ECONOMIA DEL CINEMA
Le caratteristiche economiche del prodotto cinematografico. Il film come ‘bene pubblico’ e ‘bene esperienza’. L’imprevedibilità degli incassi. La struttura del settore. Il vantaggio competitivo di Hollywood. L’evoluzione del mercato italiano. I cambiamenti nella filiera del settore cinematografico. La produzione. La distribuzione. La divulgazione. Le windows. Il caso Netflix. Il finanziamento dei film. Il tax credit. Focus sul 2014. Bibliografia
Le caratteristiche economiche del prodotto cinematografico. – Il film come ‘bene pubblico’ e ‘bene esperienza’. – La dimensione economica del prodotto cinematografico, al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori, è sconosciuta ai più, ma da essa discendono importanti conseguenze per la sua dimensione artistica, in un settore che negli ultimi dieci anni sta risentendo pesantemente della rivoluzione digitale, in grado di mettere in discussione i suoi stessi confini. Ma l’entità e le modalità con cui le risorse finanziarie, pubbliche e private, vengono elargite hanno un impatto decisivo nella fase di produzione dei film e in quella successiva della distribuzione.
Riconoscendo la loro duplice natura, in Europa le opere audiovisive in generale sono definite «beni economici che offrono notevoli opportunità per creare ricchezza e occupazione, ma al tempo stesso sono beni culturali, che rispecchiano e modellano la nostra società» (Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni su taluni aspetti giuridici riguardanti le opere cinematografiche e le altre opere audiovisive, 534 definitivo del 26/9/2001).
Nel tempo gli economisti hanno molto dibattuto sul binomio arte-industria, arrivando a conclusioni per niente scontate. Come ha osservato Alberto Pasquale (2012, pp. 15 e segg.), il film può essere definito un «bene pubblico» e nelcontempo un «bene esperienza». È un «bene pubblico» perché la sua funzione può essere fruita da più soggetti senza che nessuno di essi subisca una riduzione dei benefici che ne può trarne. Più spettatori assistono in sala alla proiezione del film e possono godere della stessa esperienza, indipendentemente dal loro numero, così come nel caso di una trasmissione televisiva non criptata. La questione diventa più complessa nel caso delle trasmissioni televisive criptate oppure nella modalità on demand. Si parla allora di beni pubblici ‘spuri’: solo chi versa un pagamento può trarne benefici. Anche nell’esempio della proiezione nella sala cinematografica lo spettatore paga un biglietto, ma l’esclusività è limitata da uno spazio fisico ben definito.
Il film può essere però considerato anche un «bene esperienza», perché le sue qualità possono essere conosciute solo tramite il suo utilizzo, che viene invogliato dai produttori e distributori tramite strategie di marketing (la proiezione di trailer, la notorietà del cast oppure le interviste agli attori e ai registi) e che rende per i primi estremamente difficile se non impossibile conoscere ex ante quale sarà il successo di pubblico che riscontrerà un’opera, come dimostra l’evidenza di molti successi annunciati che non si sono rivelati tali oppure, al contrario, di pellicole che al box office sono andate ben oltre le aspettative. Un’incertezza che i produttori cercano di limitare con una serie di vincoli organizzativi e contrattuali.
L’imprevedibilità degli incassi. – Quando si parla delle caratteristiche economiche del prodotto cinematografico, una delle citazioni più famose è nobody knows anything («nessuno sa niente») dello sceneggiatore William Gold man (Adventures in the screen trade. A personal view of Hollywood and screenwriting, 1983), mentre gli economisti parlano di «mancanza di informazioni simmetriche» (Caves 2000, trad. it. 2001, p. 4). Un concetto per sintetizzare il fatto che non è possibile sapere con certezza quale successo di audience avrà un film prima della sua uscita. E se questo è vero in uno scenario stabile, tanto più lo è in un veloce cambiamento come quello attuale, che vede moltiplicarsi non solo i canali, ma anche i supporti cui ha accesso il pubblico, scardinando il tradizionale sistema delle windows (v. oltre). Per citare qualche esempio, Transcendence (2014), lo sci-fi thriller da 100 milioni di dollari di Wally Pfister, con importanti star come Johnny Depp e Morgan Freeman, sulla carta sembrava un progetto vincente, ma così non è stato. Partito invece in sordina, con un budget da 60 milioni di dollari, The Lego movie (2014, di Phil Lord e Christopher Miller) ha incassato nel mondo oltre 468 milioni di dollari.
