Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Raffinato intellettuale e influente personalità dell’ordine domenicano, Meister Eckhart cerca di diffondere in Germania, attraverso la sua attività di predicatore, una nuova idea di religiosità fondata sulla riflessione della vera essenza dell’uomo: in quanto intelletto l’uomo ha un rapporto di identità e non di differenza rispetto a Dio, di cui è immagine. Tra uomo e Dio diventa dunque drammaticamente inutile la mediazione della Chiesa, che, infatti, condannerà le proposizioni più rivoluzionarie del Maestro domenicano.
Meister Eckhart
L’intelletto è servo in senso più proprio della volontà o dell’amore. Volontà e amore si dirigono verso Dio in quanto è buono e, se non fosse buono, non lo degnerebbero di attenzione. Invece l’intelletto si spinge in alto, verso l’essere, senza far caso alla bontà, alla sapienza o alla potenza, o a tutto ciò che è accidentale. Non si rivolge a ciò che è aggiunto a Dio; lo coglie in se stesso: si immerge nell’essere e prende Dio come puro essere. Anche se non fosse sapiente, né buono, né giusto, lo prenderebbe in quanto puro essere. In ciò l’intelletto è simile alla più elevata signoria angelica, che comprende i tre cori: i Troni abbracciano Dio in sé e lo custodiscono, e Dio riposa in essi; i Cherubini confessano Dio e stanno vicini; i Serafini sono il fuoco. L’intelletto è simile a questi tre, e custodisce Dio in sé. Insieme a questi angeli, l’intelletto prende Dio nel suo guardaroba, nudo, in quanto è Uno, senza distinzione.
Meister Eckhart
Sul distacco
Ego elegi vos de mundo
Dice nostro Signore: “A chi rinuncia a qualcosa per amor mio e per amore del mio nome, io renderò il centuplo me la vita eterna” (Mt 19,29). Ma se tu ti distacchi da qualcosa per il centuplo o per la vita eterna, non ti sei distaccato da nulla, e, neppure per una ricompensa mille volte più grande, ti sei distaccato da nulla. Tu devi abbandonare te stesso, completamente, ed allora sei veramente distaccato. L’uomo che si è distaccato da se stesso, è così puro che il mondo non può sopportarlo. Chi ama la giustizia, di lui la giustizia si prende cura, ed egli viene preso dalla giustizia, ed è una sola cosa con la giustizia. L’uomo giusto non serve né Dio né le creature, perché è libero; e quanto più è vicino alla giustizia, tanto più è vicino alla libertà, e tanto più è la stessa libertà. Tutto quel che è creato non è libero. Finché è sopra di me qualcosa che non è Dio stesso, ciò mi opprime, per quanto piccolo o comunque sia; fosse anche lo stesso intelletto e l’amore; in quanto è creato e non Dio stesso, mi opprime, perché non è libero. L’uomo ingiusto serve la verità, gli sia gioia o dolore, e serve l’intero mondo e tutte le creature, ed è un servo del peccato.
Meister Eckhart, “Ego elegi vos de mundo”, in Sermoni tedeschi
Eckhart nasce probabilmente a Gotha nel 1260, ed entra molto presto nel convento dei Domenicani a Erfurt. Studia teologia a Parigi e il 18 aprile 1294 tiene come lettore delle Sentenze di Pietro Lombardo il sermone solenne di Pasqua. Della sua prima attività accademica a Parigi è conservata, oltre a questo sermone, anche la Collatio in libros Sententiarum, una sorta di prolusione con cui il giovane docente deve cominciare il suo insegnamento. Tra il 1295 e il 1298 Eckhart torna in Germania e compone per i confratelli del convento di Erfurt, di cui è priore, le Reden (Discorsi, conosciuti in Italia con il titolo erroneo di Istruzioni spirituali) in cui propone una nuova interpretazione delle virtù monastiche, prima fra tutte l’obbedienza. Nel 1302/1303 Eckhart è chiamato come maestro di teologia alla Sorbona. La sua attività accademica non riscuote però grande successo: delle numerose questioni che egli sicuramente discute, soltanto due ci sono pervenute. Una terza si può ricostruire attraverso lo scritto di un suo avversario Gonsalvo di Vallebona, francescano. Nelle prime due questioni Eckhart analizza i concetti di pensare (intelligere) ed essere (esse) in Dio e negli angeli. Si chiede se sia l’essere a fondare il pensare, o piuttosto il contrario. Eckhart conclude che il pensare stesso (ipsum intelligere) è il fondamento dell’essere stesso (ipsum esse).
