Informazione, economia della
Una definizione ampiamente condivisa in e. della i. è la seguente: l'informazione di un soggetto è costituita dallo stock di dati posseduti sullo 'stato del mondo'. Questo stock può essere incrementato grazie all'intervenire di 'notizie' oppure di 'messaggi' provenienti dall'ambiente e/o da altri soggetti. L'informazione è costituita da conoscenze di natura oggettiva, distinte dalle convinzioni o credenze (beliefs) di natura soggettiva (Hirshleifer, Riley 1992). Altri evidenziano la necessità di adottare un approccio più raffinato e articolato al problema, sottolineando le distinzioni fra dati, informazione e conoscenza (per un'utile rassegna su questi temi si veda, per es., Boisot, Canals 2004). All'inizio del 21° sec. il filone dell'economia che s'interessa dei problemi dell'informazione ha fatto registrare notevoli sviluppi, tanto che si parla ormai di 'nuova economia della informazione'. Grande parte della tradizione teorica in economia si fonda sull'ipotesi che i soggetti godano d'informazione perfetta. Il modello di equilibrio economico generale elaborato da K.J. Arrow e G. Debreu (1954), a lungo considerato il modello più sviluppato e rigoroso di un'economia decentrata di mercato, ipotizza che i soggetti operanti sui mercati siano perfettamente informati. Un'economia di mercato con perfetta informazione produce risultati ottimali in senso paretiano senza la necessità dell'intervento pubblico: la 'mano invisibile' di A. Smith opera pienamente.
Per la nuova e. della i., questo paradigma teorico è inadeguato alla comprensione di un significativo numero di fenomeni del mondo reale, dove l'informazione dei soggetti è imperfetta. Ma il carattere innovativo della nuova e. della i. non sta tanto nel riconoscere che l'informazione nel mondo reale è imperfetta, quanto nell'evidenziare che anche l'esistenza di 'piccole' imperfezioni ha implicazioni analitiche e teoriche rilevanti. Per J. Stiglitz, che ha dedicato grande parte della sua ricerca alla e. della i., "anche piccoli costi dell'informazione possono avere ampie conseguenze e molti dei risultati - compresi i teoremi del benessere - non valgono più nemmeno quando esistono piccole imperfezioni informative" (Stiglitz 2000, pp. 1443-44). Pertanto un efficiente decentramento dei mercati attraverso il meccanismo dei prezzi, in mancanza di un significativo intervento pubblico, non dà vita in generale a ottimi paretiani.
Molta ricerca si concentra su una specifica forma di imperfezione informativa, vale a dire l'esistenza di asimmetrie informative: i soggetti posseggono informazione diverse l'uno dall'altro. Ciò ha importanti implicazioni quando i soggetti stilano rapporti contrattuali fra loro (Macho-Stadler, Pérez-Castrillo 1997). Nel 2001 Stiglitz, G. Akerlof e M. Spence hanno ottenuto il premio Nobel per l'economia proprio per le loro analisi di economie caratterizzate da asimmetrie informative (per ampie rassegne delle ricerche che hanno condotto a tale premio si vedano Akerlof 2002, Spence 2002, Stiglitz 2002). L'importanza e le implicazioni delle asimmetrie informative possono essere facilmente comprese facendo riferimento al tipico problema 'principale-agente', cioè una situazione in cui un soggetto (il delegante o principale) deve ingaggiare un altro soggetto (il delegato o agente) per svolgere una certa funzione.
Il principale e l'agente stilano un contratto che è basato sulle informazioni per loro disponibili, però non posseggono le stesse informazioni e, in molti casi, non esistono incentivi affinché questo avvenga; possono anzi esistere incentivi a mantenere e/o accentuare l'asimmetria informativa tra le due parti. Se per il principale è costoso, se non impossibile, acquisire un'informazione perfetta o almeno più completa sull'agente, i problemi che si presentano sono molteplici. In primo luogo, per il principale si pone un problema di selezione: scegliere fra i potenziali agenti quello che meglio possa svolgere le funzioni per cui deve essere ingaggiato. Allo stesso tempo, dal lato dell'agente si pone il problema di come comunicare al potenziale principale le sue vere caratteristiche che lo distinguono da altri agenti (problema dell'auto-selezione). Oppure l'agente può essere interessato a celare alcune delle sue vere caratteristiche al principale, con l'intento di ottenere migliori condizioni d'ingaggio. Infine, superata la fase dell'ingaggio, per il principale si pone il problema di assicurarsi che l'agente svolga le sue funzioni al meglio delle sue capacità.
