economia dell'istruzione
economia dell’istruzione Disciplina, nota anche come economia dell’educazione (economics of education nel linguaggio internazionale), che si occupa delle analisi riguardanti le scelte relative all’i., i costi e i risultati delle strutture educative, nonché degli impatti del sistema educativo (i. scolastica e universitaria e formazione professionale ai diversi livelli) sul sistema economico e sullo sviluppo di un dato Paese o contesto locale.
Già nella Ricchezza delle nazioni (1776) A. Smith (➔) poneva in evidenza come la capacità produttiva del lavoro sia connessa con la possibilità di accumulare conoscenze specifiche e come diverse modalità organizzative del lavoro possano accrescere quegli «skills, dexterity and judgements» che rappresentano il modo stesso per aumentare la produttività e il valore aggiunto delle produzioni. Tale approccio classico alle risorse umane viene tuttavia progressivamente meno con l’affermarsi del paradigma marginalista, che considera tutti i fattori di produzione omogenei e perfettamente sostituibili.
Il tema scompare di fatto dall’orizzonte degli economisti per un lungo periodo, divenendo più materia di pedagogisti e sociologi, ma non di una adeguata trattazione economica. Il ruolo dell’educazione riemerge alla fine degli anni 1950 con diversi lavori che pongono in evidenza quanto le spese per l’educazione incidano sulla finanza pubblica, ma nel contempo come la scuola divenga sempre più un fattore di discriminazione sociale, o inversamente − se aperta a tutti − di effettiva integrazione, plasmando la stessa organizzazione della società. ● Negli anni 1960, T.W. Schultz (➔) e G. Baker (allievo di M. Friedman), considerati i fondatori dell’e. dell’i., trattano nelle loro pubblicazioni il capitale umano come una estensione del concetto di capitale, proprio dell’economia neoclassica, e pertanto guardano all’educazione come una scelta di investimento individuale, per la quale si spende al fine di ottenere un reddito in un tempo successivo. La considerazione di base è dunque che una maggiore educazione comporterà un aumento della produttività del lavoro in un tempo successivo, cosicché questo si tradurrà in maggiori salari o redditi, che potranno essere commisurati ai costi attuali, affrontati dal singolo o dalla sua famiglia per sostenere i costi dell’istruzione. L’analisi dei due esponenti della scuola di Chicago riporta quindi all’interno dell’ortodossia marginalista le decisioni di investimento in i., assumendo una piena se non perfetta razionalità e una altrettanto perfetta conoscenza o capacità di previsione sul futuro. A.K. Sen (➔) considera che l’assunzione di perfetta razionalità si addica ai cosiddetti rational fools, «sciocchi razionali» (Scelta, benessere, equità, 1986), cosicché le tematiche dell’educazione debbano essere trattate in un contesto ben più ampio di quello della stretta scelta razionale individuale, essendo questa limitata dai contesti sociali. Gli stessi studi di H.A. Simon (➔) sulla razionalità limitata hanno portato a ricercare più complesse motivazioni per definire le scelte scolastiche, considerando che molta parte di queste debba considerarsi più o meno obbligata all’interno di strutture sociali, che di fatto incanalano le decisioni, più per mantenere la posizione sociale riconosciuta che per effettivo calcolo sui redditi attesi. ● Negli anni 2000 è emerso sempre più il tema del disallineamento fra offerte educative e domanda di competenze delle imprese, poiché i mercati del lavoro sono tutt’altro che perfetti, e le capacità di scelta razionale sono estremamente ridotte su scelte a così lunga distanza. Il Nobel assegnato nel 2010 a P.A. Diamond (➔), D.T. Mortensen (➔) e C.A. Pissarides (➔) mette proprio in evidenza queste difficoltà a far convergere decisioni di domanda e offerta, specialmente in situazioni in cui vi è una spinta verso un innalzamento dei livelli educativi e non si creano nel contempo sbocchi adeguati nell’economia, determinando rilevanti problematiche di disoccupazione intellettuale. D’altra parte si è sviluppata, anche grazie agli studi sulla endogenous growth (➔ crescita endogena), una grande attenzione agli investimenti in educazione come politica di sviluppo in contesti in cui serve una accelerazione nei livelli di produttività. Notevole attenzione è stata inoltre dedicata all’analisi dell’efficienza delle organizzazioni scolastiche, sia pubbliche sia private, agli incentivi agli insegnanti, alle modalità di valutazione dei risultati (M. Carnoy, 2007).
Un altro filone di studi riguarda invece il cosiddetto ‘pregiudizio accademico’, cioè la convinzione che un percorso di apprendimento professionale non debba essere riferito solo alle strutture educative accademiche, ma che si debba maggiormente tener conto dei percorsi di formazione interni alle imprese o in strutture formative dichiaratamente rivolte all’inserimento lavorativo.