DRUDO da Trivio
Romano, marmoraro, fu attivo nella prima metà del XIII secolo.
Spetta al Giovannoni la definizione critica dell'opera di questo artista che pare avesse la propria bottega nel rione Trevi: di qui l'appellativo "de Trivio" col quale più volte si firma (Giovannoni, Drudus, 1904, p. 8; Id., Note, 1904, p. 20).
Dell'attività esercitata da D. nella collegiata di Lanuvio non resta che la trascrizione di un'epigrafe (Schede Gualdi) già sul perduto ciborio ("+ ā d̄. mccxl ego ap̄b iōs. saracen' f̄ f̄ī. h'. ōp̄' a magistro drvdo romano c̄ anglo filio svo."), tuttavia preziosa poiché grazie ad essa si può ancorare alla sola data certa - il 1240 - la piena maturità dello scultore, che operava allora insieme col figlio Angelo. Non è agevole ipotizzare se le altre opere descritte nelle Schede Gualdi ("... i seditori ... con colonne à lumaca ... mezzi leoni di marmo et il pavimento ...") come eseguite a Lanuvio sempre al tempo dell'arciprete Giovanni Saraceno e ora quasi interamente disperse possano in parte essere riferibili alla sua bottega. Il solo frammento ancora nella chiesa, un listello marmoreo recante la firma frammentaria di un "Vassalletto" con il nome del medesimo committente, testimonia la collaborazione di due distinte maestranze, confermando le componenti vassallettiane del linguaggio espressivo di D. altrove rilevabili; ma rende comunque assai ardua l'attribuzione della coppia di leoni reimpiegata nel XVII sec. nella fontana di piazza del Commercio e dei pezzi fotografati intorno al 1900 come appartenenti alla collegiata (Galieti, 1909).
Gli altri interventi dello scultore, cronologicamente non sempre precisabili su base documentaria, devono presumibilmente essere compresi nel ventennio 1220 c.-1240 c.
Risale al tempo del pontificato di Onorio 111 (1216-26) il restauro della chiesa romana di S. Maria Nova (S. Francesca Romana), al quale D. può aver partecipato con un'opera ora perduta (forse il sepolcro del cardinale camerario Sinibaldo, morto nel 1223: Claussen, 1987, p. 148), ma della quale ancora all'inizio di questo secolo si conservava una testimonianza epigrafica (Giovannoni, Drudus, 1904, p. 8; Id., Note, 1904, p. 20 n. 2).
È ormai gravemente danneggiato il ricco arredo presbiteriale del duomo di Civita Castellana, i principali resti del quale, quattro animali simbolici, sono collegati, nella approssimativa ricomposizione attuale in un ambiente attiguo alla chiesa stessa, a due sontuosi plutei, uno dei quali reca la firma di D. in collaborazione con Luca di Cosma: "+ drvd' et lvcas cives romani māgri doctissimi hoc opvs fecervnt".
Se ipotetica ma verosimile appare la datazione dell'opera al 1230 c., probabile l'appartenenza ai plutei dei soli due animali sorreggenti le colonnine (ma da escludere, per motivi legati alla particolare iconografia di uno di essi, l'originario impiego dei leoni in un presunto trono; Claussen, 1987, p. 147) e ardua la definizione dei compiti assegnati a ciascun artista, risulta invece evidente la confluenza nei plutei di due tradizioni formali distinte, benché prossime, facenti capo l'una alla bottega di Cosma e di Iacopo, suo padre, l'altra a quella dei Vassalletto; a quest'ultima si ricollega esplicitamente lo scoperto gusto antiquariale delle teste leonine e dell'immagine della sfirige, un gusto che, qui ancora incerto, caratterizza intensamente la successiva attività di Drudo.
Il ciborio del duomo di Ferentino, capolavoro dello scultore, reca all'interno degli architravi la duplice scritta col nome del committente e dell'artista ("+ archilevita fvit norwici hac vrbe iōhs / nobili ex gene; + magister drvdvs de trivio / civis romanvs fecit hoc hopvs"): il che ha consentito (Giovannoni, Note, 1904. Claussen, 1987, p. 148) di fissare intorno alle date 1231 e 1243 (alle quali Giovanni da Ferentino è attestato come arcidiacono di Norwich) due sicuri termini di riferimento, il secondo dei quali sembrerebbe peraltro più probabile.
L'opera, pur derivando tipologicamente dai prototipi romani della scuola di Paolo (vedi quello, tuttora integro, in S. Lorenzo fuori le Mura a Roma del 1148), ne modifica sottilmente l'aspetto rendendolo più vario attraverso sia la policromia delle listature mosaicate degli architravi maggiori e di alcune colonnine, sia la ricchezza degli ornati scolpiti sui medesimi architravi e sui quattro capitelli, che costituiscono una delle interpretazioni più fantasiose del tipo composito realizzate da marmorari romani dei secc. XII-XIII.
