ECATEO di Mileto
Storico greco. Della sua vita ci sono conservati solo pochi episodî, che lo dimostrano contemporaneo alla ribellione ionica contro la Persia (499 a. C.) e parte non insignificante di questi avvenimenti. Così, a quanto ci racconta Erodoto (V, 36), che risale certo a notizie autobiografiche di E., egli sconsigliò dapprima la ribellione, poi ammonì gli Ioni a conquistare la preponderanza sul mare con una flotta allestita per mezzo dei tesori depositati nel tempio dei Branchidi. Se la notizia, come è ora in Erodoto, ha del favoloso, perché E. avrebbe preveduto quel saccheggio del tempio dei Branchidi, che poi i Persiani compirono effettivamente contro le loro abitudini di risparmiare i santuarî, non c'è ragione per dubitare che il consiglio in forma più generica sia stato dato effettivamente: perché si può constatare dalle opere come la caratteristica principale della personalità di E. sia la mancanza di ogni rispetto per la religione e, in genere, per la tradizione greca. Un'altra notizia di Erodoto (V, 125) c'informa che E. era ancora accanto al principale fautore della ribellione, Aristagora, quando il potere di questo declinava; e infine una notizia di Diodoro (X, 25, 4), che, attraverso ad Eforo, risalirà anch'essa ad E., ricorda E. come uno dei delegati ionici che patteggiarono con la Persia dopo che la ribellione era stata repressa, e attribuisce a lui il merito della relativa mitezza con cui la Ionia fu trattata. Della sostanza di questa notizia non c'è alcuna ragione per dubitare, essendo ben naturale che per venire a patti con la Persia fosse scelto chi, come E., era stato inizialmente sfavorevole alla ribellione, per quanto poi non avesse creduto di potere spezzare la solidarietà con i suoi connazionali.
Già questi pochi aneddoti accennano a una personalità eccezionale, estranea alle credenze religiose e in fondo anche alle passioni civili, che l'attorniano. L'impressione è confermata dagli scarsi resti delle sue due opere, l'una di descrizione della terra in due libri (Περίπδος γῆς, Περιήγηρις; le opere di E. hanno più di un titolo, appunto perché non hanno titolo originario) e l'altra di storia mitica (‛Ιστορίαι, Γενεαλογίαι, ‛Ηρωολογία) in quattro libri. Va notato che nella biblioteca di Alessandria il secondo libro della descrizione della terra, dedicato all'Africa e all'Asia (mentre il primo era dedicato all'Europa), stava sotto il nome di Nesiote: il che non autorizza affatto a dubitare della sua autenticità, confermata da molti indizî, potendo questo ignoto Nesiote essere soltanto un rielaboratore o anche il possessore della copia pervenuta alla biblioteca. Altrettanto prive di sufficiente base sono le ipotesi di una rielaborazione di quest'opera nel sec. IV, dalla quale deriverebbero le citazioni a noi pervenute. Lo spirito critico di E. è tutto nelle famose parole iniziali delle sue Genealogie: "Scrivo queste cose, come ritengo siano vere. I racconti dei Greci mi paiono infatti molti e ridicoli". Il fondamento di questo disprezzo della tradizione sta nel rigetto dei suoi presupposti religiosi. E. è nettamente irreligioso, come lo è ogni filosofo ionico. Ma egli non approfondisce speculativamente questa sua irreligiosità. La fa soltanto criterio per strappare alla tradizione ogni elemento soprannaturale. E. quindi trasforma i miti in vicende volgari, non con lo scopo di renderli verosimili nel senso banale di adeguarli all'esperienza quotidiana, perché spesso il racconto è così inverosimile come il mito originario, ma con lo scopo di minare il loro substrato religioso. Vanificato così il mondo del mito, come mondo in cui giochino forze oltrepassanti le comuni forze fisiche, E. si dedica, per un passaggio perfettamente logico, alla conoscenza del mondo che lo circonda, cioè della vera realtà: così si spiega la coesistenza in lui di due tipi di ricerche apparentemente senza relazione l'una con l'altra, la mitografica e la geografica. E questa sua seconda ricerca continua la polemica della prima, in quanto tende anch'essa a superare le comuni e tradizionali opinioni dei Greci. E. non solo è stato un viaggiatore, che ha visitato largamente l'Impero persiano, l'Egitto e probabilmente, oltre che la Grecia, l'Europa occidentale, ma ha accolto con simpatia notizie e dottrine, che si opponessero a quelle greche: donde in special modo la sua simpatia per la cultura egiziana, che ha certo avuto grande efficacia sull'analogo sentimento di Erodoto, anzi, si può dire, è per noi rispecchiata dal libro II delle storie erodotee, le quali per il loro insolito razionalismo rivelano una dipendenza da E. di gran lunga superiore alle altre parti dell'opera. E. in fondo non conosce ancora la contrapposizione di cultura greca e incultura barbara, che il suo contemporaneo Eraclito già teorizzava. Di qui deriva la sua relativa indifferenza per la ribellione ionica. E forse ha qui la sua origine in parte la disistima che di lui ebbe Eraclito stesso, il quale, come è noto, lo mette tra coloro che hanno molta erudizione, ma nessuna capacità di pensiero (fr. 40).
