Biotecnologie, ecologia ed etica
In questo saggio discuteremo alcune importanti questioni attinenti l'ecologia e l'etica nel contesto delle biotecnologie. Nella prima parte, ci soffermeremo sui criteri etici e sociali che devono presiedere alla valutazione della liceità o della iIIiceità dell'ingegneria genetica, e mostreremo come sia lo sperimentazione che l'introduzione su vasta scala di nuove biotecnologie debbano essere precedute da un dibattito che coinvolga specialisti delle scienze umane e di quelle naturali, al fine di valutare rischi e opportunità delle nuove scoperte. Nella seconda parte del saggio, procederemo a un'analisi dei concetti di natura e di creazione, e mostreremo come il progresso tecnologico, che consente all'uomo di influire sul destino delle specie viventi (compresa lo propria), debba essere riconsiderato alla luce della filosofia e della teologia moderna della creazione, allo scopo di valutare le conseguenze non solo pratiche, ma anche etiche dell'alterazione dell'ordine naturale da parte dell'uomo.
Introduzione
Cos'è l'etica?
Per etica si intende la ricerca della condotta buona e giusta, date certe condizioni e possibilità d'azione, riferita a situazioni (casi), a comportamenti individuali e a istituzioni (Hartmann, 1986; Mieth, 1992; Kissling, 1993).
L'etica è distinta dalla morale. Quest'ultima può indicare lo stato di fatto (le regole morali vigenti in una società), o una concezione religiosa (per esempio, la dottrina morale della Chiesa), oppure ancora un'idea di morale dell'ottimo. L'etica, per contro, è una riflessione filosofica sul buono e sul giusto, aperta anche a interpretazioni teologiche. Dal punto di vista scientifico, l'etica è in primo luogo autonoma, ossia indipendente da qualsiasi influenza esterna, razionale e critica, orientata nello stesso tempo alla libera autoobbligazione e alla giustizia istituzionale (per esempio, del sistema giuridico, della scienza); essa è inoltre interdisciplinare, poiché, dovendo partire da un ambito di conoscenze e di esperienza di cui non ha la competenza esclusiva, ogni etica necessita di un ancoraggio interdisciplinare; infine essa è integrativa, poiché cerca di collegare conoscenze diverse e di arrivare alla formulazione di un giudizio concorde.
Valutazione tecnologica ed etica
Etica e valutazione tecnologica sono due cose distinte ma inseparabili. L'etica non deve alimentare né la paura nei confronti della tecnologia, né la sua esaltazione indiscriminata. Chi concepisse l'etica unicamente come forma di condotta personale, pretenderebbe troppo poco da essa; viceversa chi la scambiasse con la prefigurazione di una prassi decisionale, politica, pretenderebbe troppo. Tra i compiti dell' etica, tuttavia, vi è anche quello di fornire una guida razionale all'azione politica.
Etica e valutazione tecnologica sono reciprocamente correlate. Senza la valutazione tecnologica (basata su dati empirici o su una combinazione di conoscenze teoriche) non potrebbe esistere un'etica della scienza e della tecnologia. Dal canto suo, l'etica ha un ruolo importante nella valutazione tecnologica: in quanto scienza integrativa, essa cerca di evitare che i problemi vengano considerati isolatamente attuando un confronto critico di vari tipi di previsioni, fatti e teorie, calcoli del rapporto costi/benefici. Quando si effettua una valutazione tecnologica comparativa, si rendono necessari criteri fondati su principi etici. Quando vengono introdotti determinati criteri come giudizi anticipati non verificati, l'esperienza etica si rende necessaria in relazione a tali pregiudizi. Quando si vuole arrivare a formulare giudizi corretti (per procedure scientifiche, giuridiche e istituzionali), si rendono necessarie procedure basate su sperimentate sequenze (studio del problema, analisi delle alternative, correzione reciproca delle diverse prospettive, fissazione delle priorità secondo regole empiriche, verifica di eventuali eccezioni, e così via). Su tutti questi punti può instaurarsi una proficua cooperazione tra scienziati, filosofi e teologi che si occupano delle problematiche etiche.
La valutazione tecnologica è importante soprattutto prima che una nuova tecnologia o determinate applicazioni vengano introdotte, per verificarne possibilità, effetti diretti e conseguenze collaterali attraverso il confronto e la discussione di pareri di esperti. Elemento essenziale di questo processo di discussione è la partecipazione dei cittadini (da non confondersi qui con il diritto all'informazione); un altro compito altrettanto importante dell'intervento preventivo della valutazione tecnologica consiste nel considerare il problema dal punto di vista della desiderabilità sociale degli obiettivi, del rapporto tra fmi e mezzi e delle eventuali soluzioni alternative.
È fuori discussione, a mio avviso, che qui deve entrare in gioco anche una competenza etica, e che le decisioni devono essere vagliate sulla base di una criteriologia etica. Buona parte della valutazione tecnologica consiste nell'integrare dati, fatti, teorie e previsioni preesistenti alla luce di considerazioni etiche. In questa fase preparatoria si tratta di stabilire in un dato caso e in un settore specifico (per esempio, le biotecnologie), cosa si debba promuovere, tollerare o vietare. Occorre poi valutare se i divieti debbano essere di tipo giuridico o se sia sufficiente un'autoobbligazione morale degli individui e delle comunità scientifica, tecnologica ed economica. Oltre a ciò la responsabilità etica deve anche sforzarsi di rispondere a questioni di ordine istituzionale relative all'organizzazione, all'educazione, alla trasparenza e alle misure sociali, ricercando il dialogo con istituzioni pubbliche: comunità scientifica, scuola, mondo dell' economia, politica, organizzazioni sindacali, Chiese, media.
Accettazione sociale e bene etico
La condotta effettiva degli uomini non costituisce un criterio etico; né si può far appello agli stati d'animo e ai giudizi spontanei degli individui per stabilire cosa sia eticamente giusto. Di conseguenza l'accettazione da parte della società, ovvero di gruppi sociali significativi capaci di orientare il comportamento, può senza dubbio fornire indicazioni in merito alle questioni morali, ma non può decidere su di esse. Se la condotta effettiva degli uomini costituisse un criterio etico, il pensiero normativo fmirebbe per confondersi con la sociologia morale, e la pragmatica politica si ridurrebbe a un complesso di strategie dell'accettazione: come tener conto dell' accettazione o non accettazione sociale, come stabilizzarla o destabilizzarla, conservarla, trasformarla e così via.
Chiunque si ponga il problema della correttezza etica accetta di vincolare le proprie azioni a principi, beni, valori e norme (vale a dire a giudizi prescrittivi), che corrispondono alla questione antropologica fondamentale della capacità di discriminare tra bene e male, vero e falso.
Il giudizio etico in ambiti specifici è sempre un giudizio misto, in quanto contiene anche elementi descrittivi o valutazioni tecniche che contribuiscono a decidere in merito alla appropriatezza e alla validità della norma, anche se ciò non influisce sul valore di una norma in abstracto o in situazioni standardizzate. Un mutamento, per esempio, un ulteriore sviluppo, del giudizio tecnico influisce dunque anche sulla norma concreta, e talvolta ne determina la modifica.
Il bene etico deve sottostare inoltre alle condizioni del discorso sociale, in cui non solo deve legittimarsi secondo le regole di un consenso libero ed equo, ma ha a che fare anche con processi di acquisizione che talvolta consentono solo realizzazioni graduali. In questo senso la valutazione etica può essere vista come un processo ininterrotto che, per quanto possa sembrare paradossale, proprio in ragione della sua flessibilità, richiede istituzioni stabili in grado di reagire in concomitanza.
Il metodo della combinazione di elementi di giudizio a partire dall'esperienza
Ogni procedimento operazionale di fondazione del giudizio etico richiede una procedura plausibile (Mieth, 1989; 1993a; Christoffer, 1989). Alla sequenza di passi cognitivi è legata una riduzione pragmatica: anche chi esamina una serie di diverse prospettive, vorrà arrivare a una procedura 'operazionale' che cerchi il più possibile di combinare singoli elementi del giudizio. Come mettono in luce le considerazioni sinora svolte, per l'etica si raccomanda piuttosto un procedimento induttivo. Un metodo induttivo verifica la validità di determinati giudizi normativi etici partendo dal problema concreto per addentrarsi in seguito in riflessioni etiche, e non viceversa. Partendo da questo assunto, è possibile delineare la sequenza metodica di un procedimento etico.
Il primo passo consiste nella conoscenza del problema o nella recezione del dibattito degli esperti; è di evidenza immediata, a questo riguardo, per chi è impegnato nella valutazione etica, l'esigenza di avere una conoscenza adeguata delle controversie scientifiche. Altrettanto indispensabile è che da entrambe le parti vengano create le basi per una fiducia reciproca. Ciò può avvenire solo tramite un contatto costante.
È quindi necessario ricercare interpretazioni o postulati di senso pertinenti, che hanno un ruolo già nella discussione degli esperti. Rientrano in quest'ambito il criterio della sicurezza, come anche l'efficienza della gestione delle risorse o il senso di uno smaltimento ecologico dei rifiuti urbani e industriali.
