DUFOUR
Famiglia di imprenditori. Il capostipite Laurent (Parigi 1763 - Torino 1827), funzionario alla corte di Luigi XVI, venne a stabilirsi a Torino nel corso della Rivoluzione francese come membro del seguito del conte d'Artois (il futuro re Carlo X); nella capitale sabauda egli apri un albergo e un ristorante. Sposato con Elisabeth Hugues, ebbe tre figli, di cui il primogenito Lorenzo (Torino 1798-Genova 1853) si può considerare l'iniziatore delle attività industriali della famiglia.
Compiuti gli studi tecnici a Torino, Lorenzo decise di non seguire l'attività paterna e si impiegò, nel 1822, presso una casa commerciale di Mondovì e successivamente fu alle dipendenze, come commesso viaggiatore, di una ditta di Novara. Nel 1824 sposò Luisa Bocca, figlia di un ricco libraio torinese e, nello stesso anno, grazie ad un'anticipazione di L. 25.000 da parte del padre, diede inizio ad un'attività commerciale in proprio, come socio di minoranza della ditta Pierre Razzetti e Co. Nel 1829 la ditta, che pure si trovava in prospere condizioni, venne sciolta per decisione unilaterale del Razzetti. Lorenzo, venutosi a trovare senza occupazione, decise di mutare completamente campo di attività e prese ad interessarsi al settore della raffinazione dello zucchero, che in quegli anni andava conoscendo un discreto sviluppo, localizzato soprattutto nelle città portuali. La scelta per quest'ambito di produzione è da mettere in relazione con l'incontro, avvenuto in circostanze imprecisate, fra il D. e Fr. Allard, raffinatore di zucchero marsigliese, dotato di prolungata esperienza. Nel 1830 Lorenzo comprò, per la somma di 20.000 lire, capitale la cui disponibilità gli derivava dalla vendita di alcune proprietà immobiliari ereditate dalla moglie, una vecchia palazzina a Sampierdarena, nelle immediate adiacenze di Genova, dove, coadiuvato dall'Allard, impiantò una raffineria.
La famiglia, cui nel frattempo si erano aggiunti tre figli, Lorenzo (nato a Torino nel 1825), Maurizio (n. a Torino 1826) e Carlo (n. a Torino 1827), si trasferì a Genova, ove il D. acquistò una casa nel centro della città e una villa a Sampierdarena. I primi anni di attività della raffineria diedero buoni risultati e la fabbrica venne dotata di un negozio per lo smercio al minuto dello zucchero. Il raffinato prodotto a Sampierdarena era di ottima qualità e molto apprezzato dai consumatori, tanto che il D. meritò alcuni premi della Camera di commercio di Genova.
Chiusa nel 1840 la raffineria di Sampierdarena a causa di un abbassamento del dazio doganale sugli zuccheri di importazione, Lorenzo reinvestì parte del discreto capitale accumulato in alcune proprietà immobiliari (tre edifici per abitazione di grandi dimensioni) e, dimostrando notevole versatilità imprenditoriale, diede vita ad una società di navigazione. L'impresa però, dopo un breve periodo di stentata attività dovuta alla scarsa competenza di Lorenzo in questo campo, venne liquidata nel 1842. L'anno successivo, alla conclusione della breve parentesi armatoriale, Lorenzo tornò ad operare nell'ambito della produzione manifatturiera. Optò nuovamente per il settore chimico in cui, nonostante non possedesse alcun titolo di studio specifico, aveva acquisito, grazie ai dieci anni dedicati alla raffinazione saccarifera, una notevole pratica. Nel 1843 egli aprì, nei locali della ex raffineria, una piccola industria di sali di chinino nella quale erano impiegati una quindicina di operai. Nel 1844 gli venne conferita all'Esposizione di Torino la medaglia d'argento a seguito dell'unanime riconoscimento della purezza del suo prodotto.
Lorenzo dedicò particolare attenzione all'istruzione dei quattro figli maschi (la figlia Amalia, come tutte le altre esponenti femminili della famiglia, non ebbe mai alcuna parte negli affari); Lorenzo [III], Maurizio, Carlo e Luigi (nato a Genova nel 1830) si laurearono infatti rispettivamente in ingegneria, legge, chimica e botanica e alla metà del secolo vennero inviati a compiere viaggi di istruzione a Parigi, in Inghilterra e, nel 1852, in America meridionale.
Nel corso degli anni Cinquanta, in una congiuntura che segna un notevole progresso di tutta la compagine industriale genovese, la fabbricazione dei sali di chinino di Lorenzo ebbe forte espansione.
