Ecologia del paesaggio
Ecologia, paesaggio, bionomia
La fine del 20° sec. ha visto il termine ecologia inflazionarsi sempre più, forse irrimediabilmente, nel mondo dei mass media come in quello umanistico e talvolta anche tecnico. Sotto certi aspetti, persino in ambito accademico tale termine è spesso ambiguo: una o tante ecologie? Scienza ambientale o biologica? Nella società odierna, un ecologo rischia di essere considerato solo un generico ambientalista, un esperto di energetica, un tecnico dei rifiuti urbani o persino un politico ‘ecologista’. L’idea che l’ecologia sia connessa alla biologia sembra infatti non sfiorare neppure chi non si occupa di scienza. Poiché anche il termine paesaggio è spesso usato in modo improprio, cioè inteso unicamente come panorama, bene estetico-culturale o percezione geografica, parlare di ‘ecologia del paesaggio’ può risultare assai arduo. Anche in questo caso, l’idea che la scienza intenda il paesaggio come «integrazione di tutti i caratteri di un territorio» (Alexander von Humboldt, Kosmos. Entwurf einer physischen Weltbeschreibung, 1° vol., 1845) sembra essere inarrivabile per chi non è scienziato.
Ecco perché è necessario, all’inizio del nuovo secolo, intitolare un saggio come questo in termini di ‘bionomia del paesaggio’, essendo evidente che la bionomia come ‘dottrina delle leggi della vita’ respinge l’uso improprio del termine paesaggio, e che è meglio ricorrere al concetto di ‘ecologia del paesaggio biologico-integrata’. Ricordiamo che nelle leggi della vita è compreso anche l’uomo, in un’integrazione di complessità che conferma il senso di ‘bionomia del paesaggio’. Inoltre questa nuova denominazione si distingue dall’ecologia del paesaggio in senso corrente, una disciplina recente che risente ancora dei diversi indirizzi di formazione degli autori: solo oggi i suoi molteplici aspetti cominciano a essere integrati l’uno con l’altro. Si parlava di ecologia del paesaggio come ‘transdisciplina’: in realtà non si era ancora visto che proprio un’integrazione più profonda delle componenti della vita in un opportuno intervallo di scala avrebbe portato necessariamente a una disciplina ecologica a sé stante, capace di rinnovare anche taluni aspetti dell’ecologia generale. A partire dai limiti e dalle prospettive lasciati alla fine del 20° sec. dall’ecologia, in particolare dall’ecologia del paesaggio, vedremo di sottolineare quali siano i rinnovamenti in atto in questi primi anni del nuovo secolo che portano allo sviluppo della bionomia del paesaggio, sottolineando i principali aspetti teorici, metodologici e applicativi.
L’ecologia alla fine del 20° secolo
La disciplina dell’ecologia è nata alla metà dell’Ottocento come ‘autoecologia’, cioè come studio del rapporto fra organismi e ambiente, e si è evoluta sviluppandosi per capitoli separati, e per alcuni aspetti contraddittori (per es., comunità contro ecosistema), fino alla seconda metà del Novecento. I principali capitoli sono stati: l’ecologia delle popolazioni, delle comunità, degli ecosistemi, l’ecologia delle acque interne, della vegetazione, o anche l’ecologia animale, marina e così via. È stato dimostrato che l’ecologia generale, pur con tutti i suoi capitoli, si trovava in difficoltà a trattare problemi di applicazione dei suoi principi nello studio e nel controllo pratico del territorio. Infatti essa considerava il paesaggio solo come supporto geografico dove vivono gli organismi; di conseguenza non riusciva a spiegare i processi che riguardano il paesaggio stesso, se non molto parzialmente, perché non cercava di comprendere le caratteristiche intrinseche al paesaggio.
Dopo aver constatato le difficoltà dell’ecologia generale nello studio del territorio, alcuni scienziati hanno cercato di aprire nuove strade. Il precursore fu il biogeografo tedesco Carl Troll (1899-1975), il quale nel 1939 (in Luftbildplan und ökologische Bodenforschung) dette il nome al nuovo ramo dell’ecologia, chiamandolo espressamente landschaftsökologie. Dopo la metà del secolo scorso, i primi autori sottolinearono la necessità di studiare i vari significati connessi alla distribuzione spaziale delle componenti ecologiche di un paesaggio. Essendo però un ramo disciplinare giovane, l’ecologia del paesaggio si presentava alla fine del 20° sec. con quattro tendenze principali: geografica, indirizzata a promuovere lo studio del paesaggio come entità geografica nella quale si integrano le varie componenti; corologico-percettiva, caratterizzata dallo studio dei processi spaziali validi a ogni livello di scala, dove il paesaggio viene visto come mosaico percepito in modo differente a seconda degli animali, ossia specie-specifico; ecosistemico-matriciale, come studio delle configurazioni di elementi componenti (distinguibili in macchie e corridoi) su una base paesistica dominante riconoscibile come matrice; olistica-multifunzionale, che intende perseguire lo studio, nel senso della molteplicità funzionale, dell’insieme olistico di subunità paesistiche definibili come ecotopi, tanto naturali quanto antropici.
Come già accennato, tali tendenze erano dovute al retaggio delle discipline di formazione degli scienziati, che erano passati a studiare il paesaggio ma non erano riusciti ancora a svincolarsi del tutto dai canoni della geografia, della zoologia, della botanica o della pianificazione territoriale. Inoltre, tali diverse tendenze dell’ecologia del paesaggio non riuscivano a fornire apporti sufficienti per superare le difficoltà di fondo dell’ecologia tradizionale, riassumibili nei quattro seguenti motivi principali: la presenza di un termine ambiguo, ecosistema, che deve essere precisato in quanto non può essere valido per ogni scala, specialmente quando sono in gioco diversi schemi spaziali, né può essere utilizzato come sinonimo di ‘sistema ecologico’ in generale (perché la sua parte biotica è solo quella di comunità); il trascurare di occuparsi dell’uomo, senza fare nulla per ostacolare la logica dell’impatto uomo-natura (logica deterministica, dipendente in realtà da un preconcetto riduzionista e che impedisce di gestire il territorio in modo ecologicamente equilibrato); il trascurare di occuparsi del paesaggio, senza controbattere l’interpretazione estetico-percettiva del termine paesaggio (bel panorama, bene ambientale), con il concetto ecologico di paesaggio inteso come specifico livello di organizzazione della vita; l’ignorare il progresso dei paradigmi scientifici avvenuto negli ultimi decenni, fatto che ha comportato interpretazioni della realtà non più accettabili al momento attuale, nel quale l’irreversibilità del tempo, la termodinamica di non equilibrio, la geometria dei frattali ecc. stanno apportando diversi cambiamenti nello studio della natura. Solamente da poco tempo si sta cercando di superare le suddette divergenze nell’ecologia del paesaggio, arrivando di conseguenza a incidere anche sull’ecologia tradizionale. La proposta di revisione della disciplina pubblicata da chi scrive nel 2002 con il titolo Landscape ecology. A widening foundation (suggerito da Richard T.T. Forman) rappresenta un esempio in questa direzione, che sarà sviluppato e aggiornato in questo scritto.
