ECBATANA
Nell'iscrizione di Bīsutūn hagmatāna (elam. agmadana; babii. aluagamatanu), negli scrittori greci (Aristoph., Acharn., 64, 613; Eq., 1089; Vesp., 1143, 1144) ᾿Εκβάτανα o ᾿Αγβάτανα (Aeschyl., Pers., 16; Her., I, 110 e 153), è il nome dell'antica capitale della Media, situata ai piedi del monte Elvend, al termine della grande via militare che attraversava il sistema montuoso dello Zagros.
Sulla sua fondazione gli scrittori classici ci hanno tramandato notizie discordi: secondo Ctesia (in Diod., ii, 13) sia la via, sia la cittadella sarebbero state opera di Semiramide; secondo Plinio (Nat. hist., vi, 43) la città sarebbe stata fondata da un Seleuco. Notizie più attendibili ci sono date da Erodoto che ne attribuisce la fondazione al creatore della dinastia dei Medi, Deioce (i, 98), ma, poiché si ha menzione di una città di nome Amadana nell'iscrizione di Tiglatpileser I, ciò è da intendere nel senso che questa città, scelta da Deioce, appena eletto re, a sua residenza, attinse ad opera di lui un maggiore splendore. Secondo la descrizione di Erodoto, la città si elevava su una collina ed era circondata da sette muraglie concentriche e di altezza digradante verso la periferia. La più interna racchiudeva il palazzo reale e il tesoro; i suoi merli erano dorati, quelli della seconda muraglia erano invece argentati, e quelli delle altre di diverso colore. L'origine di tale diversa colorazione è certo da riportarsi al vario significato che i colori avevano nell'astrologia babilonese, ma è assai probabile che i Medi se ne siano serviti a semplice scopo decorativo. Si deve pensare che la merlatura delle sette muraglie fosse non in pietra come il resto della costruzione, ma in mattoni verniciati secondo l'uso assiro. Secondo Erodoto il muro esterno aveva lo sviluppo delle mura di Atene.
I successori di Deioce ebbero sede in E. e lo splendore della città dovette sempre più crescere fino a che la dinastia degli Achemènidi non provocò il crollo della potenza dei Medi. Gli annali di Nabonedo c'informano che Ciro, dopo aver catturato Astiage, mosse su E. e la saccheggiò, inviando ricchissimo bottino nella terra di Anzan. Ciò avvenne nel 550 a. C. In seguito E. fu residenza estiva dei sovrani Achemènidi e il suo palazzo reale continuò ad avere il primitivo splendore (Pseudo-Aristot., De mundo, 6). Mediante un sistema di segnalazioni luminose ivi, come a Susa, il Gran Re poteva essere in giornata avvertito di quanto avveniva nel regno. Nell'iscrizione di Bīsutūn (r. 32) Dario narra che in E. erano stati puniti con la morte, impalati e impiccati, il ribelle Fraorte e i suoi compagni (521 a. C.).
Alessandro Magno, inseguendo l'ultimo degli Achemènidi, fu in E. nel 330 e vi ritornò nel 324. Occupandola fece un bottino di 18o.ooo talenti secondo Strabone (xv, 731), di 190.000 secondo Giustino (xii, 1, 3). Nel 344 essendo morto ivi Efestione, Alessandro nel dolore per la perdita dell'amico carissimo avrebbe fatto distruggere la città, secondo Eliano (Var. hist., vii, 8), o solo il tempio di Asklepios, secondo Polibio (x, 27, 6). Polibio ci dà del palazzo reale una descrizione che ne attesta lo sfarzo e aggiunge che dall'oro e dall'argento da esso ricavato furono coniate monete per 4000 talenti. Sotto gli Arsacidi la città continuò ad essere residenza reale (Strab., xi, 522; xvi, 743) e sotto i Sassanidi conservò la preminenza fra le città della Media.
La città antica di E. si estende sotto le costruzioni della moderna Hamadhan, ed esistono quindi scarse possibilità di riportarne alla luce gli avanzi. I soli ritrovamenti consistono in alcune iscrizioni (una delle quali trilingue, su una laminetta d'oro, eguale nel testo a quella di fondazione dell'apadāna di Persepoli, ricorda le costruzioni di un edificio analogo ad E. da parte di Dario); nei frammenti di qualche colonna; in un leone di pietra (forse di età postachemènide), che doveva decorare le mura della città; in una testa maschile di arte parthica. È incerto se e dove siano state rinvenute ad E. alcune oreficerie di età achemènide.
Bibl.: E. F. Schmidt, Persepolis, I, Chicago 1953, pp. 19, 21, 25, 36 ss., 40, 43 s. (con bibliogr. prec.); L. Vanden Berghe, Archéologie de l'Irān Ancien, Leida 1959, passim.