Da una produzione iniziale di 220 kg per un fatturato di L. 110.000 si arrivò, nel 1853, ad uno smercio annuo di 577 kg e il fatturato salì a L. 250.000. Il D. cercò anche, sfruttando la rete di contatti dovuta ai viaggi dei figli, di far conoscere all'estero la sua produzione; alcuni campioni del chinino fabbricato a Sampierdarena vennero infatti presentati con successo alle esposizioni di Londra e New York.
L'attività produttiva, data la modestia delle dimensioni aziendali, non assorbì tutti i capitali della famiglia. Nel 1851 Lorenzo si impegnò anche, secondo una politica di investimento già evidenziatasi nel decennio precedente, in una grande operazione immobiliare e acquistò, per L. 75.000, un'area nel centro di Genova, ove iniziò la costruzione di tre grandi palazzi. Alla morte di Lorenzo, avvenuta a Genova nel 1851 i D. erano quindi un gruppo piuttosto irnportante, i cui interessi imprenditoriali si incentravano nella produzione chimicofarmaceutica e nel settore edilizio.
La fabbrica di chinino, che prese il nome di Ditta Fratelli Dufour, e i lavori per il completamento degli edifici rimasero affidati a Lorenzo [III], Carlo e Luigi, mentre Maurizio, che sempre aveva dimostrato poca inclinazione per gli affari, si ritirò definitivamente nel 1860 per dedicarsi alla pittura e all'insegnamento delle materie artistiche.
Nel 1862 i fratelli Dufour ampliarono le loro attività nel settore chimico e con successo affiancarono alla produzione dei sali di chinino quella della mannite; per qualche tempo tentarono, senza però grandi fortune, anche la produzione del sapone, dell'acido citrico e dell'estratto di tamarindo. Sempre nella prima metà degli anni Sessanta la famiglia ingrandì il già cospicuo patrimonio familiare con l'acquisto di una grande villa a Cornigliano, poco distante dalla fabbrica.
Nel tempo lasciato libero dagli impegni di lavoro i D. si dedicarono ad attività di pubblico interesse e agli studi. Lorenzo ricoprì, dal 1860 al 1864, la carica di sindaco di Cornigliano e di assessore nella giunta comunale di Genova; compì inoltre ricerche di economia politica. Il fratello Carlo fu assessore al Comune di Cornigliano e insegnante di chimica alle scuole tecniche di Genova.
Morto Lorenzo nel 1867, restarono a condurre la fabbrica di mannite e chinino i soli Carlo e Luigi, essendo i nipoti ancora in minore età.
Nel corso dei primi anni Settanta la ditta Fratelli Dufour entrò in un periodo di crisi dovuto alla concorrenza esercitata da altri produttori e in particolare dalla Fabbrica lombarda di prodotti chimici, sorta a Milano in quegli anni ad opera di capitali tedeschi. A causa delle difficoltà incontrate nel settore chimico Carlo e Luigi decisero di diversificare i loro interessi produttivi e costituirono, in società con i Bruzzo, altra importante dinastia imprenditoriale genovese con la quale i D. avevano legami di parentela, una ditta per la produzione dell'olio di semi. L'oleificio, di piccole dimensioni, venne installato nel giardino della fabbrica di Sampierdarena, dove rimase per circa un decennio, fino a quando, nel 1882, fu venduto.
A risollevare le sorti dell'impresa chimica della famiglia intervenne nel 1877 la guerra russo-turca, che fece lievitare i prezzi del chinino (il prezzo di vendita salì da 800 a 2.000 lire al kg) grazie alla crescente domanda da parte degli eserciti. I D., che nel 1876 erano riusciti a stringere un accordo con la Fabbrica lombarda, di cui Carlo era diventato membro del consiglio di amministrazione, furono in grado di ap]2rofittare di questa congiuntura in quanto la società milanese era una delle principali fornitrici dell'esercito russo e, non riuscendo da sola a far fronte alla richiesta, girò parte delle ordinazioni alla fabbrica di Sampierdarena. Gli alti profitti così realizzati furono in parte reinvestiti in azioni della Ligure lombarda, impresa che si dedicava dal 1872 alla raffinazione dello zucchero, settore che aveva segnato l'inizio delle attività industriali del gruppo. I D. entrarono infatti, alla fine degli anni Settanta, a far parte del consiglio di amministrazione della società, trovandosi così a contatto con i più importanti rappresentanti degli ambienti industriali e finanziari lombardo-genovesi, dagli Erba ai Bombrini.
Con la cessazione, nel 1878, degli eventi bellici la domanda di sali di chinino calò drasticamente e l'impresa di Sampierdarena conobbe nuove difficoltà aggravate dal coinvolgimento, nel 1882, di Carlo nel processo per il fallimento della Fabbrica lombarda.
