Economia della comunicazione
Lo scenario globale della comunicazione
L’economia della comunicazione è la definizione all’interno della quale è possibile includere una serie di fenomeni economici, tecnologici, sociali, culturali e giuridici che stanno determinando nel mondo mutamenti di elevata entità quantitativa e qualitativa, tali da incidere profondamente sulla struttura planetaria delle relazioni economiche.
Non si esagera nell’affermare che senza l’economia della comunicazione non sarebbe stato possibile creare quel mercato globale che, nel bene e non senza problematiche, costituisce una delle realtà più rilevanti del nuovo secolo.
In una prospettiva più tecnologica l’economia della comunicazione può essere definita come l’ambito, ricco di molteplici articolazioni e di dimensioni sempre più vaste, nel quale operano persone e organizzazioni che si avvalgono delle tecnologie atte a trasmettere segnali a distanza. Si configura, dunque, come un’attività consapevole, esercitata da individui o imprese che assumono, elaborano e diffondono informazioni capaci di influenzare e spesso diventare parte essenziale del fenomeno economico. Tutto ciò avviene partendo dal presupposto che, nella civiltà contemporanea, la conoscenza ha visto accrescersi la sua caratteristica di bene, merce atipica ma sempre più rilevante, che in quanto tale esprime un valore suscettibile di valutazione economica. Il valore dei beni è sostanziato dall’informazione stessa.
Nata nel Novecento, attorno ai primi sistemi di telecomunicazione, prevalentemente la radio e la televisione, basate su onde e radiofrequenze, l’economia della comunicazione ha subito una gigantesca crescita nel nuovo secolo con l’implementarsi di tecnologie quali Internet, le reti, i satelliti, i new media, la telefonia senza fili, la modalità digitale.
Il settore delle comunicazioni oggi è uno dei mercati preponderanti delle economie moderne, capace di influenzare il PIL (Prodotto Interno Lordo) delle nazioni ove operano le aziende di questo comparto. Diversi istituti di ricerca e alcuni giornali pubblicano, ogni anno, la classifica delle prime mille multinazionali al mondo, valutate sulla base della capitalizzazione (totale delle azioni per il prezzo delle azioni). Nei primi cinque anni del nuovo secolo aziende tipiche della comunicazione multimediale e dell’informatica come Microsoft, Google, China Mobile, Sony, Ibm, Time Warner, News Corporation, Apple, Nokia, Hitachi hanno scalato le prime posizioni superando per valore le multinazionali che primeggiavano nel secolo scorso, quelle dell’industria automobilistica, del tabacco, delle costruzioni.
L’offerta lanciata nei primi mesi del 2008 da Microsoft per l’acquisizione del motore di ricerca Yahoo è stata pari a 45 miliardi di dollari, una cifra corrispondente al PIL dell’Angola; la contro richiesta dei vertici di Yahoo è stata di 56 miliardi di dollari, ossia l’equivalente del PIL della Slovacchia.
Richard Fuld, che è stato per quattordici anni amministratore delegato di Lehman Brothers, la nota banca d’affari statunitense fallita il 15 settembre 2008, nell’audizione davanti alla Commissione finanze del Congresso, chiamato a deporre sulle responsabilità nel crollo finanziario, ha osservato come tutto si sia maggiormente amplificato perché con l’elettronica il denaro si muove più velocemente.
Già nel 2007 il rapporto annuale dell’European interactive association aveva rivelato che la maggioranza dei giovani fra i 16 e i 24 anni aveva scelto il web per informarsi; a questa fascia d’età, con il rapporto 2008, si è aggiunta quella compresa fra i 25 e i 34 anni, dove circa i due terzi (63%) è utente on-line.
Il ruolo assunto dalle tecnologie della comunicazione nel determinare l’efficienza di un sistema Paese e soprattutto il concorso che esse danno allo sviluppo di un’economia fa sì che la capacità in quest’ambito sia diventata, insieme con altri, uno dei parametri in base al quale si misura la competitività delle economie. L’impatto che l’ICT (Information and Communication Technology) esercita sulla crescita delle economie, ampiamente dimostrato in vari ambiti, è misurato attraverso molteplici indicatori che considerano: il valore aggiunto generato, la produttività abilitata, l’ammontare delle risorse umane competenti e il knowledge management, la capacità cioè di mettere in comune le conoscenze.
Il World economic forum, ogni anno, stila il GCI (Growth Competitiveness Index), l’indice della competitività che misura il potenziale di crescita delle nazioni, inserendo fra i fattori che vengono misurati la diffusione delle tecnologie della comunicazione e la loro innovazione. La sessione straordinaria del Consiglio europeo di Lisbona (23 e 24 marzo del 2000) in una serie di documenti ufficiali individuò per l’Unione Europea l’obiettivo strategico di «diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo». Nell’intento di perseguire tale scopo le istituzioni comunitarie hanno avviato una serie di interventi strutturali che hanno preso il nome di strategia di Lisbona e il cui status viene periodicamente valutato in occasione di una specifica sessione annuale, il cosiddetto Consiglio europeo di primavera. A seguito della strategia di Lisbona, inoltre, ogni anno lo EIS (European Innovation Scoreboard) effettua un monitoraggio di ciascuno Stato membro sulla base di 25 parametri di innovazione: essi valutano la presenza di agenti innovatori, il livello di creazione di conoscenza, il rapporto tra innovazione e impresa, le applicazioni sul campo e della proprietà intellettuale. Il risultato è un indice complessivo di innovazione: il SII (Summary Innovation Index).