Per fronteggiare l’imprevedibilità della domanda, l’industria cinematografica adotta diverse strategie, come quella di cercare di compensare i rischi di insuccesso, che sono di gran lunga più numerosi di quelli di successo, diversificando la produzione con film di vario genere e budget. Una conseguenza importante è che la vendita dei diritti tende spesso a sovrastimare o sottostimare l’audience del film.
La struttura del settore. – Il vantaggio competitivo di Hollywood. – Il vantaggio competitivo di Hollywood, che viene definito tradizionalmente dagli economisti facendo riferimento (Perretti, Negro 2003) a tre caratteristiche (la dimensione del mercato statunitense, il controllo della distribuzione in vari Paesi e l’‘egemonia culturale’ degli Stati Uniti, che scaturisce dalla sua supremazia economica), deve fare i conti, da un lato, con le sfide della tecnologia digitale e, dall’altro, con la generale espansione dal 2011 della produzione e della distribuzione a livello internazionale. La cinematografia cinese, sebbene a livello di incassi sia meno della metà di quella nordamericana (10,4 miliardi di dolla ri), è al secondo posto nella graduatoria mondiale dei movie markets 2014 e ha grandi ambizioni, come dimostrano le mosse del colosso Dalian Wanda che, dopo aver acquisito nel 2012 la seconda catena americana di cinema AMC, nel dicembre 2014 ha espresso l’intenzione di entrare con una quota di maggioranza in Lionsgate (lo studio da 5,7 miliardi di dollari di capitalizzazione che ha prodotto la serie Hunger games: v. cina: Cinema). Un altro gruppo cinese, il gigante dell’e-commerce Alibaba, ha in programma di lanciare un servizio di video streaming (denominato TBO) con contenuti cinesi e internazionali. Ha inoltre investito nella produzione Paramount Mission impossible - Rogue nation.
Nella classifica mondiale della produzione, gli Stati Uniti (707 film nel 2014) sono invece stati superati di gran lunga dall’India (1966), grazie all’esplosione del fenomeno Bollywood, seguita dalla Cina (618), dal Giappone (615) e dai maggiori Paesi produttori europei (nell’ordine Francia, Germania, Spagna, Gran Bretagna e Italia), con la sorpresa della Repubblica di Corea in sesta posizione.
Sul fronte della tecnologia, i cosiddetti Big five (Walt Disney, Universal, Paramount, Warner Brothers e 20th Century Fox), a cui bisogna aggiungere Sony Pictures, hanno cercato negli ultimi anni di cavalcare l’onda digitale grazie alla early window denominata Digital HD, rendendo disponibili i nuovi film da acquistare sui digital stores (come iTunes e Amazon.com) da una a due settimane prima del DVD o del noleggio on-line, ma sono stati comunque costretti a produrre meno film e a tagliare i budget.
Nel 2014 gli acquisti di film on-line, secondo i dati elaborati dal Digital entertainment group, sono stati negli Stati Uniti la categoria più dinamica con un balzo di oltre il 30% (fino a 1,55 miliardi di dollari), ma non sono stati in grado di compensare il calo di DVD-Blu Ray acquistati e noleggiati, in flessione costante dal 2004. In quella data il totale dell’home entertainment era di 22 miliardi di dollari, mentre nel 2014 è sceso a 17,8 miliardi (1,8% sul 2013) con conseguente calo dei profitti delle major, perché il segmento DVD-Blu Ray è stato per quasi un decennio il business a più alti margini reddituali, grazie ai suoi bassi costi di produzione.
L’evoluzione del mercato italiano. – Il cinema italiano continua a riscuotere importanti riconoscimenti artistici a livello internazionale (La grande bellezza di Paolo Sorrentino, premio Oscar come miglior film straniero 2014) imponendosi come un fondamentale veicolo di promozione del nostro Paese all’estero (gli economisti le definiscono esternalità positive). Promozione rafforzata dai film stranieri che vengono girati in Italia, grazie anche ai vantaggi fiscali di cui possono godere, incrementati con il decreto Cultura (d.l. 31 maggio 2014 nr. 832) da 5 a 10 milioni di euro.