I motivi più profondi della storiografia di E. non hanno potuto agire largamente nella cultura greca, sia perché la preoccupazione religiosa le divenne nella sostanza estranea, sia perché la contrapposizione con il mondo barbaro, donde E. prendeva tanti spunti di polemica, s'irrigidì fino a non ammettere più per alcuni secoli il confronto. Perciò la logografia (v.), che segue E., imita esteriormente il suo metodo razionalistico, e perciò anche Erodoto (v.), per quanto ora lo segua ora lo combatta, rimane fuori del suo vero cerchio di pensieri. E. è stato adoperato come raccoglitore di notizie e più nella parte geografica che in quella mitografica, per la quale fu sostituito presto da Ellanico (v.). Gran parte delle citazioni che abbiamo è limitata a puri nomi geografici o poco più.
Si è spesso posto il problema se E. si poteva già valere di fonti scritte per la sua geografia. A tale problema si deve rispondere affermativamente. È intanto probabile che E. si sia valso di alcune celebri relazioni di viaggio, come quelle del marsigliese Entimene, di Scilace e forse di Annone (v.); ma poi è certo che la sua conoscenza della terra si fonda sulle notizie raccolte dai navigatori ionici, i quali per i loro scopi pratici dovevano avere carte rudimentali, prontuarî di distanze, elenchi di porti, ecc. La conoscenza geografiea di E. corrisponde nelle sue grandi linee a quella degli Ioni contemporanei: egli l'ha arricchita dei particolari conosciuti nei viaggi. E non c'è quindi da dubitare che le due parti in cui si divideva la sua opera, la tavola (περίοδος), la cui esistenza si è vanamente contestata, e le spiegazioni relative (λόγοι), risalissero a un modello abituale del tempo, a cui del resto si era già richiamato Anassimandro (v.). Le descrizioni di E. seguivano l'ordine delle coste e cominciavano probabilmente dalle colonne d'Ercole, toccando prima l'Europa, poi l'Asia, poi la Libia (= Africa). Per E. la terra è ancora un disco circondato dall'oceano: essa è divisa in due parti da una linea d'acqua che va dalle colonne d'Ercole a un punto indeterminato; ognuna di queste parti è divisa a sua volta in due quadranti. I quadranti meridionali sono l'Asia e la Libia, separate dal Nilo; i quadranti settentrionali costituiscono insieme l'Europa, divisa in mezzo dall'Istro. I popoli estremi della terra sono rispettivamente gl'Indiani, gli Etiopi, i Celti e gli Sciti: al di là stanno soltanto gli abitatori dell'Oceano conosciuti con molta indeterminatezza. In concreto E. conosce vagamente la Spagna e la Francia, assai meglio l'Italia, in cui distingue popoli diversi, Liguri, Tirreni (= Etruschi), Ausoni, Enotrî, oltre che le regioni della 'Ιταλία, che per lui corrisponde al solo Bruttium, e della Iapigia. Le conoscenze della penisola balcanica oltrepassano di poco quelle della Macedonia e della Tracia con qualche accenno alle popolazioni illiriche. Sono conosciute le coste del Mar Nero, poi, almeno superficialmente, tutte le satrapie dell'Impero persiano con notizie sull'India, l'Egitto è per E. solo il delta del Nilo e appartiene all'Asia, il resto è Libia. Nella Libia E. distingue una parte interna (di cui ha scarsissime informazioni) e una parte costiera: della prima fanno parte Etiopi e Libî propriamente detti, autoctoni; della seconda Fenici e Greci immigrati.
Bibl.: Ottima l'edizione commentata dei frammenti e delle testimonianze in F. Jacoby, Die Fragmente der griech. Historiker, I, Berlino 1923, n. 1. Dello stesso v. in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VII col. 2667 segg. (fondamentale); cfr. A. v. Gutschmid, De rerum Aegypt. scriptor, graecis ante Alex., in Philologus, X (1885), p. 525 segg.; H. Diels, Herodot und Hekataios, in Hermes, XXII (1887), p. 411 segg.; T. Gomperz, Griech. Denker, I, Lipsia 1896, p. 205 segg.; J. B. Bury, The ancient greek Historians., Londra 1909, p. 8 segg.; E. Meyer, Forschungen zur alten Gesch., I, Halle 1892 passim; H. Berger, Gesch. der Wissensch. Erdkunde der Griechen, 2ª ed., Lipsia 1903, p. 38 segg. Altre indicazioni fino al 1912 in Jacoby cit. si aggiunga: I. Grosstephan, Beiträge zur Periegese des H., Strasburgo 1915. Per la biografia di E. v. G. De Sanctis, Aristagora di Mileto, in Riv. di Fil. Class, LIX (1931), p. 48 segg.