Dualismo economico
1. Introduzione
Le varie concezioni del dualismo hanno continuato a svolgere un ruolo nell'analisi della crescita economica fintanto che gli economisti hanno dedicato attenzione a tale questione. In particolare, esse si fecero più articolate dopo la seconda guerra mondiale, quando iniziò una fase di intensa preoccupazione per le sorti dei paesi arretrati.
Le analisi di tipo dualistico dei paesi in via di sviluppo si caratterizzano per il fatto di assumere un insieme significativo di condizioni o forme di comportamento coesistenti con quelle ipotizzate nei modelli economici convenzionali, ma diverse. Nei modelli convenzionali, in sintesi, si assume che produttori e consumatori partecipino pienamente a mercati sufficientemente organizzati in cui è offerto un ampio ventaglio di beni, risorse e tecnologie. Poiché il dualismo crea inefficienze nell'uso di beni e risorse, esso ostacola lo sviluppo e, allo stesso tempo, può dar vita a significative sperequazioni nella distribuzione del reddito e dei consumi, rendendo inoltre più difficile l'attuazione di politiche di aggiustamento macroeconomico e della bilancia dei pagamenti.
Le ipotesi di dualismo hanno avuto varie origini. Le evidenti profonde differenze culturali e sociali riscontrabili in molti dei paesi arretrati hanno indotto gli osservatori occidentali a ritenere che le popolazioni di tali paesi reagiscano agli impulsi economici in modo diverso da quanto accade nei paesi industrializzati. Per alcuni, le popolazioni dei paesi poveri non sembravano lavorare in modo così diligente, intenso o individualistico come quelle dei paesi industrializzati. Altri ritenevano che le popolazioni dei paesi poveri sprecassero gran parte del prodotto o impiegassero metodi produttivi antiquati invece di quelli più moderni disponibili. Sembrava che queste popolazioni non adeguassero le colture o la produzione artigiana al mutare della domanda e che, anche quando ciò accadeva, ne traessero minori benefici di quanto ci si sarebbe potuti attendere. Inoltre disoccupazione persistente e povertà generalizzata sono fenomeni assolutamente incompatibili con l'esistenza di mercati competitivi interni e internazionali. Infatti, seppure con alcune qualificazioni che normalmente non modificano significativamente le conclusioni, tali mercati dovrebbero portare alla piena occupazione a livelli salariali equiparati tra i vari paesi.
L'analisi teorica delle conseguenze del dualismo iniziò negli anni cinquanta e proseguì negli anni successivi, ma, a partire dalla metà degli anni sessanta, le analisi empiriche - che si sostituirono alle osservazioni di tipo informale - iniziarono a sollevare dubbi sulla validità di alcune precedenti analisi dualistiche. Inoltre, vari tipi di 'dualismo' sono entrati a far parte della tesi più generale secondo cui esistono differenze 'strutturali' tra paesi ricchi e paesi poveri, che influenzano i comportamenti sia macroeconomici che microeconomici.
2. Origini ed evoluzione delle analisi dualistiche
L'idea che la cultura dei paesi arretrati costituisse un ostacolo allo sviluppo economico era ben presente a Thomas R. Malthus che, riferendosi all'America Centrale, illustrava con dovizia come, per esempio, "l'indolenza e l'imprevidenza [...] devono necessariamente agire da formidabili ostacoli a un rapido aumento della ricchezza e della popolazione. Dove si sono decisamente radicate difficilmente cambieranno, se non gradualmente e con lentezza e sotto stimoli potenti ed efficaci". Malthus rilevava, tuttavia, come "l'indolenza degli indigeni sia grandemente aggravata dalla loro situazione politica" e, riferendosi ad analoghe condizioni in Irlanda, scriveva: "Tuttavia, a difesa del contadino irlandese si può ben dire che, data la società in cui si è trovato, egli non ha avuto possibilità reali di cimentarsi in condizioni normali" (v. Malthus, 1820; tr. it., pp. 296 e 301).