Se in epoche passate la potenza delle nazioni è stata misurata su basi militari e demografiche e sull’estensione geografica, con l’inizio del nuovo secolo il fattore dominante appare la conoscenza, intesa come potenzialità di ricerca scientifica e tecnologica, unita alla comunicazione.
L’economia connessa
L’apparato concettuale e analitico dell’economia della comunicazione è quello tipico della teoria economica, in particolare dell’economia applicata. La distinzione lessicale, di uso frequente, fra fordismo e postfordismo e ancor più quella fra old economy e new economy nascono dall’ingresso nei mercati delle tecnologie della comunicazione. La formula ‘economia della comunicazione’, nell’accezione che si è affermata in una prassi in continua trasformazione, finisce per indicare sia quel complesso di attività economiche basate, come tutte le imprese di questo tipo, sull’uso di risorse (lavoro creativo, capitale fisico e finanziario, informazione), sia le capacità di influenzare in modo determinante il processo economico tradizionale (imprese, consumatori, enti regolatori, autorità) e con esso il funzionamento dei mercati. I sistemi di comunicazione, infatti, consentono a tutti gli agenti economici di comunicare più efficacemente fra loro aumentando la velocità delle transazioni. La stessa idea di mercato si è spostata da un luogo fisico a una piazza virtuale all’interno della quale avvengono gli scambi. Tutto si può proporre, comprare, vendere tramite i circuiti delle reti, per cui si afferma che «dall’essere organizzata attorno a flussi fisici e monetari l’economia sta passando a un’organizzazione sui flussi di informazione» (P.F. Drucker, Management challenges for the 21st century, 1999; trad. it. 1999, p. 184).
L’economia della comunicazione ha portato a un radicale mutamento dell’organizzazione del lavoro imponendo la transizione dall’impresa tradizionale, allocata in un luogo fisico, all’impresa che si avvale delle reti elettroniche che, per loro natura, oltrepassano i confini politici di uno Stato.
Le imprese si sviluppano grazie alla qualità del loro prodotto, ma sempre più anche grazie alla capacità di comunicare efficacemente ai mercati il valore del proprio prodotto e far conoscere le caratteristiche dello stesso ai potenziali acquirenti che sono nel mondo. La nuova struttura del capitalismo, affermatasi grazie alle reti, ha imposto una segmentazione dei processi produttivi e la multipolarità geografica degli stessi con una divisione mondiale del lavoro e l’internazionalizzazione delle imprese.
Negli ultimi due secoli lo sviluppo industriale era stato concentrato nel Nord del mondo. Città come New York, Londra, Amburgo, Manchester, Liverpool, Milano erano sedi di opifici e fabbriche collegati a grandi porti industriali. Il Sud del pianeta era chiamato solo a offrire materie prime (gomma, legno, minerali), spesso defraudate dalle potenze coloniali.
In pochi decenni, questo scenario è stato radicalmente ribaltato per l’imporsi di una nuova realtà. Il fenomeno della delocalizzazione (offshoring) ha imposto una nuova organizzazione internazionale della produzione: parte del processo produttivo è stata riallocata dall’impresa oltre i confini nazionali, spesso in cerca dei vantaggi derivanti dalla manodopera a basso costo. Il risultato è consistito in significativi spostamenti di lavoro dal Nord al Sud, in particolare verso l’Asia, dove la Cina è diventata la grande manifattura del mondo insieme all’India, all’Indonesia, alla Corea del Sud e a Taiwan; mentre il Nord ha accentuato la corsa verso l’economia dei servizi. Questo spostamento globale di attività industriali non sarebbe stato possibile senza l’introduzione nella produzione delle cosiddette tecnologie trasversali ICT che garantiscono efficaci collegamenti a distanza.
Nel secolo scorso, in un efficiente modello di organizzazione industriale, era rilevante poter concentrare la produzione in un solo luogo: la fabbrica del Novecento. Il luogo nel quale la materia prima veniva trasformata in prodotto finito, dove risiedevano anche l’ufficio commerciale e quello che curava i trasporti. Questa dimensione non esiste più, l’impresa non è più nello stesso luogo, si frammenta, si spacchetta in diversi segmenti affidati a imprese diverse.
Il sistema produttivo basato sull’outsourcing (parola inglese traducibile con il concetto di ‘approvvigionamento esterno’, in base al quale il processo necessario a produrre un bene – esempio classico quello dell’automobile – è stato spacchettato ed esternalizzato in diversi soggetti imprenditoriali) non sarebbe stato possibile senza le tecnologie dell’ICT.
L’economia dei servizi, elemento rilevante delle società avanzate, esiste e si espande grazie alla capacità di comunicare a distanza. A cominciare dalla finanza che si è profondamente modificata per effetto delle modalità di scambio messe a disposizione dalle telecomunicazioni e dall’informatica.