In linea di principio, il principale potrebbe controllare l'agente attraverso un monitoraggio delle sue attività, ma ciò può essere assai costoso se non impossibile; da qui discende il problema degli incentivi che un principale può offrire agli agenti affinché essi si comportino nel modo migliore possibile. Quest'ordine di problemi viene affrontato, per es., nel settore dell'economia del lavoro per offrire una spiegazione dei salari nota con il nome di teoria del salario d'efficienza. Il datore di lavoro (principale) incentiva i suoi dipendenti (agenti) affinché lavorino nel modo più efficiente pagando salari più elevati (salari d'efficienza) di quelli che deriverebbero dal gioco di domanda e offerta di lavoro sul mercato. I lavoratori ricevendo un salario più elevato sono indotti a lavorare più efficientemente poiché subirebbero una maggiore perdita qualora dovessero essere licenziati perché scoperti a lavorare in modo non efficiente.
Molti economisti hanno fatto riferimento ai salari d'efficienza allo scopo di spiegare l'esistenza di disoccupazione: sul mercato del lavoro permane un certo livello di disoccupazione in quanto il salario non scende al livello chepuò garantire l'eguaglianza fra la domanda e l'offerta di lavoro.
Altri due casi 'classici' di informazione asimmetrica riguardano il settore delle assicurazioni e quello finanziario. Un assicuratore il quale stipula un contratto con un cliente non conosce perfettamente l'effettiva rischiosità dell'assicurato. Dall'altro lato, l'assicurato può essere interessato a 'nascondere' informazioni sulle sue caratteristiche e, soprattutto, una volta stipulato il contratto, può essere indotto a comportarsi in modo tale da accrescere il rischio per l'assicuratore, cioè a comportarsi in modo più rischioso ('negligente') di quanto avverrebbe in assenza del contratto assicurativo (problema del moral hazard). Ma l'assicuratore non può sapere se l'assicurato si comporti o meno in modo negligente, a meno che non sostenga costi di monitoraggio assai elevati. Un altro problema (problema della selezione avversa) che si pone in questo tipo di contratti nasce dal fatto che i potenziali clienti dell'assicuratore sono eterogenei fra loro, nel senso che hanno diverse probabilità di sperimentare l'evento (perdita) per cui si assicurano. In questo contesto, più alto è il premio P fissato dall'assicuratore, maggiore è il numero dei soggetti assicurati con più elevata rischiosità. Ciò ha implicazioni importanti per la determinazione del premio di equilibrio sul mercato assicurativo.
Problemi in qualche misura analoghi si presentano sui mercati finanziari. Il credito è intrinsecamente connesso a problemi di natura informativa: chi concede un prestito ha bisogno di informazioni sull'affidabilità del prenditore del prestito, e queste sono costose e inoltre non sempre ottenibili. Più precisamente, chi concede il prestito non conosce con certezza la rischiosità del progetto d'investimento da finanziare e, quindi, non conosce la probabilità che il beneficiario del prestito sia in grado di restituire il debito. Sulla base di ciò, è stata sviluppata una teoria del credito che si fonda sull'idea che si possano determinare equilibri caratterizzati da un'offerta di credito razionata (si veda, per es., Stiglitz, Greenwald 2003). Si supponga che sul mercato del credito l'equilibrio fra domanda e offerta si possa realizzare a un tasso d'interesse r* più alto di quello corrente, r; non esistono tuttavia garanzie che tale equilibrio si raggiunga. Le banche, non avendo perfetta i. sulle caratteristiche di chi domanda credito, possono ritenere che al tasso r* coloro che sono disponibili a prendere a prestito siano soggetti di 'qualità inferiore', cioè soggetti disposti a pagare un tasso più elevato poiché disposti a prendere rischi più elevati per quanto concerne i progetti da attuare (un caso di selezione avversa). Ma questi soggetti hanno evidentemente una probabilità più alta di default (impossibilità di rimborsare il debito). In questo quadro, non necessariamente le banche massimizzano il rendimento atteso lasciando che il tasso d'interesse salga al suo valore r*. Il rendimento delle banche può essere massimizzato invece a un tasso d'interesse più basso, razionando il volume di crediti concessi (non tutti coloro che desidererebbero prendere a prestito a quel tasso possono farlo). Tutto questo ha importanti ripercussioni macroeconomiche, in quanto il volume di credito concesso incide sul volume degli investimenti e, quindi, dell'output e dell'occupazione.