Il settore cinema, secondo stime della FEdS (Fondazione Ente dello Spettacolo) e del MIBACT (Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo), genera una ricchezza annuale pari a 4,4 miliardi di euro, mentre il giro di affari totale dell’audiovisivo arriva a 15,6 miliardi (Il mercato e l’industria del cinema in Italia, 2014).
Dall’osservazione dell’andamento delle quote di mercato su gli incassi al box office dei film italiani nell’ultimo decennio emerge un trend generale positivo, in seguito alla profonda ristrutturazione dell’industria cinematografica dopo la crisi degli anni Novanta, ma con molti elementi di debolezza (fig. 1). La quota italiana (comprendendo le coproduzioni) è passata dal 24,7 del 2005 al 27,2% del 2014, ma in deciso calo rispetto al massimo del 35,6% toccato nel 2011. Nello stesso periodo è scesa l’incidenza del mercato statunitense che, pur restando predominante, si è ridimensionata dal 53,8% del 2005 al 50,2% del 2014, mentre quella europea è calata dal 19,6% al 16,9%, a favore dei film realizzati da altri Paesi (dall’1,9 al 5,7%), con in testa Nuova Zelanda e Australia.
Guardando alle performance del box office nell’ultimo decennio, le serie storiche su incassi e presenze evidenziano fino al 2010 un andamento positivo (da 536,5 del 2005 a 735,3 milioni di euro), ma da allora il trend è stato decrescente, e dopo una leggera ripresa nel 2013, nel 2014 la soglia di incasso è scesa sotto i 600 milioni di euro (575) per un totale di 91.500 biglietti venduti.
Il peggioramento delle performance del box office negli ultimi cinque anni riflette le profonde trasformazioni in atto nel settore, legate alla moltiplicazione delle piattaforme di consumo dei film (PC, tablet, cellulare ecc.) e ai nuovi canali di sfruttamento, come Tvod (Transactional video on demand) e Svod (Subscription video on demand) che si sovrappongono a quelli tradizionali. Secondo il modello di business e indipendentemente dal canale di trasmissione, si può infatti distinguere fra Tvod e Svod: nel primo caso l’utente effettua una transazione per ciascun programma audiovisivo che intende visionare; nel secondo, con il pagamento di una tariffa mensile, l’utente si abbona a un servizio nell’ambito del quale può visionare tutti i programmi offerti per un determinato numero di volte. Per tener conto dei grandi cambiamenti in atto la Commissione europea ha presentato nel maggio 2015 un documento (A digital single market strategyfor Europe) articolato in tre linee guida (migliore accesso ai servizi on-line in Europa, creazione delle giuste condizioni per la crescita di reti e servizi digitali, massimizzazione del potenziale di sviluppo dell’economia digitale europea).
I cambiamenti nella filiera del settore cinematografico. – Nella realizzazione di un film si possono distinguere tre fasi: la produzione, la distribuzione presso i vari canali e la divulgazione al pubblico. Se in passato questi diversi momenti di uno stesso processo avevano una sequenza temporale stabilita, con l’avvento delle nuove tecnologie i canali per lo sfruttamento commerciale si sono moltiplicati.
La produzione. – La produzione di un film ha alti costi fissi e non recuperabili (come gli investimenti per la costruzione delle sceneggiature), mentre la distribuzione ha elevate economie di scala, perché i costi di duplicazione della prima copia sono molto bassi. Questo spiega, da un lato, la necessità di avere, soprattutto nel caso delle opere con un ricco budget, una grande audience e, dall’altro, il sistema delle windows (cioè delle finestre), concepito proprio per creare spazi temporali tali da generare valore durante i vari passaggi nella filiera. Un processo messo in crisi dallo scardinamento delle tempistiche e dal moltiplicarsi delle piattaforme.
Nella produzione del film si possono distinguere quattro momenti. Il primo è lo sviluppo, durante il quale viene elaborata la sceneggiatura, che servirà per stimare il costo dell’opera, seguito dalla preproduzione, che implica la selezione del regista e degli attori, la preparazione del budget e la ricerca delle fonti di finanziamento. C’è poi la fase delle riprese, per girare le scene del film, e infine la postproduzione (effetti speciali, montaggio, colonna sonora ecc.). Nel caso delle produzioni di filmati con supporti di telefonia mobile, che sono una netta minoranza, il processo non avviene seguendo queste logiche e parte da budget molto ridotti, così come nel caso delle web series, che pur occupando una posizione ancora marginale, hanno avuto negli Stati Uniti, ma non solo, un forte sviluppo (oltre mille nuovi titoli all’anno), grazie alle opportunità di sperimentazione che offrono e alla flessibilità nel consumo.