In questo senso, l’economia della comunicazione appare uno dei fenomeni più rilevanti della cosiddetta economia globale, anzi uno dei pilastri su cui si fonda la mondializzazione dei mercati.
La cultura delle reti
L’economia della comunicazione e delle reti, oltre ad aver influenzato il capitalismo, portandolo a una nuova fase di organizzazione del lavoro, ha fortemente influito sulla cultura e sul mutamento sociale, attraverso la diffusione di nuovi linguaggi e stili di vita. Le nuove tecnologie dell’informatica hanno generato quella che è stata definita cultura dell’accesso (Jeremy Rifkin), intesa come nuova dimensione degli individui che realizzano forme di aggregazione sociale con la rete (chat-line, forum, e-mail). La messaggistica dei telefoni cellulari è una delle forme prevalenti di comunicazione delle giovani generazioni e sta progressivamente influenzando anche il mondo degli affari. Internet è diventato lo strumento attraverso il quale si stabiliscono relazioni sentimentali.
Il 2008 per gli studiosi di nuovi media sarà l’anno del boom dei cosiddetti social network (siti che connettono fra loro gruppi di persone che condividono ambiti, immagini e scambi di informazioni). Si calcola che Facebook e MySpace, fra i più diffusi social network, abbiano raggiunto nel 2008 oltre 300 milioni di persone connesse, ma il dato continua a crescere con migliaia di nuove adesioni al giorno.
Attraverso queste modalità si è venuto a creare un villaggio comunicativo globale. Già una enorme quantità di beni si è spostata dalla fisicità allo spazio virtuale, in cui la proprietà e il possesso tendono a essere sostituite dall’accesso a un servizio. Ingombranti archivi cedono il passo a banche dati informatiche; la musica, i video, il software, i giornali possono essere acquistati on-line. Gli stessi programmi non saranno più istallati sui personal computer, ma saranno allocati in rete (cloud compunting). Si è creato nel mondo un ricco mercato dei contenuti audiovisivi (fra cui i format), dove i soggetti imprenditoriali che li producono tendono a essere distinti da coloro che li offrono, attraverso la televisione o il web.
La maggiore disponibilità di tempo libero degli individui determina una crescita della domanda di contenuti trasmessi a distanza e capaci di offrire intrattenimento. La società Forrester research afferma che negli Stati Uniti, alcuni beni, a breve, saranno venduti in prevalenza su Internet; si stima che nel 2012 questa tipologia di vendita riguarderà il 55% dei computer, il 43% dei biglietti degli spettacoli, il 35% della musica e dei video, il 29% delle televisioni e degli apparecchi hi-fi, il 28% dei libri.
Nel 2007 negli Stati Uniti la quota degli utenti di Internet è giunta a 234,7 milioni, equivalenti al 70% della popolazione totale, stando ai dati di Internet world stats. Secondo le stesse statistiche, la diffusione di Internet ha superato il 69,7% della popolazione nell’Unione Europea, il 68,0% in Giappone, il 66,5% in Corea del Sud. In Cina gli utenti in rete, che nel 2003 erano 79,5 milioni, pari al 6,2% della popolazione, nel 2007 sono arrivati a 260 milioni, pari al 16% della popolazione: quindi la popolazione cinese che usa Internet, in quattro anni si è più che triplicata. Sempre in Cina, a marzo 2008, gli utenti di telefonia cellulare sono risultati 574 milioni, pari al 44% della popolazione (fonte: Agenzia governativa Xinhua). Con questa progressione entro il 2012 la maggioranza della popolazione mondiale dovrebbe essere connessa.
Quanto sia determinante nell’economia della comunicazione il valore di un’idea rispetto a fattori tradizionali come il capitale e la proprietà fisica lo dimostra la vicenda imprenditoriale di alcuni protagonisti della net economy, non solo quella ben nota di Bill Gates con Microsoft, ma ancor di più l’exploit effettuato da Larry Page e Sergey Brin. Due giovanissimi, entrambi nati nel 1973, che dopo aver impostato un’innovativa analisi matematica delle relazioni dei siti web, nel 1998 fondarono Google, diventato in pochi anni non solo il più adoperato motore di ricerca ma anche una delle maggiori corporation mondiali. La stragrande maggioranza degli individui (il 62% a livello mondiale, il 47% negli Stati Uniti), quando è chiamata a effettuare una ricerca attiva il motore di ricerca del sito Google che, di fatto, dispone di un quasi monopolio, al punto che nella lingua inglese è nato il verbo to google che significa «fare una ricerca sul web».
Gli ambiti attuali dell’Internet economy
La diffusione mondiale di nuovi strumenti della comunicazione ha determinato, in appena un decennio, la creazione di nuovi rilevanti ambiti economici, non relegabili alla riduttiva definizione di nuovi mercati: la new economy e la net economy, accomunate dalle funzionalità dell’ICT. Milioni di persone, oggi, connesse tramite e-mail, blog, community, chat adoperano Internet come la prima piazza globale di scambio. «L’economia digitale rivoluzionerà il modo di produrre, consumare e conoscere nel 21° secolo» (D. Tapscott, The digital economy. Promise and peril in the age of networked intelligence, 1996, p. 143): questa previsione, appena pronunciata, è diventata nel giro di poco tempo e in larga parte già realtà.
