E' m'incresce di me sì duramente
Canzone (Rime LXVII) di 6 stanze di 14 versi, con fronte e sirma, concatenatio e combinatio, sullo schema 6 + 8, abc, abc: cdeffee, e congedo (= sirma).
Figura nei codici più antichi (Vaticano Barberiniano lat. 3953, Chigiano L VIII 305, ecc.); ed è la decima delle 15 canzoni della silloge del Boccaccio (Vaticano Chigiano L V 176, Toledano 104, 6), unita con esse anche nella tradizione seriore, fino alle prime edizioni a stampa, quella del Canzoniere di Pietro Cremonese (Venezia 1491, in appendice alla Commedia) e la Giuntina del 1527.
Questa tradizione ha avuto un notevole influsso sull'esegesi. Il Riccardiano 1044 (sec. XV), tolta dal gruppo la prima canzone, indicò, nelle 14 rimanenti, quelle che D. si proponeva di commentare nel Convivio, ispirando analoghe ricostruzioni moderne (Witte, Todeschini), definitivamente confutate dal Barbi nell'introduzione al Convivio commentato da G. Busnelli e G. Vandelli (Firenze 19643,I, XLII ss.). Ritennero che fosse dedicata alla ‛ Donna gentile ' lo Zappia, il Di Benedetto, il Pietrobono; né mancarono interpretazioni esoteriche, decisamente aberranti (che qui Beatrice sia simbolo del battesimo, Mandonnet; della teologia mistica, Guiberteau). La ritenne, invece, dedicata a Beatrice la maggior parte degl'interpreti, dal Carducci al D'Ancona al Parodi al Melodia allo Zonta al Passerini al Barbi; il quale la pose, nella '21, fra le Altre rime del tempo della Vita nuova, insieme con Lo doloroso amor con cui fa gruppo; ed è questa l'opinione oggi prevalente. Le due canzoni esprimono il momento dell'amore doloroso descritto nei capitoli XII-XVI della Vita Nuova, dalla quale vennero però escluse perché non conformi al mito centrale del libro: quello della donna-beatrice e dell'amore che trova in sé la propria gioia e il proprio compimento. Non converrà, quindi, stabilire una rispondenza puntuale fra la storia configurata nelle stanze quinta e sesta di questa canzone e quella raccontata nei primi capitoli della Vita Nuova, interpretando lo giorno che costei nel mondo venne (v. 57) come allusione alla prima volta che D. vide Beatrice a nove anni, e la sesta stanza come allusione al secondo incontro a diciotto (Fraticelli, Giuliani, Zingarelli, Mascetta-Caracci, ecc.). Il Barbi, seguito dal Contini, intende " il giorno che B. nacque ": che D. potesse provare un profondo sconvolgimento, sebbene fosse in età da reggersi appena in piedi, gli appare una delle trasfigurazioni fantastiche frequenti nella lirica amorosa di quel tempo e di tutti i tempi.
Il Contini suddivide la canzone in due momenti: nelle prime tre stanze, descrizione degli effetti micidiali d'amore " dal punto di vista soggettivo, dell'uomo sedotto e ingannato "; nelle stanze dalla quarta alla sesta, descrizione di questi effetti da un punto di vista " oggettivo ", diviso nei tre momenti del regno spietato dell' ‛ immagine ' della donna sulla memoria, del miracoloso turbamento provato da D. quand'ella nacque e della percezione, quando gli apparve la gran biltate, dell'ineluttabile dominio di essa sul suo animo. Si potrebbe proporre un'altra divisione, considerando le stanze a coppie. Nelle prime due, dopo una confessione di cruccioso dolore, c'è il ricordo estatico degli occhi soavi e dolci, della felicità da essi promessa e negata. Le due seguenti insistono sull'angoscia attuale e sulla distruzione delle potenze dell'anima, personificate secondo il modulo cavalcantiano, col loro pianto sul quale si leva crudele il ‛ grido ' dell'immagine trionfale e impietosa della donna che spinge l'anima a morte. Le due ultime ripropongono la storia d'amore e di dolore in un'atmosfera misteriosa e fatale; descrivono il miracoloso turbamento di D. alla nascita di Beatrice, quasi un senso di tremore ritrovato alle oscure radici del vivere, poi l'apparire di lei e il suo insignorirsi dell'animo di D., con una dialettica inestricabile di estasi contemplativa e di angoscia per la passione insoddisfatta. Comunque sia, è evidente