Il maestro domenicano sostiene che Dio non è essere, ma soltanto pensare, e soprattutto un pensare che si autocomprende. Questa “autocoscienza” di Dio è il fondamento del suo essere. Per questo, afferma Eckhart, Dio si presenta a Mosè con il nome: Io sono colui che sono (Esodo 3,14). Ma il pensare come autocomprensione di sé, non è però, secondo Eckhart, prerogativa di Dio, ma è la caratteristica propria di ogni creatura razionale, tra cui l’uomo, che in quanto intelletto comprende se stesso, e, nella comprensione di sé, intuisce Dio. Appartengono a questo periodo due prediche e due lezioni su Ecclesiastico 24. Si tratta di testi composti in occasione dei Capitoli provinciali dell’ordine e che Eckhart redige poi in forma definitiva all’interno della sua opera maggiore, l’Opus tripartitum. I quattro testi mostrano una straordinaria vicinanza tematica con le questioni parigine, come per esempio la denominazione di Dio come primo intelletto. Nel 1303 Eckhart conclude la sua attività accademica e torna in Germania. Durante la Pentecoste dello stesso anno il Capitolo generale dei Domenicani decide di separare, dalla provincia tedesca chiamata Teutonia, la parte nordorientale con il nome di Provincia Saxoniae. All’inizio di settembre Eckhart viene nominato priore della nuova provincia e rimane in carica fino al 1311 quando è richiamato a Parigi per un secondo magistero.
Tra il 1298 e il 1311 Eckhart compone la sua opera più ambiziosa, l’Opus tripartitum o Opera in tre parti. Secondo le intenzioni dell’autore, esposte nel Prologo generale, l’Opus tripartitum doveva essere strutturato in questo modo: una prima opera, Opus propositionum, comprendente 1000 proposizioni, divise in 14 trattati, che servono da fondamento all’insieme del lavoro teologico; l’Opus quaestionum, ovvero una raccolta di più di 1000 questioni; l’Opus expositionum diviso in due parti, la prima costituita dai commenti alle Sacre Scritture o Expositiones propriamente detta, la seconda da sermoni. A quest’opera Eckhart lavora per tutta la sua vita, senza mai concluderla. Fino a oggi sono noti soltanto i Prologhi, i due commenti al Genesi, le due lezioni e i due sermoni su Ecclesiastico 24, il commento all’Esodo, il commento alla Sapienza e il commento al Vangelo di Giovanni, nonché una raccolta di sermoni in latino. Questi ultimi sono però per la maggior parte semplici abbozzi da sviluppare. Nel decennio successivo al suo secondo magistero parigino Eckhart torna in Germania e cerca di diffondere le sue dottrine anche al di fuori della ristretta cerchia di intellettuali che parlano e comprendono il latino. Intraprende così una vera e propria attività pastorale, che comprende sia prediche che trattati in lingua tedesca (Il libro della consolazione divina, Dell’uomo nobile) destinati a un pubblico “laico”. Tra il 1324 e il 1326 Eckhart è sicuramente a Colonia, come magister nello Studium Generaledei Domenicani fondato da Alberto Magno.
Nel 1326 l’arcivescovo di Colonia apre un processo di Inquisizione contro di lui. Due Francescani si incaricano di preparare il dossier accusatorio, raccogliendo circa 60 proposizioni tratte dalle sue opere latine e tedesche. Eckhart, in un documento che ci è conservato con il titolo di Responsio, ma meglio conosciuto come Rechtfertigungsschrift o Scritto di difesa, prende posizione contro le accuse rivoltegli e difende ogni frase che gli viene contestata. Nel 1327 Eckhart si appella direttamente a papa Giovanni XXII, che in quegli anni si trova ad Avignone. Delle 60 proposizioni la commissione papale ne condanna 25. Quando il 27 marzo 1329 viene pubblicata la bolla con la sentenza di condanna, Eckhart è ormai morto, forse nel 1328, ad Avignone.