In terza istanza, si deve procedere a una razionalizzazione delle alternative. Si esaminano diverse argomentazioni, che possono integrarsi o contrapporsi a vicenda, valutandone la conclusività o la capacità di ricomprendere in sé la controtesi più forte. Nella discussione, dunque, non si tratta solo di escludere le argomentazioni meno convincenti, ma anche di far valere quell' alternativa in cui può essere ricompreso il maggior numero possibile di altre argomentazioni. Per questa ragione le controtesi devono essere accolte nella loro versione più forte, e non in quella più debole. Ciò fa parte dell'etica pratica del discorso, ovvero di uno standard etico che deve trovare accoglienza nell' ethos scientifico. Infine, si procede a una valutazione delle priorità. Non ci si può attendere che l'intero processo di studio, analisi e valutazione delle conseguenze arrivi a qualcosa di più che a una ridondanza di argomenti plausibili. Sebbene vi siano possibilità matematiche di confutare deduzioni logiche false, nel campo dell' etica non esiste un procedimento matematico di dimostrazione. Anche nell'etica, peraltro, si incontrano deduzioni false: per esempio, la fallacia motivazionale, che consiste nel desumere la legittimità dello scopo perseguito dalla legittimità di una motivazione; la fallacia naturalistica, che consiste nel desumere il 'dover essere' dall" essere', o la fallacia genetica, che consiste nel desumere dalla comparsa di un'applicazione la sua correttezza etica. La procedura illustrata può dimostrarsi valida in tutte le circostanze in cui la ricerca della giusta condotta avviene sulla base del presupposto della comunicazione. Infatti, quando gli individui non possono delegare le valutazioni etiche e le decisioni relative alloro ambito d'azione a un pensiero normativo specializzato o a una qualche autorità (per esempio, la religione), devono ricorrere a un procedimento in cui sia loro possibile apportare collettivamente le proprie conoscenze, la propria esperienza e la propria riflessione.
Le argomentazioni etiche a favore dell'ingegneria genetica
L'ingegneria genetica offre numerose opportunità, che verranno debitamente discusse in altri saggi di questo volume. Esaminare e vagliare a fondo queste opportunità è un nostro dovere, e non solo per il nostro futuro. Se in questa sede concentreremo l'attenzione sui limiti dell'ingegneria genetica, ciò si deve al fatto che la valutazione etica delle opportunità che essa offre è più chiara, semplice e concisa da formulare. Soprattutto nel settore della ricerca e in quello delle applicazioni farmacologiche e immunologiche sussistono fondate speranze che non solo legittimano eticamente, ma addirittura impongono di perseguire il progresso in questo campo, pur con tutta l'attenzione e le precauzioni d'obbligo. Non solo il fare, ma anche il tralasciare di fare può essere moralmente sbagliato.
L'opportunità di produrre farmaci meno costosi, più semplici ed efficaci, di curare alcune patologie (insufficienze immunitarie, angiopatie, tumori, e così via) con nuove sostanze biologicamente attive prodotte con i metodi dell'ingegneria genetica, di risolvere i problemi ecologici grazie a nuove tecniche di smaltimento dei rifiuti urbani e industriali, alla conversione in materiali riutilizzabili o alla riduzione delle sostanze inquinanti, non può che essere giudicata positivamente, a patto peraltro che vantaggi e svantaggi vengano valutati nello specifico contesto.
Non si dovrebbe mai esprimere un giudizio in blocco pro o contro l'ingegneria genetica e le biotecnologie in generale, ma occorre invece procedere a una valutazione caso per caso. Questa disponibilità alla verifica e alla discussione, peraltro, implica già la rinunzia a una condanna assoluta. 'Avanti piano': è questo il criterio con cui si dovrebbe procedere, come è emerso sin dal primo simposio sul tema Etica nelle scienze. Non solo nel campo del sapere specializzato, ma anche in quello del sapere di orientamento c'è bisogno di un tempo per la riflessione.
Qui entrano in gioco anche principi di etica economica (Wirtz, 1993): il bene economico, misurato in base ai criteri dell' efficienza, della stabilità, dell' occupazione e della tutela dell'ambiente, coincide con il bene etico nella misura in cui si adegua al contesto sociale favorendone la conservazione e lo sviluppo (economia di mercato sociale). Non sempre gli interessi socioetici possono conciliarsi con gli imperativi economici (concorrenzialità, profitto, conservazione e creazione di posti di lavoro, determinate esclusivamente dai cicli economici), ma questi ultimi non possono essere aboliti, né è lecito violare la norma etica dell'autonomia dell'economia in nome degli interessi socioetici.
Le considerazioni che seguono, di ordine sia generale che specifico, sui criteri relativi ai limiti etici dell'ingegneria genetica vanno lette tenendo conto di queste precisazioni.
Considerazioni generali sui limiti etici dell'ingegneria genetica
Sia che si ritenga, con H. Jonas, che la "prognosi peggiore" debba avere la preminenza su quella migliore - sempre tenendo conto del fatto che anche il non agire può comportare rischi e conseguenze indesiderate - sia che si concordi con la tesi secondo cui non è lecita una moralizzazione delle probabilità che si verifichino determinati esiti - quando soggetti attivi e soggetti passivi sono persone (o gruppi di persone) distinte, e quindi si rende necessario il consenso -, la conclusione è una forte necessità di attente verifiche e di dibattito pubblico. Il fatto che determinate norme o decisioni vengano sviluppate tra diversi soggetti e consensualmente, tuttavia, non significa necessariamente che esse siano eticamente giuste. Principi e criteri etici continuano a essere indispensabili per le decisioni.
Il dibattito etico sulla sicurezza deve essere pubblico e aperto alle critiche. La maggiore partecipazione e la maggior trasparenza possibili, la fiducia funzionalmente indispensabile nelle autorità competenti e nelle decisioni delegate devono essere la regola. Il dibattito sull'ingegneria genetica tuttavia non può essere ridotto a una discussione sulla sicurezza. Occorre valutare anche gli obiettivi perseguiti, e non solo i mezzi utilizzati nei progetti di ingegneria genetica, chiedendosi se siano giusti, appropriati e realistici. Vi sono limiti etici dell'ingegneria genetica sia sotto il profilo degli scopi e delle conseguenze, sia sotto il profilo dei mezzi utilizzati per raggiungere tali scopi.
Le finalità dell'ingegneria genetica sono essenzialmente mediche, agricole, ecologiche, economiche, militari. Gli scopi militari non sono giustificabili sul piano etico. Le cosiddette armi 'scientifiche', di cui è impossibile controllare adeguatamente lo sviluppo, la detenzione e l'applicazione, dovrebbero essere vietate in tutto il mondo. I limiti etici delle altre finalità debbono essere discussi in rapporto ai singoli contesti e ai mezzi specifici di ognuna di esse. Così, per esempio, le applicazioni dell'ingegneria genetica nel settore agricolo (piante, animali, microorganismi) sono moralmente discutibili se si inseriscono nel contesto di un'economia agraria gravata da problemi quali la sovrapproduzione, la conversione delle colture industriali in foraggio per la produzione di carne, con una perdita di 6/7 del raccolto, il dominio delle monocolture e la monopolizzazione delle varietà di sementi, uno scarso rispetto per l'ambiente, la monopolizzazione del know how tecnologico e l'accresciuta dipendenza dei paesi in via di sviluppo. Le applicazioni future dell'ingegneria genetica nel settore agricolo devono essere valutate soprattutto sotto l'aspetto economico e sotto l'aspetto ecologico.
Vi sono inoltre limiti che riguardano non tanto le frnalità, quanto i mezzi utilizzati e le loro conseguenze. I criteri etici in questo caso non possono essere sostituiti interamente dalla valutazione tecnologica, poiché i mezzi impiegati, le conseguenze e i rischi che comportano devono essere valutati dal punto di vista etico. Per quanto riguarda le applicazioni nel campo medico, per esempio, valgono i seguenti tre principi:
l) secondo F. Bockle "non è lecito condurre sperimentazioni su soggetti umani, e nemmeno su soggetti umani virtuali (embrioni e feti). In via di principio, le forme di vita umana dovrebbero essere strumentalizzate soltanto per la vita stessa" (Bockle, 1985).
2) Non vi è sinora una giustificazione etica sufficiente per la modificazione genetica di cellule germinali. Ancora qualche anno fa gli esperimenti in questo senso erano vietati, poiché manca la dimostrazione di un effetto controllabile e poiché non esistono indicazioni sufficienti; in un documento del 1986 K. Sperling dichiarava a questo proposito: "Nessuno lo vuole, nessuno lo può, nessuno ne ha bisogno". Sono stati messi a punto recentemente metodi che potrebbero consentire un giorno di sostituire i geni difettosi. Sebbene non vi siano ancora certezze al riguardo, il divieto relativo alla manipolazione delle cellule germinali oggi può essere riaffermato solo nella misura in cui non si possono escludere effetti incontrollabili. Tuttavia gli scienziati ammettono che negli esperimenti somatici con retro virus possono aversi ripercussioni anche sulle cellule germinali, cosicché il limite viene ben presto raggiunto. Se le terapie geni che sono giustificabili per scopi terapeutici, resta aperta la questione se tali terapie possano essere applicate senza esperimenti irresponsabili (Mieth, 1990a; 1993b; Wimmel, 1991).
