EBORARIUS
L'artefice specializzato in lavori di avorio si chiamava in Roma eborarius o eburarius; le iscrizioni hanno anche eborarius faber (C. I. L., vi, 9397, 33432) e politor eborarius (C. I. L., vi, 7885; Année épigraphique, 1905, 207) probabilinente nel senso di lucidatore; eboris faber si trova in Orazio (Epist., ii, 1, 96).
L'uso dell'avorio come materiale pregiato per scultura, per incisioni o per incrostazioni ed intarsi risale anche in Italia a un'epoca molto antica (v. avorio). Preceduti anche in ciò dagli Etruschi, i Romani ne continuarono l'impiego in alcuni oggetti, simboli dell'organizzazione politica sacrale, come il bastone (scipio) del trionfatore e poi del console, e la sella curulis del magistrato cum imperio. D'avorio si usavano scolpire anche le immagini delle città vinte che si portavano in processione nei trionfi; i dittici consolari e i libri "elefantini" d'epoca più tarda. L'avorio veniva inoltre usato per le statue crisoelefantine (v.) d'imitazione greca, per decorare ambienti e mobili, soprattutto con la tecnica dell'incrostazione e dell'intarsio, e per foggiare oggetti di limitata grandezza, cofanetti, pissidi, e oggetti del mundus femminile, impugnature di armi e di coltelli, tessere e dadi da gioco, strumenti musicali. Caligola aveva fatto fare d'avorio la greppia di un suo cavallo prediletto (Suet., Caius, 55); Nerone ne fece fare un soffitto della Domus Aurea (Suet., Ner., 31).
Mentre le opere della scultura dovevano essere opera di artisti veri e propri, e basti l'esempio del simulacro crisoelefantino di Giove ordinato a Pasiteles da Metello per il tempio di Iuppiter Stator da lui fatto costruire (Plin., Nat. hist., xxxvi, 40), le opere di cesello potevano essere fatte da caelatores (v. caelator), e la grande produzione di oggetti d'avorio era opera degli specialisti chiamati eborarii.
Non si hanno firme di e.; una iscrizione che è stata trovata recentemente ricorda un oggetto d'avorio fabricatum per Phidiam (Comptes rend. Acad. Inscr., 1947, p. 97).
Gli e. che hanno lasciato testimonianza epigrafica, sono una decina, tutti liberti e solo della città di Roma. Essi sono nominati anche nella costituzione con cui Costantino esentò una serie di artifices artium dalla prestazione dei munera personalia (Cod. Iust., x, 66, 1). Non sembra che facessero parte di familiae di grandi casate o imperiali, ma piuttosto che fossero lavoratori indipendenti: uno di essi ha lasciato l'indirizzo: ab Hercule primigenio (C. I. L., vi, 7655).
Negotiantes o negotiatores eborarii erano gli importatori e rivenditori dell'avorio grezzo; uno di essi, di condizione libera, è stato sepolto a Capena, probabilmente il suo luogo d'origine (C. I. L., xi, 3948). Di un collegio di questi mercanti della città di Roma e di età adrianea, associati agli importatori di un altro tipico prodotto africano, l'ebano, ci è giunta parte della costituzione (C. I. L., vi, 33885).
Eborarii
Abbreviazioni: lib. = liberto; iscr. fun. = iscrizione funeraria.
M. Aelius Apollonius (lib., Roma, iscr. fun., C. I. L., vi, 33432).
P. Caesetius Sodalis (lib., Roma, iscr. fun., C. I. L., vi, 7885).
Sex. Clodius Amoenus (lib., Roma, iscr. fun., C. I. L., vi, 7655).
P. Clodius Bromius (lib., Roma, iscr. fun., C. I. L., vi, 9375).
Q. Considius Eumolpus (lib., Roma, iscr. fun., C. I. L., vi, 9397).
M. Consus Dionysius (lib., Roma, iscr. fun., C. I. L., vi, 37793).
M. Perpenna Phila ;... (lib., Roma, iscr. fun., Année épigraphique, 1905, 207).
Bibl.: M. Raoul-Rochette, Lettre à M. Schorn, Parigi 1832, p. 71 ss.; H. Blümner, Technologie und Terminologie der Gewerbe und Künste bei Griechen und Römern, Lipsia, II, 1883, p. 364; A. Jacob, in Dict. Ant., II, I, 1892, p. 444 ss. (spec. p. 448), s. v. Ebur; E. De Ruggiero, Diz., II, 1900, p. 2081, s. v. Eborarii; G. Kuehn, De opificum Romanorum condicione privata quaestiones, Halle 1930.