Driadi
Ninfe abitatrici degli alberi, furono quasi sempre identificate nella tarda poesia classica, in quanto forze animatrici della natura, con le Oreadi, ninfe dei monti, e con le Naiadi, ninfe delle acque.
Nel caso specifico delle Driadi era naturale che la stessa vita organica degli alberi e la mobilità dei loro rami suggerisse l'idea di una creatura vivente che li animasse. Esisteva poi tra le ninfe degli alberi una distinzione, precisata da Servio (ad Virg. Ecl. X 62): " Hamadryades nymphae, quae cum arboribus nascuntur et pereunt, qualis fuit illa, quam Erysichton occidit; qui cum arborem incideret, et vox inde erupit et sanguis, sicut docet Ovidius; Dryades vero quae inter arbores habitant ". Le Amadriadi dunque si distinguono dalle Driadi perché si riteneva nascessero con l'albero e morissero con esso, ossia si consideravano escluse dall'immortalità.
Umanamente fragile era la ninfa racchiusa nell'albero abbattuto da Erisitone, in Ovidio Met. VIII 757 ss.; ed è verosimile che tale fonte ispirasse a D. l'accento con cui allude alle Driadi, identificandole con le Amadriadi, creature viventi e mortali, meritevoli di pietà, in Eg IV 56 et Driadum miserere loci.