Appena superata questa vicenda entrarono nelle attività produttive i figli di Lorenzo: Lorenzo [IV] (nato a Genova nel 1856) e Gustavo (nato a Genova nel 1857), laureati l'uno in chimica e l'altro in ingegneria navale; il terzo figlio maschio Alessio, nato nel 1862 prese gli ordini religiosi. L'immissione di energie fresche, venuta a coincidere con una fase di generale progresso dell'industria genovese, segnò l'avvio di un periodo di notevole dinamismo che si concretizzò, negli anni compresi fra il 1883 e il 1890, in un consolidamento dell'impresa già esistente e in un marcato e progressivo dilatarsi degli interessi imprenditoriali della famiglia.
Nel 1883 i D., ancora in unione con i Bruzzo, investirono circa L. 1.000.000 nel settore armatoriale con l'acquisto delle navi a vapore della G. B. Lavarello e C., vecchia società di navigazione genovese i cui fondatori rinunciavano a proseguire la attività, e, nel 1884, furono fra i sottoscrittori del capitale di una società di servizi pubblici. Nel 1885 la fabbrica chimica Fratelli Dufour entrò nel trust promosso dal banchiere tedesco Corrado Andreae e riuscì ad assicurarsi per alcuni anni la fornitura di chinino allo Stato. Nel 1886 i D. ampliarono la loro gamma produttiva iniziando, sempre nei locali dell'impianto di Sampierdarena, la lavorazione degli estratti di campeccio per la tintura e, nel 1888, di quelli concianti di quebracho. In questo stesso anno parteciparono, insieme ai Bozano e ai Bozzo Costa, altri importanti rappresentanti della borghesia industriale genovese, alla costituzione di una società molitoria. Altro settore su cui puntarono fu quello siderurgico. Nel 1889 affiancarono infatti Lorenzo Bruzzo nel potenziamento della ferriera di Bolzaneto, di proprietà dei Bruzzo, dove allestirono, dopo che Gustavo ebbe compiuto un accurato viaggio di studio nei principali laminatoi tedeschi e francesi, un nuovo reparto specializzato nella lavorazione di lamiere sottili.
La consistenza complessiva degli investimenti effettuati nel corso degli anni Ottanta era, secondo una stima riferita al 1890, intorno a L. 1.700.000, cifra di tutto rispetto che testimonia la solidità economica raggiunta dal gruppo. L'armamento, con L. 1.200.000 di investimento, rappresentava il settore in cui in maniera predominante si concentravano, sempre nel 1890, gli interessi della famiglia., Difficile spiegare le ragioni di questo rinnovato impegno in ambito marittimo, soprattutto se si considerano le delusioni che erano derivate in epoca precedente a Lorenzo [II] da un'analoga impresa in tale campo. Una spiegazione iniziale può essere individuata nel legame fra i D. e i Bruzzo, la cui prima manifestazione si ebbe, all'inizio degli anni Settanta, con l'attivazione dell'oleificio di cui si è detto. I Bruzzo erano infatti fra i principali azionisti della G. B. Lavarello e C. e loro fu probabilmente l'iniziativa, del 1883, di rilevare la flotta sociale al momento del ritiro dei Lavarello. Resta comunque il fatto che a partire dal 1883 fino alla fine del decennio - arco di tempo contrassegnato da un forte aumento del flusso migratorio verso i paesi transoceanici (fra il 1883 e il 1890 infatti il ritmo dell'emigrazione italiana verso le Americhe risultò triplicato rispetto a quello degli otto anni precedenti) e dall'approvazione di provvedimenti legislativi, come la legge Boselli del 1885, che sovvenzionavano l'armamento nazionale - molti elementi di spicco della borghesia genovese, già impegnati nel campo dell'industria e della finanza, si lanciarono con decisione nell'esercizio di linee di navigazione, creando nuove società armatoriali o rilevando quelle già esistenti. L'impegno dei D. nel settore armatoriale può quindi essere considerato come un esempio erablematico dell'orientamento generale del periodo.