La new economy indica quelle attività (le imprese e gli investimenti) basate sulle nuove tecnologie informatiche e telematiche, gestibili soprattutto attraverso la rete di Internet. L’ambito operativo è il mercato globale in cui si abbattono i costi di gestione e non si è vincolati a uno spazio fisico come possono essere la fabbrica tradizionale o un esercizio commerciale.
La stragrande maggioranza degli studiosi ha respinto l’idea che per capire la new economy occorresse formulare una nuova teoria economica. Le industrie ad alta tecnologia informatica, per es., sono soggette alle stesse forze di mercato che agiscono nelle industrie tradizionali. Tuttavia, nell’ambito dell’hightech alcune forze, prima marginali, assumono un’importanza predominante. Nell’informazione pura ma anche in beni fisici come, per es., i chip di silicio, un personal computer o un telefono cellulare, entrano in gioco elevati investimenti per la ricerca, per i brevetti che portano a definire il prodotto e per la realizzazione degli impianti industriali; ma poi, in realtà, la produzione di un chip, di un personal computer o di un telefono cellulare in più costa pochi dollari. Quindi, le attività dell’economia della comunicazione risultano caratterizzate da elevati costi fissi e da costi marginali bassissimi, quasi nulli.
In altri ambiti, tuttavia, la tecnologia dell’informazione ha consentito di ridurre drasticamente i costi fissi, e con essi la dimensione minima efficiente per operare in molti mercati. In un passato non lontano le attività tipografiche richiedevano enormi investimenti su mezzi e lavoratori esperti; oggi chiunque con un personal computer può impaginare prodotti editoriali di accettabile qualità. Lo stesso sta avvenendo con i prodotti video grazie ai più accessibili costi delle telecamere digitali.
La tecnologia dell’informazione ha un’altra peculiarità nella capillare osservazione dei comportamenti e dei gusti dei propri consumatori. Nei motori di ricerca di Internet si possono personalizzare le web pages, mentre nella telefonia cellulare, oltre a personalizzare lo strumento, si possono combinare tariffe (per es., l’abbinamento con il numero più frequentemente chiamato). Inoltre, le aziende puntano a personalizzare i prodotti secondo i gusti dei loro acquirenti perché risulta facile raccogliere informazioni sempre più dettagliate sulle propensioni dei singoli consumatori, con la conseguenza di poter disegnare un prodotto ad hoc. Dal canto loro i consumatori possono semplificare la ricerca di un prodotto: si pensi al rilievo che la rete ha assunto nell’acquisto di soggiorni turistici, viaggi e biglietteria di vario tipo.
La net economy, definizione che precisa l’ambito di azione, è il settore in cui operano le aziende che elaborano servizi e prodotti legati alle tecnologie dell’ICT, e con esse le imprese che si avvalgono di questi servizi e prodotti. Le imprese di telecomunicazioni, softwarehouses, produttori di hardware, da un lato; ma anche qualsiasi azienda, tradizionale, che operi utilizzando tecnologia di rete, che pratichi il commercio elettronico o che abbia un proprio sito web, o ancora che si sia riorganizzata, dalla gestione delle risorse umane fino alla logistica, adottando le nuove tecnologie della comunicazione.
Come in tutti i fenomeni di forte cambiamento, nell’ambito dell’economia della conoscenza, non sono mancati, e non mancheranno in futuro, fasi di arretramento e di stasi nella crescita. Esplicativa, al riguardo, la parabola del Nasdaq che in pochi anni mise a segno una progressione dell’800% del valore dei suoi titoli, il cosiddetto boom delle dot.com (aziende di servizi che utilizzano un sito web come fonte principale di introiti), rivelatasi in seguito una bolla speculativa che toccò il suo picco il 10 marzo del 2000, ma che in poche settimane esplose con un repentino crollo dei valori conseguiti. Una durissima crisi che portò al ridimensionamento dell’intera new economy pur non riuscendo mai a metterne in discussione la valenza complessiva di innovazione.
Le ‘onde digitali’
L’economia della comunicazione basata su Internet è già una realtà consolidata e secondo alcuni studiosi è addirittura il passato. Tuttavia, la sua tecnologia da alcuni anni è entrata in una nuova rivoluzionaria fase che lascia prefigurare esiti altrettanto decisivi, soprattutto per quanto concerne il mondo dell’economia. È in atto, infatti, una riorganizzazione globale della conoscenza, che ha come obiettivo una maggiore efficienza economica e a una semplificazione, attraverso la conversione della stessa in digitale.
La nozione di digitalizzazione, nell’informatica, indica il processo di trasformazione di un’immagine, di un suono, di un documento in un formato digitale, leggibile da un personal computer, dove per formato digitale si intende il codice binario, basato sulla combinazione zero o uno. Il vecchio disco in vinile che conteneva una canzone costituisce l’esempio di riproduzione analogica di un suono; quando la stessa canzone viene riprodotta tramite un personal computer, il suono proviene dal formato digitale.