Oltre al problema dell'asimmetria dell'informazione, esiste un problema più generale riguardante la relazione tra i. e incertezza sul futuro. L'informazione che i soggetti possono acquisire riguarda necessariamente gli stati del mondo presenti e passati, non quelli futuri. Ma tutte le decisioni economiche rilevanti implicano e richiedono la 'conoscenza' del futuro. Basta un esempio banale per rendersi conto di ciò: il valore corrente di un titolo azionario dipende dai rendimenti che ci si attende esso genererà. Se si esclude l'ipotesi che i soggetti economici operino in condizioni di perfetta previsione del futuro, ci si trova in condizioni d'incertezza e le decisioni dei soggetti economici devono basarsi su aspettative.
I prezzi dei titoli azionari dipendono dalle aspettative sui loro rendimenti futuri da parte dei soggetti che operano sul mercato. L'i. acquisita, o acquisibile, può consentire ai soggetti economici di formulare migliori aspettative, ma non può eliminare la possibilità che tali aspettative si dimostrino errate. L'approccio prevalente a questi problemi considera le variabili economiche come variabili casuali con una loro distribuzione di probabilità oggettiva. I soggetti economici possono non conoscere le distribuzioni di probabilità oggettive delle variabili, ma hanno distribuzioni di probabilità soggettive basate sulle loro conoscenze e convinzioni. Le distribuzioni soggettive possono divergere da quelle oggettive e, quindi, le aspettative degli individui possono essere errate. I soggetti però apprendono dall'esperienza e, grazie a ciò, si può ritenere che con il ripetersi degli eventi le probabilità soggettive convergano con quelle oggettive. Questa soluzione si regge sull'ipotesi che le distribuzioni di probabilità oggettive delle variabili economiche siano stabili e invarianti nel tempo, cosicché esse possono essere conosciute dai soggetti, seppure attraverso un processo d'apprendimento. In tal caso, l'incertezza sulle variabili concerne solo il verificarsi di errori stocastici non prevedibili, di cui si conoscono comunque la distribuzione e i suoi momenti. In termini più tecnici, il futuro può essere considerato una 'estrazione casuale dal passato'; ogni stato del mondo realizzatosi in passato si realizza anche in futuro con probabilità diversa da zero. Arrow tuttavia evidenzia i motivi per cui le ipotesi appena delineate non sono in realtà sostenibili: "Se effettivamente l'economia mantenesse, in un qualche senso, la stessa struttura da un periodo all'altro, ci si potrebbe attendere che le probabilità attribuite agli stessi eventi da diversi individui convergano gradualmente ai loro valori corretti che, perciò, sono uguali per tutti. In realtà, naturalmente, gli eventi economici rilevanti sono mutevoli in parte per motivi endogeni, connessi al processo di accumulazione di capitale in senso generale, e in parte per ragioni esogene, connesse a cambiamenti prevedibili e imprevedibili delle tecnologie e dei gusti" (Arrow 1974, p. 6). Di conseguenza, l'incertezza che caratterizza l'ambiente economico è di natura più fondamentale di quella connessa all'incapacità dei soggetti di prevedere gli errori stocastici.
Ispirandosi più direttamente a J.M. Keynes, altri economisti (si veda, per es., Davidson 1996) evidenziano la natura fondamentale dell'incertezza e che le aspettative tendono a basarsi su convenzioni relativamente 'fragili' e soggette a mutamenti anche drastici. Keynes (1936), occupandosi dei mercati finanziari, sottolinea che le aspettative si basano sulla convenzione che la valutazione corrente del mercato di un titolo è quella corretta, data l'informazione disponibile in quel momento. Il prezzo del titolo può variare solamente nella misura in cui muta l'informazione disponibile. Se questa convenzione resta valida, il sistema può sperimentare un elevato grado di stabilità e ogni investitore può legittimamente credere che il solo rischio che corre acquistando il titolo è connesso alla possibilità che cambino le informazioni disponibili relative al futuro prossimo. Ma Keynes sottolinea anche la precarietà di questa convenzione. Infatti i moderni mercati finanziari si caratterizzano per la crescente presenza di soggetti che non posseggono reali informazioni sulle attività scambiate e, d'altra parte, l'informazione riguardo alle fluttuazioni di brevissimo termine dei prezzi tendono ad assumere un peso prevalente. In questo quadro, la valutazione convenzionale dei titoli viene a basarsi largamente sulla psicologia di massa di un ampio numero di operatori 'ignoranti', che può mutare anche violentemente in seguito all'intervenire di informazioni che, in realtà, sono di nulla o di scarsa importanza per la corretta valutazione dei titoli. Si potrebbe ritenere che i comportamenti 'irrazionali' degli operatori ignoranti siano corretti da quelli degli operatori professionali informati correttamente, ma in realtà non è necessariamente così. Gli stessi operatori 'informati' non si concentrano sul tentativo di formulare corrette valutazioni dei rendimenti dei titoli nel lungo termine, ma di frequente su attività essenzialmente speculative di breve termine. Il successo delle attività speculative dipende sostanzialmente dalla capacità di prevedere cambiamenti della valutazione convenzionale di mercato influenzati dalla psicologia di massa degli operatori 'ignoranti' (Keynes 1936, pp. 152-55).