3) Non è lecito esercitare pressioni mediche né sociali sugli individui che si sottopongono a consulti, esami, esperimenti o interventi genetici, o che debbano assumersene la responsabilità per conto di minori, feti o embrioni.
Per valutare la ragionevolezza delle finalità mediche ed ecologiche dell'ingegneria genetica vale altresì la regola della soluzione del problema, in base alla quale il progresso scientifico o tecnologico non dovrebbe essere realizzato a prezzo di creare problemi maggiori di quelli che risolve. Tale criterio impone in particolare l'attenta osservazione di effetti multifattoriali, per esempio, nel caso del rilascio nell'ambiente di microorganismi modificati geneticamente. La regola della soluzione del problema va considerata solo come un punto di riferimento al quale nel caso concreto si dovrebbe cercare di avvicinarsi il più possibile. Se e in che misura i problemi creati siano 'maggiori' di quelli risolti può essere stabilito solo per approssimazione. Dati i nostri limiti conoscitivi e temporali, è impossibile prefigurare tutte le conseguenze presenti e future, ma in casi critici occorre procedere a un accertamento il più accurato possibile, nonché cercare strade alternative. Occorre anche verificare se il crescente fabbisogno di sicurezza tecnologica non abbia effetti negativi sulla sicurezza sociale e sulla libertà dei cittadini, così come la responsabilità morale nei confronti dei posteri, oltre che nei confronti dell'ambiente e della società, va introdotta quale criterio sia positivo che negativo.
Dacché siamo entrati in nuove dimensioni tecnologiche ad alto rischio, abbiamo sempre fatto due esperienze: da un lato, le aspettative troppo entusiastiche sono ingannevoli; dall' altro, tutti i risultati sono ambivalenti. Si ripropone costantemente la questione se siamo adeguati come esseri umani agli sviluppi che noi stessi abbiamo messo in moto e alle loro conseguenze. Senza dubbio le nostre responsabilità sono aumentate in modo tale da imporci di tener conto della natura contingente dell'essere umano: mentre i suoi prodotti 'migliorano' costantemente, ossia diventano più complessi ed efficienti, l'uomo stesso non diventa migliore.
Anche quando la riflessione sui limiti etici dell'ingegneria genetica interviene tempestivamente, per l'etica nel mondo attuale si pongono tre difficili problemi: in primo luogo, la difficoltà di avere una visione d'insieme a fronte della complessità dei contesti e della specializzazione o delle crescenti differenziazioni all'interno della scienza e della tecnologia; in secondo luogo, il problema dello scarso consenso che regna sui criteri etici. Un esempio al riguardo è dato dalla discussione sulla tutela della vita e della sua integrità in soggetti umani virtuali (embrioni e feti). Inoltre i criteri etico-ecologici ed etico-economici sono ancora meno uniformi nel resto del mondo che alle nostre latitudini. Infine, esiste il problema di far valere la responsabilità etica a fronte di gruppi di interesse orientati diversamente, e soprattutto a fronte di sviluppi apparentemente spontanei. Ciò che si sa ben presto si può e ciò che si può ben presto si fa: arrivati a questo punto l'etica interviene troppo tardi, ossia nel migliore dei casi la sua azione può essere solo di compensazione. Si fa spesso appello alla forza normativa dell'effettualità, o del movimento di tendenza, usando tale argomento come strumento di potere.
Per affrontare questi problemi sarebbe opportuno istituzionalizzare l'etica negli ambiti della biologia in rapporto alla medicina e della tecnologia in rapporto all'economia. Occorre aprire un dibattito etico interdisciplinare sui limiti delle applicazioni dell'ingegneria genetica in diversi settori, per cercare di rispondere ai seguenti dieci interrogativi:
l) gli scienziati danno una valutazione eccessivamente ottimistica degli obiettivi e delle possibilità di sviluppo all'interno delle loro specializzazioni?
2) Come diminuire l'isolamento che caratterizza la ricerca applicata specializzata?
3) In che modo si dovrebbe introdurre la responsabilità nei confronti della natura, della società e dei posteri?
4) Come si possono risolvere determinati problemi (alimentazione, ambiente e così via) in modo che le soluzioni non creino problemi maggiori di quelli che risolvono?
5) Quali rischi si possono assumere e quali misure di sicurezza si rendono necessarie?
6) In che misura l'accresciuto bisogno di sicurezza tecnologica comporta una limitazione della sicurezza e della libertà sociali?
7) In che misura l'ingegneria genetica acuisce anziché risolvere problemi già avvertibili legati al progresso e alla crescita (per esempio, i limiti della 'rivoluzione verde')?
8) Non è possibile adottare tecniche alternative, che diano migliori risultati creando minori problemi?
9) Siamo realmente entrati in una nuova dimensione dell'uomo come artefice responsabile del mondo, e in che misura siamo adeguati in quanto esseri umani a ricoprire questo ruolo?
10) Quali possibilità di intervento vi sono per l'etica in uno sviluppo apparentemente spontaneo?
Nel dibattito sull'ingegneria genetica ricorre di frequente la formula "valutazione dei rischi e delle opportunità". Spesso però tale valutazione è impossibile. Ciò vale, per esempio, nel caso in cui l'entità del danno e le probabilità che si verifichi non sono note né quantificabili. Nella terminologia della teoria dei giochi si tratta quindi di decisioni in condizioni di incertezza. Tuttavia è possibile operare distinzioni qualitative, ed è possibile delineare scenari di conseguenze indesiderate.
Alla luce di queste considerazioni, numerosi sono i criteri che si dovrebbero seguire nei processi di valutazione e di decisione: dubbi e perplessità devono essere posti all'inizio della riflessione, al fine di ridurre il più possibile le incertezze; occorre procedere a una valutazione caso per caso; i tipi di danno devono essere difendibili sul piano etico-politico, ossia le decisioni devono passare attraverso una procedura politica e giuridica orientata a principi morali e, per esempio, agli interrogativi fondamentali illustrati in precedenza; una procedura deve comprendere una valutazione degli obiettivi, delle conseguenze e delle alternative. Inoltre la valutazione tecnologica empirica, intesa come verifica della tollerabilità, richiede un orientamento etico normativo come parte di un'etica della tecnologia. Infine, nell'ambito di un dibattito tra tesi opposte sussiste l'obbligo di motivare le argomentazioni, nel senso di una ripartizione dell'onere della prova.
In ragione della stretta interconnessione tra scienza, tecnologia ed economia il problema della responsabilità si pone già all'origine della conoscenza scientifica: l' anticipazione delle conseguenze richiede forme istituzionali di (auto)responsabilità. L'anticipazione delle conseguenze tuttavia non spetta solo ai singoli scienziati; scienza e società sono chiamate entrambe all'assunzione di responsabilità. A tal fine occorre istituire collegamenti tra scienza, tecnologia, economia e società, quali si intravvedono sia nella stampa specializzata e nella pubblicistica, sia in istituzioni e programmi che interfacciano scienza e società.
Le applicazioni dell'ingegneria genetica nel settore agricolo
Senza voler negare né sminuire i progressi realizzati nella crescita della produttività, il bilancio della 'rivoluzione verde' nei paesi in via di sviluppo, ma anche il bilancio della meccanizzazione, della razionalizzazione e dell'impiego massiccio della chimica nell'agricoltura dei paesi sviluppati presenta risvolti estremamente negativi: distruzione delle piccole aziende agricole, esodo dalle campagne, danni ambientali, scarsa giustizia distributiva, monocolture, sovrapproduzione (Stanger, 1992). Se poi si pensa che, come già accennato, 6/7 delle colture industriali vanno perduti in quanto trasformati in foraggio per la produzione di carne invece di essere destinati all'alimentazione umana; che la crescita della produttività non significa solo tonnellate di verdura e di burro, ma anche gravi danni al suolo e alle acque freatiche; che progetti di sviluppo sbagliati determinano erosione e impoverimento del suolo; che un numero sempre più ristretto di aziende controlla un numero crescente di prodotti; che le specie diminuiscono e aumenta la dipendenza dei paesi sottosviluppati, allora non si può non essere scettici di fronte a tutti i progetti ottimistici di chi spera di risolvere il problema dell'alimentazione attraverso la crescita della produttività, senza chiedersi cosa, dove, con quali metodi, per chi e a vantaggio di chi si produce.
