Ecclesiaste
La parola non è altro che una trasposizione dal latino e dal greco, e corrisponde all'ebraico Qohelet, " chi chiama per far venire a un'adunanza ". È il titolo (e il nome preso dall'autore) di un libro dell'Antico Testamento. Per gli Ebrei, fa parte degli Scritti, ketûbîm (in opposizione alla Legge-Tôrâh, e ai Profeti-Nebiîm), la categoria meno sacra dei Libri ispirati (Luc. 16, 29); è il quarto dei rotoli, meghillôt, e viene letto nella festa dei Tabernacoli o Tende, sukkôt. Nei Settanta, o bibbia greca, l'E. è il secondo dei cinque libri di Salomone; nella Vulgata latina è il secondo dei libri sapienziali.
L'E. si presenta come figlio di Davide re di Gerusalemme, ma i critici stimano che la composizione del libro, pur se anteriore a Sirac (fine del II sec. a.C.), sia posteriore a quella di Giobbe; risalirebbe dunque all'epoca persiana, forse alla fine del III secolo a.C. Se il consenso non è unanime sull'unità di autore, ciò è dovuto all'assenza di composizione o di legame tra le sentenze.
Nel libro di Giobbe, il modo gnomico di parlare, il mâšal (" proverbio "), Si trasforma in dialogo: nell'E. diventa satira, polemica. E infatti Qohelet presenta una dottrina molto caratterizzata. Di solito scettico, fatalista, pessimista, comunque senza illusioni, l'E. è però talvolta più sereno, più edonistico, e il suo principale insegnamento è il distacco dai beni terreni.
D. ha citato e tradotto quattro passi dell'E.: 3,7 in Cv IV II 8, dove spiega il v. 9 di Le dolci rime (E poi che tempo mi par d'aspettare; il testo della vulgata: " Tempus tacendi et tempus loquendi "); 3, 21 in XV 7, in cui discute se la nobiltà può venire solo dalla nascita (" Quis novit si spiritus filiorum Adam ascendat sursum et si spiritus iumentorum descendat deorsum? ", Chi sa se li spiriti de li figliuoli d'Adamo vadano suso, e quelli de le bestie vadano giuso?); 5,12 in Cv II X 8 e 10: D. oppone ivi le qualità della persona amabile (Cortesia e onestade è tutt'uno) ai miseri grandi, matti, stolti e viziosi (" Est et alia infirmitas pessima quam vidi sub sole: divitiae conservatae in malum domini sui ", E un'altra infermitade pessima vidi sotto lo sole, cioè ricchezze conservate in male del loro signore); infine 10, 16-17 citato due volte: in Cv IV VI 19 per rivolgersi severamente a Carlo d'Angiò e a Federico d'Aragona; e XVI 5, ove D. compara le scuole filosofiche: l'autorità di Aristotele, come l'autorità dell'imperatore, è necessaria.
La saggezza disdegnosa dell'E., interpretata nella propria linea, era stata talmente ben assimilata da un D. altero quanto impregnato di cultura biblica che, senza forzarne il senso, i versi di Qohelet vengono citati perfettamente ad rem.
Bibl. - R. Gordis, Kohelet. The Man and His World, New York 1951, 396; J.J. Goldstain, Les sentiers de la Sagesse, Parigi 1967, 113-154; L. Di Fonzo, L 'E., Torino 1967, 380.