DRUSI
. Setta religiosa d'origine musulmana, la quale, venuta in Siria dall'Egitto dove era sorta dapprima, ha costituito, soprattutto nel Libano e nella regione a SE. di Damasco (Ḥaurān), dei gruppi con carattere religioso, sociale e politico ben distinto, Conservatisi fino ai nostri giorni.
Origine dei Drusi e loro storia politica. - Durante il dominio dei califfi Fāṭimiti (v.) sull'Egitto e sulla Siria, la dottrina formulata dagli Ismā‛īliyyah o Ismailiti (v.), suddivisione degli Sciiti, intorno alla presenza della divinità nelle persone dei califfi ebbe ampio sviluppo e consacrazione ufficiale: un ulteriore progresso di questa dottrina Condusse addirittura alla divinizzazione del califfo al-Hākim (v.), della quale si fece apostolo nel 408 ègira (1017-1018) un fanatico d'origine persiana, Ḥamzah b. ‛Alī az-Zawzanī. La propaganda della nuova dottrina, condotta in segreto secondo il costume degli Isma‛īliyyah, venne presto conosciuta, per colpa, a quanto sembra, di un Anushtekīn ad-Darazī, d'origine turca, e l'ostilità della popolazione egiziana indusse al-Ḥākim a sconfessare il troppo zelante apostolo e a mandarlo in Siria, dove egli continuò la sua opera, ma presto scomparve, forse ucciso. Ripresa, dopo qualche tempo, l'azione di Ḥamzah, e rinnovatasi l'opposizione, il califfo scomparve misteriosamente nel 411 (1021), sia che fosse ucciso dai suoi parenti, sia che si ritirasse volontariamente dal mondo, e poco dopo scomparve anche Ḥamzah: il nuovo califfo aẓ-Ẓāhir, figlio di al-Ḥākim, tentò di soffocare il movimento in Egitto, ma esso continuò a diffondersi dalla Siria, e in poco più d'un decennio guadagnò adepti in Arabia, nell'‛Irāq, in Persia, fino ai confini dell'India, sotto l'energica direzione di un ‛Alī ibn Aḥmad Bahā' ad-dīn, detto al-Muqtanà. Tuttavia scissioni interne e persecuzioni da parte dei musulmani tanto sunniti quanto sciiti arrestarono lo sviluppo del movimento, che subì una crisi decisiva (della quale sono peraltro oscuri i motivi e l'andamento) nel 434 (1042-1043). Da allora in poi cessò ogni propaganda, e gli adepti della nuova fede si limitarono a custodirne gelosamente i principî e le pratiche, nascondendo gli uni e le altre agli occhi dei profani, e mantenendosi soprattutto in grazia dell'apporto di neofiti provenienti da tribù arabe stanziate in Siria, la cui tradizionale ostilità ai governi regolari trovava appoggio e alimento nel separatismo settario. Il nome di Drusi, che i settarî ripudiano, è una forma araba di plurale (Durūz, dialettalmente Drūz), dedotta da un singolare Darazī, designante un seguace del primo apostolo ad-Darazī, poi sconfessato: esso attesta la popolarità della sua propaganda.