Il rinnovamento in ecologia
In accordo con i suggerimenti di Forman e di Zev Naveh, è stata proposta una revisione dell’ecologia del paesaggio in senso biologico-integrato. Infatti, indagando le leggi che regolano il comportamento di un territorio come paesaggio – cioè come luogo principe della coevoluzione fra uomo e natura – si evidenzia che dette leggi sono le stesse che governano il comportamento di qualsiasi altra entità vivente, pur se ‘declinate’ in maniera specifica. È stato così necessario riconsiderare il concetto di vita.
La vita si manifesta come sistema complesso dissipativo e autorganizzante, che è capace di ricevere ed elaborare informazioni, di riprodursi, di avere una storia e di essere il principale attore dell’evoluzione. La vita quindi non è limitata all’organismo: essa non può infatti esistere senza l’ambiente, perché non può fare a meno dello scambio di materia, energia e informazione fra l’entità organizzata e il suo specifico ambiente. Tale scambio è talmente importante che l’emergere della vita sulla Terra, com’è noto, ha radicalmente modificato l’evoluzione dell’intero pianeta. Per le ragioni suddette, i livelli biologici di organizzazione non si possono limitare a cellula, organismo, popolazione e comunità, ma devono includere anche i sistemi ecologici propriamente detti: paesaggio, ecoregione, ecosfera. Per definire questi livelli biologici vi sono quattro gerarchie parallele, per ogni scala di analisi, basate sui criteri biotico, funzionale, di struttura spaziale e integrato. Tali livelli di organizzazione di solito non vengono integrati, mentre invece è proprio la loro integrazione che permette di riconoscerli come sistemi complessi adattativi. A scala territoriale, in un determinato ambito geografico, si può definire il paesaggio come integrazione di un insieme di comunità e del loro sistema di ecosistemi in una certa configurazione spaziale, cioè come sistema complesso di ecocenotopi.
Si deve osservare che ogni sistema biologico presenta caratteri propri e caratteri esportabili. Per es., i processi che permettono la definizione della vita sono caratteri esportabili (cioè comuni a più livelli dello spettro biologico), anche se ogni specifico livello esprime questi processi nel suo modo proprio, che dipende dalla scala, dalla struttura, dalle funzioni e dall’informazione di quello specifico livello. Di conseguenza, come ogni altro sistema biologico, il paesaggio svolge, pur se con modalità sue proprie, le medesime funzioni vitali degli altri livelli, come quelle di riprodursi, assumere materia ed energia, eliminare cataboliti, nascere, morire e così via.
I processi riproduttivi di un paesaggio si manifestano, per es., in modo diverso rispetto a quanto avviene a livello di popolazione, ma comunque rispondono alle funzioni riproduttive valide per tutti i sistemi biologici. Infatti, premesso che la capacità riproduttiva di un ecotopo è essenzialmente dipendente dalla presenza e dalle caratteristiche della componente vegetale, in estrema sintesi il processo si attiva dopo la ‘morte’ di una o più tessere, dovuta a un ‘evento zero’: il ruolo delle gonadi è assunto dalla banca di propagoli; le mutazioni, invece che per crossing over, avvengono a causa dei disturbi locali; i giovani vengono protetti in apposite nicchie di nursery e la selezione avviene per competizione e predazione.
Il progredire dei paradigmi scientifici alla fine del Novecento ha aiutato a comprendere il paesaggio come sistema biologico. Infatti, tutti i sistemi viventi seguono una termodinamica di non equilibrio e si possono definire come complessi, gerarchici, dinamici, adattativi, autotrascendenti, autopoietici, dissipativi e così via. Essi seguono il principio delle ‘proprietà emergenti’, per il quale un ‘tutto organico’ è maggiore (o diverso) dalla somma delle sue componenti. Questo ‘approccio sistemico’ permette di evidenziare un modello generale del seguente tipo: condizioni termodinamiche possono determinare un ‘attrattore’, che rappresenta una condizione di dissipazione minima per un sistema nel suo campo di esistenza; possibili macrofluttuazioni (dovute, per es., ad accumulo di energia e/o a disturbi) producono instabilità che muovono il sistema verso un nuovo stato di ordine; questo nuovo stato permette a sua volta un aumento di dissipazione e porta il sistema verso nuove soglie per raggiungere un nuovo attrattore. Ciò implica che, oltre agli attrattori, siano importanti anche i cosiddetti operatori, cioè i processi di trasformazione pertinenti ai sistemi in esame.
Questo modello generale, che Ilya Prigogine (La fin des certitudes, 1996; trad. it. 1997) definisce di «ordine attraverso fluttuazioni», si manifesta in tutti i sistemi caratterizzati da flussi di energia. Ciò è evidente soprattutto nei sistemi viventi, da quelli fisiologici di organismo (per es., contrazione muscolare, ritmi metabolici) a quelli ecologici di comunità o di paesaggio (per es., successione ecologica, trasformazione dei paesaggi) e così via. Dobbiamo ancora osservare che, passata la soglia di instabilità, il sistema si trova di fronte a ‘biforcazioni’, vale a dire alla possibilità di riordinarsi rispetto a più nuovi attrattori, magari dovuti a disturbi. A ogni biforcazione il sistema opera quindi una ‘scelta’ sulla base di informazioni il più delle volte imprevedibili. Anche per questo motivo si parla di irreversibilità, e si supera così l’interpretazione riduzionista. Si noti che una struttura prodotta da una successione di fluttuazioni amplificate non può essere compresa che in riferimento al suo passato. Poiché tale passato, prodotto da eventi imprevedibili, deve essere considerato unico e non riproducibile, risulta evidente che esso necessita di un metodo storico per arrivare a comprenderlo. Si sottolinea, quindi, come il progredire scientifico abbia ridato importanza al metodo storico, che infatti è indispensabile per lo studio della dinamica di un paesaggio anche in senso ecologico.