Dopo la meccanizzazione, le monocolture e la chimica, la nuova parola d'ordine è "biotecnologie", di cui l'ingegneria genetica costituisce un settore di punta. La zootecnia ha conosciuto importanti cambiamenti: la clonazione di cellule embrionali consente di accelerare ulteriormente il progresso della zootecnia, e attraverso le tecniche di trasferimento genico è possibile produrre animali dotati di proprietà completamente nuove. Lo sviluppo di queste nuove tecnologie è mirato principalmente ad aumentare la produttività (maggiori quantitativi di latte, di carne), a migliorare la qualità (carne meno grassa), a ottenere specie animali più resistenti alle malattie, a produrre sostanze farmacologiche dalle ghiandole mammarie degli animali, a rendere più efficace la lotta ai parassiti attraverso virus manipolati geneticamente. Molte aspettative possono e devono essere riposte nei macro- e microorganismi manipolati con i nuovi metodi dell'ingegneria genetica (fig. 1), al cui impetuoso sviluppo ha dato impulso una nuova ondata di ottimismo: nuovi prodotti, nuove proprietà, un tipo di crescita qualitativamente superiore, meno dannosa per l'ambiente, creazione di nuovi posti di lavoro. Per una differenziazione di tali aspettative, alla cui base vi sono intenzioni e finalità comprensibili e degne di rispetto, nuove istituzioni dovrebbero assumersi il compito di porre i giusti interrogativi di bioetica, di etica ambientale, di etica sociale e di etica economica.
L'ingegneria genetica in sé non è più 'pericolosa' di altre tecnologie, per esempio, di quelle informatiche. Tuttavia si pone con urgenza crescente la questione se siamo in grado di realizzare progressi sempre più veloci in tempi sempre più brevi, mentre diminuisce il tempo per riflettere sull'applicazione responsabile delle nuove acquisizioni. L'esempio della tecnologia nucleare rappresenta a questo riguardo un punto controverso per la riflessione. Occorre superare l'isolamento degli obiettivi della ricerca scientifica e tecnologica, e gli scienziati devono spingere lo sguardo al di là delle loro provette e delle pareti dei loro laboratori. Le possibilità dell'uomo come artefice responsabile si accrescono enormemente, e ciò segna ancora una volta l'ingresso in una nuova dimensione. Un'altra questione che si pone è se, a lungo andare, l'uomo non diventerà vittima del nuovo bisogno di sicurezza, dell'acuirsi dei problemi ambientali e di profondi mutamenti strutturali.
Dal punto di vista della bioetica occorre chiedersi se gli esperimenti di manipolazione genetica di piante e animali non siano discutibili anche sul piano biologico; se gli ingenti costi tecnologici comportati dalla produzione, dalla coltivazione di piante transgeniche e dall' allevamento di animali transgenici non siano superiori al singolo vantaggio che ne deriva. D'altro canto gli sforzi dell'ingegneria genetica sono diretti a ottenere organismi sempre più resistenti. Sotto questo profilo si sono conseguiti notevoli successi sia con le piante che con gli animali. Resta tuttavia da chiedersi se le piante e gli animali transgenici non si dimostrino utili solo in condizioni del tutto particolari. In una prospettiva a lungo termine e alla luce delle mutate esigenze produttive, un bilancio sostanzialmente positivo del rapporto costi/benefici potrebbe tramutarsi nel suo opposto. Il rilascio nell'ambiente di piante manipolate geneticamente solleva questioni le cui risposte sono difficili e controverse: ci si chiede, per esempio, se le piante transgeniche, dato il loro carico metabolico supplementare, abbiano maggiori o minori capacità competitive, e ci si chiede anche se conclusioni in merito all'integrità biologica di questi organismi vengano tratte o no da questi fatti. Dal punto di vista dell' etica ambientale occorre partire dalla constatazione che le biotecnologie consolidano strutturalmente (al livello inferiore) un determinato fabbisogno di prodotti chimici. Si pongono allora i seguenti interrogativi: esistono alternative (come l'agricoltura biologica o i progetti ecologici per una produzione autonoma sufficiente) che consentano una produttività sufficiente? In che misura i prodotti chimici sono realmente necessari? L'ingegneria genetica rafforza la dipendenza dell' agricoltura dalla chimica, oppure potrebbe contribuire a ridurla? Un altro importante interrogativo riguarda le ripercussioni ambientali effettive o potenziali di certi esperimenti di manipolazione genetica, in particolare quando le nuove piante sono dotate di determinati vantaggi selettivi. È stata, per esempio, prospettata la possibilità di trasferire le nuove proprietà dalle piante coltivate a quelle selvatiche (Wöhrmann, 1991).
Dal punto di vista socio etico occorre chiedersi: quali rischi si possono assumere? Quali misure di sicurezza si rendono necessarie? il maggior bisogno di sicurezza tecnologica non rischia di mettere in pericolo la libertà e la sicurezza sociali? Si debbono accettare le soluzioni al problema dell'alimentazione senza combattere le cause di fondo della povertà (per esempio, la produzione di carne a scapito degli alimenti vegetali), o gli squilibri nella distribuzione del surplus produttivo? L'ingegneria genetica promette sia un miglioramento qualitativo della produzione, sia la lotta alla povertà. Ma come è possibile determinare il rapporto tra i due obiettivi?
Dal punto di vista dell'etica economica occorre chiedersi se l'ingegneria genetica non prolunghi o non acuisca problemi già presenti di progresso, crescita e dipendenza. A fronte degli innegabili limiti della crescita, è lecito continuare a dare la priorità alla crescita rispetto alla distribuzione, all'intensità del lavoro e alla lotta al 'consumismo' di droghe? Inoltre i metodi alternativi non danno risultati migliori creando minori problemi? Questi non sono che alcuni dei numerosi interrogativi che si pongono sul piano della responsabilità etica. Ciò che in passato si è dimostrato sbagliato, non può diventare giusto se continua a essere perseguito con altri mezzi. Ciò che crea nuovi problemi non va misurato solo sulla base di un successo isolato, ma anche sulla base del peso dei nuovi problemi (Stanger, 1992).
Oltre a ciò, si pone la questione dell'accelerazione, della differenziazione e della moltiplicazione delle singole applicazioni. Senza un'adeguata istituzionalizzazione della responsabilità etica, politica e giuridica, così come senza una valutazione tecnologica multilaterale, non si possono creare i presupposti per decisioni ragionevoli. Alla guida e al controllo socio etici dell' economia di mercato devono corrispondere una guida e un controllo socioetici dello sviluppo tecnologico. Nella dottrina sociale della Chiesa cattolica si è affermata in tempi recenti la tendenza a considerare il know how tecnologico e la sua distribuzione come un problema di giustizia sociale (Enciclica Centesimus Annus, 1991).
Per quanto riguarda gli alimenti prodotti con l'ingegneria genetica, si impongono le seguenti misure: primo, bisogna sottoporre a verifica i processi di produzione di organismi manipolati geneticamente e gli effetti del rilascio nell'ambiente (v. oltre), così come avviene per altri metodi biotecnologici. Inoltre, è necessario fornire le necessarie informazioni all'utente (etichettatura dei prodotti), al fine di tutelare la sovranità del consumatore. l dubbi relativi a una effettiva insufficienza della sovranità del consumatore non autorizzano a mettere sotto tutela i cittadini eludendo l'obbligo della trasparenza. Un'eventuale discriminazione dei prodotti non può legittimare la discriminazione del diritto di libera scelta del consumatore. Solo l'indicazione che si tratta di prodotti di ingegneria genetica aiuta il consumatore a orientare le sue preferenze. L'indicazione del tipo di manipolazione genetica permette al consumatore di riflettere sulle sue scelte. L'etichetta di conseguenza dovrebbe riportare informazioni 'neutrali', ossia dovrebbe indicare il procedimento o il materiale impiegato.
Animali transgenici
La produzione e l'allevamento di animali transgenici vanno giudicati allo stesso modo in cui si giudicano i metodi di incrocio e selezione usati nella zootecnia tradizionale (Wimmel, 1991). Non è possibile individuare un limite etico che consenta o imponga una valutazione in via di principio diversa delle tecniche transgeniche applicate alle specie animali. Se l'ingresso in una 'nuova dimensione' di cui abbiamo parlato acuisce il problema etico, non ne muta però i criteri. Si deve dimostrare che le tecniche che si intendono impiegare presentano vantaggi essenziali rispetto a sistemi alternativi. Le alternative non sono date solo dall 'uso di tecniche diverse, ma anche da strategie di riduzione dei rischi, come, per esempio, la rinunzia a benefici non necessari. Più ancora che nel caso della zootecnia convenzionale, in relazione alle tecniche transgeniche ci si deve chiedere che senso abbia un aumento della produzione a fronte di una sovrapproduzione europea, della necessità di importare mangime concentrato e della fame nei paesi poveri.
L'utilità per l'uomo è senza dubbio un elemento importante, ma non costituisce l'unico criterio decisivo di valutazione in rapporto al trattamento degli animali. Altrettanto importante è la considerazione delle sofferenze inflitte a questi ultimi paragonate ai vantaggi che ne derivano per l'uomo. Una zootecnia finalizzata agli interessi produttivi dell 'uomo non deve necessariamente comportare sofferenze e maltrattamenti per gli animali. Queste sono giustificate solo se gli eventuali vantaggi sono realmente significativi e altamente probabili, e qualora non esistano strade alternative. Sotto il profilo della giustizia distributiva, occorre altresì chiedersi se tali vantaggi non vadano a beneficio esclusivo di una minoranza della popolazione.
