BONIFACIO, duca e marchese di Toscana
Nato circa il 985, forse a Mantova, era il secondogenito del duca e marchese Tebaldo di Canossa e della contessa Guilla. Professava legge longobarda. Sposò in prime nozze la contessa Richilda, figlia del conte palatino Giselberto degli Obertenghi, già vedova, e in seconde nozze la contessa Beatrice, figlia del duca Federico della Lotaringia superiore. Dalla seconda consorte ebbe tre figli, dei quali sopravvisse soltanto la celebre contessa Matilde. Signoreggiò sui comitati e città di Mantova, Modena, Reggio, Parma e Ferrara (forse anche su Cremona, Piacenza e Brescia), a nord dell'Appennino (marca lombarda o settentrionale?), e dal 1027 anche sulla marca di Toscana.
Fedele alla tradizione politica dei suoi antenati, sostenitori del partito imperiale tedesco nel regno italico contro il partito nazionale, anche B. fu un fervido difensore di Enrico II e di Corrado II in Italia (non ugualmente, però, di Enrico III), combattendo sia contro gli alleati residuali del partito arduinico, sia contro i primi tentativi di moti cittadini, che nella Lombardia e nell'Emilia venivano sfruttando specialmente le lotte tra feudatarî maggiori e imperatori, tra vassalli e valvassori e valvassini, tra feudatarî laici ed ecclesiastici. Come i suoi avi fu favorevole alla feudalizzazione delle cariche ecclesiastiche, che portò alla simonia e alla corruzione del clero.
Della giovinezza sua si sa che passò nelle consuete occupazioni dei figli dell'aristocrazia feudale, negli addestramenti dell'equitazione e della milizia; il padre ebbe cura di affiancarselo ben presto nella sua carica e volle che i feudatarî minori e tutti i suoi dipendenti per ragioni feudali, giurassero fedeltà al suo erede (il primogenito Tedaldo era vescovo di Arezzo), davanti a lui in persona, mentre giaceva sul letto di morte. Tuttavia, nonostante una munifica elargizione del giovane marchese ai suoi vassalli, il dissidio tra lui e i suoi feudatarî minori scoppiò subito dopo la morte del padre, traendo alimento e pretesto dai resti della fazione arduinica, i cui esponenti più accesi riuscirono a lusingare con promesse di cospicue nozze lo stesso minor fratello di B., il milite Corrado, e insieme operarono un tentativo di ribellione, che fu però represso energicamente. Una seconda e sanguinosa rivolta dei feudatarî minori contro il marchese s'infranse a Coviolo, presso Reggio Emilia; questa volta il marchese fu aiutato valorosamente dal fratello Corrado. In questo torno di tempo, B. ebbe altro modo di provare la sua devozione all'imperatore, partecipando con Ariberto di Milano alla spedizione vittoriosa dell'imperatore in Borgogna contro Odone di Blois; in questa occasione il marchese si rivelò valente condottiero. Ma presto anche Ariberto e B. passarono al partito antimperiale. L'arcivescovo riuscì a compiere subito una grande e vasta manifestazione ostile al cesare; il Canossano, invece, per il momento differì l'attuazione del suo segreto disegno, fino a quando, morto Corrado II, gli succedette Enrico III, con il quale B. non fu unito da affinità di carattere e di idealità, come era stato col rude e militaresco suo genitore. L'animo del marchese fu spinto alla ribelle decisione anche dalla sottile e raffinata influenza della sua seconda moglie Beatrice di Lotaringia, cugina di Enrico III e con lui educata alla corte imperiale, ma al medesimo ostilissima; fu Beatrice che facilitò anche l'intesa di B. con Goffredo il Barbuto, che era duca di Lotaringia e uno dei più grandi ribelli contro Enrico, e che poi finì per diventare secondo marito della stessa Beatrice. La rivolta, estesa ai potenti conti di Tuscolo in Roma, a Guimario V, principe di Salerno, e ad alcuni capi normanni dell'Italia meridionale, doveva scoppiare nel 1046-47 in occasione del viaggio di Enrico in Italia per l'incoronazione imperiale, nel quale il marchese di Toscana doveva fare la scorta d'onore e di guerra, conforme a un antico privilegio connesso alla sua carica; poté invece tradursi in atto solo quando l'imperatore era già tornato in Germania, nell'ottobre 1047, allorché B., contro l'ordine di Enrico, si rifiutò di scortare a Roma il nuovo papa imperiale e riformista Damaso II, volendo favorire il deposto Benedetto IX. Ma il tentativo di rivolta fallì e il Canossano dovette tornare alla politica imperiale negli ultimi anni della sua vita, durante i quali si riacuirono gli attriti fra lui e i suoi feudatarî minori; i quali, sia per le vecchie ragioni dell'insanabile antitesi politica, sia perché effettivamente B. ebbe un governo duro e tirannico, ordita una congiura, lo fecero uccidere da due di loro, mentre stava cacciando in un fitto bosco presso S. Martino dell'Argine (Mantova).
Bibl.: A. Falce, Bonifacio di Canossa, padre di Matilde, voll. 2, Reggio Emilia 1926-27 (Collezione: "Canossa" di studi medievali, nn. 2-3).