Il digitale costituisce la più importante innovazione nel campo della trasmissione di immagini, suoni e dati, capace di provocare conseguenze pari a quelle riconducibili allo sviluppo della rete. Nicholas Negroponte, del MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston, che da tempo ne studia le applicazioni è giunto a parlare dell’approdo a un’era digitale.
Nel complesso percorso scientifico e tecnologico per definire compiutamente la tecnologia digitale è stata fondamentale l’elaborazione di uno standard di compressione e codifica dell’immagine che ha preso il nome di MPEG (Moving Picture Experts Group), dal gruppo di lavoro dell’ISO (International Organization for Standardization), ossia dell’organismo di standardizzazione internazionale impegnato a lavorare alla definizione di un nuovo sistema, compito per il quale è stato decisivo il contributo italiano.
Con i processi di digitalizzazione il sistema mediale ingloba nuove informazioni in una nuova dimensione. I media del Novecento, la stampa, la radio, la televisione potevano essere solo fruiti passivamente perché il broadcasting non consente interazione con i contenuti né tanto meno con la loro fonte, quindi possono solo ‘essere ricevuti’. Le nuove tecnologie basate sul digitale, invece, stanno modificando il rapporto tra producer e consumer perché mutano i flussi informativi. Su questo punto è molto chiara l’affermazione di Tapscott: «La nuova struttura digitale consente alla gente di collaborare a livello planetario. Il web 2.0 è diverso dal primo Internet: il vecchio web era una finestra per esporre contenuti fissi; il nuovo è un vero strumento di comunicazione aperto a tutti a basso costo. Sono cambiati gli utenti del web» (Tapscott, Williams 2006; trad. it. 2007, p. 57).
La rivoluzione del digitale, oltre che derivare dagli sviluppi tecnologici, trova la sua causa prima nell’adozione da parte di tutti i media del medesimo linguaggio. Strumenti diversi, con origini peculiari, dialogano e sono destinati a integrarsi.
Un esempio concreto può essere riferito a quanto sta accadendo al mercato dei DVD, in via di totale ridefinizione, perché grazie a un apposito apparecchio dotato di tastiera e telecomando a raggi infrarossi lo spettatore connesso alla rete può, attraverso il televisore, accedere, nel momento desiderato, a un archivio ricco e in continua evoluzione di film, news, eventi sportivi, rappresentazioni teatrali, cartoni animati e video musicali, che hanno la qualità del suono e dell’immagine digitale, senza essere soggetti né ai tempi della programmazione televisiva né a quelli del ‘noleggio e riconsegna’ del film/video.
Tra le applicazioni rilevanti e più immediate della tecnologia digitale gli ultimi anni hanno portato a uno stadio già avanzato il cosiddetto digitale terrestre, espresso in sigla DTT (Digital Terrestrial Television). Si tratta di una modalità innovativa che connette la televisione al vasto sistema dei new media. La modalità digitale, per le caratteristiche esposte, espande il potenziale tecnologico e, quindi, economico della televisione. Quella analogica, per quanto obsoleta, è ancora la più diffusa ma è destinata, nel volgere di pochi anni, a essere soppiantata da quella digitale, come accadde nel passaggio dalla televisione in bianco e nero a quella a colori. La stessa Unione Europea, attraverso una serie di atti ufficiali, ha posto l’obiettivo di un definitivo passaggio alla televisione digitale entro il 2012.
Un evidente vantaggio di questa tecnologia è quantitativo: grazie alla compressione numerizzata, lo spazio prima occupato da una sola emittente analogica, sia nell’etere sia in un transponder satellitare, per merito della televisione digitale compressa, è sostituito da più emittenti televisive e alcune radio.
Un altro vantaggio offerto dal sistema digitale è di tipo qualitativo e garantisce immagine e suono eccellenti: mentre il segnale analogico può subire distorsioni durante la trasmissione, il segnale digitale, in presenza di un normale collegamento, non subisce deterioramenti. Le valenze del digitale terrestre non si fermano al miglioramento della qualità del segnale. Il sistema consente, insieme alla distribuzione dei programmi, la trasmissione di dati aggiuntivi scritti secondo lo standard MHP (Multimedia Home Platform), che permettono di usufruire di servizi inseriti nelle applicazioni. Una serie di opzioni potenzia il prodotto televisivo, come l’EPG (Electronic Program Guide) che permette di visualizzare direttamente sullo schermo informazioni dettagliate sul programma, con trame, notiziari, finestre, canali ecc., senza contare le combinazioni con la televisione interattiva o pay per view, il video on demand, Internet, la web-TV.
La trasmissione digitale sposta l’utente da una posizione meramente passiva a una più attiva in quanto gli è conferita la possibilità di interagire con la televisione, cioè di dialogare attraverso il ricevitore con la stazione emittente. L’apparato occorrente per poter usufruire di questi servizi è detto set-top-box ed è composto da una parte sintonizzatrice, simile a quella dell’analogico, insieme a una sezione che converte il segnale digitale.
