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ECCEZIONE

di Vincenzo ARANGIO-RUIZ - Enciclopedia Italiana - I Appendice (1938)
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ECCEZIONE

Vincenzo ARANGIO-RUIZ

. È una delle forme di difesa del convenuto in un processo civile, talvolta anche dell'accusato in un processo penale: suo carattere distintivo è di non negare il diritto vantato dall'attore né l'obiettività del fatto illecito, ma di far valere una circostanza che esonera dall'obbligo o dalla responsabilità.

Nel processo civile romano, dove è nata, l'exceptio aveva lo scopo di far applicare, in confronto di norme considerate come universalmente valide, le regole sancite dagli organi dell'Urbe per limitarne in date circostanze l'applicazione. Così la norma dell'antico costume (ius civile), che riconosceva piena e irrefragabile efficacia creativa di diritto alle forme solenni dei negozî giuridici, fu nel corso del tempo affiancata da regole limitative e proibitive, poste dapprima da leggi votate nelle assemblee popolari e poi, su più larga scala, dallo stesso magistrato giusdicente nel suo Editto annuale (v. pretore, XXVIII, p. 222): si vietavano, p. es., le donazioni e i legati eccedenti un certo valore, si vietava di approfittare dell'inesperienza di un minorenne per fargli concludere un contratto svantaggioso, si soccorreva colui che in un negozio giuridico fosse stato vittima dell'altrui dolo o violenza. Per fare che la norma correttiva fosse applicata senza rinnegare quell'altra che si considerava primordiale ed eterna, fu necessaria in principio una molteplicità di procedure; ma poi fu trovato un congegno più perfetto con l'invenzione dell'exceptio.

Era il periodo della procedura formulare, nel quale tutto il processo si svolgeva secondo le istruzioni contenute in un breve programma (formula, XV, p. 706) che si preparava nel tribunale del pretore: la formula era di solito indicata dall'attore fra quelle che nel tribunale stesso si trovavano esposte, e conteneva l'ordine al giudice di condannare il convenuto se l'attore provasse il fondamento della sua pretesa, di assolverlo in caso contrario. Ora, se il convenuto pensava di poter provare che il diritto vantato dall'attore fosse paralizzato da una delle dette regole limitative, chiedeva che fosse inserita nella formula un'apposita clausola; ed era questa l'exceptio. Con ciò, la formula prendeva, ad es., l'aspetto seguente:

"Se risulta che N. N. (convenuto) deve ad A. A. (attore) in forza del testamento di L. Tizio duemila sesterzî, e a meno che in questa occasione non si sia agito contro una legge, il giudice condannerà N. N. a pagare ad A. A. duemila sesterzî: se ciò non risulta, lo assolverà".

La parte di questa formula che riproduciamo in caratteri normali è il testo prescelto e adattato dall'attore, cioè - nell'ipotesi - dal legatario; la frase in corsivo è l'eccezione che il convenuto, cioè l'erede gravato, vi ha fatto aggiungere. L'insieme prova luminosamente che nella concezione romana l'obbligazione era nata irrefragabilmente dalla disposizione del testatore, ma che tuttavia le leggi limitative dell'ammontare dei legati consentivano all'erede di non adempierla.

Gli accenni fatti bastano a rendersi conto dell'importanza che l'exceptio ha avuto nell'evoluzione del diritto romano: a parte il contributo potentissimo all'attuazione delle leggi comiziali, tutta quella più larga riforma del diritto privato che è dovuta al pretore si è svolta in gran parte attraverso l'uso delle exceptiones. E va detto pure che la convivenza così assicurata fra le norme originarie e fondamentali e le loro correzioni pratiche rappresenta per noi il più valido aiuto nell'analisi delle situazioni giuridiche e uno dei maggiori coefficienti dell'inalterabile valore educativo del diritto romano.