Nel corso degli anni Novanta, in un contesto nazionale travagliato, per quasi tutto il decennio, da gravissime difficolta economiche. la famiglia liquidò progressivamente gli investimenti sia nel settore armatoriale (la flotta Dufour Bruzzo venne ceduta alla Veloce, società di navigazione formatasi a Genova nel 1887), sia in quello siderurgico; nel 1897 fu infatti sospesa la produzione di lamiere della ferriera di Bolzaneto. I D. (nel 1890 morì Carlo e a lui subentrò il figlio Lorenzo, nato a Genova nel 1869 e laureato in chimica) mantennero invece la produzione chimico-farmaceutica, settore in cui riuscirono ad ottenere risultati di rilievo, non tanto sotto il profilo dello sviluppo delle dimensioni aziendali (la Fratelli Dufour rimase una piccola ditta a conduzione familiare e solo nel 1902 venne trasformata in accomandita, con un capitale di 300.000 lire), quanto in relazione ad un significativo miglioramento della gamma produttiva. Nel 1894 infatti Lorenzo [IV] riuscì, dopo numerose prove di laboratorio, a mettere a punto un processo grazie al quale poté ottenere un estratto di quebracho solubile a freddo, che risultò assai più adatto per la concia di quello solubile a caldo fino ad allora prodotto.
Al momento di chiedere il brevetto per poter sfruttare industrialmente l'innovazione Lorenzo scoprì però di essere stato appena preceduto da Roberto Lepetit, industriale farmaceutico di origine belga che aveva a Milano una ditta per la produzione di estratti concianti dal quebracho e dal castagno. I D., per evitare una contesa che si sarebbe rivelata sicuramente lunga e dispendiosa, decisero di accordarsi con Lepetìt che, pur riservandosi la proprietà del brevetto, concesse ai D. l'esclusiva per la fabbricazione dell'estratto.
L'interesse di Lorenzo per una maggiore specializzazione della ditta di famiglia nell'ambito degli estratti conciati era da mettere strettamente in relazione con un'altra sua iniziativa imprenditoriale. Nel 1893 infatti egli, insieme col fratello Gustavo, aveva impiantato a Borzoli, località non distante dalla fabbrica chimica, una conceria, denominata L. & G. Dufour, nella quale intendeva utilizzare gli estratti della Fratelli Dufour.
Negli anni immediatamente successivi all'apertura della conceria lo'stesso Lorenzo sperimentò con successo un nuovo metodo di lavorazione, consistente nel tenere in continuo movimento il liquido conciante in cui erano immerse le pelli grezze. Questo sistema, ancora oggi in uso, permetteva di ridurre i tempi di concia a circa due mesi rispetto ai nove o dieci occorrenti con il metodo fino ad allora praticato.
Successivamente alla ratifica della convenzione con il Lepetit, che sarebbe scaduta nel 1908, i D. presero in esame l'ipotesi di ingrandire il vecchio stabilimento di Sampierdarena e, nel 1899, la famiglia investì una cospicua somma, circa 400.000 lire, nell'acquisto di aree fabbricabili a Cornigliano. Sospeso, per motivi difficilmente accertabili, il trasferimento della fabbrica, quest'area venne venduta a vantaggiose condizioni all'Ansaldo.
Con l'inizio del secolo XX le redini delle attività del gruppo rimasero completamente in mano alla terza generazione. Accanto a Lorenzo, Gustavo e Lorenzo di Carlo, entrarono infatti nella ditta Maurizio e Luigi (nati il primo nel 1863 e il secondo nel 1865), figli di Luigi, morto nel 1901. Gli altri tre figli di quest'ultimo, Giuseppe, Angelo e Carlo, si staccarono dall'impresa familiare e diedero vita ad iniziative produttive in proprio, sia nel settore chimico (fabbricarono per qualche tempo solfato di rame e bleu di Prussia) sia in quello alimentare, specializzandosi nella produzione di marmellate e mostarde. Tutte queste imprese ebbero però scarso successo e furono liquidate negli anni successivi alla Grande Guerra.
Il fatto caratterizzante del primo decennio del Novecento fu costituito dall'attuazione di un progetto finalizzato al conseguimento di una sorta di integrazione verticale del ciclo produttivo. Per garantirsi il rifornimento del legno di quebracho, materia prima utilizzata dalla fabbrica di estratti di Sampierdarena, e di pellami, da lavorare nella conceria di Borzoli, i D. acquistarono nel 1902 una piantagione di 200 km2 nel Chaco, che venne dotata di una ferrovia, di segherie e di un grande allevamento di bestiame. Nello stesso anno, per seguire più da vicino l'amministrazione della azienda agricola, la Fratelli Dufour aprì un'agenzia a Buenos Aires. I costi di gestione della colonia argentina si rivelarono però troppo onerosi e la proprietà fu venduta nel 1908; venne invece mantenuta l'agenzia a Buenos Aires, i cui compiti furono ridimensionati al semplice acquisto dei tronchi direttamente sul mercato.