Entità del rinnovamento dell’ecologia
Gli accenni teorici dati nel paragrafo precedente sono già sufficienti per comprendere l’entità del rinnovamento che può coinvolgere le discipline ambientali. Se poniamo a confronto le maggiori discipline ambientali ‘tradizionali’ – quali ecologia generale, geografia, agronomia, pianificazione territoriale, valutazione di impatto ambientale, sostenibilità ecologico-economica – e le discipline ‘avanzate’ – quali ecologia del paesaggio, bionomia del paesaggio, conservazione biologica, valutazione ambientale strategica – possiamo osservare che il rinnovamento si presenta in maniera assai rilevante: una vera e propria svolta che sta per improntare l’inizio del nuovo secolo. Di fatto cambiano tutti i maggiori concetti.
Ambiente. Definito tradizionalmente come ‘mezzo circostante’ e diviso in settori tematici separati (aria, acqua, suolo), è invece da definirsi come ‘mezzo di sostentamento della vita’, da intendere quindi come integrazione sistemica delle sue componenti a un tempo biotiche e abiotiche.
Evoluzione della vita (biosistema-ambiente). Processo guidato tradizionalmente dalla selezione del più adatto con progressiva ottimizzazione dell’adattamento, è oggi da definirsi come ‘reciproca selezione dei processi di adattamento’, con la conservazione dell’autonomia del biosistema. Anche il livello di paesaggio diventa in questo modo importante, così come il concetto di coevoluzione.
Strutturazione dei sistemi ecologici. È oggi obbligatorio affiancare al vecchio concetto guida di causa-effetto, e alle forze operanti di conflitto e impatto, il concetto guida di ‘coazione’ e le forze operanti di ‘cooperazione e integrazione’.
Equilibrio ecologico. Inteso secondo le leggi della termodinamica classica, con processi reversibili (per es., degrado e ripristino) e stato stazionario, oggi invece va inteso secondo la termodinamica di non equilibrio, con processi irreversibili e stati di metastabilità.
Trasformazione dei sistemi ecologici. Secondo l’ecologia generale, essa era intesa per successioni lineari e stadi deterministici, in cui la storia svolge un ruolo di carattere secondario. Va intesa invece per ‘successioni non lineari e biforcazioni imprevedibili’, in cui la storia riveste un ruolo essenziale.
Disturbo ambientale. Il concetto di impatto, da eliminare o ridurre al minimo, va sostituito con il concetto di ‘disturbo’ come ‘fattore strutturante se incorporabile’ entro la scala superiore a quella di interesse.
Biodiversità. Tradizionalmente intesa come eterogeneità a livello di specie oppure di gene, e considerata positiva se crescente; da considerare oggi come ‘eterogeneità di tutti i livelli di organizzazione della vita’, considerata positiva anche se in certi casi diminuisce con l’aumento dell’ordine interno ai sistemi.
Naturalità. Considerata crescente in rapporto all’assenza di attività antropiche e all’alta biodiversità. È invece legata allo stato ecologico di sistemi in cui può essere presente anche l’uomo, ed è un concetto indipendente dal livello della biodiversità.
Metodologia di valutazione. Tradizionalmente interdisciplinare, riferita alla dinamica di un livello specifico di organizzazione. Dovrebbe essere considerata transdisciplinare, clinico-diagnostica, riferita a una dinamica gerarchica su più livelli di organizzazione.
Teoria della bionomia del paesaggio
La teoria dell’ecologia del paesaggio si rinnova nel senso di ‘bionomia del paesaggio’, acquisisce un proprio corpus teorico e presenta le seguenti caratteristiche: propone nuovi concetti (per es., ecotessuto, fittest vegetation, habitat standard); mette in evidenza nuovi processi biologici sia nell’ambiente naturale sia nell’ambiente antropico, ne studia la formalizzazione matematica e il metodo di misura (per es., capacità biologico-territoriale della vegetazione, capacità portante del territorio); rinnova alcuni concetti (per es., ecotopo) e rende misurabili processi altrimenti evidenziati (per es., metastabilità di paesaggio); propone una nuova metodologia di studio del territorio (clinico-diagnostica dello stato ecologico o di ‘salute’); reimposta secondo una visione ecologica i principali criteri e metodi di intervento ambientale (per es., pianificazione, conservazione biologica, valutazione ambientale strategica).
Elementi concettuali
I principali modelli strutturali del paesaggio presenti nell’ecologia del paesaggio classica erano due: quello a frammentazione, o mosaico ecologico tradizionale, e quello variegato, o mosaico ecologico a geometria variabile. Tali modelli rappresentavano due visioni opposte: una ecosistemica e una specie-specifica. Per lo studio del paesaggio come sistema biologico essi sono troppo semplicistici.
Ecotessuto e sue implicazioni. Qualsiasi sistema biologico mostra una struttura complessa, formata da insiemi funzionali ben definiti (per es., a livello cellulare i mitocondri, oppure a livello di paesaggio una macchia boscata) in un contesto di substrati variabili nello spazio-tempo (per es., rispettivamente il citoplasma, la matrice paesistica). Per poter definire scientificamente la struttura di un paesaggio è meglio quindi parlare di ‘tessuto ecologico’ o ecotessuto, cioè di una struttura multidimensionale individuata da un mosaico di base e da una serie gerarchica di mosaici correlati, nonché da una serie di informazioni che risultino essere gerarchicamente integrabili ma non rappresentabili sotto forma di mosaico.
La maggiore importanza del concetto di ecotessuto sta proprio nella consapevolezza delle modalità di integrazione dei processi in un sistema complesso adattativo quale un paesaggio. Tale integrazione si attua in maniera gerarchica e coinvolge: un range di scale spaziali, da quella regionale a quella locale; un insieme di mosaici e informazioni tematici, anche complessi, con le loro variabili; un insieme di scale temporali che esprimono l’evoluzione dinamica del paesaggio. Questi risultati possono essere visualizzati in una carta operativa d’integrazione, alla quale possono essere riferite ulteriori ordinazioni dei dati.