Sebbene vi siano stati altri precursori, il concetto di dualismo socioculturale è stato sviluppato in modo esplicito e ampio da J. H. Boeke che lo ha posto al centro della sua teoria dello sviluppo, elaborata avvalendosi della sua esperienza di amministratore straniero in Indonesia (v. Boeke, 1953). La convinzione di Benjamin Higgins dell'utilità di tale concetto - sebbene di validità meno generale di quanto pensasse Boeke - contribuì ad attirare su di esso l'attenzione generale (v. Higgins, 1959). Secondo Boeke "il dualismo sociale è lo scontro tra un sistema sociale importato e un sistema sociale indigeno di diverso tipo. Nel caso più frequente il sistema sociale importato è il capitalismo avanzato, ma può trattarsi del socialismo, del comunismo, o di una combinazione dei due" (v. Boeke, 1953, p. 4).
Il "sistema sociale indigeno" era caratterizzato da "organizzazioni locali autonome, da originari legami sociali organici, da Gemeinschaft, da tradizionali distinzioni di classe [...]; i bisogni individuali sono limitati e di modesta entità; gli scambi sono scarsi o inesistenti; i nuclei familiari producono direttamente per se stessi beni piuttosto che merci; [...] non esiste una netta distinzione fra nucleo familiare e impresa; non esistono commercianti di professione; [...] la divisione del lavoro è poco sviluppata; l'organizzazione economica è quasi del tutto inesistente; infine, gli incentivi di natura economica si intrecciano strettamente con quelli di natura non economica, poiché l'economia è ancora di importanza secondaria essendo subordinata alla religione, all'etica e alle tradizioni" (v. Boeke, 1953, p. 14).
Come ha sottolineato Boeke, una tale concezione del dualismo implica che l'analisi basata sul modello economico convenzionale è del tutto irrilevante per il settore dualistico e perciò si rende necessario un altro tipo di approccio. Tuttavia Boeke, pur fornendone una descrizione ricca e dettagliata, non ha sviluppato un'analisi teorica del fenomeno del dualismo.
Negli anni cinquanta e sessanta alcuni economisti dello sviluppo avevano prodotto in modo indipendente idee analoghe a quelle di Boeke. Ad esempio, Harvey Leibenstein, in un libro che ha esercitato notevole influenza, considerava "il comportamento tradizionale di gran parte della popolazione" una delle "caratteristiche delle aree sottosviluppate" (v. Leibenstein, 1957, p. 41).
I molti economisti che negli anni cinquanta si avvicinarono ai problemi dei paesi in via di sviluppo furono senza dubbio influenzati dalla crescente letteratura antropologica che si concentrava sulle differenze fra cultura occidentale e culture 'indigene' (v. Benedict, 1934). Tuttavia l'opera di alcuni antropologi di indirizzo economico rappresentò un parziale antidoto all'insistenza sul ruolo delle tradizioni, del mito e della magia da parte dell'antropologia in generale. Bronislaw Malinowski tracciò una distinzione fra commercio e scambio di doni che fu generalmente accettata e Sol Tax studiò gli scrupolosi calcoli economici sui quali gli Indiani del Guatemala basavano i loro commerci (v. Malinowski, 1922; v. Tax, 1953).
Le profonde differenze tecnologiche fra settori moderni e settori 'tradizionali' dei paesi in via di sviluppo sono state assunte a prova dell'esistenza di un dualismo di tipo tecnologico. I settori moderni - che comprendono l'industria petrolifera, la produzione di energia elettrica, acciaio e macchinari, e spesso le ferrovie - sono considerati settori tecnologicamente avanzati a intensità di capitale relativamente alta, caratterizzati spesso, anche se non sempre, dalla presenza di investimenti esteri. I settori tradizionali, per contro, impiegano metodi produttivi a più bassa intensità di capitale, che hanno subito pochi mutamenti rispetto alle tecniche antiche. L'agricoltura, i trasporti locali e l'industria su piccola scala sono spesso considerati in gran parte attività produttive tradizionali. Il cosiddetto 'movimento per una tecnologia appropriata', pur non usando la tipica terminologia dualistica, ha posto questa differenziazione fra settori al centro delle sue critiche all'importazione di metodi produttivi da parte dei paesi in via di sviluppo (v. Schumacher, 1973).
