ECCLESIASTICI
In diritto canonico sono ecclesiastici in senso lato i chierici, cioè coloro che attendono ai divini uffici, avendo ricevuto almeno la prima tonsura, i religiosi di ambo i sessi, che fanno vita comune e pronunziano i voti solenni, i novizî, e i cosiddetti frati laici o conversi. Sono pure indicati con questa espressione i seminaristi e gli aspiranti agli ordini religiosi. In senso stretto sono ecclesiastici solamente i chierici. Gli ecclesiastici (in senso lato) si distinguono in secolari, che vivono nel mondo, separatamente, attendendo principalmente alla cura delle anime; e regolari, che sono più o meno separati dal mondo, fanno vita comune, secondo una regola approvata dalla S. Sede, e sotto l'osservanza dei tre voti di povertà, castità e obbedienza (canone 487).
Gli ecclesiastici sono fra loro ordinati gerarchicamente, in varî gradi, ai quali corrispondono poteri diversi, in una gerarchia corrispondente alla duplice potestà di ordine e di giurisdizione; sono quindi in rapporto di superiorità e inferiorità, disuguaglianza di grado che è di diritto divino (can. 108). I diritti degli ecclesiastici in senso stretto si identificano sostanzialmente con i quattro privilegi tradizionali: privilegium canonis, fori, immunitatis, competentiae (per i quali v. clero, X, p. 583; per il privilegium fori, v. anche foro ecclesiastico). A tali privilegi non può rinunziare l'ecclesiastico essendo essi considerati essenziali per la sua qualità. Essi sono espressamente estesi ai religiosi di ambo i sessi, ai novizî e ai laici (can. 613-614). A questi diritti corrispondono particolari doveri alcuni dei quali comuni ai chierici e ai religiosi regolari (v. per questi clero). I religiosi debbono altresì osservare gli obblighi derivanti dai voti solenni, e gli altri imposti dalle varie regole, sia per le astinenze, le preghiere, la clausura talvolta rigorosa, sia per l'obbedienza ai superiori e per una più stretta osservanza della vita comune; sono pure sottoposti a varî obblighi corrispondenti ai fini loro di maggiore perfezione (can. 592-612). La riduzione allo stato laicale (per la quale, v. clero) produce la perdita dei diritti o privilegi, e la dispensa dai doveri tranne quello del celibato, che cessa nel caso di violenza. Particolari regole sono dettate per la perdita dello stato di religioso.
Diritto dello stato. - Nel diritto italiano pre-concordatario, lo stato, in conseguenza del principio separatista, non si ingeriva della gerarchia ecclesiastica, e riconosceva la qualità di ecclesiastico a chi la possedeva secondo il diritto canonico, salvo alcune eccezioni, ispirate al principio della libertà e dell'uguaglianza dei cittadini. Così, p. es., sebbene la Chiesa ritenga indelebile il carattere sacerdotale impresso dalla sacra ordinazione, lo stato invece considerava il sacerdote che aveva abbandonato l'abito come un cittadino qualunque, senza alcuna differenza. E in base al principio dell'eguaglianza non riconosceva i privilegi canonici. In generale, la legge considerava gli ecclesiastici soltanto in quanto erano ministri del culto, espressione che comprendeva anche gli acattolici. Il privilegio del foro era stato abolito con la legge Siccardi del 9 aprile 1850; del privilegium immunitatis nessuna traccia, salvo una legge recente la quale concedeva agli studenti di teologia, avviati a sacerdozio, il rinvio del servizio militare oltre il 20° anno di età e l'esenzione dall'ufficio di giurato. Che nemmeno il beneficium incompetentiae fosse riconosciuto dallo stato, era opinione prevalente nella dottrina e nella giurisprudenza; si ammetteva soltanto la impignorabilità per le congrue, ma in base al principio generale che ne esentava gli assegni alimentari, fra i quali rientravano le congrue. D'altra parte, lo stato non accordava alcuna sanzione per l'osservanza dei doveri degli ecclesiastici, i quali pertanto, per l'eventuale infrazione, rimanevano soggetti alle sole pene spirituali della Chiesa. Una sanzione indiretta poteva esserci solo in certi casi, per il godimento di un beneficio, il quale necessariamente non poteva essere garantito dallo stato a chi, in seguito a condanna della Chiesa, fosse divenuto incapace di esercitare l'ufficio ecclesiastico al quale il beneficio era connesso.
Nel concordato lateranense dell'11 febbraio 1929 in ordine ai quattro privilegi non è rimasta traccia che dei due benefici: immunitatis e competentiae. Oltre a quanto è stato detto alla voce culto (XII, p. 101) occorre qui specificare, in merito all'esenzione degli ecclesiastici dal servizio militare, che l'art. 3 conferma, innanzi tutto, la facoltà di rinvio del servizio militare per gli studenti di teologia, per quelli degli ultimi due anni di propedeutica alla teologia avviati al sacerdozio e per i novizî degl'istituti religiosi. Inoltre, è concessa l'esenzione dal servizio ai chierici ordinati in sacris e ai religiosi che hanno emesso i voti. Tale esenzione, nel caso di mobilitazione generale, è mantenuta soltanto per i sacerdoti aventi cura di anime; i semplici sacerdoti sono soggetti alla mobilitazione, ma vestono l'abito talare e prestano servizio di cappellani; gli altri chierici e religiosi, non sacerdoti, sono di preferenza destinati ai servizî sanitarî. Agli ecclesiastici è pure accordata l'esenzione dall'ufficio di giurato, art. 4; e per occupare altri uffici o impieghi statali o parastatali occorre il nulla osta dell'ordinario diocesano; la revoca del nulla osta rende l'ecclesiastico incapace di continuare a esercitare l'ufficio (art. 5). Con questa disposizione, evidentemente, un ecclesiastico non può esercitare un ufficio che il vescovo ritenga incompatibile col suo carattere.
Bibl.: D. M Prümmer, Manuale iuris Canonici, Friburgo in B. 1927; Chelodi, Jus de personis juxta Codicem Juris Canonici, Trento 1927; Fr. Xav. Wernz, Jus Canonicum, II, 3ª ed., Roma 1929; F. Scaduto, Il diritto ecclesiastico vigente in Italia, 2ª ed., Torino 1892; C. Calisse, Diritto ecclesiastico, I, Firenze 1901; A. C. Jemolo, Elementi di diritto ecclesiastico, Firenze 1925; N. Coviello, Manuale di diritto ecclesiastico, 2ª ed., Roma 1912.