Queste considerazioni valgono per le applicazioni dell'ingegneria in vari settori e per i relativi processi di realizzazione tecnico-economica: ovvero tanto per le applicazioni farmaceutiche (bio farmaci), quanto per il miglioramento qualitativo delle specie animali e vegetali di interesse produttivo.
Organismi e microorganismi modificati geneticamente
Secondo gli esperti (Mieth, 1993c; von Schell, 1993), la possibilità di trasformare geneticamente un organismo rappresenta un nuovo stadio tecnologico. l principali elementi di novità sono i seguenti: accelerazione della mutazione rispetto ai metodi di selezione convenzionali; variabilità della mutazione; possibilità di ottenere esattamente la mutazione desiderata; superamento delle barriere genetiche prodotte si nel corso dell'evoluzione; perfezionabilità attraverso la creazione di ulteriori microorganismi geneticamente modificati in cui la funzione desiderata è potenziata; 'multiprogrammabilità', ovvero la possibilità di introdurre una pluralità di funzioni di attivazione che possono correggersi a vicenda, cosicché l'azione esplicata è sempre quella desiderata.
l rischi comportati da queste tecniche di manipolazione genetica sono i seguenti: trasformazione della fisiologia dell'organismo (che può significare, per esempio, il suo indebolimento); interscambio verticale e orizzontale con altri organismi (aria, suolo, ecc.); assunzione di DNA 'libero', ossia svincolato dalla cellula; moltiplicazione o l'alterazione dei microorganismi modificati geneticamente per effetto di agenti presenti nell'ambiente; effetti collaterali (oltre a quello desiderato) dei microorganismi modificati geneticamente rilasciati nell'ambiente; possibilità che una eventuale disattivazione programmata non escluda una successiva attivazione spontanea. È impossibile un controllo totale del sistema di attivazione come avviene, per esempio, per la resistenza sviluppata da microorganismi verso le cosiddette funzioni 'killer' o i geni 'suicidi'.
Il quadro dei possibili rischi può essere descritto anche nel modo seguente: in primo luogo, può verificarsi la diffusione incontrollata sia dell' organismo sia della mutazione genetica; in secondo luogo, possono aversi effetti imprevedibili della manipolazione genetica sulle proprietà fisiologiche dell'organismo; infine, possiamo assistere al verificarsi di effetti inattesi o indesiderati sugli esseri viventi e sulI'ecosistema (patogenicità, prodotti tossici, ripercussioni sulle specie esistenti e sui cicli biogeochimici).
Comunque li si voglia classificare, è indubbio che i singoli fattori di rischio si cumulano e si sovrappongono. Nello studio dei processi ecosistemici o nella loro valutazione entrano sempre elementi di incertezza. Ciò significa che gli effetti indotti o esplicati al livello genetico - con le loro ripercussioni dirette e indirette o differite nel tempo al livello dei processi metabolici - provocati dal rilascio nell'ambiente, possono essere osservati e valutati solo nel contesto di un'interazione ecosistemica. Il verificarsi di un certo evento a seguito di determinati interventi dipende da circostanze specifiche, che sono difficilmente prevedibili sia nello spazio e nel tempo sia negli effetti variabili che esse provocano (von Schell, 1993). Come ha affermato C.S. Holling (1980) a questo proposito, occorre "aspettarsi l'inaspettato". Si dirà che la responsabilità etica riguarda solo le conseguenze prevedibili. Ma la questione stessa della prevedibilità (o dell' imprevedibilità) è a sua volta oggetto della responsabilità etica. Qui occorre porre al centro della riflessione l'uomo come soggetto etico, poiché l'uomo è un essere fmito, limitato e fallace, e non può partire dal presupposto, che è alla base del mito del progresso, di essere sempre in grado di controllare anche le conseguenze imprevedibili. Contro una mentalità tecnologica per la quale, conformemente alla tesi futurologica dell'anticipazione dell'avvenire, l'uomo può sempre padroneggiare le conseguenze delle sue azioni, occorre richiamare l'attenzione sul fatto che nella storia spesso ciò non gli è riuscito, e talvolta gli è riuscito solo a prezzo di immani sacrifici. Tenere nel debito conto il carattere contingente dell'uomo è parte del comune approccio antropologico della riflessione etica.
Vi è un certo consenso sulla necessità di controllare il rilascio nell'ambiente di organismi e microorganismi. A questo riguardo viene fissato un criterio specifico di sicurezza per l'uomo, per la vita in generale, per l'ambiente. La sicurezza in questione non può essere totale, ma si accetta un margine di rischio che viene considerato trascurabile sulla base di rigorosi criteri di probabilità. Un ruolo importante ha qui l'analogia con altre situazioni in cui si accettano normalmente margini di rischio. Tuttavia c'è una differenza tra l'accettare un margine di rischio in un sistema introdotto da tempo e difficilmente rimpiazzabile, come, per esempio, il sistema stradale, e la disponibilità ad accettare in anticipo un rischio di questo tipo in un sistema non ancora installato. Alla prevenzione si presta oggi un'attenzione assai maggiore che in passato, come dimostra tra l'altro l'istituzione della valutazione tecnologica.
Il controllo imposto dal criterio di sicurezza dovrebbe attuarsi attraverso un'articolazione in fasi progressive del rilascio nell'ambiente: quest'ultimo dovrebbe avvenire prima in un sistema chiuso, poi in un sistema parzialmente aperto e infine in un sistema completamente aperto. A sostegno delle sperimentazioni controllate per il rilascio di organismi e microorganismi geneticamente modificati vi è una specifica disciplina giuridica. Una legislazione in materia è ora prevista anche nella Unione Europea.
Il problema della sperimentazione e, in un secondo tempo, dell'effettivo impiego è dato dal fatto che le singole grandezze devono essere fissate in modo relativamente arbitrario. Ciò vale per la durata della sperimentazione; per le dimensioni delle popolazioni con le quali e sulle quali vengono condotti tali esperimenti; per lo spazio da impiegare per verificare un'eventuale effetto; infine per il livello di tollerabilità. Già sappiamo per esperienza che il livello di tollerabilità deve essere fissato con un certo margine di incertezza, il che porta spesso a ridurlo al minimo.
Un ulteriore problema è costituito dall' equiparazione di casi diversi in base al principio dell'omologia. È lecito trarre dal comportamento di un organismo conclusioni sul comportamento di un altro? Sembra più ragionevole adottare invece un approccio differenziato per ogni singolo caso. Un altro rischio è che la particolare rilevanza del problema del rilascio nell'ambiente di piante, animali, microorganismi e virus modificati geneticamente, e le discussioni che esso ha provocato, inducano a trascurare un controllo altrettanto rigoroso di altre tecniche della biologia molecolare.
Obiettivi e criteri di tollerabilità
Alla base dello sviluppo complessivo delle nuove biotecnologie, e in particolare degli esperimenti di manipolazione genetica di piante, animali e microorganismi, vi sono interessi legittimi e scopi ragionevoli. Tali interessi e tali scopi non possono essere messi in discussione in quanto motivazioni; ma, come già detto, si cadrebbe nella cosiddetta fallacia motivazionale se si desumesse dalla legittimità e dalla bontà delle motivazioni la legittimità dell'obiettivo perseguito. Sarebbe lo stesso che esimersi dalla responsabilità in nome delle intenzioni.
Gli obiettivi perseguiti nei principali settori applicativi dell'ingegneria genetica sono molteplici. In primo luogo vi sono obiettivi ecologici, come lo smaltimento di sostanze nocive o l'intervento sui danni provocati dagli incidenti industriali, per esempio, gli interventi sulle chiazze di petrolio nel mare. In secondo luogo vi sono obiettivi economici, è questo il caso, per esempio, dell'ingegneria genetica nel settore agricolo (fig. 2), che mira principalmente ad aumentare la produttività, a rendere produttive regioni non produttive e a un migliore controllo dei prodotti chimici impiegati. In terzo luogo vi sono obiettivi sperimentali, per i quali si tratta cioè di estendere la ricerca di base e verificare (per quanto possibile) se i calcoli richiesti per determinate applicazioni pratiche si possono dimostrare corretti in un' applicazione semplificata, ancora svincolata da interessi produttivi.
La valutazione etica degli interessi e degli obiettivi comporta un'analisi critica degli scopi e del rapporto tra fmi e mezzi. In particolare, occorre chiedersi: si tratta di obiettivi raggiungibili (realistici)? È questa l'unica via per conseguire tali obiettivi? Gli organismi e i microorganismi modificati geneticamente creano problemi maggiori di quelli che dovrebbero risolvere? I problemi si possono prevenire, anziché cercare una soluzione ex post? A questo proposito, si pensi, per esempio, alla prevenzione dei problemi ecologici o, in campo economico, alla possibilità di aumentare la produttività attraverso una migliore distribuzione delle risorse.