Il fallimento di questo ambizioso disegno fu in parte compensato dal rinnovo, avvenuto nello stesso 1908, dell'accordo con i Lepetit. Il nuovo patto, la cui scadenza venne fissata al 1918, oltre a mantenere le vecchie condizioni prevedeva anche una partecipazione dei D. ai profitti derivanti dalla conimercializzazione degli estratti di quebracho e castagno, effettuata tramite le strutture di vendita della ditta milanese. Per l'adempimento di questa clausola, che si profilava assai vantaggiosa, venne fondata la Società anonima Dufour-Lepetit, con un capitale di 50.000 lire.
All'inizio della prima guerra mondiale i D. per non esporsi all'eventualità di gravi ritardi, se non addirittura della sospensione, degli invii delle materie prime acquistate in America dai loro agenti, noleggiarono e comperarono numerosi velieri.
La famiglia, che aveva effettuato un investimento di quasi 13.000 lire, arrivò nel corso della guerra a possedere una decina di vettori. L'acquisto delle navi a vela non rivelava certo una concezione armatoriale d'avanguardia (i D. vengono menzionati dai testi di storia della navigazione come gli ultimi armatori a vela italiani) e fu determinato dal bassissimo prezzo di questo tipo di navi, divenute obsolete per l'affermazione ormai generalizzata della navigazione a vapore. Ancor meno lungimirante si dimostrò la scelta dei tempi e tutta l'operazione si risolse in un disastro ben peggiore del rischio che si era cercato di evitare: nel corso del conflitto la flotta dei D. venne infatti quasi interamente silurata o requisita dallo Stato.
Nonostante le gravissime difficoltà incontrate nell'ambito armatoriale (oltre alla perdita di gran parte delle navi si dovettero sopportare forti esborsi per pagare gli altissimi premi di assicurazione dei velieri rimasti in esercizio; nel secondo dopoguerra le poche unità navali ancora di proprietà dei D. vennero adibite a magazzini e furono poi demolite intorno al 1930), gli anni bellici segnarono una congiuntura complessivamente prospera per lealtre imprese dei D. che poterono avvantaggiarsi del notevole aumento dei prezzi delle cuoia, e per conseguenza degli estratti concianti, dovuto al dilatarsi della domanda di questi generi per le esigenze di rifornimento dell'esercito.
La guerra diede luogo anche ad un'altra occasione di profitto che i D. furono pronti a cogliere. Infatti la totale sospensione dei rapporti commerciali con la Germania impresse un momentaneo impulso alla richiesta degli estratti di campeccio per la tintura dei tessuti, prodotto che i D. erano stati costretti ad abbandonare in quanto reso obsoleto dalla diffusione dei coloranti a base di anilina di produzione tedesca.
Nell'arco di tempo compreso fra la fine della guerra e la grande crisi le attività imprenditoriali dei D. presentarono un profilo evolutivo caratterizzato dall'allargamento degli interessi in altri settori e da alcune modifiche apportate agli assetti gestionali e produttivi dell'impresa chimica. All'inizio degli anni Venti venne acquistata nell'entroterra ligure una cava di calcare con annessa una fabbrica di cemento. La nuova impresa, del tutto priva di integrazione con le altre attività tradizionali del gruppo, si rivelò però ben presto fallimentare poiché i D., che non possedevano alcuna competenza specifica nel campo, non furono in grado di valutare l'estrema povertà e l'eccessiva profondità dei filoni, che non poterono essere sfruttati neppure dopo l'acquisto di apparecchiature costose e sofisticate.
La famiglia fu così costretta, per evitare la completa perdita del capitale investito, a trasformare la fabbrica di cemento in fornace di calce idraulica, che incontrò anch'essa gravi difficoltà dovute alla distanza dell'impianto dai mercati di consumo e, sopprattutto, alla caduta della domanda di prodotti per l'edilizia a causa della grande crisi.
Altro importante cambiamento riguardò l'impresa chimica: nel 1926 la vecchia accomandita Fratelli Dufour, nella quale erano occupati un centinaio di operai, venne trasformata in Società anonima Fratelli Dufour con L. 300.000 di capitale sociale e. pur mantenendo la produzione di mannite ed estratti di quebracho, si diede inizio all'estrazione del tannino dalla corteccia di castagno e alla lavorazione delle radici della pianta di liquerizia.
Per trovare una migliore utilizzazione dei sughi di liquerizia, difficili da smerciare allo stato puro, i D. decisero di sperimentare, nello stesso stabilimento di Sampierdarena, la fabbricazione di pastiglie a base di gomma arabica e zucchero aromatizzate con la liquerizia. Il tentativo, attuato con metodi molto artigianali, non diede i risultati sperati e fu quasi subito interrotto ma rappresentò comunque il primo passo compiuto dalla famiglia nell'ambito alimentare dolciario.