I Drusi, stanziati dapprima nel Wādī at-Taim a S. del Libano e nel Gebel al-A‛là a SO. di Aleppo, vennero a poco a poco costretti dall'ostilità delle popolazioni circostanti (tra cui pullulavano sètte sciite rivali) ad abbandonare quest'ultima sede e a emigrare verso sud, e trovarono sedi più sicure nella parte meridionale del Libano, dove è tuttora il loro nucleo più numeroso. Vissuti a lungo nell'oscurità e nell'isolamento, si costituirono in una sorta di sistema feudale, sotto il dominio di varie famiglie, tra le quali alcune primeggiarono fino a formare vere e proprie dinastie principesche. È probabile che quella dei Banū Buḥtur, che al tempo delle Crociate fu in relazione amichevole coi cristiani, fosse veramente drusa, benché ciò sia difficile a stabilirsi con certezza, data la sistematica dissimulazione dei Drusi nel riguardo della religione; certamente drusi furono i Banū Ma‛n, che soppiantarono i Banū Buḥtur al principio del sec. XVI, ai quali al principio del sec. XVII appartenne il celebre emiro Fakhr ad-dīn (v.), ribelle ai Turchi e alleato del granduca di Toscana (al suo tempo si diffuse in Occidente la leggenda che i Drusi discendessero dai Crociati rimasti in Siria dopo la riconquista musulmana). Ai Banū Ma‛n successero i Banū Shihāb, tra i quali s'illustrò nel suo lunghissimo regno (1788-1840) l'emiro Bashīr II ‛Omar, che fu ufficialmente musulmano fino al 1831, poi cristiano, e forse segretamente alieno dall'una e dall'altra fede: valoroso e astuto, tentò di togliere potere alla feudalità e di raccogliere intorno a sé le varie confessioni libanesi (musulmani, maroniti, drusi, mutawālī), ebbe parte nella guerra del Bonaparte in Siria, fu implicato nella rivolta di Muḥammad ‛Alī contro la Porta, e finì in esilio. Dopo la sua deposizione le ostilità tra Drusi e cristiani, acuite dall'artificiale divisione amministrativa introdotta nel Libano, portarono ai massacri del 1845 e a quelli, più gravi, del 1860, che provocarono l'intervento della Francia. In seguito a essi il Libano fu, nel 1864, staccato dal resto della Siria e costituito in distretto autonomo, dipendente direttamente dalla Porta, con un governatore cattolico (v. siria: Storia).
Nel frattempo un'altra comunità drusa si era formata nella zona montuosa e ricca di cereali a SE. di Damasco, nel Ḥaurān, attestata già al principio del sec. XVII e accresciuta durante il secolo XIX dai profughi fuggiti dal Libano in seguito ai ripetuti rivolgimenti di colà. Mentre i Drusi del Libano, sotto il regime autonomo, andavano perdendo il loro carattere fiero e selvaggio, quelli delle montagne del Ḥaurān (che presero da essi il nome di Gebel ed-Drūz "montagna dei Drusi") si mantenevano inaccessibili alla civiltà, e si davano frequentemente al brigantaggio: anche colà le rivolte contro il governo turco furono frequenti (l'ultima nel 1911). La guerra mondiale mutò radicalmente le condizioni dell'una e dell'altra comunità: i Drusi del Libano, abolita l'autonomia nel 1914, ebbero molto a soffrire della carestia durante gli anni di guerra; alla fine di questa, entrarono, col resto del paese, a far parte della repubblica del Grande Libano (settembre 1920) e poi del Libano (maggio 1926), in cui costituiscono una piccola minoranza (circa 40.000), che vive in discreto accordo con le varie confessioni religiose. I Drusi del Ḥaurān (circa 10.000), rimasti neutrali nel conflitto fra Turco-Tedeschi e Arabo-Inglesi (il loro paese fu teatro di operazioni militari nell'ultima fase della guerra), ricevettero nell'aprile 1922 un governo autonomo sotto mandato francese, ma subito si ribellarono, sotto la guida del loro capo Sulṭān al-Aṭrash, e la ribellione, con alternative di successi e di sconfitte, culminò nel 1926 con l'avanzata dei Drusi su Damasco, in accordo coi musulmani di Siria anch'essi ribelli alla Francia. Domata la Siria, i Drusi continuarono la lotta, dapprima nelle loro montagne, poi nella Transgiordania, dove sconfinarono bande di ribelli e si mantennero fino al giugno 1927, quando si arresero alla Francia e tornarono nelle loro sedi, tranne poche centinaia rifugiatisi col loro capo nel territorio del Neǵd. Da allora la pace non è più stata turbata.