In questo caso al metodo induttivo della valutazione etica illustrato in precedenza deve affiancarsi l'etica applicata, che introduce determinati criteri stabiliti tra diversi soggetti e consensualmente, e ne illustra la validità nel caso concreto. Parliamo di criteri stabiliti tra diversi soggetti e tramite accordo in quanto non si tratta di principi superiori. Trasformare i criteri in principi (v. oltre) è in generale compito dell' etica fondamentale, non dell' etica applicata. I criteri in questione possono anche essere considerati come assiomi intermedi. Nel caso del rilascio nell'ambiente di organismi modificati geneticamente tali criteri potrebbero essere i seguenti: tollerabilità per la salute dell'uomo; tollerabilità per l'ambiente, cioè sostenibilità; tollerabilità economica; tollerabilità sociale, intesa come giustizia distributiva, conciliabilità tra sicurezza e libertà, tutela di determinate categorie sociali, per esempio, i piccoli contadini e così via; tollerabilità dei sistemi di sicurezza contro guerre, atti di forza e aggressioni.
La sostenibilità può essere intesa anche come azione positiva nel lungo periodo, in termini di crescita della produttività e di costruttivi effetti distributivi. In rapporto ai paesi del Terzo Mondo, inoltre, dal punto di vista economico si pone la questione se una tecnologia talmente costosa in termini finanziari sia economicamente 'ragionevole' e sostenibile finanziariamente. Si pensi, per esempio, a tecnologie ad alto costo come la fissazione dell' azoto atmosferico (von Schell, 1993). Per stabilire la tollerabilità sociale si deve anche considerare la questione del rapporto della società con i rischi tecnologico-ecologici. In altre parole si pone il problema della partecipazione, della democratizzazione dei processi decisionali in merito all'introduzione di una nuova tecnologia in cui la società svolge la funzione di 'laboratorio' (Krihn e Weyer, 1990).
Forse in questo contesto sarebbe opportuno focalizzare l'attenzione sul problema della conciliabilità tra sicurezza e libertà. Quanto più aumenta il bisogno ecologico ed economico di sistemi di sicurezza, che a prima vista sembrano limitare solo la libertà delle aziende e non anche quella della popolazione, tanto più vengono limitati la mobilità e i diritti di auto determinazione dei cittadini (si pensi a questo proposito alla tecnologia nucleare). Vi sono limiti oltre i quali i sistemi di sicurezza risultano inconciliabili con la libertà democratica.
I diritti di libertà del cittadino assumono rilevanza in molte situazioni come l'analisi del genoma, la terapia genica, e il problema del consenso informato; la partecipazione alle decisioni concernenti l'introduzione di una nuova tecnologia o l'immissione sul mercato di nuovi prodotti; oppure il diritto all'informazione del consumatore.
In un'etica della responsabilità concreta, il metodo induttivo e quello applicativo non si escludono a vicenda, bensì si integrano. Il metodo induttivo è necessario in quanto senza di esso l'applicazione di determinati criteri resterebbe puramente illustrativa: per indirizzare correttamente i criteri, è necessario sviluppare i problemi a partire dalla situazione concreta. D'altro canto, ogni analisi del problema concreto resta cieca se non viene guidata da criteri etici. I criteri senza induzione sono vuoti, l'induzione senza criteri è cieca. I criteri, o assiomi intermedi, richiedono una giustificazione etica; a tal fine occorre ricondurli a principi integrativi, i quali possono essere definiti alla luce dei criteri illustrati sopra di tollerabilità con riguardo alla salute, all'ambiente, alla società e alla sicurezza.
I criteri della tollerabilità per la salute e per l'ambiente si fondano su un imperativo ecologico, che può essere formulato come una regola universale o 'regola aurea' per il rapporto dell'uomo con la natura o per il processo dell'assimilazione di ambiente e corpo: "Agisci in modo tale che le istituzioni umane siano al servizio dello sviluppo e della conservazione del corpo umano, affinché da un lato il valore intrinseco del mondo della natura venga per quanto possibile preservato, ricostituito e incrementato, e dall'altro la vita specificamente umana possa esplicarsi in autonomia creativa" (Mieth, 1990b). Con riferimento in particolare agli effetti sul corpo umano e sulla natura, si possono dare due regole: "Agisci in modo tale che in ogni istituzione e in ogni provvedimento la natura contingente, transeunte e caduca dell 'uomo venga tenuta nel debito conto quale realtà e quale valore umano"; "Agisci in modo che le esigenze vitali della natura quale luogo d'esperienza del corpo contingente dell'uomo vengano preservate e sviluppate" (Mieth, 1990b). Le due regole possono essere così sussunte: "Agisci in modo che gli strumenti di un' autorealizzazione soddisfacente e creativa dell'uomo (istituzioni tecnologiche e sociali) non mettano in pericolo le sue risorse fisiche e biologiche, ma nel perseguire i loro fmi specifici si cerchi sempre di fare riferimento all'uomo" (Mieth, 1990b). Questi imperativi ecologici universali possono essere formulati in modi diversi, poiché cercano di arrivare alla massima integrazione possibile di diverse prospettive.
La tollerabilità economica, la tollerabilità sociale e la tollerabilità relative alla sicurezza si fondano sul principio della coerenza costitutiva, quale è stato formulato da A. Gewirth (1978) e sviluppato di recente da K. Steigleder (1992): "Agisci costantemente in armonia con i diritti e i doveri costitutivi sia tuoi che del destinatario delle tue azioni". Alla base di questo principio vi è la constatazione che la possibilità di agire presuppone sempre in un modo o nell'altro l'assunzione di obblighi comunicativi. Dimostrare che obblighi e libertà originari sono elementi costitutivi dell' azione rappresenta uno dei compiti fondamentali di un'etica razionale. Osserviamo a questo proposito che anche l'etica teologica è tenuta a tale razionalità, e ciò significa che essa deve essere concepita come etica autonoma. l criteri teologici, per esempio, la definizione dell'uomo come creatura, o come immagine di Dio, possono avere un senso solo se si dimostra la loro razionalità, ancor prima di dame un'interpretazione teologica.
Tutti i criteri di tollerabilità devono essere ricondotti formalmente alla regola della soluzione del problema, e fondati in essa: "Agisci in modo tale che i problemi creati da una soluzione non siano maggiori di quelli risolti". La dimostrazione di tale regola si basa sulla constatazione che essa viene costantemente accettata nella vita quotidiana, anche se non sempre la si rispetta. Nel discorso etico tuttavia non si fa valere la forza normativa dell'effettualità, bensì quella delle convinzioni e dei principi in base ai quali orientiamo la nostra esistenza. Il fatto che una regola non venga rispettata, sebbene sia ritenuta giusta, non ne inficia la validità.
Ora, sembra evidente (e molti scienziati hanno già richiamato l'attenzione su questo fatto) che nella sfera dell'agire scientifico, tecnologico ed economico la regola della soluzione del problema non viene rispettata. Nella scienza ciò si deve non da ultimo all'isolamento dei problemi, isolamento che può essere superato attraverso lo studio dei contesti, attraverso la valutazione tecnologica e attraverso un'etica interdisciplinare. A tal fine si rendono necessarie istituzioni e strutture adeguate sia nel campo della ricerca che in quello dell'educazione. Nella scienza, oltre che di un ethos della verità e dell'onestà, c'è bisogno anche di un ethos delle conseguenze, e oltre a questo di un ethos sociale, in virtù del quale gli standard sociali e individuali della responsabilità etica vengano rispettati.
Sarebbe invero strano se i principi etici che informano la nostra vita quotidiana non fossero trasferibili al progresso scientifico, tecnologico ed economico. Probabilmente è proprio a causa dello svincolamento dell'agire scientifico, tecnologico ed economico da un'etica integrata che si registra una perdita di fiducia in queste istituzioni. A essere minata non è la fiducia nella scienza o nel progresso della conoscenza, né la fiducia nell'efficienza, poiché per quanto riguarda questo credito, scienza e tecnologia godono della fiducia dei cittadini più di qualsiasi altro sistema. La fiducia però riguarda l'efficienza, non la responsabilità etica. E poiché nella nostra società a un'imponente crescita del sapere strumentale fa riscontro il costante declino di un sapere 'di orientamento' universalmente valido, aumenta il senso di insicurezza. Solo attraverso la promozione di un sapere 'di orientamento' si potrà ridurre tale insicurezza. A questo proposito si rende necessario una nuova alleanza tra scienza e società (Roy et al., 1991), che garantisca da un lato la piena libertà di ogni settore specifico (compito peraltro già di per sé assai impegnativo) e dall'altro l'istituzione dei necessari collegamenti tra i diversi settori.
