Easy Rider
(USA 1969, Easy Rider ‒ Libertà e paura, 1969, colore, 94m); regia: Dennis Hopper; produzione: Peter Fonda per Pando/Raybert Productions; sceneggiatura: Peter Fonda, Dennis Hopper, Terry Southern; fotografia: Lászlo Kovács; effetti speciali: Steve Karkus; montaggio: Donn Cambern; scenografia: Jerry Kay; musica: Hoyt Axton, Mars Bonfire, Roger McGuinn.
In California Wyatt e Bill acquistano della droga e si preparano alla partenza sui loro choppers, determinati a visitare il carnevale di New Orleans. Durante il viaggio, il proprietario di un motel li respinge per il loro aspetto hippy, quindi i due si fermano in un ranch dove riparano la ruota bucata di una delle moto. Si unisce a loro un vero hippy che li porta in una comune. Scarsamente soddisfatti dell'esperienza, ripartono, giungono a Las Vegas e si accodano scherzosamente a una parata: la polizia li mette in cella con un giovane e poco ortodosso avvocato locale, George, che li fa uscire e li porta con sé. O meglio, si unisce al loro viaggio verso la Louisiana. Una notte, attorno a un falò, l'avvocato viene iniziato alla marijuana e comincia a sproloquiare sui venusiani. Fermatisi in un bar del profondo sud, i tre vengono pesantemente offesi dallo sceriffo e trascurati dalle cameriere, per cui decidono di andarsene. Davanti a un altro falò George spiega la paura che la società ha dei diversi; quella stessa notte, George viene ucciso da alcuni malintenzionati (probabilmente gli uomini del bar). Wyatt e Bill decidono di visitare, in sua memoria, il postribolo di New Orleans indicato loro dall'avvocato: arrivati in città e recatisi al bordello, prendono con sé due ragazze ed escono a vedere con loro il carnevale. In un cimitero, assumono insieme dell'LSD sotto il cui effetto iniziano un 'viaggio'. Infine riprendono la strada e raggiungono la Florida, dove due individui alla guida di un pick-up sparano senza ragione a Bill, quindi a Wyatt.
Bandiera di un'intera generazione, Easy Rider fu praticamente il primo film hollywoodiano di produzione indipendente, girato fuori dall'influenza di Roger Corman (cui peraltro deve qualcosa), a ottenere un successo mondiale, dimostrando che i tempi erano ormai maturi per un cinema di quel tipo e in particolare che il mercato dello youth movie non si identificava più con una specifica fascia generazionale, ma virtualmente con la maggioranza del pubblico americano.
Della lezione cormaniana esso mostra la scelta delle riprese on location, la perfetta frammistione di immagini e musica rock, la denuncia soffice e in certa misura qualunquista, e naturalmente l'ascrivibilità al bike movie. Ma la pellicola vanta altre componenti più originali: il quadro in certa misura affrescale dell'America del tempo, dalle comunità hippy agli agglomerati meridionali meschini e ignoranti, la poetica on the road, che pur appartenendo al cinema hollywoodiano di sempre, appare qui chiaramente impostata in termini aggiornati a modi, valori, mitologia delle nuove generazioni.
Dennis Hopper vi immette una sua sensibilità metaforica (l''azzoppamento' della moto, cui fa da sfondo la ferratura di un cavallo, per esempio), ma anche un certo velleitarismo che all'epoca passò per un'impostazione documentaristica. È vero che, per mancanza di denaro, la troupe si adattò a girare alcune scene dal vero (quella della parata, per esempio), ma è anche vero che talune di esse figurano compiaciute o superflue. La ripresa dei due centauri lungo le strade di un'America da ufficio turistico poté colpire molto la fantasia del pubblico (soprattutto straniero) negli anni Settanta, ma osservata oggi rivela la sua natura accomodante e capziosa. Peraltro è ben vero che la struttura sostanzialmente picaresca del film rimanda a una forte tradizione culturale, letteraria e cinematografica, preesistente e posteriore, che va da Huckleberry Finn a On the Road, da Scarecrow (Lo spaventapasseri, 1973) di Jerry Schatzberg a My Own Private Idaho (Belli e dannati, 1991) di Gus Van Sant.
Opera che, in linea con il costume giovanile dell'epoca, propone il tema della droga come un dato di fatto, Easy Rider ha avuto anche il merito di rivelare un talento straordinario che di lì a poco avrebbe furoreggiato nella produzione della New Hollywood degli anni Settanta: quello di Jack Nicholson, già attore dai primi anni Sessanta alla corte di Roger Corman, e destinato, come sappiamo, a ben altri fasti.
Meno ideologizzato rispetto ad altri film di quegli anni (The Strawberry Statement ‒ Fragole e sangue, Stuart Hagmann 1970, R.P.M. -‒ R.P.M. Rivoluzione per minuto, Stanley Kramer 1970, e persino quell'importante introspezione sottilmente politica e insieme esistenziale, Five Easy Pieces ‒ Cinque pezzi facili, di Bob Rafelson, con Nicholson e ancora dello stesso anno), Easy Rider è in fondo un inno al disimpegno, una testimonianza di nausea e disprezzo (impliciti, certo) verso i valori in gioco nella società statunitense di allora, la (sempre implicita) affermazione che sinistra e destra sono idee e termini obsoleti, che essere nel gioco è comunque compromettente. Ma il film mostra anche la coscienza che, per quanto da quel gioco vi siano persone che vogliono uscire, il farlo non è tollerato, chi è libero (o anche soltanto si atteggia a tale) viene duramente redarguito e punito. Addirittura eliminato.
Gli applausi che, alla prima uscita, accolsero il finale del film in certe sale del profondo Sud, soddisfatte della sorte toccata ai due motociclisti, non furono dunque soltanto un preoccupante segno di ignoranza e intolleranza, ma anche e soprattutto la prova di quanto gli anni della democrazia kennedyana fossero ormai lontani.
Interpreti e personaggi: Peter Fonda (Wyatt), Dennis Hopper (Bill), Jack Nicholson (George Hanson), Antonio Mendoza (Jesus), Phil Spector (Connection), Mac Mashourian (guardia del corpo), Warren Finnerty (rancher), Tita Colorado (moglie del rancher), Luke Askew (autostoppista), Luana Anders (Lisa), Sabrina Scharf (Sarah), Sandy Wyeth (Joanne), Robert Walker Jr. (Jack), Keith Green (sceriffo), George Fowler Jr. (guardia), Arnold Hess Jr. (sceriffo nel bar), Toni Basil (Mary), Karen Black (Karen), Lea Marmer (Madame), Cathe Cozzi (danzatrice).
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