dunque
È presente in tutte le opere dantesche in volgare.
1. Ha valore illativo e in tal caso sta normalmente al primo posto, anche nelle opere poetiche. È naturale che, con questo significato, ricorra particolarmente nelle opere in cui abbonda il ragionamento e quindi nelle Rime allegoriche, nel Convivio e nel Paradiso. Merita rilievo il fatto che le due sole attestazioni nelle prose della Vita Nuova si trovano nei due capitoli a carattere ragionativo: il XXV (sull'uso dei poeti di rivolgersi alle cose inanimate) e il XXIX (sul numero 9). Citiamo Pd V 31 Dunque che render puossi per ristoro?; VII 103 Dunque a Dio convenia con le vie sue / riparar l'omo a sua intera vita; e inoltre Vn XII 12 23, XXV 8, XXIX 3; Rime L 53, LXII 8, LXXXIII 74 e 83, Rime dubbie XXX 24; Cv I V 6 e 14, VII 5, II IV 15, III IV 12, XV 5, IV Le dolci rime 109 (ripreso tre volte nel commento, XIX 2 [due volte] e XX 1), VII 12 e 15, IX 3, XIV 8, XV 4, XXII 9, XXVII 4; If X 110, Pg VI 32, Pd VII 40, VIII 122, IX 76, XIX 52, XXVI 31, XXVIII 70, XXXII 73; Fiore XCVI 6, CLVII 11, CXCVII 9. V. anche Cv III Amor che ne la mente, dove al verso, 14 l'edizione Simonelli reca Dunque al posto di Però. In quattro passi del Convivio, poi, d. ricorre dopo i due punti e corrisponde all'ergo del sillogismo scolastico: IV XII 12 Ma non è vero che la scienza sia vile per imperfezione: dunque, per la distruzione [distinzione, nell'edizione Simonelli] del consequente, lo crescere desiderio non è cagione di viltade a le ricchezze (l'edizione Simonelli tuttavia ha il punto e virgola al posto dei due punti); I XII 13, IV VI 7 (anche qui l'edizione Simonelli ha il punto e virgola), XX 1. Qui trova il suo posto la risposta vivace del dio d'amore a Falsembiante: Dunqu'è cotesto contra sua natura (Fiore LXXXI 9). Talvolta, però, d. sta al secondo o al terzo posto e allora corrisponde ad ‛ adunque ' (v.) e, perciò, serve a indicare il nesso logico che intercorre fra due periodi e a collegarli stilisticamente: Cv II VII 3, XII 9, III I 12, IV I 11, IV 12, XXIII 3, XXVIII 7. Va ricordato qui If XXII 64 Lo duca dunque: " Or dì... ", in cui, come spesso nell'antica lingua, d. ha anche valore temporale.
2. Serve a riprendere un discorso interrotto e allora sta di regola al secondo posto reale o logico (nel Convivio, in tale caso, è spesso preceduto dal gerundio: ‛ tornando ', ‛ faccendomi ', ‛ lasciando '); Pd XXXI 1.
In forma dunque di candida rosa; Cv I IX 4, X 4, III II 1, IV III 4, XXII 4, XXIII 6. Altre volte d., come anche ‛ adunque ' (v.), serve a riprendere l'argomento enunziato immediatamente prima, come in Pd XVIII 88 Mostrarsi dunque in cinque volte sette / vocali e consonanti; Cv IV III 6, VI 3 e 9, XIX 7, XX 1, XXIV 4 e 12.
3. Nelle opere poetiche d. è spesso rafforzativo. In questi casi il verbo sta per lo più all'imperativo e ha valore ora di supplica, ora di esortazione, ora di comando. Nei passi dell'Inferno d. esprime anche impazienza: Pd XVI 22 Ditemi dunque, cara mia primizia; Rime XC 46, Rime dubbie VIII 12, If XIX 66, XXVIII 55, Pg I 94, III 101, VII 62, IX 93, XXII 94, Pd X 7, XXVI 7.
4. Nelle proposizioni interrogative d. esprime piuttosto meraviglia: If II 121 Dunque: che è? perché, perché restai...?; Rime LIX 13, Pg XIII 139; oppure serve a introdurre un'obiezione: Pd XIII 89 ‛ Dunque, come costui fu sanza pare ? ' comincerebber le parole tue; Cv IV XXIV 13 Ben potrebbe alcuno dire così: dunque potrà essere detto...?; XXVII 8.
5. Nel Convivio D. comincia spesso il periodo con Dunque dico (che) o Dico dunque (che): III VII 2, IX 4, XIII 9, IV III 4 e 6, VII 2, XXVII 9 e XIX 5 (Dice dunque). È questa una sua caratteristica stilistica, già rilevata a proposito di ‛ adunque ' . Qui con d. vi è anche l'allitterazione.