Le implicazioni del concetto di ecotessuto sono molteplici. Lo studio dei paesaggi e delle loro sub-unità deve essere rivolto non a un’integrazione a posteriori delle componenti e delle tematiche, che ridurrebbe il paesaggio a un supporto geografico, ma allo studio dell’integrazione intrinseca, cioè compiuta sui caratteri e i comportamenti propri di quel livello di organizzazione biologica. Infatti l’ecologo, come un medico, non può compiere valutazioni su un sistema vivente analizzando le singole componenti per tematiche distinte e pretendendo così di conoscere il comportamento generale. Per il principio delle proprietà emergenti, deve studiare gli apparati specifici, le modalità di trasformazione, i complessi gerarchici ‘anatomici e fisiologici’ propri dell’entità vivente in esame. Il concetto di ecotessuto permette così di sviluppare un rinnovato corpus teorico, e di conseguenza dei metodi applicativi più vicini ai nuovi paradigmi della scienza.
Tessere, ecotopi e unità di paesaggio. Si deve notare che il mosaico di base è solitamente individuabile come quello delle ‘tessere’ vegetate, in quanto spetta alla vegetazione il ruolo di maggior controllore del flusso di energia e di materia, la capacità di costruzione dell’ambiente e di interazione con il suolo, e la formazione di un microclima. In assenza della vegetazione (paesaggi urbanizzati o desertici), il mosaico di base sarà individuato sul principio dell’utilizzo reale del suolo ecologicamente riletto. Il termine tessera concretizza in maniera riconoscibile e mappabile il concetto di ecocenotopo. Anche il concetto di ecotopo si rinnova, poiché viene in questo modo inteso non solo come biogeocenosi (biotopo + fisiotopo), con denotazione ecosistemica, ma anche come espressione di un ‘ruolo paesistico’, cioè come nicchia territoriale multidimensionale con funzioni legate al contesto del paesaggio di cui fa parte. L’ecotopo, formato almeno da due tipi di tessere (cioè ecocenotopi) diverse, diventa la parte più piccola – multifunzionale e multidimensionale – in cui è possibile suddividere un paesaggio. Un insieme di ecotopi può formare una ‘unità di paesaggio’ distinguibile (UdP).
Habitat standard pro capite. Il concetto di habitat standard pro capite, HS (misurato in m2/abitante o ha/individuo), è l’inverso della densità ecologica (e non geografica) di popolazione. L’HS si può intendere come la somma dei diversi contributi degli elementi che formano lo spazio vitale di un organismo. Anche per una stessa specie, l’HS cambia in rapporto alla fascia bioclimatica e al tipo di paesaggio. Gli ungulati, per es., possono avere home ranges molto diversi in paesaggi differenti, ma tali misure si riducono a un unico valore soglia in rapporto alla quantità di HS necessario per tipo di paesaggio. Nel caso di popolazioni umane, non sempre è così: infatti, nei paesaggi antropizzati si può arrivare a valori di HS nettamente inferiori persino all’HS teorico minimo (HS*).
The fittest vegetation for. Questo nuovo concetto è stato proposto per superare quello di vegetazione potenziale. Questa reinterpretazione del concetto di vegetazione potenziale indica «la vegetazione più calzante: in condizioni climatiche e geomorfiche di un limitato periodo di tempo in un certo luogo definito; in funzione della storia dello stesso e con un certo insieme di disturbi incorporabili (compresi quelli umani); in condizioni naturali e non naturali» (Ingegnoli, Pignatti 2007, pp. 108-09). Le implicazioni sono diverse: per es., i concetti di vegetazione primaria o secondaria perdono di significato; inoltre, in regioni fortemente antropizzate non ha più senso paragonare la vegetazione reale con quella potenziale, dati i cambiamenti ambientali in atto.
Processi biologici del paesaggio
La struttura condiziona la funzionalità di un sistema, ma è un certo processo o un insieme di processi che determinano o modificano una certa struttura, adeguandola alle proprie necessità. I processi dinamici che riguardano il paesaggio come livello specifico di organizzazione biologica sono legati alle caratteristiche biotiche di questo, ne rappresentano la fisiologia e si possono ricondurre a nove grossi gruppi di funzioni, come segue: processi generali di regolazione naturale o antropica; processi legati allo ‘scheletro’ (geomorfologici); processi correlati alla struttura del paesaggio; processi legati alla presenza di delimitazioni; processi legati alla capacità di movimento dei componenti; processi di informazione e comunicazione; processi legati alla capacità riproduttiva di un ecotopo; processi legati alla densità di popolazione; processi correlati al livello di metastabilità. Dato il taglio del presente saggio, ci si dovrà limitare a esporre solo i più significativi concetti nuovi a essi legati. Si accennerà alla distinzione tra habitat umano (HU) e habitat naturale (HN), agli apparati paesistici, alla biopotenzialità territoriale della vegetazione, alla capacità portante di un territorio. Tutti questi concetti sono nati dalla critica allo stato di incompletezza dell’ecologia del paesaggio alla fine del 20° sec., ma sono stati precisati e sviluppati in modo coerente e integrato solo a partire dal 2001.
Habitat umano e habitat naturale. Per verificare il regime funzionale di base di un sistema ecopaesistico è necessaria la distinzione tra HU e HN. L’HU è definibile come l’insieme delle aree dove la popolazione umana vive o che amministra in modo permanente, limitando la capacità di autoregolazione dei sistemi naturali. Dove questa capacità non è limitata, si è invece in presenza di HN. Tuttavia, nelle macchie e nei corridoi dominati dall’uomo è possibile trovare componenti naturali, come nei paesaggi naturali è possibile trovare elementi antropici. Il mosaico di HN e HU è quindi diverso dal mosaico dell’uso del suolo, in coerenza con il concetto di ecotessuto.
Apparati paesistici. La funzionalità di base è ulteriormente specificabile distinguendo dei veri e propri apparati ecologico-funzionali, in analogia con gli apparati degli organismi viventi. Ogni tipo di apparato è formato da uno o più sistemi funzionali di tessere e/o ecotopi, ognuno dei quali è caratterizzato da una funzione dominante cui se ne affiancano molteplici altre: è possibile parlare infatti di multifunzionalità dei paesaggi. Di solito si possono considerare quattro apparati tipici dell’HU (residenziale, sussidiario, produttivo, protettivo) e sette riconducibili all’HN (resistente, stabilizzante, ecotonale, resiliente, connettivo, escretore, idrogeologico).