La distribuzione. – La distribuzione cinematografica è l’anello della filiera fra la produzione e l’esercizio. Le imprese di distribuzione si confrontano sul fronte dell’offerta con l’entità dei budget promozionali e le caratteristiche dei film e dal lato della domanda con il processo di concentrazione delle sale e la crescita delle modalità di fruizione on demand in TV e Internet dei film.
La distribuzione è il vero snodo del sistema. È infatti attraverso il primo atto di immissione nel circuito primario che i film conquistano la brand reputation, cioè i crediti di interesse che sono determinanti per lo sfruttamento sugli altri canali secondari, dalla televisione alla rete web e ai dispositivi di comunicazione in mobilità. Non stupisce quindi che la quasi totalità degli investimenti pubblicitari e promozionali sia realizzata proprio in questa fase. Dopo il costo di produzione, la voce più alta del conto economico è rappresentata dai P&A Costs (cioè dalle spese di copie e lancio).
La divulgazione. – La divulgazione di un film, sulla base della sequenza delle windows, comincia con la programmazione in sala (theatrical), per passare ai canali di sfruttamento successivi (home video, Vod, pay per view, pay tv, free tv). La definizione delle date di uscita dei film è una questione centrale nel dibattito fra produttori, distributori ed esercenti, ma la forte concentrazione delle sale, in particolare dei multiplex, e la grave crisi delle monosale sono fenomeni che ostacolano la diversificazione delle scelte distributive e impoveriscono la programmazione dei film d’autore. A un numero insufficiente di schermi disponibili si contrappone l’incapacità delle strutture di minori dimensioni di sopravvivere alla concorrenza, spesso a causa di modelli di business che non sono più compatibili con i tempi e con gli alti investimenti richiesti per la tecnologia digitale. Un aiuto su questo fronte è arrivato nel dicembre 2014 dall’autorizzazione della Commissione europea agli aiuti alla digitalizzazione delle sale, dopo un’indagine formale avviata nel 2008.
Seguendo un trend comune a tutti i maggiori Paesi europei, in Italia le strutture che ospitano sale cinematografiche (circuito Cinetel) sono scese da 1210 del 2006 a 1065 nel 2014, con i cali più vistosi registrati dai monosala, a fronte dell’aumento di multisala e multiplex che nel 2014 hanno raccolto quasi il 75% degli incassi. Alla progressiva concentrazione delle strutture fa però riscontro un aumento del numero degli schermi, saliti da 3062 a 3261. L’offerta non è quindi carente dal punto di vista quantitativo, ma piuttosto culturale, visto che i multiplex tendono a privilegiare ‘aspiranti’ blockbuster destinati prevalentemente a un pubblico di famiglie e adolescenti.
Le windows. – Il sistema windows, che prevede l’uscita di un film nei vari canali secondo una sequenza temporale di finestre, realizza una forma di sfuttamento economico costruendo in fasi successive un’audience diversa, che va ad aggiungersi a quella precedente. La gerarchia tradizionale di uscite prevedeva la prima visione nelle sale (delle grandi città e poi dei centri minori), seguita dall’home video a noleggio, dall’home video vendita, dalla pay per view e dal video on demand (Vod). Con l’avvento della tecnologia digitale e la conseguente crisi dell’home video (−64,3% in Italia dal 2007 al 2013), a fronte della crescita dei servizi Svod, questo processo si è profondamente trasformato, anche se, come già evidenziato, il successo in sala resta determinante per lo sfruttamento dei diritti successivi.
La finestra fra sala cinematografica e uscita negli altri formati si è molto contratta negli ultimi vent’anni. Negli Stati Uniti dai 6 mesi e 28 giorni che nel 1997 rappresentava il picco storico della window si è scesi a 120-150 giorni e di recente a 110 giorni. In Italia le finestre temporali di distribuzione, che sono contrattuali, in genere stabiliscono che dopo l’uscita in sala del film si debbano aspettare almeno 34 mesi prima di poterlo avere on-line (Tvod) o su DVD, ma in molti casi è stato scelto un gap temporale più breve. Le tempistiche tradizionali vengono quindi sempre più spesso modificate in funzione delle esigenze degli operatori.