Fondamenti spirituali e presupposti etico-teologici per la preservazione della Terra
La natura nell'orizzonte della scienza e della tecnica
La concezione premodema della natura non conosceva ancora la differenziazione della scienza quale ambito specifico del sapere, né di conseguenza la specializzazione delle scienze naturali. Per l'uomo premodemo esistevano ancora entità date, 'naturali', certe e immutabili, cui accostarsi con attitudine contemplativa e non con brama manipolatoria. Spostare la frontiera rappresentata dalla natura sembrava al di là delle possibilità dell'uomo, e ciò ne confermava la fmitezza e la limitatezza in quanto creatura. La concezione premodema della natura implicava certezza. Una certezza che improntava anche la cosmologia, consentendo di dedurre le leggi della statica, ossia l'ordine equilibrato dell' attualizzazione osservabile di potenze che tendono al compimento.
Oggi non siamo certi né della teleonomia, ossia del finalismo, né dell'ordine cosmologico. La discussione sul caso e la necessità, l'immagine del mondo delineata dalla meccanica quantistica e dalla teoria della relatività, hanno dimostrato piuttosto che i confini dei nostri orizzonti scientifici sono tutt'altro che inamovibili. È rimasta valida solo la relativa certezza della riproducibilità sperimentale, nel quadro di una data teoria, e in un dato campo di realtà. Questi 'fatti' e queste 'leggi', tuttavia, non sono più verità universali ma verità condizionate, e valide nella misura in cui indicano con esattezza le proprie condizioni di validità.
Il richiamo alla natura dell'etica classica era centrato sulla razionalità che era il concetto chiave in cui si rivelavano l'ordine e la finalità di tutta la natura. Il ritorno postmoderno alla natura, e in particolare ciò che W. van der Daele (1987) ha definito in riferimento all'ecologia e alla biologia "moralizzazione della natura" è per contro biocentrico: "La moralizzazione della natura umana impone che il suo rispetto sia posto al di sopra dell'autodeterminazione dell'agire umano" (van der Daele, 1987). In questo sviluppo si intravede, secondo van der Daele, un'inversione della tendenza a riconoscere nel diritto di libertà dell 'uomo nel rispetto della libertà altrui l'unico criterio della moralità. Per non dover decidere dell'integrità della persona, ci si rifugia nei 'fatti' biologici, con il rischio però che l'interpretazione di tali 'fatti' resti controversa.
In ogni caso il concetto di natura diventa il concetto di un limite e nello stesso tempo di un progetto. Come limite, esso segna il confine di ciò che è condannabile (per esempio la manipolazione del genotipo umano per creare ibridi e chimere); come progetto, cerca di cogliere il "fondamento di senso nell'essere dell'uomo" (Furger, 1990), e quindi indica nel progetto persona il senso della natura. Ma questo concetto della natura è filosofico, non scientifico, ed è un'interpretazione. Può costituire un punto di riferimento adeguato? A buon diritto van der Daele richiama l'attenzione sul fatto che sinora vi era "un'ovvia base naturale dell'uomo, di cui si doveva tener conto e cui ci si poteva affidare [ ... ]. Per questa ragione l'idea che l'uomo è artefice di sé stesso, o che l'artificialità costituisce l' autentica natura dell'uomo, non conosceva ancora le sue forme più estreme" (van der Daele, 1987). Oggi, per contro, si profilerebbe secondo van der Daele il superamento di alcuni di questi "limiti dell'autocreazione dell'uomo". La tecnologia scientifica "trasforma le costanti antropologiche in opzioni. La natura umana diventa contingente, modificabile a nostro piacimento. Tale contingenza è irrevocabile. Conservare o meno le caratteristiche attuali dell 'uomo in futuro sarà una decisione che dovremo prendere nella consapevolezza che potremmo essere anche diversi" (van der Daele, 1987).
Anche se in questo contesto il concetto di contingenza ha un significato essenzialmente diverso da quello teologico instabilità, variabilità in un caso, finitezza nell'altro (Drewermann, 1991; Mieth, 1997) - emerge chiaramente la tesi secondo cui la 'moralizzazione' della natura costituirebbe un'opzione che deve essere motivata. Inoltre, secondo F. Furger (1990) "nella misura in cui la definizione della natura umana resta o diventa un compito affidato alla scienza, il ricorso normativo alla natura non può avere quell 'univocità in grado di esimerci dall'obbligo di agire e di decidere nei suoi confronti". Sulla gamma delle configurazioni possibili della natura umana si dovrebbe decidere in base a "criteri diversi da quello della naturalità". Tuttavia questi altri criteri normativi (persona, dignità umana, libertà), per quanto la loro positività sia svincolata dal riferimento alla natura e si collochino nell'ambito della cultura e della storia, a mio avviso ricercano una giustificazione razionale, per così dire 'ex negativo', nel fatto di non essere in contrasto con un concetto intuitivo di natura.
Sostituibilità o riduzione del concetto di natura
Quanto più le concezioni della natura sono numerose, tanto più un'analisi concettuale del termine implica una riduzione argomentata dei significati possibili. Il concetto come 'fondamento di senso', ma anche come mondo del tattI che assume nlevanza etIca solo nella congiunzione di molteplici settori della realtà, e infine come particolare teoria nell' ambito di un procedimento di fondazione etica delle norme di condotta. Quest'ultimo significato è evidente, per esempio, quando nella discussione sul diritto alla tutela della vita della persona umana ci si richiama a una teoria dell'inizio 'naturale' della vita. Anche le teorie dei bisogni si richiamano alla natura come punto di riferimento per definire regole operative di condotta. Così come in questo contesto la natura deve essere un punto di riferimento avalutativo per effettuare valutazioni, nella dottrina del bonum physicum il bene premorale diventa per così dire oggetto di valutazioni, che a loro volta si fondano su idee naturali (nel senso di ragionevoli) relative a fini e valori. Cos'è dunque la natura? Mondo dei fatti, particolare teoria, fondamento di senso?
In ogni caso ci si dovrà abituare a tradurre ogni concetto di natura nell'equivalente di volta in volta inteso, al fine di individuare la riduzione insita nell'impiego del concetto. Se si considera il fondamento di senso come una riduzione adeguata ('ridurre' significa qui ricondurre all'essenziale), dovrà essere chiaro che il concetto di natura è inteso nel senso di una comprensione ermeneutica, di una interpretazione di mondi, di fatti e di modelli teorici. Si ha poi una sorta di sdoppiamento della 'natura della natura', allorché questa viene intesa ora nel senso di essenza della natura umana (dignità della persona), ora - come avviene nei modelli filosofici classici) - nel senso di fondamento ultimo (Dio, la polis, la cultura).
Nonostante la fondazione kantiana dell'etica della libera auto obbligazione morale nella ragione pratica, il concetto di natura quale indicatore di stati di cose e significati eticamente rilevanti ha conservato un ruolo importante nell'etica applicata (e probabilmente anche in Kant). Di fatto anche l'etica teologica si era abituata a evitare il concetto di natura nell' etica fondamentale, anche se, in continuità con la filosofia classica, A. Auer parla, per esempio, di "razionalità della realtà". D'altro canto il concetto di natura ritorna nell'etica speciale, sia per l'esigenza di dame un'interpretazione nei testi dei padri della Chiesa cattolica, sia perché l'influenza di Tommaso d'Aquino continua a farsi sentire nella teologia morale e nell'etica filosofica attuali, e sia perché il processo di una 'moralizzazione della natura', descritto da van der Daele nel contesto ecologico come fenomeno sociale, rappresenta una nuova sfida.
Di fronte a tale sfida, che investe soprattutto l'etica applicata in ragione delle sue funzioni di integrazione interdisciplinare, occorre riflettere nuovamente sulla cooperazione di diverse scienze, teorie o modelli teorici relativi a singoli settori della realtà, e sulla natura come sinonimo di fondamento di senso. Ciò risulterà chiaro soprattutto nel caso della bioetica e dell'etica tecnologica. In sintesi, se il concetto di natura è sostituibile nelle sue configurazioni particolari, nella sua globalità resta un indicatore di un compito imprescindibile dell' etica come scienza dell' integrazione. Il filosofo O. Schwemmer ha definito questo compito nel modo seguente: "A mio avviso si deve attribuire alla natura una sua esistenza autonoma, nei confronti della quale siamo responsabili. A prescindere dal fatto che si postuli o meno un 'diritto' della natura, nei confronti di quest'ultima abbiamo un dovere incondizionato. Tale obbligo nasce dalla consapevolezza che siamo usciti dalla natura, in quanto abbiamo imparato a sviluppare nuove possibilità di azione. Ma significherebbe fraintendere tale privilegio dedurre da ciò il diritto di fare della natura un mero oggetto di manipolazione. Piuttosto, il rapporto dell 'uomo con la natura continua a essere oggi come in passato un rapporto dell 'uomo con sé stesso. È questo un buon motivo per comportarsi come se la natura avesse dei diritti, a prescindere da come questi vengono definiti concettualmente. Il concetto di 'rapporto dell'uomo con sé stesso' non va interpretato in senso sentimentale o romantico. Poiché esso esprime anche il fatto che la natura nella nostra vita svolge un ruolo del tutto autonomo, e quindi ci tocca direttamente. Lo dimostra quel che accade quando andiamo contro la natura. Ci ammaliamo, moriamo, senza riuscire a riconoscere in qualche modo in questo morire il fine della nostra esistenza, il compimento del nostro progetto di vita" (Wehowski, 1995).