Sistema religioso dei Drusi. - Le idee teologiche e l'organizzazione ecclesiastica dei Drusi sono contenuti in parecchi opuscoli del fondatore della setta Ḥamzah e del suo discepolo al-Muqtanà. La loro dottrina, che s'intitola at-tawḥīd "il (vero) monoteismo) (i suoi adepti s'intitolano al-muwaḥḥidūn "i monoteisti"), parte dal principio che la divinità a varie riprese si manifesta in forrma umana, e che l'ultima manifestazione ha avuto luogo in al-Ḥākim. Da essa, mediante un sistema emanatista che è tolto agli Ismā‛ī liyyah e che ricorda quelli dei sistemi gnostici, provengono l'Intelligenza universale (‛aql), l'Anima (nafs), il Verbo (kalimah), il Precedente (sābiq), il Seguente (tālī), che costituiscono i "Cinque ministri", incarnatisi in varî personaggi della storia biblica e islamica, e finalmente in Ḥamzah e nei suoi quattro discepoli. In questa gerarchia gnostica, Maometto occupa soltanto il posto di quarto ministro, e perciò la setta, benché usi spesso la terminologia islamica e citi il Corano (interpretato però allegoricamente), è e si sente estranea all'islamismo, che essa condanna col nome di tanzīl "rivelazione (letterale) del Corano", come condanna i sistemi sciiti da cui essa ha preso lo spunto, col nome di ta'wīl "interpretazione (allegorica) del Corano". Altra dottrina che divide nettamente i Drusi dai musulmani è quella della metempsicosi: il numero delle anime umane è fisso e non può aumentare né diminuire, ed esse trasmigrano in varî corpi in esistenze successive.
La comunità drusa fu, nel breve periodo della sua espansione, organizzata gerarchicamente sotto capi provinciali (dā‛ī, plurale du‛āh), con altri funzionarî subordinati. Tale gerarchia è sopravvissuta alla cessazione della propaganda, e ha impresso al drusismo (in armonia, del resto, con le altre sètte degli Ismā‛īliyyah) un carattere esoterico: i Drusi si dividono attualmente in ‛uqqāl ("intelligenti"), che soli hanno conoscenza della dottrina e costituiscono l'assemblea religiosa (maǵlis), e in giuhhāl ("ignoranti"); notevole è che tale distinzione (che si estende anche alle donne) non implica differenza di grado sociale: anzi, di regola, i personaggi politicamente e militarmente importanti, compresi i principi, appartengono agl'"ignoranti". Il divieto, rigorosamente osservato, di rivelare ai profani la dottrina e i riti, fa sì che la maggior parte dei Drusi non si distingue esternamente dai musulmani, e soltanto in circostanze speciali (soprattutto ai nostri giorni) essi rivelano la loro fede. Questa, molto interessante come esempio tipico di sopravvivenza di un sistema di estrema gnosi islamica, ha avuto tanta forza da plasmare i suoi adepti in un'unità nazionale, ma ha perduto, fin quasi dalle sue stesse origini, ogni capacità di sviluppo culturale.
Bibl.: I principali testi dottrinali drusi sono tradotti da S. De Sacy, Exposé de la religion des Druzes, voll. 2, Parigi 1838 (fondamentale, ma invecchiato in alcuni punti). Cfr. anche i principali manuali d'islamismo, tra cui H. Lammens, L'Islamisme, Beirut 1926, pp. 178-186; Ph. Hitti, The origins of the Druze people and religion with extracts from their sacred writings, New York 1929. Per la storia politica, H. Lammens, La Syrie, Précis historique, Beirut 1921; per le vicende posteriori al 1921, Oriente moderno, I-VII (1921-1927), indici. Per le costumanze odierne dei Drusi del Haurān, M. von Oppenheim, Vom Mittelmeer zum persischen Golf, Berlino 1889-1900, I, pp. 109-183.