Biopotenzialità territoriale della vegetazione. Ricordando quanto già affermato sul ruolo della vegetazione come costituente principale dell’ecomosaico di base di un paesaggio, per studiare i processi legati alla ‘gestione energetica’ e alla metastabilità di un paesaggio (landscape metastability, LM) è necessario formalizzare una funzione di tali mosaici vegetati che chiameremo biopotenzialità territoriale complessiva (BTC). Essa si basa sul concetto di resistance stability, sui principali tipi di ecosistemi vegetati della biosfera e sui loro dati metabolici (biomassa, produttività primaria, respirazione). La BTC misura il grado di capacità metabolica relativa e il grado di mantenimento antitermico relativo dei principali ecosistemi vegetati, in Mcal/m2/anno. La BTC misura quindi il flusso di energia che un sistema ecologico deve dissipare per mantenere il suo livello di ordine e metastabilità.
Attraverso tale funzione è possibile dimostrare che la massima metastabilità di un paesaggio non può essere la somma delle massime metastabilità dei suoi elementi. Inoltre, si può mettere in evidenza la stretta correlazione esistente in una UdP fra i diversi gradi di HU e HN e la relativa BTC media, la quale permette – fra l’altro – di distinguere i vari tipi di paesaggio. Il valore della BTC, associato a dati territoriali, permette l’individuazione di soglie regionali di trasformazione del paesaggio e il controllo delle maggiori dinamiche paesistiche.
Capacità portante di un territorio. Chiamando capacità portante σ il rapporto HS/HS*, si può stabilire se l’unità di paesaggio in esame sia autotrofa o eterotrofa. Per esempio, nei paesaggi agricoli e agroforestali l’HS non può scendere sotto valori di σ pari ad almeno 2-3, per ragioni di funzionalità (sopravvivenza e scambio); il che può spingere (inconsciamente) l’eventuale eccedenza di popolazione a urbanizzarsi per non distruggere quel tipo di paesaggio. Si noti che la formalizzazione matematica dell’andamento di questa funzione per i diversi apparati tipici dell’HU ha permesso di evidenziare delle regolarità di comportamento, e di riconoscere quindi anche per questo aspetto dei valori soglia di trasformazione. Inoltre, ciò ha permesso di formulare un altro indicatore, detto di valutazione della capacità portante dell’HU. Questo indicatore valuta la capacità ecologica complessiva dell’HU con la semplice equazione HuCE = σ BTC/HU, e permette di attribuire una chiara caratterizzazione ecologica ai diversi tipi di paesaggi.
Trasformazioni, alterazioni, patologie di un paesaggio
La dinamica di trasformazione dei paesaggi sembra essere regolata almeno da quattro operatori principali e da due attrattori. Gli operatori sono: i processi evolutivi e geomorfologici, che operano in tempi molto lunghi; i processi di colonizzazione e riproduzione, che operano in tempi da medi a corti; i processi cibernetici, di adattamento al flusso di informazioni, in tempi medio-brevi; i processi di disturbo locale, in tempi anche assai brevi. Gli attrattori sono: la congruenza spaziale, che agevola le trasformazioni e le stabilizza; la potenzialità di aumento della metastabilità, senza la quale nessuna trasformazione ha senso evolutivo. Le modalità di trasformazione seguono principalmente il modello generale sistemico a cui si è già accennato. Il loro studio e la formalizzazione matematica dei principali comportamenti hanno permesso la creazione di propri indici e misure, atti a quantificare numericamente i processi stessi.
Oltre a trasformarsi, ogni sistema biologico, e quindi anche un paesaggio, può andare incontro ad alterazioni del suo stato. Tale alterazione può diventare patologica in diverse condizioni, spesso fra loro collegate: per es., quando il livello di metastabilità della scala superiore del sistema non è più in grado di incorporare il disturbo; o una buona parte dei processi d’informazione è bloccata o danneggiata in modo grave; o ancora la potenzialità biologica delle componenti di scala inferiore è danneggiata seriamente; o quando alterazioni permanenti vengono causate alle principali strutture e funzioni del sistema stesso. Il processo di incorporazione dei disturbi a grande scala è riscontrabile, per es., quando la capacità biologico-territoriale media del sistema paesistico rimane pressoché costante per lunghi periodi, anche in presenza di grandi cambiamenti locali. Un esempio viene dallo studio delle trasformazioni della Lombardia, che presenta una BTC media quasi costante (≈1,95 Mcal/m2/anno) da circa due secoli. Tuttavia, a scale inferiori, si possono nascondere problemi anche gravi, in special modo quando vi siano discontinuità di incorporazione dei disturbi dalla scala locale a quella regionale.
Stato di normalità, sindromi paesistiche e diagnosi ambientali. Si ricorda che le diagnosi ambientali dipendono dal confronto fra le condizioni del sistema ecologico in esame e quelle di uno stato considerato come ‘normale’. In altre parole, è il rapporto tra ‘patologia’ e ‘fisiologia’ dei sistemi che rende possibile una diagnosi in senso clinico del paesaggio in esame. Bisogna inoltre capire di quanto il sistema si sposta dallo stato di normalità a causa degli stimoli patogeni e, con una proiezione delle informazioni, valutare dove potrebbe arrivare il danno alla struttura e alle funzioni, in un tempo congruente. Per ‘normalità di un paesaggio’, o di una sua subunità, s’intende quindi l’insieme quantificato dei caratteri ecologici tipici di una specificità paesistica riconoscibile (suburbana, rurale, agricola, agroforestale, lagunare ecc.) nel suo proprio stato di equilibrio metastabile.
Quando qualche UdP si altera e mostra segni patologici, si può parlare di vere e proprie sindromi paesistiche. L’identificazione delle cause che producono la sindrome riscontrata, in realtà, necessita di una buona conoscenza della ‘anatomia’ e della fisiologia del paesaggio, e dell’insieme dei disturbi patologici. Necessita pure di una buona anamnesi, che rinnova l’importanza della storia, e di un’analisi semeiotica, in cui anche gli studi percettivi possono dare un contributo positivo. Si tenga presente inoltre, come ben sanno i medici, che l’eziopatogenesi di una sindrome è per la gran parte dei casi di natura interpretativa, ma risulta comunque di grande importanza, come dimostra il caso della sindrome di industrializzazione agraria nelle regioni centro-europee.