In un momento storico in cui le dispute sulla povertà della Chiesa sono particolarmente accese, e il desiderio di rinnovamento produce fenomeni sociali di aperta critica alla gerarchia ecclesiastica, come il movimento del Libero Spirito, Meister Eckhart propone un nuovo ideale di povertà e semplicità. La vera rinuncia è secondo Eckhart innanzitutto un atto di liberazione da tutte le determinazioni o proprietà, su cui l’uomo fonda erroneamente il proprio Io.
L’uomo, infatti, non si qualifica per ciò che ha (pensieri, azioni, proprietà materiali), ma piuttosto per ciò che è, ovvero essere divino (Meister Eckhart, Istruzioni spirituali, trad. it. M. Vannini, 2000): “Su nient’altro è fondato il nostro essere se non sull’annullamento di noi stessi. Per tale ragione Dio, volendo darsi a noi insieme a tutte le cose come pieno possesso, vuole prima spogliarci completamente in ogni nostro bene. In verità, Dio non vuole che possediamo alcunché di nostra proprietà (Eigenschaft). Dobbiamo possedere tutte le cose come se ci fossero date in prestito, non donate, senza alcuna proprietà: corpo o anima, sentimenti o facoltà, beni esteriori, onori, amici o parenti, case o terreni; ogni cosa insomma. Dio vuol essere, lui solo e solamente lui, nostra proprietà”.
Quest’atto di liberazione è un processo che necessita di esercizio, dedizione e soprattutto di una graduale presa di coscienza delle proprie possibilità, processo che conduce l’uomo al distacco (Abegescheidenheit) da ciò che è estraneo alla sua vera natura. La riflessione di Eckhart sullo statuto ontologico dell’uomo fonda così una nuova definizione della sua dignità: fino a quando l’uomo si considera ente tra enti, soggetto dotato di proprietà, non può scoprire il divino che è in sé. Ma se prende le distanze dalla sua dimensione di creatura e riflette attentamente sulla sua essenza, scopre allora che egli viene da Dio e che da sempre è uno con Dio. Questo riconoscersi uno con Dio non è il risultato di un’esperienza mistica irrazionale ed emotiva, ma piuttosto è la scoperta della originaria libertà del proprio spirito. Libertà che Eckhart intende, sin dai suoi primi scritti, come indeterminatezza e totale apertura all’essere. Queste sono le caratteristiche di quel principio essenziale dell’anima umana che Eckhart nelle opere tedesche chiama tempio, castello, scintilla o luce dello spirito. Eckhart rielabora la classica dottrina psicologica aristotelica dell’intelletto possibile, che egli utilizza in un contesto totalmente nuovo. Per Aristotele l’intelletto possibile deve essere assolutamente indeterminato per poter comprendere qualsiasi oggetto attraverso l’illuminazione di un intelletto in atto (Intelletto agente). Eckhart riprende l’idea di un Intelletto indeterminato, ma non gli contrappone un oggetto che deve essere conosciuto; piuttosto lo fa essere il polo contrario e necessario di un altro intelletto assolutamente indeterminato, ovvero Dio. Alla base della posizione eckhartiana vi è una solida metafisica, assai lontana dalla speculazione di ascendenza tomista allora in voga presso i Domenicani.
Nelle prime questioni parigine (1302-1303) Eckhart contrappone, infatti, l’universo dell’essere a quello del pensare, intendendo il primo come il mondo fisico nel quale vive l’esperienza quotidiana del senso comune. Di fronte a questa esperienza, l’essere si presenta sempre e soltanto come essere creato, determinato nello spazio e nel tempo, oggetto passivo del conoscere. Di fronte all’essere, l’intelletto rivela invece una condizione ontologica completamente diversa, che non può essere desunta dall’essere medesimo: l’intelletto in quanto tale è un “non-ente”, perché indeterminato. In ragione di tale indeterminazione l’intelletto (ed Eckhart non distingue tra intelletto divino e umano) è intrinsecamente relazionalità, ha cioè la proprietà di riflettere su se stesso e autocomprendersi. Dio e uomo, in quanto essere razionale, sono dunque i poli di una sola e unica relazione. La dottrina dell’immagine, che Meister Eckhart descrive soprattutto nel sermone tedesco 16b, esplica questa dinamica di identità e differenza. L’immagine di un uomo in uno specchio è contemporaneamente identica e differente rispetto all’uomo reale: identica in quanto ne costituisce la stessa immagine riflessa, differente in quanto immagine in uno specchio. Così l’immagine di Dio nell’uomo: l’intelletto fonda contemporaneamente identità e differenza rispetto a Dio; identità in quanto è lo stesso intelletto divino che si specchia nell’uomo, differenza in quanto l’immagine è in un uomo concreto, determinato spazio-temporalmente e finito. Questo rapporto di intimità tra uomo e Dio, che fonda l’essenza dell’uomo, è chiamato da Eckhart “la nascita di Dio nel fondo dell’anima”, il cosiddetto Gottesgeburt, un processo eterno dal punto di vista di Dio, ma che dalla prospettiva umana è un evento da scoprire.