Questa innovativa modalità tecnologica ha provocato notevoli conseguenze sul terreno economico, in particolare sugli assetti delle corporation dell’industria dell’entertainment. Su ogni canale televisivo è trasmesso un flusso di dati che trasporta in contemporanea, attraverso la tecnica multiplex, diversi programmi. Non si può determinare a priori il numero dei programmi perché questo è funzione della larghezza di banda occupata da ciascun programma. Tuttavia, considerato che la larghezza di banda per ogni canale è di 24 Mbit/s, in un canale risulta possibile trasmettere quattro programmi da 6 Mbit/s, oppure dodici programmi di minore ampiezza, da 2 Mbit/s. La capacità di ovviare al problema del sovraffollamento delle tradizionali frequenze terrestri, attraverso la moltiplicazione dei canali disponibili, sta aprendo il mercato della televisione a nuovi operatori.
L’introduzione del digitale, inoltre, sta comportando, sia per il satellite sia per il cavo, negli Stati Uniti e in Europa (e quindi anche in Italia), una rivoluzione nelle alleanze per ottenere un set-top-box standardizzato e una piattaforma per consentire l’accesso a un insieme – il cosiddetto bouquet – di canali, siano essi narrowcasting, tematici, o generalisti.
L’ingresso del colosso multimediale australiano-americano di Robert Murdoch nel mercato televisivo italiano e spagnolo, realizzato attraverso cospicui investimenti di Sky, dapprima come pay-TV analogica e, successivamente, come pay per view digitale, mostra quanto sia considerata remunerativa l’industria dell’entertainment di consumo a pagamento.
La banda larga
Gran parte delle innovazioni introdotte dall’economia della comunicazione pur essendo garantite dalla spinta ineludibile del progresso tecnologico, per avere successo e garantire la competitività di sistema devono essere accompagnate da investimenti pubblici che ne rendano uniforme la diffusione sul territorio e nei diversi ambiti, soprattutto nella pubblica amministrazione, nella scuola, nelle università.
In proposito è rilevante il caso della banda larga, termine con il quale si indica la trasmissione di dati fatta in simultanea, con un sistema che permette di aumentare l’effettiva velocità della trasmissione per l’invio di molti più dati. L’espressione banda larga è comunemente adoperato anche in un’altra accezione: come sinonimo di connessione a fibre ottiche, più veloce di quella assicurata da un normale modem. Per comprendere a fondo il valore della banda larga bisogna pensare che le applicazioni informatiche e i servizi in rete evolvono in modo tale da richiedere una capacità di comunicazione sempre più elevata che non può avvenire più attraverso la vecchia rete telefonica su doppino di rame. La banda larga è dunque diventato mezzo tecnologico per applicazioni, contenuti, servizi e infrastrutture che consente l’utilizzo delle tecnologie digitali ai massimi livelli di interattività.
Un ulteriore salto di innovazione per i sistemi di connessione viene garantito dal WiMax (Worldwide interoperability for Microwave access), la tecnologia in grado di diffondere connessioni Internet ad alta velocità, senza bisogno di cavi e senza la necessità di appoggiarsi alla rete telefonica mobile, attraverso un campo di onde radio coperto da una rete di antenne in un raggio di 50 km, a banda larga e connessione veloce (fino a 74 Mbit/s). Questa tecnologia garantisce costi più bassi nella diffusione della rete, perché la connessione arriva alle abitazioni, oppure direttamente sul personal computer; per questo motivo è in grado di coprire le metropoli, ma anche le aree rurali, dove risulta poco economico giungere con le tecnologie tradizionali via cavo come l’ADSL.
Gli studiosi di geografia economica concordano nel ritenere la banda larga un fattore d’importanza strategica per la competitività dei distretti economici e industriali, al pari della creazione di una efficiente rete di trasporti, perché solo l’integrazione di logistica e informatica può garantire la circolazione globale delle merci. Compresa l’importanza strategica della banda larga ne deriva una fondamentale conseguenza: essa si configura sul territorio come una infrastruttura di pubblica utilità e quindi va considerata come un’opera di urbanizzazione primaria, di rilevanza sociale perché consente l’accesso universale. Disporre della banda larga per una comunità equivale a disporre di una efficiente autostrada e di ferrovie diffuse, di scuole e di università.
Ne consegue che il potenziamento della capacità di connessione con la banda larga è diventato uno dei temi rilevanti delle agende delle istituzioni nazionali e comunitarie che si occupano di sviluppo, alla luce della diffusa consapevolezza dell’importanza delle ‘autostrade dell’informazione’, strumento decisivo per la competitività del sistema Paese.
I processi di convergenza tecnologicae le conseguenze economiche di mercato
L’affermazione della tecnologia digitale determina la convergenza tra tutti i tipi di strumenti (come apparecchi informatici, videocamere, videoregistratori, decoder, telefoni portatili e cellulari ecc.) che parlano questo linguaggio. La trasmissione di dati digitali, che ha trovato una prima diffusione con la televisione, è in fase di affermazione tra tutti i new media; sta, infatti, trovando applicazioni nei personal computer, nei pagers, negli antifurto satellitari, nelle consolle per videogiochi, nei computer per realtà virtuale, nei simulatori di gravità e di volo, nelle workstations per effetti speciali di film, negli strumenti musicali, negli apparecchi elettromedicali. Altre applicazioni riguardano ambiti amministrativi come la firma digitale che consente il riconoscimento della ‘paternità’ di operazioni in rete e ha ricevuto l’approvazione normativa dello Stato italiano e dell’Unione Europea. ImagineCard Web consente, invece, di emettere smart cards personalizzate a utenti preregistrati per poi agire in ambiti di formazione su Internet, commercio elettronico, home banking e altri impieghi on-line in via di sviluppo.
