dumping
Discriminazione di prezzo tra mercato nazionale e mercati esteri. Si parla di d. quando un’impresa vende su un mercato estero a un prezzo inferiore rispetto a quello fissato normalmente sul mercato domestico, tenuto ovviamente conto delle differenze che vi possono essere, per es., nel costo delle reti di vendita, di trasporto eccetera. Molti Paesi ritengono queste strategie anticompetitive, anche se non tutti gli esperti concordano.
L’Organizzazione mondiale del commercio (➔ WTO), che regola le dispute in tema di commercio internazionale, non entra nel merito se il d. sia concorrenza sleale, ma si limita a disciplinare le azioni antidumping che i singoli Paesi possono mettere in atto a protezione delle produzioni nazionali. Occorre infatti quantificare l’eventuale danno subito dalle imprese domestiche e definire l’entità del d. (la differenza di prezzo) per fissare il livello delle tariffe che i Paesi possono imporre per eliminare i suoi effetti. È necessario, inoltre, che il danno per le imprese domestiche sia non trascurabile, che la differenza nei prezzi sia superiore al 2% e le importazioni dei beni sospettati di d. siano superiori al 3% del totale delle importazioni di quel prodotto. La definizione dei prezzi può essere particolarmente complessa, soprattutto per quei Paesi (come ancora oggi la Cina) che non godono dello status di economia di mercato e per i quali il prezzo interno può non essere considerato un valore credibile. È necessario anche evitare che politiche antidumping siano messe in atto solo per ostacolare l’ingresso di prodotti stranieri, oppure essere richieste da parte delle imprese nazionali per indurre le straniere a fissare prezzi più elevati.
Quanto il d. e le conseguenti politiche antidumping siano d’impatto sul benessere di un Paese è argomento molto discusso. Se le esportazioni in d. colpiscono un settore competitivo ed efficiente, è probabile che il benessere sociale diminuisca, se invece si dirigono verso un settore non concorrenziale o non efficiente, che esprime quindi prezzi elevati, si può verificare un aumento del benessere sociale. Le tariffe antidumping, d’altra parte, favoriscono da un lato le imprese domestiche, ma peggiorano dall’altro il benessere dei consumatori, che devono acquistare i prodotti a prezzi più elevati.
Si definisce d. sociale quello creato quando le imprese hanno interesse a spostare le proprie attività produttive in un Paese che ha una legislazione meno stringente (o che non viene applicata) in tema di sicurezza e protezione sociale, di orario di lavoro e di salario giornaliero.
Di d. sociale si parlò anche alla presentazione nel 2004 della direttiva europea sul mercato interno per i servizi, comunemente chiamata direttiva Bolkestein (➔ Bolkestein, direttiva) dal nome del commissario che ne curò la stesura, la quale prevedeva la possibilità di applicare la legislazione in tema di servizi del Paese di origine del prestatore d’opera (country of origin) e non del Paese di destinazione (destination country), dove i servizi venivano effettivamente svolti. Diversi Paesi europei temettero l’invasione di lavoratori di altri Paesi che avevano legislazioni del lavoro meno stringenti. L’icona di questo fenomeno fu ‘l’idraulico polacco’, che avrebbe invaso il mercato francese facendo fallire gli idraulici locali. La direttiva fu poi pesantemente emendata e fu approvata nel 2006 senza contenere il principio del country of origin, fondamentale per rendere effettiva la libera circolazione dei lavoratori autonomi, peraltro riaffermata.