il solido impianto meditativo e lirico della canzone, cui corrisponde una dosata architettura delle immagini e del contesto sintattico e strofico. La ricerca di rispondenze e simmetrie appare, ad esempio, nel collegamento simile a quello delle coblas capfinidas delle prime tre stanze, nella ripetizione della parola tematica occhi nelle stanze prima, seconda, quarta, sesta e nel congedo, nella frequente corrispondenza grammaticale-semantica delle parole in rima della fronte, come, nella prima stanza, duramente, doglia, màrtiro dolorosamente, voglia, sezza ' sospiro (e sono anche queste parole tematiche). Ancor più notevole è il rapporto stabilito fra struttura metrica e sintattica della strofa, che riflettono, nel loro dialettico comporsi, la stessa dialettica del sentimento. La concatenatio e i primi due versi della sirma sono, in prevalenza, fusi con la fronte in un unico blocco narrativo, mentre il primo settenario della sirma segna l'inizio di un più intenso movimento patetico, ribadito dalla misura accelerata del secondo settenario e dal concludersi della stanza con due coppie di versi a rima baciata. In questa nuova divisione, in contrasto con quella segnata dallo schema metrico, si ha così una prima parte prolungata oltre la misura ritmica consueta, in una sorta di enjambement strofico, con una cadenza dimessa e lenta, un'insistita modulazione elegiaca corrispondente al chiuso concrescere della doglia e al desolato alternarsi di memoria e di statica attualità di pena, e una seconda, più rapida e vibrata, che è una drammatica presa di coscienza su temi conclusivi di dolore, di morte, di fatale dominio d'amore.
La canzone va ricondotta, insieme con Lo doloroso amor, alla quale sembra però posteriore per la più salda strutturazione sintattica e figurativa, al momento in cui D. aderì più intimamente al modello cavalcantiano. D'altra parte essa preannuncia, per la tormentata e intensa analisi psicologica e la raffigurazione drammatica della passione sconvolgente e delusa, canzoni posteriori, come Amor, da che convien. É il primo tentativo di una storia totale di un'esperienza che risale, attraverso la già invocata mediazione del libro de la mente (chiaro preannuncio di quello della ‛ memoria ' di Vita Nuova) al senso di una rivelazione aurorale delle supreme ragioni d'amore, intimamente fuse con quelle stesse del vivere. È la Vita Nuova che non fu scritta: una possibilità rifiutata per la svolta radicale di Vn XVIII e delle nove rime, ma pervenuta già a quella capacità di scavo interiore, di colorito fondo e drammatico che resterà un acquisto non più obliato della poesia di Dante. Alle atmosfere rarefatte di Guido subentra un ritmo patetico più impetuoso, che erompe a tratti veemente dal contesto letterario (cfr. la quarta stanza), più concretamente legato a una realtà di vicende e di giorni; con un'ansia di parole assolute e definitive e, attraverso esse, di una conquista integrale dell'interiorità che già tende a porsi come un paradigma etico e poetico risolutivo, secondo la grande ‛ maniera ' di Dante.
Bibl. - Per la storia dell'esegesi cfr. la lunga nota di M. Barbi, in Barbi-Maggini, Rime 244-256, cui vanno aggiunti: P. Mandonnet, D. le théologien, Parigi 1935, 76 ss. (ma vedi È. Gilson, D. et la philosophie, ibid 1939, 25 ss.); S. Santangelo, Saggi danteschi, Padova 1959, cap. V; P. Guiberteau, La poésie " E' m'incresce di me... ", in " Bull. Société d'Ètudes dant. du C. U. M. " XI (1962) 67-77. Cfr. inoltre Contini, Rime 62; Dante's Lyric Poetry, a c. di K. Foster e P. Boyde, Oxford 1967, II 88-95; F. Montanari, L'esperienza poetica di D., Firenze 1959 (19682) 26-30; D. De Robertis, Il libro della " Vita nuova ", ibid 1961, 31 ss., 82 ss., e passim; ID, Cino da Pistoia e la crisi del linguaggio poetico, in " Convivium " I (1952) 26-27; G. Contini, Cavalcanti in D., in Le rime di G. Cavalcanti, Verona 1966, 85-104; M. Pazzaglia, Note sulla metrica delle prime canzoni dantesche, in " Lingua e Stile " III 3, (1968) 319-331.