Con mistica renana si intende comunemente una vasta e multiforme produzione letteraria localizzata lungo la valle del Reno. Comprende soprattutto testi anonimi composti per lo più all’interno di circoli o movimenti spirituali, spesso in odore di eresia, come per esempio il movimento del Libero Spirito. Queste opere in volgare tedesco hanno spesso come temi alcune questioni al centro della produzione eckhartiana: divinizzazione dell’uomo, libertà dello spirito, preferenza di un’etica dell’intenzione a una religiosità rituale, relativizzazione dell’importanza della gerarchia ecclesiastica.
Contro questa pericolosa associazione Enrico Suso scrive una delle sue opere più note, Il piccolo libro della verità. Nato intorno al 1295 (forse 1297) a Costanza e morto nel 1366 a Ulm, Suso è uno dei più noti discepoli di Eckhart, che conosce a Colonia dal 1323 al 1327. Nel 1332 sarà addirittura accusato di eresia a causa del suo evidente “eckhartismo”. Tra il 1362 e il 1363 redige l’Exemplar, che comprende un’autobiografia, o Vita, il Piccolo libro della saggezza eterna, il Piccolo libro della verità e il Piccolo libro delle lettere. Nel Libro della verità Suso intende condurre una chiara difesa di Eckhart, composta dopo la pubblicazione della bolla papale In agro dominico del 1329. In particolare egli vuole salvare la dottrina eckhartiana dalla deriva eretica del movimento del Libero Spirito, impersonato, nel Libro, dall’inquietante “Selvaggio” senza nome. Per questo si preoccupa di offrire un’interpretazione ortodossa di un concetto fondamentale del pensiero eckhartiano, ovvero l’abbandono. Nel dialogo con il “Selvaggio” Suso afferma che l’uomo perfetto, ovvero l’uomo che si è annullato in Dio, non perde del tutto corporeità, sensibilità e ragione, rimane cioè comunque distinto rispetto a Dio, in cui si annulla. Egli sottolinea così l’impossibilità per l’uomo di diventare uno con Dio, per quanto egli possa allontanarsi da sé e perdere il proprio io. Suso in questo intende offrire una versione ortodossa del pensiero di Eckhart, sforzandosi di non snaturarlo, ma di renderlo compatibile con le direttive della Chiesa.
Nato a Strasburgo forse nel 1300, ed entrato nell’ordine dei Domenicani verso il 1315, anche Giovanni Tauler ha seguito l’insegnamento di Eckhart fino al 1323-1324. Autore di un voluminoso corpus di Sermoni, ripropone alcuni temi della filosofia eckhartiana, mediati però dalla lettura di Bertoldo di Moosburg, nella cui opera trova la possibilità di fondare filosoficamente l’unione mistica tra uomo e Dio, attraverso una riflessione sull’essenza dell’anima umana. Tauler, infatti, rifiuta la tesi tomista, secondo cui l’immagine di Dio nell’uomo consiste nelle tre facoltà dell’anima (memoria, intelletto e volontà). Seguendo Bertoldo afferma che l’immagine di Dio nell’uomo risiede piuttosto nell’uno dell’anima. Si tratta di un tema fondamentale del trattato Sulla provvidenza di Proclo, che Bertoldo di Moosburg interpreta come sostanza e principio fondativo dell’intelletto umano. Tauler segue fedelmente Bertoldo e sostituisce la visione intellettuale di Dio, di cui avevano parlato Teodorico di Freiberg ed Eckhart, con l’unione “mistica” tra uomo e Dio, che, secondo Tauler, l’uomo divino può solo sperimentare, ma di cui non può parlare.