A proposito del dualismo tecnologico sono state avanzate diverse ipotesi. Secondo una di queste, esistono differenze sistematiche fra i settori rispetto all'effettiva possibilità di scelte tecnologicamente efficienti. Secondo un'altra ipotesi, le differenze fra i settori riguardano le norme che governano la remunerazione e i livelli di rendimento dei fattori della produzione e sono esse la causa delle differenze osservate nelle scelte tecnologiche (v. Eckaus, 1955). Un'ulteriore ipotesi, proposta da Eckaus e altri, e che è divenuta un articolo di fede per gli esponenti del movimento per una tecnologia appropriata, è che esistano preferenze irrazionali per le tecnologie moderne tanto nel settore privato quanto nel settore pubblico.
Appartengono a questa categoria quelle analisi dei paesi in via di sviluppo secondo cui esistono differenze sistematiche tra settori e tra imprese. È stato sostenuto che i mercati del lavoro, quelli finanziari e quelli di alcuni beni sono di due tipi: mercati 'organizzati', 'primari' o 'formali', e mercati 'non organizzati', 'secondari' o 'informali'. Nel primo tipo di mercati operano le grandi imprese, le imprese estere e le banche istituite su concessione governativa soggette a controlli statali; nel secondo tipo operano le piccole imprese, le imprese a conduzione familiare e operatori finanziari (money lenders) urbani e rurali, privi di licenza governativa e non soggetti ad alcuna regolamentazione. Spesso questa suddivisione viene applicata ai settori produttivi, ponendo l'industria da una parte e l'agricoltura, insieme forse ai servizi urbani, dall'altra.
È stato sostenuto che i mercati dei fattori della produzione sono sufficientemente competitivi e che i fattori sono remunerati in base alle loro produttività marginali solo nel settore organizzato. Invece nel settore non organizzato il reddito è ripartito fra i partecipanti e, forse, i lavoratori percepiscono il loro prodotto medio. Una delle possibili conseguenze di ciò potrebbe essere che il sistema economico è affetto da disoccupazione persistente (v. Eckaus, 1955; v. Harris e Todaro, 1970).
È stato anche sostenuto che il risparmio è effettuato solo nel settore 'formale' o 'organizzato', mentre esso è nullo nel settore agricolo; oppure che risparmiano solo i percettori di rendite e profitti, ma non coloro che percepiscono redditi da lavoro. Analogamente, si è affermato che il progresso tecnologico è circoscritto al settore 'organizzato' o 'industriale'.
Secondo un'altra ipotesi di dualismo comportamentale, l'imprenditorialità nei paesi in via di sviluppo è relativamente mancante oppure, se esiste, è limitata a particolari gruppi sociali e a particolari tipi di attività. È stata avanzata l'ipotesi che le limitazioni delle società tradizionali non incentivino gli individui ad abbandonare i modelli e le forme tradizionali di attività produttiva (v. Hagen, 1968) e ciò concorra a far emergere un altro tipo di dualismo, poiché il mutamento tecnologico ha luogo solo nel settore organizzato.
3. Dualismo e dipendenza
Le ipotesi di dualismo sono state fatte proprie dalla 'teoria della dipendenza' secondo cui, a causa di differenziazioni di lunga durata analoghe a quelle considerate sopra, le imprese straniere e i paesi dell'emisfero settentrionale possono esercitare un potere politico e di mercato a scapito delle imprese nazionali dei paesi dell'emisfero meridionale. In questo contesto le diversità associate alle varie forme di dualismo sono di ordine 'superiore' o 'inferiore' a seconda se comportino o meno la capacità di avere accesso al sostegno statale, di essere competitivi nei mercati e di appropriarsi dei profitti derivanti dal commercio (v. Singer, 1970; v. Lal, 1975).