Di sindromi del paesaggio si può e si deve quindi parlare. Esse sono raggruppate in sei categorie: alterazioni strutturali, alterazioni funzionali, sindromi di trasformazione, perturbazioni catastrofiche, degradazioni da polluzione, sindromi complesse.
Sostenibilità della salute dell’uomo e dei sistemi ecologici. Sappiamo che già oggi le Aziende sanitarie locali e le Aziende regionali per la protezione dell’ambiente si occupano di alcuni aspetti della diagnosi ambientale, basata sul controllo dell’inquinamento dell’aria, delle acque e del suolo. Anche gli indicatori dello stato di salute si limitano alle suddette componenti. Tuttavia, non viene preso in considerazione alcun danno dovuto alle disfunzioni strutturali e spaziali dei sistemi ecologici, disfunzioni sicuramente gravi e ben più difficili da studiare e da correggere. La salute è così da intendere in due sensi: da un lato la salute dei sistemi ecologici in esame (per es., una UdP), con loro specifiche sindromi; dall’altro quegli aspetti che si possono trasmettere alle componenti di scala inferiore (in primis l’uomo), producendo ulteriori patologie.
Per quanto riguarda il primo punto, basti qui sottolineare che i sistemi ecologici, il paesaggio soprattutto, sono soggetti a sindromi di diversa natura. Si utilizza l’espressione patologie del paesaggio in modo coerente con la definizione di sistema ecopaesistico come entità vivente complessa.
Ribadiamo che questo sistema complesso adattativo (il paesaggio) costituisce per eccellenza proprio l’ambiente dove vive l’uomo. Infatti, l’HU costituisce l’insieme degli apparati funzionali paesistici più significativi e, oggi, anche quantitativamente preponderanti nella maggior parte della biosfera. Ne deriva (e qui compare il secondo punto) che se il paesaggio è alterato, anche la vita dell’uomo ne risentirà inevitabilmente. Per questo, i rapporti tra qualità ecologica del verde urbano e salute, o tra qualità ecologica del territorio urbanizzato e salute, dovrebbero essere tenuti in maggiore considerazione.
Criteri metodologici e applicativi della bionomia del paesaggio
Per una diagnosi dello stato ecologico di una UdP ci si basa sul confronto degli intervalli di normalità per ogni analisi parametrica effettuata, secondo il classico metodo clinico-diagnostico utilizzato anche in medicina. È necessario stabilire, prima di tutto, quale sia il tipo di paesaggio che si ritrova nella UdP in esame, per poter individuare di conseguenza gli intervalli di normalità per i parametri analizzati. Si deve in seguito quantificare la distanza dalla norma di ogni parametro ecologico rilevato, attribuendo un opportuno punteggio a seconda dei valori di scarto (calcolati in percentuale) dalla soglia di normalità.
Un indice diagnostico preliminare dello stato ecologico delle UdP esaminate risulta immediatamente da tale valutazione, e può essere suddiviso in almeno cinque stadi, quattro dei quali patologici: 0,85-1 normalità; 0,65-0,85 scompenso; 0,40-0,65 alterazione; 0,10-0,40 grave disfunzione; <0,10 estinzione.
Si indicano infine le ragioni dei parametri alterati come in una ‘cartella clinica’. Diventa quindi cruciale la taratura degli intervalli di normalità, derivati sia dallo studio dei modelli sia dalle osservazioni sul campo. Sono utili anche gli ecogrammi, capaci di porre a confronto le condizioni di normalità con i dati rilevati. L’integrazione con altri indicatori ecologici può completare i risultati diagnostici.
Bionomia del paesaggio e scienza della vegetazione
Come già sottolineato, la vegetazione costituisce la componente più importante nella formazione di un paesaggio. Ma la scienza della vegetazione in Europa è legata molto alla geobotanica, basata ancora in prevalenza sulla fitosociologia, metodo che risale a Josias Braun-Blanquet (Pflanzensoziologie. Grundzüge der Vegetationskunde, 1928). Tale metodo presenta diversi vantaggi per quanto riguarda la descrizione della vegetazione, ma anche alcune indubbie limitazioni, essendo basato su concetti ecologici oggi superati. Ricordiamo i limiti principali: riferimento a un concetto di naturalità che esclude in ogni caso l’uomo; dinamica basata sul concetto di successione ecologica intesa ancora come lineare e deterministica; riferimento a uno ‘spazio ecologico’ che non considera il principio delle proprietà emergenti; ricorso al concetto di ‘vegetazione potenziale’ che non considera il ruolo dei disturbi nei sistemi ecologici; ignoranza delle funzioni di sistema complesso e scala-dipendenti, pretendendo di poter studiare il paesaggio con il metodo deterministico detto sygmetum (S. Rivas-Martínez, Nociones sobre fitosociología, biogeografía y bioclimatología, in La vegetación de España, a cura di M. Peinado Lorca, S. Rivas-Martínez, 1987, pp. 19-45). Nello studio del paesaggio, quindi, l’approccio citato lascia senza risposta diverse domande di fondo. Vale la pena di riportarne alcune. Come considerare il contributo di una tessera vegetata alla metastabilità generale di una UdP? Come paragonare i dati ecologici di una macchia forestata con quelli di un altro tipo di vegetazione? Come utilizzare i caratteri ecologici dei diversi tipi di vegetazione per arrivare a una valutazione diagnostica riferita a una certa UdP? Come integrare gli altri parametri ecologici di una UdP (HU, HS ecc.) con quelli relativi alla vegetazione?
Da queste sia pur sintetiche premesse si evince l’impellente necessità di sviluppare un metodo di studio della vegetazione proprio dell’ecologia del paesaggio biologico-integrata. Ecco perché diversi autori hanno proposto una nuova metodologia, denominata LaBISV (Landscape Biological-Integrated Survey of Vegetation), le cui basi teoriche sono riassumibili nei seguenti punti: riferimento ai concetti di ecocenotopo ed ecotessuto come entità strutturali del paesaggio; uso della BTC come funzione integrativa principale; stesura di modelli di sviluppo dei diversi tipi di vegetazione (tempo-BTC) basati su una funzione esponenziale e logaritmica; possibilità di comparazione fra lo stato ecologico di tessere vegetate naturali e antropiche, secondo i principi di ecologia del paesaggio; possibilità di determinare lo stato di normalità dei parametri ecologici dei diversi tipi di vegetazione; infine, capacità di misurare il concetto di biodiversità al livello di paesaggio (diversità di organizzazione biologica di contesto).