Uno dei soci della Fratelli Dufour, Gustavo, figlio di Lorenzo [III], decise però di riprendere in proprio la produzione delle caramelle e, nel 1927, aprì a Cornigliano la Fabbrica di caramelle S. Giacomo, la cui gestione fu affidata ai figli Gian Luigi (nato nel 1891), Alfonso (nato nel 1894), entrambi laureati in chimica, e Alessio (nato nel 1904). I primi anni di vita della nuova impresa, che impiegava una trentina di operai, furono piuttosto stentati data la difficoltà di inserirsi in un mercato ristretto (le caramelle e i prodotti dolciari in generale erano all'epoca un genere voluttuario e destinato pertanto ad una fascia di consumatori molto esigua) e già quasi saturato da aziende di più vecchia costituzione.
La fabbrica, nell'impossibilità di promuovere un'adeguata campagna pubblicitaria, che sarebbe stata troppo onerosa, dovette limitarsi ad una produzione destinata al solo mercato locale con risultati finanziari appena sufficienti a coprire le uscite.
Nel 1929, scaduto l'accordo con la Lepetit, i D., che dato il momento di crisi economica non si sentivano in grado di proseguire da soli nella gestione dell'impianto, decisero di estendere la convenzione con i soci milanesi anche alla lavorazione e la Dufour-Lepetit venne trasformata da semplice società di vendita in società industriale, con un capitale di L. 7.500.000 diviso, così come le cariche nel consiglio di amministrazione, fra i due soci in parti uguali. La Fratelli Dufour s. a. fu trasformata in Immobiliare Dufour, società anonima con L. 300.000 di capitale, il cui scopo era lo sfruttamento mediante affitto degli immobili sociali, la fabbrica chimica di Sampierdarena appunto, che fu data in locazione alla Dufour-Lepetit.
I D. non rinunciarono comunque a mantenere in proprio alcune attività nel settore chimico; nello stesso 1929 infatti acquistarono una piccola fabbrica a Borzoli, sempre nel Ponente genovese, ove trasferirono Parte delle lavorazioni precedentemente effettuate a Sampierdarena. La nuova impresa, che aveva una gamma produttiva limitata alla mannite, agli estratti di legno quassio, di liquirizia e di varie altre cortecce, prese il nome di Lorenzo Dufour.
All'inizio degli anni Trenta le attivita imprenditoriali del gruppo riguardavano pertanto, oltre alla partecipazione alla Dufour-Lepetit, la gestione della Conceria L. e G. Dufour e la fabbrica chimica Lorenzo Dufour, nelle quali erano interessati tutti i membri dei tre rami della famiglia, mentre le Caramelle S. Giacomo erano di proprietà del solo Gustavo.
La guerra di Etiopia rappresentò per le imprese dei D. una congiuntura particolarmente favorevole a causa, ancora una volta, dell'aumento delle vendite dovuto alle forniture militari. Per la fabbrica di caramelle, che fino a quella data aveva trascinato una vita piuttosto stentata, l'andamento positivo si potrasse anche dopo il termine delle operazioni belliche, grazie alle esportazioni nella nuova colonia. Per far fronte all'accresciuta domanda nel 1937 si procedette ad un ampliamento della fabbrica di Cornigliano e ad un completa automatizzazione degli impianti; la gamma produttiva venne inoltre rinnovata e fu messa in lavorazione una nuova linea di prodotti, commercializzata con il marchio Dufour, più raffinati per qualità e tipo di presentazione.
Una sensibile battuta di arresto si ebbe con la seconda guerra mondiale date le difficoltà inerenti alle forniture di materie prime, situazione che fu particolarmente incisiva nel caso della conceria che lavorava quasi esclusivamente le pelli importate dall'Argentina.
L'impresa dolciaria, sempre a causa dell'impossibilità di reperire gli ingredienti e i materiali per gli imballaggi, fu costretta a sospendere del tutto la produzione. Inoltre, l'impianto di Comigliano venne gravemente danneggiato dai bombardamenti e i macchinari furono smontati e nascosti per sottrarli alle razzie dell'occupazione tedesca. Nonostante le vicissitudini di questa congiuntura gli amministratori della fabbrica di caramelle, che proprio in seguito alla sospensione delle lavorazioni si trovavano a disporre di una buona liquidità, rilevarono una piccola fabbrica specializzata nella essicazione delle verdure e un pastificio, localizzati entrambi in provincia di Savona.
