Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
A Siena il passaggio dall’arte bizantina allo stile gotico si compie in pittura grazie a Duccio di Buoninsegna. Il senso di questo travaglio stilistico si svela nel percorso di Duccio come in nessun altro pittore del tempo: dalla Madonna Rucellai (1285), ancora segnata dalla “maniera greca” di Cimabue, alla Maestà del Duomo di Siena (1308-1311) che celebra l’inizio dell’irripetibile stagione del Trecento pittorico senese.
L’attività di Duccio cade storicamente durante il governo guelfo dei Nove, momento di stabilità politica, pace sociale e sviluppo economico, connotato da grandiose imprese pubbliche. La critica ha dovuto ricostruirne il percorso artistico poggiando su due sole date certe: la Madonna Rucellai del 1285 (Firenze, Uffizi) e la Maestà per il Duomo di Siena documentata tra 1308 e 1311 (Siena, Museo dell’Opera del Duomo). Sono perdute le decorazioni per le tavolette di Biccherna (1279-1285) e la Maestà per la cappella dei Nove a Palazzo Pubblico (1302).
Nel 1285 la compagnia dei Laudesi commissiona a Duccio una grande tavola destinata alla chiesa di Santa Maria Novella di Firenze, trasferita, nel 1570, nella cappella della famiglia Rucellai a cui deve il nome. È il dipinto di maggiori dimensioni del Duecento italiano giunto a noi. È stato attribuito, a partire da Giorgio Vasari e per tutto l’Ottocento, al pittore fiorentino Cimabue). L’equivoco prova i serrati rapporti tra i due pittori. Duccio viene a contatto con Cimabue a Firenze e forse anche ad Assisi, al tempo in cui il pittore fiorentino è impegnato nella realizzazione degli affreschi della chiesa superiore di San Francesco. Precedente diretto per la Madonna Rucellai è infatti la Maestà di Cimabue conservata al Louvre (1285 ca.). Accomunano le due opere lo schema iconografico della Vergine col Bambino benedicente, seduta su un trono collocato in tralice e sorretto da angeli disposti simmetricamente uno sopra l’altro, l’uso del fondo d’oro, la presenza dei busti di santi e profeti nei tondi della cornice, persino il modellato del manto a pieghe strette e avvolgenti. Il temperamento di Duccio si rivela però diverso. La sua esecuzione risulta infatti più raffinata poiché esalta i valori costruttivi della linea e la preziosità dei colori smaltati, e conferisce al volto della Vergine un’espressione dolcissima, diversa da quella imperturbabile della figura di Cimabue. Novità assoluta nella pittura italiana è la resa naturalistica del manto sopra la testa di Maria: non più scandito, come nella Maestà del Louvre, da una serie di innaturali pieghe a mezzaluna, tipiche della tradizione bizantina.
Rispetto a Cimabue, Duccio mostra di essere più addentro alle novità del nuovo linguaggio gotico d’Oltralpe. Ne sono prova il trono della Vergine, formato da un drappo fiorito intagliato sui fianchi con bifore e trifore archiacute, e soprattutto l’andamento sinuoso del bordo dorato del manto. Secondo alcuni studiosi questa conoscenza dell’arte francese e inglese coeva si deve alla presenza di Duccio a Parigi, identificato con un tale “Duch de Siene” (1296) o “Duche le lombart” (1297) ricordato in due documenti parigini. Ma non è necessario cercare le prove di un soggiorno all’estero dell’artista, poiché suggestioni d’Oltralpe sono mediate in Italia attraverso le realizzazioni dei pittori oltremontani attivi nella Basilica superiore di Assisi, o tramite opere come il Crocifisso nella cappella della Pura in Santa Maria Novella, realizzato da un artista inglese o francese, o, soprattutto, grazie alla circolazione a Siena di oggetti di facile trasporto come piccole sculture, avori, taccuini di disegni e miniature francesi.
Questi caratteri eminentemente gotici non compaiono nella Madonna di Crevole (Siena, Museo dell’Opera del Duomo), nella Madonna Gualino (Torino, Galleria Sabauda), nella Madonna di Buonconvento (Buonconvento, Museo d’Arte Sacra) e nel Crocifisso di collezione Odescalchi (Roma), che devono ritenersi pertanto opere giovanili, segnate dalla tradizione bizantina appresa prima in patria e poi a Firenze accanto a Cimabue.
Queste opere presentano tutte elementi della “maniera greca”, quali l’uso del chiaroscuro “compendiario”, incapace di conferire risalto plastico ai corpi, le anatomie schematiche, le fisionomie stereotipate con i nasi adunchi e le mani artigliate, la cuffia rossa sul capo della Vergine (maphórion) e la veste con striature dorate (crisografie).
Ponte tra queste prime opere e la Madonna Rucellai è la piccola Madonna dei francescani (Pinacoteca di Siena), in bilico tra iconografia orientale e gotico occidentale. La Vergine, colta nell’atto di sollevare il manto per fornire protezione ai tre committenti francescani, incarna un precoce esempio di Madonna della Misericordia, un’iconografia diffusa in quegli anni soltanto in aree mediorientali; sono invece espressione del gotico francese il filo dorato che percorre il manto blu della Vergine e il drappo a formelle quadrangolari verdi su fondo bianco che funge da schienale al trono e sostituisce l’irreale fondo d’oro.
