dubbiare
Il verbo compare soltanto nella Commedia. Con costrutto intransitivo, ha il valore fondamentale di " dubitare ", " essere nel dubbio ", in If XI 93 non men che saver, dubbiar m'aggrata, dove D. già accenna, come più tardi chiarirà in Pd IV 124-132, alla validità del dubbio, a cui riconosce una funzione positiva e dinamica; così in Pd XI 22 Tu dubbi, e hai voler che si ricerna / in sì aperta e 'n sì distesa lingua / lo dicer mio; XXIX 64 e XXXII 49. In particolare, in Pd XIV 99 Come distinta da minori e maggi / lumi biancheggia tra' poli del mondo / Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi, assume il senso di " lasciare, tenere in dubbio ", " quod de Galassia fuerunt variae opiniones " (Benvenuto), come D. stesso ripete in Cv II XIV 5 di quella Galassia li filosofi hanno avute diverse oppinioni, che egli espone seguendo i commenti di Alberto Magno e di Tommaso alle Meteore di Aristotele.
Più probabile il senso di " dubitare con timore ", in Pg III 72 stetter fermi e stretti / com'a guardar, chi va dubbiando, stassi, come chi s'arresta a guardare, sopraffatto da un dubbio su ciò che appare sulla sua strada: infatti le anime degli scomunicati si meravigliano nel vedere i due poeti andare verso sinistra (cfr. Benvenuto: " Et merito poeta fingit quod isti firmaverint se dubitantes, quia isti mirabantur quod ipsi duo soli ibant versus eos multos, relicta vera via ascendendi ad montem, et veniebant tam festini cum ipsi irent tam lenti "), e si fermano timorose perché ignorano le loro intenzioni: così il Casini, lo Scartazzini, il Chimenz e la maggior parte dei commentatori moderni; il Sapegno non è d'accordo nel rilevare nelle anime una disposizione di timore. L'interpretazione del passo è piuttosto controversa secondo l'interpunzione accettata nel testo, come il D'Ovidio riassume in " Studi d. " II (1920) 93-100: mentre Benvenuto attribuiva il dubbio alle anime, il Buti non solo riferì, come poi fece il Tommaseo, il chi va ai due poeti, ponendo fra virgole a guardar chi va, ma anche il dubbiando: " come andavamo Virgilio et io Dante dubitando, che non sapavamo dove andare ", interpretazione quest'ultima che ha trovato un sostenitore sottile nel Torraca.
Con significato affine il verbo ritorna in Pd XXVI 1 Mentr'io dubbiava per lo viso spento, laddove al dubbio che nasce dalla novità del fatto si unisce il timore di non poter riacquistare la vista; il verso potrebbe però anche significare " mentre io stavo sospeso e turbato " per esser vicino a Beatrice e non poterla vedere: si confronti l'epilogo del canto precedente: Ahi quanto ne la mente mi commossi, / quando mi volsi per veder Beatrice, / per non poter veder, benché io fossi / presso di lei, e nel mondo felice! (XXV 136-139). Con la connotazione più precisa di " temere ", d. è in Pg XX 135 Non dubbiar, mentr'io ti guido. Quest'ultimo valore del verbo è documentabile anche in Brunetto Latini Tesoretto 2034 " abbie le mani a corte, / non dubbiar de la morte ".
In tre luoghi l'infinito è sostantivato: sta per " dubbio ", in Pg XVIII 42 ma ciò m'ha fatto di dubbiar più pregno, e in Pd XX 79 al dubbiar mio; si riferisce ai momenti di dubbio e di timore, in If IV 18 Come verrò, se tu paventi / che suoli al mio dubbiare esser conforto?