Combinando i concetti di computer, di Internet e di televisione digitale, tutti fondati sullo stesso linguaggio numerico dei bit, si può disporre, già oggi, di un sistema in grado di fornire una serie di servizi multimediali interattivi di tipo domestico, per i quali, tuttavia, c’è da presumere ci saranno sviluppi applicativi sia nell’ambito industriale sia in quello dell’economia dei servizi. Con il termine convergenza, dunque, si intende l’ibridazione dell’insieme di queste differenti forme di comunicazione.
Sul terreno industriale la convergenza tecnologica ha come immediata conseguenza la convergenza verso il business dei mercati globali, che si è già realizzata attraverso grandi aggregati multimediali. Nel mercato la convergenza porta ad articolare quattro settori fondamentali: il settore dei computer, vale a dire dell’informatica, il comparto delle telecomunicazioni, il settore dei contenuti o dei contents e, infine, quello del consumers, ossia degli apparati domestici a costi particolarmente bassi.
Il presidente e amministratore delegato della Nokia, Olli Pekka Kallasvuo, ha affermato, alla fine del 2008, che la sua azienda si è trasformata in ‘Internet company’, definizione che connota le imprese multinazionali produttrici di hardware e nel contempo fornitrici di servizi on-line.
La convergenza delle «4 C» secondo le valutazioni di Standard & Poor, sta realizzando un mercato di dimensioni gigantesche, forse secondo solo a quello dell’energia, stimato nel 2010 con un giro di affari superiore a 2500 miliardi di euro.
Il nuovo telefono multimediale quadriband GSM EDGE (Enhanced Data rate for GSM Evolution), messo a punto dalla Apple Inc, comunemente noto come iPhone, già realizza la fusione di varie funzioni che appartengono a tre diversi dispositivi che si vanno a integrare. In un solo oggetto lavorano un iPod, con capacità di riproduzione di foto e video; un telefono cellulare con connettività wi-fi e bluetooth; un palmare con sistema operativo derivato da Mac OS X.
Il digital divide
L’intero sistema dei new media, concepito come stadio evoluto dell’economia della comunicazione e in virtù di questo elemento decisivo delle competitività, non può prescindere, oltre che dall’innovazione tecnologica, dagli investimenti che si realizzano per diffondere le infrastrutture di rete. La convergenza dei new media, l’interattività degli stessi, la digitalizzazione, la diffusione di Internet dipendono da questo fattore che spesso tocca agli investimenti pubblici realizzare. Nell’ambito di questa prospettiva, il presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama, ha posto tra gli obiettivi del suo mandato il rapido potenziamento di Internet e della rete.
L’osservazione dei divari che sono stati generati dalla disomogenea diffusione della rete e dei suoi sistemi ha portato gli studiosi a formulare il concetto di digital divide (divario digitale, a volte abbreviato in DD), formula che, appunto, indica chi può accedere alle nuove tecnologie (Internet, rete, personal computer) e chi no. L’espressione digital divide fu utilizzata per la prima volta dall’amministrazione americana guidata da Bill Clinton e da Al Gore, quando furono adottate misure per superare le differenze all’interno degli Stati Uniti nella fruizione dei servizi telematici da parte della popolazione.
Il digital divide è stato individuato come nuovo fattore in grado di alimentare disuguaglianze economiche, soprattutto perché impedisce l’alfabetizzazione informatica di parte della popolazione, al punto che le Nazioni Unite ne hanno raccomandato il superamento ponendolo tra gli Obiettivi di sviluppo del millennio (Millennium Goals) presentati all’Assemblea del millennio. Il digital divide è anche un problema italiano dove la copertura del territorio con accessi a Internet a velocità superiori a 1 Mbit/s resta inferiore alla media europea (95% nel Regno Unito, oltre il 90% in Francia) escludendo una parte della popolazione.
L’accesso alle informazioni e la tuteladella proprietà intellettuale
Nell’economia della comunicazione il valore del bene si identifica con l’informazione e questa molto spesso può consistere in una proprietà intellettuale. Nella vecchia economia industriale, il vantaggio competitivo spesso era dato dall’accesso a risorse naturali a basso costo e dal controllo di grandi impianti manifatturieri capaci di operare su economie di scala. Nell’economia dell’informazione questo schema si è parzialmente modificato e le posizioni di mercato dipendono dai diritti di proprietà intellettuale e dalla efficacia della protezione.
Le strategie competitive dell’economia della comunicazione hanno posto in primo piano i diritti di proprietà intellettuale, in particolare i diritti di autore, i brevetti e i segreti industriali. In quest’ottica la creatività, l’innovazione e la proprietà intellettuale sono da ritenersi variabili fondamentali della crescita economica; di conseguenza le strategie di competitività delle imprese che operano nelle tecnologie d’informazione sono profondamente influenzate dalla capacità di tutelare tali beni.