Nel duomo di Ferentino il contributo della bottega di D. deve estendersi a gran parte dell'originario arredo presbiteriale: all'esecuzione del candelabro pasquale, in cui compare la stessa decorazione a foglie delle colonnine del ciborio; a quella dei resti di transenne oggi variamente reimpiegati (come nel moderno trono) o conservati nel museo-deposito; e forse alla guida nella realizzazione dei quattro animali simbolici (tre leoni e una sfinge), qualitativamente discordanti però nell'esecuzione, da attribuire a diversi collaboratori comunque accomunati dal rifarsi a tipologie vassallettiane recenti (come nel leone "egiziano" della porta della sacrestia) o meno.
Legata in maniera evidente al linguaggio della piena maturità di D. è la vasca di fontana firmata ("magr̄ drudus me fecit") ma non datata, conservata nel Museo di palazzo Venezia a Roma (inv. Palazzo Venezia 1809), il cui testo epigrafico ("+hic. thetis. hinc. prius. abḷụe. mande. quiesce"; Claussen, 1987, p. 151, n. 837) e il cui repertorio di immagini scolpite (maschera fogliata; teste di ariete e di leone; ghirlande) testimoniano in maniera significativa la cosciente ripresa del linguaggio dell'antichità classica nei termini e nei limiti della cultura figurativa romanica romana, propensa tuttavia ad accogliere, con la consueta prudenza, le novità della civiltà gotica.
Fonti e Bibl.: Bibl. ap. Vaticana, Vat. lat. 8253: Schede Gualdi [G. Leti], parte II, c. 500r; G. Giovannoni, Drudus de T. marmoraro romano, in Miscell. per nozze Hermanin-Hausmann, Roma 1904, pp. 1-10; Id., Note sui marmorari romani, in Arch. della R. Soc. rom. di storia patria, XXVII (1904), pp. 20 ss. (con bibl. precedente); Id., Per la storia dei marmorari romani dei secc. XII e XIII, in Bull. della Soc. filol. rom., III (1904), pp. 22 ss.; G. Tomassetti, Dei sodalizi in genere, e dei marmorarii romani, in Bull. della Commissione archeol. comun. di Roma, XXXIV (1906), pp. 256, 264; A. Bartoli, Il figlio di Pietro Vassalletto a Civita Lavinia, in Boll. d'arte, I (1907), 9, pp. 23 s.; A. L. Frothingham, The monuments of Christian Rome from Constantin to the Renaissance, New York 1908, pp. 179, 355, 375 s.; A. Galieti, Mem. della chiesa medievale di Civita Lavinia, in L'Arte, XII (1909), pp. 352 ss.; P. Toesca, Il Medioevo, II, Torino 1927, p. 903, n. 58; A. M. Bessone Aurelj, I marmorari romani, Milano-Genova-Roma-Napoli 1935, pp. 16 ss.; F. Hermanin, L'arte in Roma dal sec. VIII al XIV, Bologna 1945, p. 71; E. Hutton, The Cosmati, London 1950, pp. 15 s., 37, 40, 54; Museo di Palazzo Venezia, Catalogo delle sculture, a cura di A. Santangelo, Roma 1954, p. 12; A. Bartoli, Ferentino: ricerche epigrafiche e topografìche, in Atti della Acc. naz. dei Lincei. Rendiconti, s. 8, IX (1954), p. 505; G. Matthiae, Cosmati, in Enciclop. univers. dell'arte, III, Venezia-Roma s.d. [1958], coll. 840 s.; J. Déer, The dynastic porphiry tombs of the Norman period in Sicily, Cambridge, Mass., 1959, p. 105; K. Noehles, Die Kunst der Cosmaten und die Idee der Renovatio Romae, in Festschrift Werner Hager, Recklinghausen 1966, p. 24; G. Curcio-L. Indrio, Le fasi costruttive della cattedrale [di Ferentino], in Storia della città, V (1980), 15-16, pp. 84, 89; A. Tomei, L'arredo cosmatesco, ibid., pp. 105 ss.; D. F. Glass, Studies on Cosmatesque pavements, Oxford 1980, pp. 16, 64, 92; P. C. Claussen, in Federico II e l'arte del Duecento italiano, I, Galatina 1980, p. 335; P. Montorsi, Su alcuni leoni di Vassalletto che derivano da un modello egiziano, in Roma anno 1300, Atti della IV Settimana di studi dell'arte medievale ..., Roma 1983, pp. 662 ss.; P. C. Claussen, Magistri doctissimi Romani. Die römischen Marmorkünstler des Mittelalters (Corpus Cosmatorum I), Stuttgart 1987, ad Indicem; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, IX, p. 587.