Il periodo della ricostruzione fu interamente dedicato a riportare le varie attivitá del gruppo ai livelli produttivi prebellici e all'inizio degli anni Cinquanta le tre imprese familiari, la fabbrica chimica di Borzoli, la conceria e le caramelle S. Giacomo, fino a questa data semplici società di fatto, vennero finalmente costituite in società per azioni. A questo proposito occorre sottolineare il ritardo con cui i D. arrivarono a dotarsi di questa veste giuridica, ritardo che, se negli anni a cavallo tra Otto e Novecento aveva caratterizzato l'intera compagine economica ligure, nel caso dei D. appare veramente anacronistico anche non sottovalutando l'impostazione rigidamente familiare del gruppo.
L'impresa dolciaria, che aveva allora oltre cento dipendenti, prese il nome di Dufour Spa con un capitale di L. 75.000.000, mentre le prime due, denominate Fratelli Dufour e Conceria L. & G. Dufour, avevano rispettivamente un capitale sociale di L. 12.000.000 e di L. 15.000.000 e circa cinquanta addetti ciascuna.
Una volta effettuata questa trasformazione si procedette all'attuazione di importanti investimenti che riguardarono principalmente la conceria e la fabbrica dolciaria, i cui impianti produttivi furono interamente sostituiti con macchinari di più recente progettazione e i cicli di lavorazione vennero semplificati e razionalizzati. Grazie a questi interventi la seconda metà degli anni Cinquanta e i primi del decennio successivo segnarono un periodo di soddisfacenti risultati finanziari e, nel caso della Dufour caramelle, si giunse ad una definitiva affermazione sul mercato sia nazionale sia estero. Nel 1957 infatti venne iniziata la produzione di caramelle al liquore confezionate in stick, che allora rappresentavano un'innovazione assoluta. Il tipo di presentazione, affiancato dal supporto determinante di un'indovinata campagna promozionale televisiva e di una capillare organizzazione di vendita, consentì di diffondere l'abitudine all'uso delle caramelle anche fra fasce di consumatori di età adulta che, per evidenti ragioni psicologiche, erano poco propensi all'acquisto di caramelle a peso.
Altra importante: innovazione, realizzata dalla Dufaur sempre nell'ambito della modalità di confezionamento, si ebbe con la commercializzazione di caramelle in cofanetto metallico, espediente funzionale all'affermazione del prodotto in quanto genere adatto a regali. Gli esiti di questi orientamenti aziendali, tutti imperniati sul privilegiare una ggmma produttiva altamente curata per qualità e immagine, si tradussero in un grande sviluppo delle vendite (nel 1964 il fatturato fu di oltre L. 2.000.000.000 oltre il doppio di quello realizzato alla fine degli anni Cinquanta) e degli utili, nonché in un aumento delle dimensioni dell'impresa che, sempre nel 1964, arrivò a contare 293 dipendenti. Il marchio Dufour riusci inoltre ad affermarsi anche fuori dei confini nazionali; sempre alla metà degli anni Sessanta rappresentava infatti il 30% delle esportazioni italiane di caramelle.
Nel 1965 la fabbrica di estratti chimici per la concia Dufour-Lepetit, che, a differenza delle altre aziende del gruppo, aveva conosciuto dalla fine della guerra un continuo declino a causa della fortissima concorrenza esercitata dalle nuove imprese nate in Piemonte negli anni Cinquanta, venne chiusa e lo stabile di proprietà dei D. fu venduto all'Ansaldo. Da questa data la presenza dei D. nel settore chimico rimase concentrata nella sola Fratelli Dufour.
La società, che aveva una cinquantina di dipendenti, si dedicava pressoché esclusivamente alla produzione di varie qualità di mannite. Tale specializzazione rappresentava, date le ristrette dimensioni del mercato, un'oggettiva limitazione delle potenzialità di sviluppo dell'impresa, che riusciva comunque a coprire oltre il 90% della domanda nazionale. Per imprimere nuovo impulso alla società sarebbe stata necessaria una diversificazione della gamma produttiva che però, a causa dell'età avanzata e quindi del diminuito dinamismo imprenditoriale dei membri della famiglia cui era affidata la gestione della fabbrica, non fu mai attuata.
Nel 1971, in seguito ad una contrazione delle vendite dovuta all'orientamento dei consumatori verso altri tipi di preparati diffusi sul mercato da aziende più competitive, si procedette alla liquidazione della fabbrica e alla cessione dei marchio.