In termini giuridici il concetto di proprietà intellettuale indica l’apparato di principi normativi che protegge i frutti dell’inventiva e dell’ingegno umani; sulla base di questi principi, la legge conferisce a creatori e inventori alcuni strumenti legali per tutelarsi da eventuali abusi da parte di soggetti non autorizzati.
Il titolare del diritto di proprietà intellettuale può, naturalmente, concederne l’uso ad altri soggetti ottenendo da questi il pagamento di royalties. La concessione di licenze risulta vantaggiosa per almeno due motivi. In primo luogo, i detentori di un brevetto possono realizzare guadagni di gran lunga più elevati accordando licenze che gestendo l’invenzione sul mercato. In secondo luogo, il sistema delle licenze diffonde le tecnologie, crea un mercato e lascia all’inventore la possibilità di concentrarsi su articolazioni e miglioramenti del prodotto.
Le norme sul diritto d’autore definiscono la tutela dei diritti di proprietà del bene destinato alla vendita perché il buon funzionamento dell’economia mondiale dipende anche dalla difesa delle legittime aspettative di inventori, scrittori e imprese che investono risorse e tempo in attività creative. Si tratta di un ambito delicato chiamato a contemperare diverse esigenze: non a caso la dottrina internazionale ha messo a punto la cosiddetta teoria dell’abuso di brevetto (patent misure) allo scopo di evitare che lo ius excludendi del detentore della proprietà intellettuale diventi anticoncorrenziale.
La dottrina che si occupa di proprietà intellettuale ha schematizzato tre grandi aree: diritto d’autore, diritto dei brevetti e diritto dei marchi. Ognuna ha le sue caratteristiche peculiari e un ruolo da svolgere nell’ambito dell’economia della comunicazione.
Il nuovo secolo è segnato da un serrato dibattito sui contenuti economici e giuridici che il diritto d’autore deve assumere nell’era digitale, soprattutto partendo dalla considerazione che l’ambito legislativo nazionale è stato sostituito da una dimensione globale. Nell’ambito dei new media e di tutta l’economia della comunicazione, evidentemente sottoposti a repentini mutamenti, ha assunto un’importanza cruciale il tema della pirateria informatica, a cominciare dall’azione illegittima degli hacker o cracker, dei pirati attivi e passivi, che cioè immettono o scaricano in/da rete opere, prestazioni o prodotti off-line e on-line protetti dal copyright system.
Le problematiche inerenti all’Internet piracy riguardano, inoltre, un campo ad alto turnover tecnologico che, mediante continue evoluzioni, induce il legislatore nazionale, considerando la fisiologia internazionale del web, a continui mutamenti.
Inoltre, importanti risvolti giuridici sono nati a causa della rivoluzione audio per la fruizione musicale su Internet creata da un noto formato, l’MP3 (MPEG audio layer 3), ossia l’invenzione, originariamente effettuata da Dieter Seitzer nel 1987, ma adattata al nuovo impiego up-to-date dall’ingegnere italiano della Cselt, Leonardo Chiariglione. L’MP3 consiste in un algoritmo di compressione per scaricare dalla rete la musica a ottimi livelli di qualità audio, che garantisce una sonorità pari a quella di un CD e superiore al Liquid audio, la cui lettura necessita di un programma di facile reperibilità come Win/MacAmp e il cui utilizzo potrebbe verosimilmente configurarsi (giuridicamente) quale comodato o prestito virtuale a titolo gratuito.
Sta di fatto che la tecnologia sta mettendo in crisi l’accezione tradizionale di proprietà intellettuale che alcuni ritengono vada ripensata su base internazionale e che non può essere definita e protetta secondo i canoni giuridici della proprietà ordinaria. Si è giunti a configurare un modello alternativo di gestione dei diritti che va sotto il nome di copyleft alternativo al copyright, con il quale il detentore dei diritti dell’opera indica agli utilizzatori le parti che possono essere liberamente fruite e anche modificate. L’industria musicale, dopo aver resistito, proprio per limitare la pirateria, sta perseguendo la strada di una distribuzione on-line a costi più ridotti rispetto a quelli tradizionali. Quella del cinema è ancora molto limitata, ma è probabile che segua la strada dell’industria musicale.
Un’apposita organizzazione internazionale, emanazione delle Nazioni Unite, il WIPO (World Intellectual Property Organization) si occupa stabilmente di negoziare i trattati in materia di brevetti.
La legge sul diritto d’autore è decisiva per l’industria dei contenuti (editoria, musica, cinema, software), parte rilevante dell’economia della comunicazione, ma la sua effettiva operatività deve fare i conti con il progresso rapido delle tecnologie e, in particolare, con l’approdo alla digitalizzazione. I legislatori nazionali sono sotto pressione in quanto impegnati nel difficile compito di concepire adeguati strumenti normativi per la protezione di diritti d’autore, brevetti e segreti industriali, e spesso ogni soluzione rimanda a una stretta collaborazione internazionale.
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