4. Dualismo e strutturalismo
Dopo gli anni settanta il 'dualismo' è stato poco studiato sotto questo nome, ma la ricerca prosegue con successo e mantiene il suo vigore analitico sotto il nome di 'strutturalismo' (v. Chenery, 1975). Oltre alle forme di dualismo descritte in precedenza, le analisi di tipo strutturalistico considerano anche altri elementi che possono variare a seconda dei settori e dei sistemi economici studiati. Tra di essi vi sono: la determinazione dei prezzi mediante l'applicazione di un mark-up fisso sui costi; la scarsa elasticità della domanda (compresa la domanda estera) per esportazioni di primaria importanza; la realizzazione dell'equilibrio attraverso aggiustamenti di prezzo in alcuni mercati e attraverso aggiustamenti di quantità in altri mercati di beni e servizi; l'esistenza di mercati incompleti, nel senso che non tutti i prodotti e le risorse importanti vengono allocati attraverso il mercato. Per tutte queste ragioni - e per altre ancora come il potere monopolistico e le economie esterne - il fallimento di mercato (market failure) costituisce un fenomeno assai diffuso.
5. Analisi empiriche del dualismo
La formulazione delle varie ipotesi di dualismo ha promosso notevoli sforzi di verifica empirica che hanno avuto diversi gradi di successo. L'ipotesi di dualismo secondo la quale gli agricoltori tradizionali si comportano in modo irrazionale quando reagiscono agli impulsi di mercato sacrificando il loro ricavo netto è stata oggetto di particolari studi. I risultati più solidi sono stati ottenuti verificando la reattività dei tipi di coltivazione alle variazioni dei prezzi relativi. La prima dimostrazione dell'esistenza di tale reattività nel caso delle colture di riso e frumento nel Punjab indiano (v. Krishna, 1963) è stata replicata in molte altre indagini condotte in altre aree e per altri tipi di colture. Questi studi confutano chiaramente la tesi secondo cui gli agricoltori dei paesi in via di sviluppo che producono per il mercato sarebbero insensibili alle variazioni dei prezzi relativi.
Altre ricerche hanno avuto per oggetto l'ipotesi della non separabilità delle decisioni di produzione e di consumo quando entrambe vengono prese in seno ad aziende agricole a conduzione familiare. Questa tipica caratteristica del settore rurale, messa in evidenza da Čajanov (v., 1925), impedirebbe un uso efficiente delle risorse da parte degli agricoltori. In questo caso, tuttavia, non sono stati ottenuti risultati definitivi (v. Lau e Yotopoulos, 1971).
Un altro filone di ricerca si è occupato della tesi dell'eccedenza di forza lavoro, secondo cui l'agricoltura tradizionale si caratterizza per la presenza di una considerevole 'disoccupazione nascosta' o 'sottoccupazione' (v. Hansen, 1969). I risultati di queste ricerche si possono considerare più o meno definitivi a seconda del punto di vista adottato (v. Morawetz, 1974). Inoltre questi studi vengono di solito effettuati assumendo l'esistenza di mercati perfetti delle risorse e ciò pone problemi relativamente alla loro significatività. Nonostante ciò, questi risultati sono stati usati da Ted Schultz a sostegno del suo rifiuto della maggior parte delle analisi dualistiche dell'agricoltura tradizionale. Secondo Schultz (v., 1964), l'agricoltura tradizionale sarebbe "povera ma efficiente".
L'efficienza a livello globale, tuttavia, implica non solo un uso razionale delle risorse, ma anche l'esistenza di mercati perfetti. Pertanto, finché non saranno risolti i problemi empirici concernenti la struttura di mercato dell'agricoltura tradizionale, la tesi di Schultz di un'agricoltura povera ma efficiente deve essere considerata non provata.
6. Modelli microeconomici dualistici e strutturalistici
I modelli dualistici sono stati prevalentemente di tipo descrittivo e deterministici; essi partono da una serie di condizioni iniziali e studiano l'evoluzione temporale delle variabili facendo ipotesi alternative sui parametri. In questo modo sono stati prodotti modelli di vario tipo: relativamente poco formalizzati, come il modello di Lewis (v. 1954); prevalentemente grafici (v. Fei e Ranis, 1964); oppure basati su sistemi di equazioni differenziali di forma chiusa o con soluzioni numeriche (v. Jorgenson, 1961; v. Kelley e altri, 1972). Un'eccellente rassegna di questi modelli è fornita da Avinash Dixit (v., 1970).
