DUCCIO di Donato
Documentato a Siena tra la fine del sec. XIII e il secondo decennio del successivo, non si conoscono i suoi estremi biografici (per i documenti citati all'interno della voce cfr. Cioni, 1987).
La prima testimonianza relativa all'artista è il pagamento di una tassa nel 1291 (1290 stile senese); tale documento, in cui egli viene definito "orafo", consente di situare la data di nascita non oltre il settimo decennio del Duecento, come recentemente ribadito (ibid.).
D. appare nuovamente documentato nel 1307 a Siena "per uno chalicie per l'altare de Singniori Nove" e per il restauro delle lampade d'argento dello stesso altare, mentre nel 1309 ricompra un calice - ma è poco verosimile che sia lo stesso da lui eseguito due anni prima - appartenuto allo stesso altare, forse per fonderlo e ricavarne uno nuovo (ibid.).
Nel 1310 è documentato per la vendita di un terreno preceduta di qualche giorno dall'acquisto di un altro appezzamento nel territorio parrocchiale di S.Angelo al Montone a Siena, mentre nel 1311 0 1312 risulta tra gli abitanti della parrocchia senese di S. Salvatore di Sopra.
Un ultimo documento, del 1318, può riferirsi a lui, come sembra probabile, come pure a un suo omonimo.
L'unica opera firmata pervenutaci e un calice in argento dorato (Gualdo Tadino, Istituto Bambino Gesù) decorato sul piede e sul nodo da placchette a smalto traslucido con parti risparmiate. L'opera reca l'iscrizione "Duci/us. D/onati./e soti [sic]/fecie/rot me".
La critica vi ha concordemente ravvisato forti influenze tipologiche e iconografiche del calice di Guccio di Mannaia donato da Niccolò IV alla basilica di S. Francesco ad Assisi (Assisi, Tesoro del sacro convento), oltre a forti legami con un gruppo di smalti del secondo decennio del Trecento, come la placchetta anonima con Madonna col Bambino in trono tra i ss. Pietro e Paolo (Firenze, Museo nazionale del Bargello, coll. Carrand), il calice londinese firmato dai senesi Tondino di Guerrino e Andrea Riguardi (Londra, British Museum), anche tipologicamente assai prossimo a quello di Gualdo, e altre opere attribuite a questi artisti.
La personalità di D. emerge però chiaramente, nel calice di Gualdo, per i forti richiami alla contemporanea pittura senese e soprattutto a Duccio di Buoninsegna, che contrastano con i francesismi presenti in Guccio di Mannaia e in parte ereditati da Tondino di Guerrino. La datazione proposta per il calice al 1315 (Cioni, 1987) situerebbe l'artista tra le due generazioni a cui appartengono gli orafi senesi nominati e ne farebbe uno dei protagonisti di un'importante tappa nell'evoluzione della tecnica a traslucido a Siena.
Tondino di Guerrino e Andrea Riguardi sono anzi supposti (ibid.) allievi di D., forse i "soti" di cui parla l'iscrizione sul calice di Gualdo, in una fase dunque precedente all'affermazione delle loro caratteristiche stilistiche personali, già evidenti nel calice al British Museum che, del resto, non può essere datato avanti il 1317 (Leone de Castris, 1984).
Un calice con patena firmato da D. ma non conservato è documentato a Pistoia durante una visita pastorale del 1372 (Bacci, 1903 e 1907); un ulteriore calice con patena, pure firmato e anch'esso perduto, risultava presente. in un inventario del 1430 nel Tesoro del sacro convento di Assisi.
All'artista senese è stato inoltre attribuito (Leone de Castris, 1984) un ostensorio in argento dorato, detto Reliquiario di s. Pietro, conservato a Malta (La Valletta, concattedrale di S. Giovanni Evangelista; cfr. The Treasure of the conventual church of St. John at Malta, in Connoisseur, CLXXIII [1970], 696, pp. 103 fig. 7, 105), che rimonterebbe a un periodo anteriore al calice di Gualdo, corrispondente alla fase del trapasso tra champlevé e traslucido nella tecnica degli smalti a Siena.
Assai vicine all'ostensorio di Malta due placchette (Londra, British Museum, inv. 1983-4-3 1,2) con, rispettivamente, S. Paolo e Madonna dolente su argento, eseguite a traslucido con figure risparmiate, e altre dodici placchette conservate ugualmente a Londra (Victoria and Albert Museum, inv. n. 249- 1874) e pure riferite (Leone de Castris, 1984) a Duccio di Donato.
Fonti e Bibl.: E. Berteaux L'esposizione d'Orvieto e la storia delle arti, in Arch. stor. dell'arte, s. 2, II (1896), p. 418; Congresso eucaristico ed Esposizione di arte sacra antica in Orvieto, a cura di P. Zampi, Orvieto 1897, pp. 368 s.; P. Bacci, Cinque documenti pistoiesi per la storia dell'arte dei secc. XIII, XIV e XV, Pistoia 1903, p. 19 doc. VI; Id., Per maestro D. di D., orafo senese, in Arte e storia, XXVI (1907), p. 105; U. Gnoli, Oreficeria alla mostra di Perugia, in Emporium, XXV (1907), p. 442; I. Machetti, Orafi senesi, Siena 1929, pp. 14 s.; P. Toesca, Storia dell'arte italiana. Il Trecento, Torino 1951, pp. 894 n. 120, 905; E. Cioni Liserani, in Il gotico a Siena... (Siena; catal.), Firenze 1982, pp. 121 ss.; E. Taburet, in L'art gothique siennois (Avignone; catal.), Firenze 1983, pp. 79 s., 151 s.; Id., Une croix siennoise, in La Revue du Louvre, XXXIII (1983), 3, pp. 188-198; P. Leone de Castris, Trasformazione e continuità nel passaggio dello smalto senese da champlevé a traslucido, in Smalti traslucidi italiani, Atti della prima giornata di studio, Pisa 1983, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, classe di lettere e filosofia, s. 3, XIV (1984), 2, pp. 533-556; E. Cioni, Per l'oreficeria senese del primo Trecento: il calice di "D. di D. e soci" a Gualdo Tadino, in Prospettiva, 1987, n. 51, pp. 56-66; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon ..., X, p. 29.