Il concetto di natura come indicatore
Cosa resta dunque dopo una discussione sul concetto di natura nell'argomentazione etica? Resta la memoria, a volte pericolosa e a volte liberatoria, di un tentativo di integrazione filosofico-teologica compiuto dalla filosofia scolastica, di un retaggio o di una tradizione che viene rivolta verso il futuro. Questa tradizione costantemente viva nell'etica teologica va rivolta verso il futuro, in quanto per affrontare l'odierna sfida ecologica e biotecnologica della responsabilità specifica dell 'uomo nei confronti del suo mondo di vita non si può fare a meno della dialettica tra la scelta di preservare l'integrità e la manipolazione legittima.
Resta il problema di un principio in grado di istituire un ponte tra 'essere' e 'dover essere', tra la verità della realtà, nella misura in cui è per noi conoscibile, e la correttezza etica dell'agire. Quanto più l'etica, intesa come ramo della scienza che ha per oggetto la logica del sapere prescrittivo, si rifà al modello della verità scientifica, tanto più guadagna rispetto (scientifico) e perde di significato (per la prassi). Ma quanto più l'etica si muove nella sfera di una verità superiore (ragione, razionalità) di tutta la realtà, tanto più viene ridotta dalla scienza al rango di opzione pratica, di discorso puramente filosofico e religioso. La sfida che nasce da questa divaricazione costituisce un impegno per il presente e per il futuro. Il termine "natura", non dobbiamo dimenticarlo, è usato in senso metaforico anche nellinguaggio ordinario. Sin dall'antichità il concetto è utilizzato come metafora per cose opposte come ordine e caos. Anche questo è un compito dell' etica: distinguere attentamente tra significato metaforico e significato concettuale, e motivare dettagliatamente l'uso del concetto.
Sotto molti aspetti la natura che ci circonda, sin nel nostro corpo, è in certo senso un artefatto. Esplicare la nostra sessualità secondo i dettami della cultura erotica e nel rispetto dell'etica è nello stesso tempo natura e cultura, così come la statua dell' artista è nel contempo creazione dello spirito e marmo. Ma poiché l'arte per l'uomo rappresenta anche un superamento di sé condizionato dalla natura, il rispetto per la sua origine implica sempre anche il profondo rispetto dell' arte nei confronti della realtà. Lo stesso dovrebbe valere anche per la tecnologia. Questa analogia è stata proposta da P. Schmitz (1990) allorché definisce la natura come 'residuo' irriducibile il cui sacrificio non può che significare la nostra morte. Il concetto di natura ricollega l'etica filosofica di stampo classico alla teologia, e non solo per la sua origine. Il termine "natura" è un indicatore durevole di una labile forma di pensiero nella stessa teologia: grazia e natura, creazione e peccato, 'natura pura' come concetto analitico residuo per pensare la redenzione, natura e libertà, natura e teodicea. In che misura l'intreccio di naturale e sovrannaturale continui ad animare la riflessione teologica è attestato per esempio dal pensiero di K. Rahner, per il quale la dimensione dell' "esistenziale sovrannaturale" in cui risiede la possibilità di fede dell'uomo è parte integrante della naturalità dell'uomo. A buon diritto viene costantemente riproposto il problema di una 'teologia naturale'; e altrettanto a buon diritto K. Demmer (1990) sottolinea la necessità di reintegrare le dimensioni empiriche, cosmologiche e teologiche del concetto di natura nei fondamenti filosofici della dottrina teologica della creazione, o di istituire insegnamenti interdisciplinari ('scienze naturali per teologi').
Conseguenze per un'etica teologica della creazione
Imporre un senso o trovare un senso? - La scienza e la tecnologia sembrano sottostare al paradigma dell'imporre senso. La fondamentale passività che caratterizza la dottrina teologica 'creaturale' qui non trova più spazio, e viene ridotta la componente contemplativa nell'approccio conoscitivo al creato. Un senso imposto tuttavia non è ancora un senso della vita, in grado di colmare il vuoto lasciato dalla sottrazione di un senso 'globale' dell'esistenza. Di conseguenza il concetto di natura si riempie nuovamente di religiosità (e viceversa). Un' etica teologica della creazione può rafforzare il paradigma del rinvenimento del senso, e con esso ciò che A. Schweitzer chiama "il rispetto reverenziale per la vita" (Wehowski, 1995).
Strumentalismo o significazione? - Il problema è quello di trovare il giusto mezzo tra strumentalismo (tutto è disponibile) e biologismo (siamo determinati dalla natura). La soluzione potrebbe risiedere nella significazione, ossia nel valore simbolico (mediato dal linguaggio e dalla conoscenza umani) di tutto il creato per l'uomo; si pensi, per esempio, allinguaggio simbolico della poesia della natura (Mieth, 1986a). Un approccio di questo tipo può avere effetti di portata ancora imprevedibile su tutta una serie di problemi. Ne proponiamo alcuni come esempio: è nel giusto 1. lllich quando lamenta il livellamento della natura sessuale nella cultura sessuale? Qui il valore simbolico della natura potrebbe risiedere nella cosiddetta bipolarità dei sessi. Le specie viventi devono essere tutelate dal punto di vista razionale-teleologico, oppure in quanto simboli della pienezza del creato (arca di Noè)? Come interpretare le sofferenze e la paura degli animali usati come cavie negli esperimenti scientifici? Strumentalmente, ossia dal punto di vista della necessità e dell'utilità, oppure significativamente, ossia come segni della vita in noi e intorno a noi, e quindi solidalmente? Nella riproduzione dell 'uomo vi è un senso della creazione predefinito e assegnato, oppure si tratta solo di un conglomerato di bisogni, per cui la riproduzione può assumere diverse forme a seconda delle necessità?
Progresso o metamorfosi? - L'immagine del progresso è quella della linea (della spirale per un progresso ritardato), l'immagine della metamorfosi è quella del ciclo. Possiamo fare due esempi per l'immagine della metamorfosi. Secondo Eckhart di Hochheim (Mieth, 1986b) "non v'è nulla di nuovo sotto il sole" (Predicationes 1,10), poiché tutto ciò che è nuovo invecchia. La stessa idea viene rovesciata dal mistico tedesco in senso 'progressivo': "se non ci fosse nulla di nuovo, non ci sarebbe nulla di vecchio!". Ma il novum nel senso di un 'irrompere' radicale si dà solo nella sfera divina, come 'creatio continua'. Secondo J.W. Goethe siamo prigionieri del ciclo della natura; nel frammento lirico Die Natur (1783), così scrive: "Natura! Siamo da lei circondati e inghiottiti, impossibilitati a uscirne, e impossibilitati a immergerci in essa. Non invitata e senza preavviso, la natura ci coinvolge nel suo giro di danza e ci trascina via con sé, finché, stanchi, sfuggiamo al suo abbraccio. Essa crea eternamente nuove forme: ciò che esiste, ciò che non è ancora, ciò che è stato non ritorna: tutto è nuovo, eppure sempre vecchio" (Marsch, 1980). Nella concezione goethiana traspare il deus sive natura di Spinoza, il panteismo.
L'immagine del progresso tuttavia non implica l'idea di un equilibrio che rispetti le esigenze ecologiche nella scienza, nella tecnologia e nell'economia. Il progresso, osserva giustamente E. Jüngel (1969), esiste solo come 'pluralità', e non come 'totalità'. L'immagine della metamorfosi non esclude il progresso nei singoli campi, anzi lo implica. Essa rinvia però a un equilibrio che l'uomo è tenuto a rispettare e che non è stato da lui stesso creato.
Conclusioni
Occorre innanzitutto riappropriarsi del concetto di natura. Nelle scienze naturali esso diventa di volta in volta sinonimo di fatti empirici, leggi o teorie. Il concetto è stato intanto 'soggettivizzato', ma a questo processo fa riscontro una riduzione dell'uomo a oggetto. Paradossalmente, quanto più cresce il potere di manipolazione dell'uomo, tanto più egli perde la sua sovranità, poiché in quanto corpo è vulnerabile, in quanto spirito limitato e finito. Quando perde la tensione verso il mondo naturale, l'uomo perde se stesso.
Il concetto di natura è un indicatore di problemi, non un concetto normativo. Sollecita la nostra responsabilità, ma non la controlla. Nel rapporto tra natura e ragione, la ragione è l'istanza che deve darsi carico della natura. Si potrebbe affermare, provocatoriamente, che il concetto di creazione come concetto teologico della natura oggi può dimostrarsi utile anche senza dogmi religiosi. Al pari dei concetti di "dignità del creato" (come è riportato nella Costituzione svizzera) e di 'creaturalità', esso segnala il permanere di un residuo di rispetto reverenziale: "religione in eredità". Il concetto di creazione viene riproposto in diverse versioni filosofiche, di cui la più interessante è oggi l'interpretazione processuale: creatio continua; liber creaturarum; relazione con Dio intesa come movimento, come processo. "Dio opera, e io divento" nelle parole di Eckhart.
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