Per lo studio della vegetazione di una UdP, questa metodologia si può suddividere in sei fasi, che si riportano in estrema sintesi.
Identificazione degli elementi del paesaggio. Stabiliti i confini ecologici della UdP, si evidenziano gli ecotopi e le tessere vegetate (Ts). Si ricorda che i tipi di vegetazione non sempre coincidono con le associazioni fitosociologiche.
Studio dei caratteri geografici e storici della UdP. Si raccolgono i dati geografici della UdP (per es., fitoclima, substrato pedologico, morfologia ecc.). Si studiano quindi le trasformazioni storiche, anche di origine antropica, attraverso l’esame di vecchie mappe e gli usi del suolo nel passato.
Rilevamento delle tessere campione per parametri vegetazionali. I gruppi di parametri da prendere in considerazione sono quattro: caratteristiche di tessera, caratteri della fitomassa (soprasuolo), caratteri dell’ecocenotopo, relazioni Ts/UdP.
Ordinazione e valutazione dei parametri ecopaesistici principali. I parametri sopra menzionati vanno ordinati in quattro classi, sintetizzabili in una scheda che permette di valutarli per colonne con punteggi dipendenti dai diversi modelli di sviluppo dei tipi di vegetazione. Si possono in questo modo valutare le qualità ecologiche (Qi) dei parametri e/o stimare la BTC della Ts con equazioni legate al modello del tipo di vegetazione in esame.
Problemi ecopaesistici e scelta degli intervalli di normalità. Richiamandosi ai principi dell’ecologia del paesaggio, è possibile elaborare gli aspetti diagnostici che sono necessari per conoscere lo stato ecologico della UdP presa in esame.
Criteri e indirizzi di intervento. Individuazione di una terapia di intervento di riabilitazione della vegetazione esaminata, tenendo conto sempre dei principi di ecologia del paesaggio.
Bionomia del paesaggio e habitat umano
La definizione di territorio come paesaggio governato dall’uomo, cioè luogo multidimensionale di coevoluzione uomo-natura, e la sopraesposta possibilità di formalizzare in senso ecologico anche i processi propri dell’HU hanno permesso di creare alcuni modelli complessi che integrano più variabili dipendenti, quali HS, σ (cioè HS/HS*), τ (diversità paesistica funzionale), BTC, LM rispetto all’HU, rivelatosi essere la variabile indipendente, come si vede nel modello HU/BTC illustrato nella figura. Il modello è stato costruito mediante una trasformata della polinomiale che descrive i casi studiati nella realtà, traslando la curva in modo che ad alta HU vi sia un miglioramento di BTC assai più elevato che a bassa HU, per ragioni di pressione antropica. È infatti necessario considerare dei coefficienti di sicurezza rispetto al rilievo dei casi reali. La sua equazione è quindi simile alla curva di regressione dei dati rilevati. Si nota inoltre che il modello rappresenta anche le principali soglie di cambiamento dei tipi di paesaggi in rapporto ai parametri ecologici presi in considerazione. Tali soglie possono avere dei margini di tolleranza anche del 2-5%, e sono dedotte dall’osservazione sia dei casi esaminati sia di altri parametri. I principali tipi di paesaggio (derivati da matrice forestale) corrispondono nella figura agli intervalli identificati dalle linee verticali, e sono, da sinistra: (A) forestale naturale, (B) forestale seminaturale, (C) forestale semiagricolo, (D) agricolo produttivo, (E) agricolo rurale, (F) suburbano, (G) urbano.
Questo ha portato a sua volta a poter fornire un adeguato contenuto biologico anche a metodi valutativi di uso comune e a poterli integrare con gli aspetti ecologici. Ciò permette inoltre di interpretare – o meglio vincola l’interpretazione di – qualsiasi intervento umano sul territorio come terapeutico, in quanto esercitato su entità vivente, e pertanto obbliga a una preventiva diagnosi dello stato ecologico del territorio stesso. Si può così affrontare lo studio della valutazione ambientale strategica (VAS) in un modo diverso dal consueto, assai più efficace per la tutela ambientale.
La VAS è definita, nel Manuale per la valutazione ambientale dei piani di sviluppo regionale e dei programmi dei fondi strutturali dell’Unione Europea (ag. 1998), come «un processo sistematico inteso a valutare le conseguenze sul piano ambientale delle azioni proposte – politiche, piani o iniziative nell’ambito di programmi – ai fini di garantire che tali conseguenze siano incluse a tutti gli effetti e affrontate in modo adeguato fin dalle prime fasi del processo decisionale, sullo stesso piano delle considerazioni di ordine economico e sociale» (p. 22). Lo studio di base più importante è rappresentato dalla direttiva 2001/42/CE, in particolare nel suo art. 5. All’inizio del nuovo secolo, la VAS dovrebbe quindi rivestire la massima importanza in tutta l’Unione Europea.
È doveroso notare subito che l’obiettivo dello sviluppo sostenibile è necessario, ma non sufficiente: infatti si nota che tale concetto è stato oggi superato da quello più avanzato di strategia riabilitativa, che implica non soltanto il compromesso sugli – o il tamponamento degli – equilibri ecologici, ma la necessità di miglioramento dello stato ecologico e gli interventi per il trattamento delle sindromi dei sistemi ecologici (si considera cioè sia la località sia il contesto). Inoltre, porre le decisioni ambientali sullo stesso piano di quelle socioeconomiche può essere in diversi casi fuorviante: infatti, le questioni di sopravvivenza biologica vengono prima di quelle dei benefici economico-sociali. Infine, manca un’indicazione precisa di superamento dei limiti riduzionisti dei metodi di studio dell’ambiente: in primis la constatazione che si debba operare su un’entità vivente e non su un supporto geografico, il che cambia molti criteri di scelta e di priorità di intervento, e soprattutto cambia la metodologia di analisi e valutazione, che diventa di tipo clinico-diagnostico, essendo il paesaggio innanzi tutto uno specifico livello di organizzazione biologica.