Dopo la Maestà fiorentina il pittore riceve, nel 1287, l’importante commissione per la vetrata circolare dell’abside del Duomo di Siena. Sebbene i documenti (1287-1288) non menzionino il nome dell’autore, è certa l’ascrizione a Duccio, specialmente dopo il restauro del 2003. La vetrata evidenzia l’interesse dell’artista per la pittura tridimensionale di Giotto, conosciuto a Firenze e ad Assisi.
Nell’Assunzione, le ali e i piedi degli angeli si sovrappongono alla cornice creando una convincente illusione spaziale; nell’Incoronazione della Vergine e nei Quattro evangelisti Duccio introduce troni giotteschi e marmorei in sostituzione di quelli lignei, una soluzione replicata nella piccola Maestà di Berna (Berna, Kunstmuseum).
L’opera di Giotto suscita in Duccio un’attenzione sempre maggiore verso la realtà che si traduce nella profonda umanizzazione delle figure. Nella Madonna della collezione Stoclet (oggi a New York, Metropolitan Museum), nella Madonna della Galleria Nazionale di Perugia, nei trittici della National Gallery di Londra e delle collezioni della regina d’Inghilterra, nel Polittico n. 28 della Pinacoteca di Siena, i personaggi vengono ritratti senza ricorrere alle irreali fisionomie bizantine, la cuffia rossa sul capo della Vergine è sostituita da un elegante velo chiaro, e i colori, spenti e trasparenti nelle opere precedenti, diventano accesi e compatti.
Questi sviluppi stilistici convergono nel capolavoro di Duccio, la Maestà per il Duomo di Siena, già iniziata nel 1308 e terminata nel 1311. Da una cronaca trecentesca siamo informati del trasporto della tavola dalla bottega del pittore alla cattedrale con una solenne processione alla quale prendono parte le massime autorità cittadine.
La pala assume un significato religioso e politico. Dal 4 settembre 1261, vigilia della battaglia di Montaperti, che vedrà i Senesi vittoriosi sui Fiorentini, la città si è affidata alla protezione della Vergine, invocata anche sul gradino del trono della Maestà: ““Santa Madre di Dio, sii causa di pace per Siena, sii causa di vita per Duccio, poiché ti dipinse così””.
Collocata sull’altare maggiore, la tavola viene dipinta su entrambi i lati per essere vista dai fedeli lungo la navata e dal clero nella zona absidale. Ai primi si mostra la Vergine col Bambino assisa in trono, affiancata da angeli e santi, tra i quali, in primo piano, i protettori di Siena inginocchiati (sant’Ansano, san Savino, san Crescenzio e san Vittore). Al clero si mostra il tergo con 26 Storie della Passione di Cristo. Rimossa dal duomo nel 1505 e smembrata nel 1771, la pala è ornata da predelle e coronamenti, divisi oggi tra Siena e diversi musei del mondo. Raffigurano, seguendo il senso di lettura, Storie dell’infanzia (predella anteriore) e della vita pubblica di Cristo (predella posteriore), episodi post mortem (coronamento posteriore) e Vita della Vergine (coronamento anteriore). I due lati, rappresentando le vicende dell’Incarnazione e della Passione, sono simbolicamente legati dal concetto di Salvezza, e rivelano una progettazione elaborata alla quale forse partecipa Ruggero da Casole, vescovo di Siena dal 1307 al 1317.
La Maestà mostra la complessa cultura figurativa di Duccio. Nella parte anteriore traspaiono infatti sia la ieraticità bizantina, nelle grandi dimensioni di Madre e Figlio rispetto ad angeli e santi, disposti secondo semplici effetti di simmetria in tre schiere orizzontali allineate, sia le influenze del gotico, evidenti nella decorazione, nella gamma cromatica calda e preziosa, nella raffigurazione del trono, non più collocato in tralice ma frontalmente, secondo la moderna impaginazione trecentesca. Anche nelle Storie della Passione, nelle predelle e nei coronamenti, gli schematismi delle icone bizantine si stemperano nella forte espressività dei protagonisti – ispirati dalle concitate sculture di Giovanni Pisano a Siena dal 1284 al 1297 –, negli inserti naturalistici e nelle complesse articolazioni spaziali, dove non è raro riconoscere luoghi della Siena coeva, come nell’Ingresso di Cristo a Gerusalemme.
Evidenti scarti qualitativi tra il tergo della Maestà e le predelle invitano a riflettere, a queste date, sulla bottega controllata da Duccio. Sono tantissimi gli allievi che continuano a operare nel segno del maestro fin quasi a metà secolo, testimoniando quanto la sua arte abbia incontrato il favore della committenza. Tre generazioni di pittori “ducceschi” tra i quali meritano un ricordo il Maestro di Badia a Isola, Segna di Bonaventura, Ugolino di Nerio e Bartolomeo Bulgarini. Giovani apprendisti in quella bottega saranno anche Simone Martini, Pietro Lorenzetti e forse suo fratello Ambrogio, vale a dire i protagonisti della pittura gotica europea del XIV secolo.
Alla tarda attività di Duccio viene attribuito un affresco frammentario, rinvenuto nel 1980-1981 durante un restauro nella sala del Mappamondo nel Palazzo Pubblico di Siena, sotto l’affresco col Guidoriccio da Fogliano di Simone Martini. Dovrebbe trattarsi della Consegna del Castello di Giuncarico, episodio storico menzionato in un documento d’archivio del 1314. Le due figure che vi compaiono rappresentano il signore locale e un emissario della Repubblica di Siena venuto a prendere in consegna il castello. Sarebbe questa l’unica opera a noi nota eseguita da Duccio con la tecnica dell’affresco, realizzata poco prima della morte.