I modelli, in genere, dimostrano il modo in cui procede la crescita nei settori industriali organizzati e in quelli rurali non organizzati facendo varie ipotesi di dualismo. Essi mostrano inoltre come la crescita possa essere bloccata dall'aumento della popolazione, dalla presenza di rendimenti decrescenti, da insufficiente risparmio o da altri fattori. Questi modelli illustrano anche gli effetti che il mutamento tecnologico e la crescita hanno sull'occupazione, sulla domanda di beni e fattori, sull'urbanizzazione e su altri aspetti caratteristici di un'economia in via di sviluppo.
Tali modelli intendono fornire un quadro di riferimento generale per la comprensione dei fenomeni piuttosto che indicazioni politiche, ma spesso il quadro che forniscono risulta abbastanza semplicistico e valido soltanto in situazioni particolari. Per esempio, il modello di Lewis spiega la relativa costanza dei salari reali industriali con la disponibilità di forza lavoro eccedente che proviene dal settore agricolo e, inoltre, assume che il paniere di beni di consumo dei lavoratori rurali possa essere trasformato senza costi nel paniere del settore urbano industriale. Se si assume che si risparmia solo nel settore industriale, l'aumento di risparmio nel corso del processo di sviluppo è spiegato dall'industrializzazione. Se la domanda alimentare nel settore agricolo è elastica rispetto al reddito, la disponibilità di generi alimentari per il settore industriale urbano sarà minore malgrado l'aumento della produzione agricola e, quindi, l'industrializzazione procederà più lentamente di quanto avverrebbe in caso contrario.
Alcuni dei modelli computabili di equilibrio economico generale, che possono essere interpretati sia in senso descrittivo sia in senso normativo, rappresentano anche delle simulazioni degli effetti di condizioni dualistiche o strutturalistiche; ciò si ottiene imponendo salari settoriali fissi e limitata mobilità dei fattori (v. Shishido, 1983).
7. Macromodelli strutturalistici
La costruzione di modelli macroeconomici di economie con caratteristiche di tipo strutturalistico è divenuta un terreno di studio assai fertile alla fine degli anni settanta e durante gli anni ottanta. Mentre nella macroeconomia concernente i paesi industrializzati si andavano introducendo ipotesi di mercati perfetti in cui l'equilibrio è pienamente realizzato attraverso variazioni dei prezzi, l'analisi macroeconomica applicata ai paesi in via di sviluppo andava in una diversa direzione. Per esempio, sono stati studiati in modo approfondito gli effetti sulle politiche di riequilibrio macroeconomico prodotti dall'esistenza di salari reali fissi, dalla formazione di prezzi in base al principio del mark-up e dalla sostituibilità limitata di beni e fattori. Molte analisi teoriche sviluppate negli anni ottanta hanno tenuto conto di tali effetti, considerandoli individualmente o in combinazione fra di loro. Il libro di Lance Taylor (v., 1983) offre un esempio di questo tipo di analisi sia a livello globale sia a livello più particolareggiato, anche se bisogna sottolineare che esso si concentra soprattutto sull'analisi di modelli mentre è piuttosto scarno il supporto empirico.
8. La nozione generalizzata di dualismo e strutturalismo
Dal punto di vista dell'economia moderna, l'analisi di situazioni dualistiche e strutturalistiche nei paesi in via di sviluppo rappresenta qualcosa di analogo allo studio dell'organizzazione industriale nei paesi industrializzati. In entrambi i casi ci si concentra sull'esistenza e sulle implicazioni di deviazioni rispetto a mercati perfetti dei prodotti e dei fattori e sulle politiche atte ad alleviarne gli effetti. Le analisi teoriche ed empiriche dell'organizzazione industriale sono in genere più sofisticate delle analisi dualistiche e strutturalistiche, ma, ciò nonostante, l'applicazione ai paesi in via di sviluppo di analisi macro in economia aperta, che incorporano elementi dualistici e strutturalistici, ha fatto registrare successi assai più grandi delle analisi relative ai paesi industrializzati. (V. anche Meridionale, questione; Sottosviluppo; Sviluppo economico).
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