Con l'inizio degli anni Settanta i D. si defilarono dunque completamente, seppur senza alcuna perdita e anzi con discreti benefici derivanti dalla vendita degli immobili, da tutte le attività nel campo chimico-farmaceutico mentre per ancora poco più di una decennio rimasero in vita la Dufour Spa e la Conceria, ultima delle imprese la cui costituzione risaliva al secolo scorso. La L. & G. Dufour, fortemente insidiata nel corso di tutto il dopoguerra daFa agguerrita concorrenza delle concerie dell'area toscana, scontò le difficoltà derivanti dalla localizzazione in un'area che era stata progressivamente inglobata nel tessuto residenziale della città. Questa circostanza, nonostante l'assidua attenzione degli amministratori ai miglioramenti tecnologici, poneva un vincolo insuperabile allo sviluppo fisico dell'azienda. Il verificarsi, nel 1982, di una crisi di liquidità dovuta all'interruzione della produzione a seguito del trasferimento della sede in un luogo più idoneo determinò la decisione di procedere alla liquidazione della società.
I primi anni di quest'ultimo decennio segnarono anche la fine della Dufour Spa; nel 1982 infatti i D. cedettero dopo una travagliata trattativa la fabbrica dolciaria e il marchio ad un industriale torinese. I primi inequivocabili segnali di crisi avevano iniziato a delinearsi già nella seconda metà degli anni Sessanta.
Tra il 1966 e il 1970 si erano ritirati dall'attività i tre soci fondatori e le responsabilità direttive erano passate ai figli di questi che, dotati di capacità imprenditoriali decisamente inferiori a quelle dei padri, privarono l'impresa dell'unità e compattezza di direzione necessarie a misurarsi con la crisi attraversata in quegli anni dal mercato delle caramelle.
Le carenze del nuovo gruppo dirigente si resero ancor più manifeste dopo il 1975, anno in cui venne acquistata la Elah, società dolciaria americana con L. 1.000.000.000 di capitale e due stabilimenti di produzione localizzati nel Ponente genovese. La Dufour Spa alla conclusione di questa operazione, realizzata peraltro a condizioni molto vantaggiose, passò da circa 350 ad oltre 750 addetti, ripartiti in tre unità produttive, e il fatturato crebbe da L. 4 a 30.000.000.000. Le aumentate dimensioni della società rendevano inevitabile l'abbandono di un tipo di conduzione tutto incentrato sul clan familiare e l'attuazione di un completo e radicale intervento di risistemazione degli assetti organizzativi interni. Le protratte resistenze degli amministratori a compiere questa evoluzione si tradussero in una serie di pesanti passività di bilancio che costrinsero alla richiesta, nel 1981, dell'ammissione all'amministrazione controllata al termine della quale la società fu venduta all'industriale torinese Flavio Repetto e i D. si ritirarono definitivamente dalla scena imprenditoriale.
Fonti e Bibl.: La vicenda imprenditoriale dei D. è stata ricostruita con il supporto essenziale delle testimonianze orali di alcuni dei membri della famiglia. Per le fonti a stampa si vedano: G. Dufour, Cento anni di attività industriale, Genova 1934; Id., Cornigliano ligure dalla seconda metà del 1800 ai primi decenni del 1900, Genova 1938. Altre notizie sulle attività produttive del gruppo fra Otto e Novecento sono in M. Cevasco, Statistiques de la ville de Gênes, I, Genova 1838, p. 348; C. I. Giulio, Notizie sulla patria industria, Torino 1844, p. 348; A. Oneto, Stato delle industrie di Sampierdarena e loro bisogni, in Riv. marittima, IX (1876), 2, pp. 328-58; G. Doria, Investimenti e sviluppo economico a Genova alla vigilia della prima guerra mondiale, I, Milano 1969, pp. 43, 260; II, ibid. 1973, pp. 9, 12, 14, 55 s.; G. Giacchero, Genova e Liguria nell'età contemporanea, Genova 1980, pp. 124, 433. Relativamente all'impegno dei D. nel settore armatoriale cfr. T. Groppallo, Il romanzo della vela. Storia della marina mercantile a vela italiana nel sec. XIX, Milano 1973, pp. 372 s. La stampa genovese ha dedicato alcuni articoli alle attività della famiglia (si vedano ad esempio: Il Secolo XIX, 15 sett. 1971, Corriere mercantile, 17 nov. 1983) e praticamente quotidiana è l'attenzione dei giornali cittadini alla vicenda della cessione della fabbrica di caramelle. Inoltre, per i dati di bilancio delle diverse società, si rimanda ai volumi curati dal Credito italiano, e dopo il 1925 dall'Assonime: Notizie statistiche sulle società italiane per azioni, 1920, p. 1523; 1932, p. 1206; 1937, p. 1074; 1961, p. 1983; 1973, pp. 2656, 2688.