ebraismi
Le voci di origine ebraica usate da D. risalgono tutte al latino medievale e in particolare al filone liturgico. Oltre ai pochi appellativi, saranno da tenere in conto i nomi di persona e di luogo che ricorrono nelle sue opere, e un discorso particolare deve essere riservato ai due noti versi Pape Satàn, pape Satàn aleppe! e Raphèl maì amècche zabì almi (If VII 1, XXXI 67) che indubbiamente contengono alcuni elementi ebraici, o che arieggiano all'ebraico, filtrati, in linea di massima, attraverso la lettura dei lessici latini medievali.
Interessante è la presenza di Serafi e Cherubi (Pd XXVIII 99) derivati regolarmente dal singolare ebraico (si noti anche cherùbica in XI 39), accanto ai più comuni serafin (XXI 92), Serafini (VIII 27), neri cherubini (If XXVII 113), li Cherubini... li Serafini (Cv II V 6) che risalgono, attraverso il latino biblico Cherubim (anche -in) e Seraphim (o -in), e l'intermediario greco, all'ebraico sĕrāphïm e kerūbhïm, plurale di sĕräph (la radice ebraica indica " ardere ") e kerūbh (forse di origine accadica). Si ha amen (If XVI 88) accanto ad Amme (Pd XIV 62), voce più popolare (come conferma il Buti, ad l.), dal latino ecclesiastico amen, attraverso il greco ἀμήν, dall'ebraico āmēn " vero ", " sicuro " (vedi anche IsID VI XIX 20); alleluia (If XII 88), onde ‛ alleluiare ' (Pg XXX 15), dal latino ecclesiastico alleluia, gr. ἀλληλούϊα che risale all'ebraico hallĕlū Jāh, " lodate Dio ", dei Salmi. Analoga espressione liturgica è osanna (Vn XXIII 25 61, Pg XI 11, XXIX 51, Pd VII 1, XXXII 135) e ‛ osannare ' (Pd XXVIII 94) dal latino hosanna, greco ὡσαννά, acclamazione che s'incontra spesso nei Vangeli, dall'ebraico hōšī 'āh-nnā (Ps. 118, 25), " deh salvaci! ". Un ebraismo è anche El, " Dio " (VE I IV 4, Pd XXVI 136) ed Elì (Pg XXIII 74), " Dio mio "; quest'ultimo allude alle note parole di Gesù sulla croce prima di morire " Eli, Eli lamma sabachtani? ", cioè " Dio mio, perché mi hai abbandonato? " (Matt. 27, 46 e Marc. 15, 34). Per El cfr. IsID VII I 3; eli con -i, " mio ". Di ampia circolazione è l'ebraismo manna (Vn XXIII 25 58, Pg XI 13, Pd XII 84, XXXII 131), dal latino cristiano manna (frequente nei glossari medievali), gr. μάννα, dall'ebraico mānā, mān, in origine probabilmente la " lecanora delle steppe ". In VE I XII 5 compare Racha, racha, espressione di disprezzo e di maledizione ripresa da Matt. 5, 22, greco ῥαχά, da una voce ebraica di significato dubbio.Altre voci ebraiche figurano inserite in contesti latini, ad es. Deus sabaòth (Pd VII 1), tratto dal Sanctus, nella vulg. Dominus exercituum, gr. σαβαόθ", ebr. (Jĕhōvāh) c̦ĕbāōth, " (Dio) delle schiere celesti ", plurale di c̦ābā', " esercito " (Rom. 9, 29; Iac. Epist. 5, 4); inoltre felices ignes horum malacòth (Pd VII 3), tratto dalla Vulgata ove s. Girolamo spiega " idest regnorum ", adattamento dell'ebraico mamlākoth, gen. pl. di mămelākāh, " regno ". Quanto poi ai nomi ebraici di persona e di luogo, va osservato che essi sono soggetti alla nota norma dell'ossitonia per cui " Omnis barbara vox, non declinata latine, Accentum super extremum servabit acutum " (A. Villadei, Doctrinale; vedi Parodi, Lingua 233 e 327 n. 14); si noti ad es. Abèl, Noè, Moisè, Davìd, If IV 56-59), Melchisedèch, Iacòb (Pd VIII 125, 131), ecc.
I tanto discussi versi Pape Satàn, pape Satàn aleppe! (If VII 1) e Raphèl mai amècche zabì almi (XXXI 67) contengono indubbiamente elementi lessicali ebraici; Satàn riproduce, attraverso il lat. eccl. Satan, gr. Σατα̃ν, l'ebr. Sātān " avversario " ed è assai verosimile che aleppe corrisponda alla lettera ebraica aleph, equivalente, in qualche modo, di " primo ", " principe ", " dio ", come spiegava già Pietro Alighieri (" Satan caput et princeps daemonum ") e come ha ribadito, con buoni argomenti, Domenico Guerri. È pure merito del Guerri di aver proposto una spiegazione ragionevole (non direi sicura!) del secondo verso che è stato interpretato frequentemente col ricorso a lingue semitiche e spesso - anche più di recente - con l'arabo. È probabile che D. conoscesse alcune parole di arabo che egli poteva leggere nella letteratura scientifica e filosofica in latino medievale; ma nel verso di Nembrot egli ha assai più verosimilmente accozzato (forse con l'intenzione di comporre un verso privo di senso) una serie di parole ebraiche: voci tramandate dalla Vulgata o che egli trovava nei lessici latini medievali (Papia, Uguccione e Giovanni Balbi da Genova) o nel Liber de nominibus hebraicis di s. Girolamo (mediante storpiature e adattamenti arbitrari; si veda anche la nota di A. Camilli). Le supposte corrispondenze suggerite dal Guerri sono le seguenti: raphel, cfr. raphaim, " gigantes "; maì, cfr. man, " quid "; amecche, cfr. amalech, " populus lambens sive relinquens "; zabì, cfr. zabulon, " habitaculum " e almì, corrispondente a (a)alma, " virgo " (donde, secondo la tradizione lessicografica medievale, anche il latino almus). Nonostante la verosimiglianza di alcuni riscontri, non convince il tentativo di traduzione del verso: " genti, e che ! abbandonate il gran lavoro? ".
Bibl. - D. Guerri, Di alcuni versi dotti della D.C. - Ricerche sul sapere grammaticale di D., Città di Castello 1908; A. Camilli, Il linguaggio di Nembrotte, in " Lingua Nostra " XIV (1953) 39-40; A. Menichetti, Rime per l'occhio e ipometrie nella poesia romanza delle origini, in " Cultura neolatina " XXVI (1966) 5-91 (specie 5-8); R. Lemay, Le Nemrod de l'" Enfer " de D. et le " Liber Nemroth ", in " Studi d. " XL (1963) 57-128; e v. la recens. di B. Nardi, in " L'Alighieri " I (1965) 42-55 (specie 47-53).