Ne consegue la necessità di basare lo studio della VAS soprattutto sui criteri derivati dai principi di ecologia del paesaggio secondo la scuola biologico-integrata. Per tale ragione, si espone in estrema sintesi uno schema metodologico generale valido per lo studio ecologico di un territorio (per es., un Comune italiano). Tale metodo può essere articolato nelle seguenti fasi: inquadramento e delimitazione delle unità di paesaggio; rilevamento delle componenti territoriali attuali; anamnesi e stima delle componenti nel passato; operazioni di analisi dei parametri ecologici preliminari; studio della vegetazione ed elaborazione dei risultati; elaborazione dei parametri valutativi necessari; diagnosi dello stato ecologico; indicazioni terapeutiche preliminari di intervento; verifica e valutazione ex post ed eventuali correzioni.
Bionomia del paesaggio e conservazione biologica
La scuola biologico-integrata dell’ecologia del paesaggio ha portato diverse novità anche nel campo della conservazione biologica. Basandosi su un noto esempio di Richard B. Primack (Essentials of conservation biology, 1998), che illustra i criteri di priorità di salvaguardia di tre tipi di ambienti collinari, si è dimostrato che, estendendo i parametri di biodiversità a indicatori di ecologia del paesaggio nel senso della bionomia, i criteri di priorità cambiano in modo netto. Ricordando quanto sintetizzato in precedenza, si può immaginare quale sarà l’entità del cambiamento.
Vale la pena anche di accennare al concetto di biodiversità, oggi sempre più menzionato negli studi di conservazione. Si nota che il concetto di biodiversità, definito nel 1986 dallo statunitense Office of technol-ogy assessment (OTA), mostra due aspetti: la diversità dei componenti di un sistema ecologico e la diversità delle loro relazioni nell’organizzazione di tali sistemi. Se non ci fermeremo alla diversità di specie, ci accorgeremo che la biodiversità è un attributo anche di un intero sistema ecologico, che la bionomia territoriale ci permette oggi di valutare, com’è stato sperimentato a partire dall’anno 1995 con il programma CONECOFOR (CONtrolli ECOsistemi FORestali) del Corpo forestale dello Stato. Per il primo dei due aspetti prima citati, sono significative sia la diversità di specie sia quella degli elementi paesistici; per il secondo aspetto, sia la diversità di comunità-ecosistemi (per es., tessere) sia quella di UdP, misurando le modalità della loro organizzazione ecologica.
Un metodo per la valutazione della configurazione naturalistica potenziale di un territorio, che fra l’altro è utile anche per la progettazione delle reti ecologiche, è stato presentato recentemente: esso sviluppa il concetto di ‘sistema di macchie residuali’ in cui vengono identificate delle aree di potenzialità naturalistica strategica associabili a punti o tratti cruciali per la tutela dell’ambiente, e la cui valutazione può essere a sua volta collegata con le vocazionalità di pianificazione del territorio in esame.
La nuova figura del medico bioambientale
Com’è noto, chi si occupa di problemi legati al paesaggio e all’ambiente in Italia è solo secondariamente l’ecologo; sono purtroppo in netta e sostanziale prevalenza l’architetto, l’ingegnere, l’agronomo (per la pianificazione), oppure il biologo e l’ambientalista (per gli inquinamenti). Eppure, i campi di applicazione maggiormente significativi stanno diventando sempre più cruciali: pianificazione territoriale, pianificazione ambientale, conservazione della natura, progettazione di reti ecologiche, ripristino di aree estrattive, formazione di parchi urbani, studio di valutazione ambientale, VAS e così via. Tutti campi in cui il paesaggio non può essere mai ridotto a solo supporto geografico o a sola percezione visiva, e in cui solo la bionomia del paesaggio ha primaria competenza.
È quindi necessario comprendere che la figura professionale dell’ecologo del paesaggio (biologico-integrata), così come delineata nel presente saggio, è indispensabile in tutti i campi applicativi menzionati (e loro articolazioni) e che tale ecologo deve essere inteso sostanzialmente come il medico dell’ambiente, figura preziosa per la società, se è vero che si vuole salvaguardare e migliorare l’ambiente, secondo i principi delle sostenibilità. Ribadiamo ancora che l’ecologia del paesaggio è in grado di andare oltre il concetto attuale di sostenibilità. Questo perché un sistema ecologico territoriale non è un mosaico di parti, ma un tessuto interagente; quindi non è sufficiente ‘rattopparlo’ con interventi locali sostenibili, e bisogna invece ‘rivitalizzarlo’ con interventi capaci di migliorare settori più vasti e complessi. È necessario cioè superare il concetto di sostenibilità con quello più innovativo di riabilitazione strategica.
Il duplice concetto di salute, come si è detto, non può che esigere una figura professionale come il medico, perché non è scientificamente ammissibile, né eticamente corretto, curare le sindromi ecopaesistiche con metodi misti fra amministrativo-politico-economici e architettonico-ingegneristici, magari con l’aggiunta del mito della partecipazione popolare, senza rivolgersi a un professionista specifico. È una sfida per il nuovo secolo, che si spera possa essere accolta dai responsabili della gestione territoriale e messa in pratica entro il tempo più breve possibile. La formazione scientifica di personale medico dei sistemi bioambientali per l’analisi, la diagnosi, la terapia e il controllo delle patologie del paesaggio e delle ricadute sulla salute umana risulta assai impegnativa, e necessita di laureati in scienze naturali con specializzazione ad hoc. La sfida si può allargare anche allo sviluppo degli studi sulla bionomia delle ecoregioni, che rappresenta un livello di organizzazione biologica superiore a quello di paesaggio e coinvolge quindi processi di scala più ampia, quali, per es., le migrazioni degli animali e dell’uomo, la trasformazione di fauna e flora a causa del cambiamento climatico, lo sviluppo di infrastrutture di interesse continentale e così via.
In conclusione, il paesaggio è un sistema vivente che rappresenta il primo e il più importante livello, a scala spazio-temporale, in cui si esplicita la coevoluzione avvenuta nel corso dei millenni tra l’uomo e la natura. Ciò comporta inevitabili conseguenze etiche e un nuovo approccio al fine di scongiurare abusi anche di questo aspetto della vita.
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