I giuristi di Roma distinsero le eccezioni in perentorie e dilatorie, secondo che la circostanza messa in rilievo dal convenuto fosse opponibile all'attore in qualunque momento (come in caso di dolo, o di violenza, o di patto di non chiedere con efficacia perpetua) o solo entro un certo limite di tempo (ad es., se il patto di non chiedere fosse stato concluso per un anno). Ma l'efficacia dilatoria si produce soltanto se lo spauracchio dell'eccezione fa desistere per il momento l'attore: se invece questo insistesse nell'agire, l'assoluzione del convenuto sarebbe definitiva, per il principio che impedisce di agire due volte per lo stesso oggetto.

In determinate circostanze, l'attore può a sua volta paralizzare l'eccezione con una replica (replicatio), e a questa il convenuto può ancora opporre una duplicatio, ecc. Ma è difficile che si vada molto in là su questa strada in un ordinamento così tecnicamente perfetto come è quello del processo classico.

Connessa con le esigenze del pensiero giuridico romano, l'eccezione perde già nel diritto giustinianeo la precisione dei suoi contorni. In molti testi dei giureconsulti, assunti a far parte del Digesto, l'originaria spettanza dell'eccezione si è trasformata quasi inavvertitamente in non spettanza dell'azione; ed anche dove l'eccezione è rimasta non è facile riconoscerle, nel nuovo sistema processuale, un'efficacia diversa da quella della negazione del diritto che l'attore vanta. Perciò molti scrittori escludono che l'eccezione abbia diritto di cittadinanza nel sistema del Corpus iuris, nonché - a fortiori - negli ordinamenti attuali.

Tuttavia la dottrina e la legislazione stessa continuano anche presso di noi ad operare col concetto di eccezione; né l'uso dell'espressione è ingiustificato. Vi sono infatti ancora oggi ipotesi nelle quali l'attore è respinto non perché il diritto da lui vantato non sussista, ma perché è paralizzato da una circostanza estranea alla struttura essenziale del rapporto, circostanza che il giudice può tener presente solo in quanto il convenuto la faccia valere. Ciò accade anzitutto per quelle difese che riguardano la forma e la tempestività della domanda giudiziale (eccezioni di rito), ad es., l'eccezione d'incompetenza. Ma il fenomeno non è diverso, a nostro avviso, nei casi in cui il convenuto eccepisce la nullità (relativa) del negozio da cui il diritto dell'attore sarebbe sorto, p. es., a causa di dolo o di violenza. Non si può negare in queste ipotesi l'esistenza del negozio, né che un diritto ne sia nato; ma spetta peraltro al convenuto la facoltà di denunciare il vizio, e di ottenere che in seguito alla constatazione di esso il negozio sia annullato. Qui è rigorosamente esatto il parlar di eccezione; perché anche qui, come nel diritto romano classico, si trovano di fronte due norme, poste su differenti piani, e il trionfo definitivo della seconda non rinnega la prima. Ciò risulta, se è possibile, ancora più chiaro nel caso delle "eccezioni personali" fatte valere contro l'efficacia formale di un titolo di credito; ove è evidente il conflitto fra il negozio giuridico astratto, definito esclusivamente dal titolo e indifferente alla persona del possessore, e la speciale relazione giuridica esistente fra un determinato possessore e il debitore.

Ad analoghi conflitti di norme si riporta pure l'uso dell'eccezione nel processo penale: ad es., non punibilità del fatto commesso col consenso dell'avente diritto, dell'adulterio in caso di analogo delitto dell'altro coniuge, ecc.

Bibl.: A. Roberti, Trattato delle azioni e delle eccezioni, Firenze 1840; O. Lenel, Über Ursprung und Wirkung der Exceptionen, Heidelberg 1876; J. von Koschenbahr Lyskowski, Die Theorie der Exceptionen nach klassischem römischen Recht, Berlino 1893; C. Crome, Allgemeiner Teil der modernen französischen Privatrechtswissenschaft, Mannheim 1892, p. 262 segg.; C. Fadda e P. E. Bensa, nella traduzione di B. Windscheid, Diritto delle Pandette, I, parte 1ª, Torino 1902, nota s a p. 696 segg.; L. Wenger, institutionen des römischen Zivilprozessrechts, Monaco 1925, p. 145 segg.; G. Chiovenda, istituzioni di dir. process. civile, I, Napoli 1933, p. 303 segg.; T. Gatti, L'eccez. penale, Padova 1933.

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