dumila (Dumilia)
Ricorre due volte nel Convivio. La prima occorrenza si ha dove D. indica la distanza tra Roma e il polo terrestre artico come uno spazio quasi di dumila secento miglia, o poco dal più al meno (III V 9). Subito dopo, poi, dà settemila cinquecento miglia, o poco dal più al meno, come la distanza tra Roma e il polo Sud e, invece, diecimila dugento miglia come la distanza tra le due città ipotetiche Maria e Lucia, che si trovano agli antipodi. Ora, poiché nella prima indicazione la parola quasi sembra un'anticipazione della frase o poco dal più al meno e poiché ci si aspetterebbe 2.700 anziché 2.600 miglia per raggiungere la distanza totale di 10.200 miglia, data da D. stesso (V 11) come misura esatta (e, perciò, senza aggiunta approssimativa), pare ragionevole seguire un codice in cui il passo è così riportato: dumila settecento o poco dal più al meno e supporre che negli altri codici si sia scritto VI invece di VII (v. l'edizione Busnelli-Vandelli, in nota).
L'altra occorrenza si ha in un contesto in cui D. afferma che uno dei segni dell'imperfezione e pertanto della bassezza delle ricchezze è il modo spesso del tutto fortuito del loro acquisto. A conferma di ciò riporta l'esempio seguente: Veramente io vidi lo luogo, ne le coste d'un monte che si chiama Falterona, in Toscana, dove lo più vile villano di tutta la contrada, zappando, più d'uno staio di santalene d'argento finissimo vi trovò, che forse più di dumilia anni l'aveano aspettato (IV XI 8).
Per la forma va ricordato non solo l'uso toscano costante, vivissimo ancora oggi, ma anche l'analogia con ‛ dugento ' (v.); dumilia, poi, è ancora più vicino al latino. Altre forme consimili si trovano sia nel Convivio, sia nella Commedia.
Bibl. - P. Revelli, L'Italia nella D.C., Milano 1923, 166; P. Toynbee, Dante Studies and Researches, Londra 1902, 242.