Il caso Netflix. – Netflix, la società leader nei servizi Svod negli Stati Uniti, in espansione in tutto il mondo e in arrivo in Italia nell’ottobre 2015, che ha costruito la sua reputazione grazie a serie TV di grande successo (come House of cards), ha annunciato alla fine di settembre 2014 una partnership per la produzione di quattro film del comico Adam Sandler, che intende lanciare contemporaneamente in 50 Paesi. La società di Los Gatos sarà inoltre partner della Weinstein per il sequel del film di Ang Lee Wo hu cang long (2000; La tigre e il dragone). Netflix con una mossa a sorpresa ha presentato alla Mostra Internazionale d’Arte cinematografica di Venezia 2015 il film Beats of no nation di Cary Fukunaga, in uscita negli Stati Uniti il 16 ottobre 2015, in contemporanea sia on-line sia nei cinema. Con questo sistema il gruppo californiano vuole scardinare il rigido schema di windows applicato negli Stati Uniti, dimostrando che è possibile distribuire un titolo theatrical senza nemmeno passare dalla sala, con conseguenze su tutta la catena del valore.
La compagnia americana, che può contare su 65 milioni di utenti su scala globale (di cui 42 milioni negli Stati Uniti), ha chiuso il 2014 con un incremento del 26% del fatturato (5,5 miliardi di dollari), mentre l’utile è più che raddoppiato (266,8 milioni di dollari). Forte di questi risultati, dopo essere entrata nel marzo 2015 in Australia, ha in programma di espandersi dagli attuali 50 a 200 Paesi entro fine 2016. Ma se per molto tempo Netflix ha beneficiato di una leadership quasi incontrastata, negli ultimi tempi ha dovuto fare i conti con la concorrenza di Hulu, Amazon, Google, Apple e dei canali televisivi HBO e ESPN. In particolare Amazon Studios, che ha ingaggiato Woody Allen, dopo Ridley Scott, per realizzare una nuova serie TV, ha annunciato che a partire dal 2015 produrrà una dozzina di film all’anno per la sale cinematografiche, che saranno successivamente disponibili sulla sua piattaforma di streaming on-line.
Il finanziamento dei film. – In Europa ci sono molti modelli di intervento pubblico e negli ultimi anni si è cercato di mettere un po’ di ordine fra le varie opzioni. Si passa da sistemi di aiuto fortemente statalisti a politiche industriali prevalentemente di stimolo ai privati. In Italia la tendenza recente è verso una progressiva riduzione del-l’intervento diretto (mediato da Commissioni ministeriali) a favore di strumenti di agevolazione fiscale, a beneficio sia degli operatori del settore sia di eventuali investitori esterni all’industria del cinema (fig. 2). Secondo gli esperti, l’intero sistema ha comunque bisogno di una radicale revisione, perché i cambiamenti imposti dall’evoluzione tecnologica richiedono notevoli adeguamenti da parte di tutti i comparti della filiera, mentre conquistano spazio nuove modalità per reperire risorse private come il crowdfunding.
Il tax credit. – Le fonti per finanziare un film possono essere interne, cioè provenienti dalle aziende di produzione e distribuzione coinvolte nel progetto e quelle derivanti dal mercato dei diritti, ed esterne, che comprendono i finanziamenti istituzionali (sovranazionali, nazionali e locali) e il credito privato. Come già menzionato, in Italia gli interventi più recenti si sono concentrati sull’aspetto fiscale: tax credit (credito di imposta) interno ed esterno (la l. finanziaria per il 2008 ha introdotto in Italia un sistema di agevolazioni fiscali, disciplinate dai d.m. 7 maggio 2009 e 21 genn. 2010, volto al sostegno del settore cinematografico; con il d.l. definito Valore cultura, 8 ag. 2013 nr. 91, è stata garantita la continuità operativa del tax credit fino al 2015 e sono state incrementate a 90 milioni di euro le risorse disponibili sul fondo che lo alimenta). L’aumento delle opzioni di finanziamento (v. tabella) ha favorito l’interscambio di competenze fra gli operatori del settore cinematografico e i responsabili delle strutture pubbliche e private. In particolare le banche, attraverso l’uso di tax credit esterno, e le Regioni, tramite fondi specializzati e Film commission, hanno dato un importante apporto al sistema.
