290 ca., dell'abbazia delle Tre Fontane a Roma o nel libro d'ore, proveniente da Amiens, della fine del sec. 13° (New York, Pierp. Morgan Lib., M.729, c. 354v), oppure sintetizzata anche nella sola figura del d., come nella lunetta del portale sud del battistero di Parma (1200 ca.). L'immagine opposta e speculare del peccatore in balia del d. è la figura umana che, in posizione centrale, domina due d. affrontati tenendoli per il collo o per le fauci, frequente nei capitelli romanici, come quelli, della metà del sec. 11°, nel duomo di Worms e quelli, della fine del sec. 12°, nel duomo di Basilea. Il concetto della bestia malefica resa innocua trova un'immagine di particolare purezza e suggestione nella metopa con il fanciullo e il d., del 1125-1130, eseguita dal Maestro delle Metope (Modena, Mus. Lapidario del Duomo), forse allusione a una mitica razza umana immune dal veleno dei serpenti (Frugoni, 1984). La scultura architettonica romanica e, in tono minore, quella gotica utilizzarono, comunque, costantemente il d., anche senza precisi riferimenti simbolici, come visualizzazione delle potenze demoniache; nei capitelli, luogo privilegiato per tali raffigurazioni, i d. si presentano spesso in coppie affrontate, addorsati, con i colli intrecciati o nell'atto di mordersi a vicenda la coda.
Bibl.:
Fonti. - Cirillo di Gerusaleme, Catechesis, in PG, XXXIII, coll. 331-1160; Isidoro di Siviglia, Etymologiarum libri XX, in PL, LXXXII, coll. 9-728; Giovanni Damasceno, De draconibus, in PG, XCIV, coll. 1599-1602; Rabano Mauro, De Universo, in PL, CXI, coll. 9-614; Ugo di San Vittore, De bestiis et aliis rebus, ivi, CLXXVII, coll. 9-164; Iacopo da Varazze, Legenda aurea, a cura di T. Graesse, Dresden-Leipzig 1849 (rist. anast. Osnabrück 1965).
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