Nel 2014, grazie al già citato decreto Cultura, il tetto per gli investimenti pubblici in produzione cinematografica è passato da 5 a 10 milioni di euro, consolidando il ruolo del credito di imposta. Il raddoppio del tetto per il tax credit riguarda però solo una delle modalità di agevolazione previste dalla legge, quella destinata alle produzioni straniere (quindi non ai film italiani) per incentivarle a girare in Italia. Su questo terreno la concorrenza nel mercato internazionale è molto agguerrita ed è stato quindi necessario adeguarsi alle condizioni prevalenti nei vari Paesi. Inoltre il tax credit, finora riservato ai soli film in uscita al cinema, è stato esteso anche alla fiction televisiva e alle serie web. Ma per quanto si tratti di uno strumento molto interessante, il credito di imposta a favore del cinema e dell’audiovisivo necessita di consistenti correttivi. Nella sua applicazione non sono mancate forzature, a vantaggio soprattutto degli istituti di credito, che hanno in parte disatteso gli obiettivi che il legislatore intendeva perseguire.
Focus sul 2014. – Nel 2014 la produzione di film di nazionalità italiana, secondo i dati di Anica e MIBACT, è cresciuta (da 167 a 201), mentre gli investimenti produttivi non sono saliti in maniera proporzionale. All’incremento di 34 titoli ha fatto riscontro un aumento di 12 milioni di risorse (per un totale di 370 milioni), con il conseguente calo del budget medio dei film, che per le produzioni di iniziativa italiana (100% nazionali e coproduzioni) è di soli 1,4 milioni. Su un totale di 194 film di iniziativa italiana, 25 hanno avuto a disposizione un budget superiore a 3,5 milioni e 12 fra 2,5 e 3,5 milioni, mentre 69 sono le produzioni (low budget) con me no di 200.000 euro e 43 quelle comprese fra 200.000 e 800.000 euro. Per fare un confronto, un film di iniziativa francese ha un budget medio di 3 milioni, mentre a Hollywood il costo medio di un film ‘alto budget’ supera i 70 milioni di dollari, con punte oltre i 200. In Italia da una parte ci sono le commedie e dall’altra i film a piccolo budget, a scapito della fascia media, ma di alta qualità. Per quanto riguarda le fonti di copertura della produzione (dei film di iniziativa italiana), la più importante è garantita dagli investitori esterni, pari a 67 milioni di euro (+25,4 milioni rispetto al 2013), seguita dal credito di imposta (32,5 milioni), dai contributi per interesse culturale (14,8 milioni) e dai contributi regionali (10,7 milioni). Non c’è chiarezza invece sui ben 129 milioni di euro che MIBACT e Anica indicano genericamente sotto la dicitura «altri fondi nazionali, altri fondi locali, apporti societari, prevendite diritti, investimenti emittenti, ecc.».
Da un’analisi di insieme sugli investimenti pubblici statali si rileva che questi ultimi sono sempre più spostati verso le misure automatiche e indirette (le varie forme di tax credit), mentre i contributi diretti sono in calo. Dei 203 milioni totali investiti dallo Stato nel 2014, solo 88 milioni sono destinati al sostegno diretto, assorbiti per il 45% dalla produzione, per il 34% dagli enti di settore, per il 13% dalla promozione e per il 9% dall’esercizio. Il 57% (115 milioni) è invece rappresentato dal sostegno indiretto, dove la produzione incide per il 64%, l’esercizio per il 32% e la distribuzione per il 4%.
Bibliografia: R.E. Caves, Creative industries, Cambridge (Mass.)-London 2000 (trad. it. Milano 2001); G. Doyle, Understanding media economics, London 2002 (trad. it. Milano 2008); F. Perretti, G. Negro, Economia del cinema. Principi economici e variabili strategiche del settore cinematografico, Milano 2003; A. De Vany, Hollywood economics. How extreme uncertainty shapes the film industry, London-New York 2004; A. Finney, The international film business. A market guide beyond Hollywood, London 2010; H.L. Vogel, Entertainment industry economics. A guide for financial analysis, New York 2011; A. Pasquale, Investire nel cinema, Milano 2012; H. Jenkins, S. Ford, J. Green, Spreadable media. Creating value and meaning in a network culture, New York 2013 (trad. it. Spreadable media. I media tra condivisione, circolazione, partecipazione, Milano 2013).