Alcuni aspetti dell'analisi di Keynes del funzionamento dei mercati finanziari sono stati ripresi e sviluppati da esponenti della cosiddetta finanza comportamentale (behavioral finance) che criticano l'ipotesi di mercati efficienti, secondo la quale gli effetti di un eventuale comportamento 'irrazionale' degli operatori 'ignoranti' (chiamati noise traders) sono necessariamente neutralizzati attraverso l'arbitraggio dagli operatori professionali informati. Se un titolo viene sopravvalutato in conseguenza del comportamento dei noise traders, gli operatori professionali possono venderlo e acquistarne uno simile realizzando un guadagno; di conseguenza il prezzo del titolo sopravvalutato tenderà a scendere, avvicinandosi al suo valore fondamentale. In questo quadro, i prezzi dei titoli scambiati incorporano tutta l'informazione disponibile e variano in modo casuale solo in seguito al sopravvenire di nuove informazioni. I mercati sono tanto più efficienti quanto più casualmente variano i prezzi (Fama 1970). Esponenti della finanza comportamentale (per es., Shleifer 2000) mettono in questione l'ipotesi che gli investitori si comportano sempre e di necessità in modo razionale e sottolineano che talora gli operatori professionali possono non essere in grado di neutralizzare gli effetti delle decisioni degli investitori non sofisticati e meno informati attraverso l'arbitraggio. Titoli simili a quelli il cui prezzo è distorto potrebbero non esistere e le operazioni di arbitraggio potrebbero essere eccessivamente costose. Le considerazioni concernenti le imperfezioni informative e la relazione fra informazione, incertezza e convenzioni aiutano a mettere in una giusta prospettiva la valutazione dei possibili effetti e implicazioni della cosiddetta 'rivoluzione' nel campo delle tecnologie dell'informazione e comunicazione (ICT revolution). Questi avanzamenti tecnologici comportano la produzione di volumi crescenti d'informazione disponibile ai soggetti economici a costi decrescenti. Ciò pone la questione se questa rivoluzione tecnologica non modifichi in modo radicale la contrapposizione fra il paradigma teorico di perfetta informazione e la nuova economia dell'informazione. La rivoluzione tecnologica potrebbe implicare che il mondo reale si stia approssimando a quello ipotizzato nei modelli di perfetta informazione. Tuttavia i contributi provenienti dalla nuova e. della i. mostrano che importanti asimmetrie informative non possono essere eliminate semplicemente grazie alla produzione e distribuzione di un maggiore volume d'informazione. Esse infatti sono di natura endogena, cioè generate dalla stessa logica di funzionamento di un'economia di mercato. D'altra parte, maggiore i. disponibile non può eliminare l'incertezza sul futuro e, quindi, i mercati (in particolare quelli finanziari) funzionano più verosimilmente nel modo delineato dai keynesiani e dalla finanza comportamentale. In tal caso le innovazioni tecnologiche possono implicare maggiori rischi di comportamento 'irrazionale' dei mercati. Alcuni esponenti della behavioral finance, studiando gli effetti della rivoluzione ICT sull'efficienza dei mercati finanziari statunitensi, osservano che essa produce alcuni indubbi benefici (riduzione dei costi di transazione, maggiore liquidità dei mercati, ecc.), ma ne mettono in evidenza anche i rischi. In particolare, il basso costo di produzione dell'informazione è un forte incentivo per alcune imprese a offrire i. di bassa qualità a soggetti 'ignoranti' che crescono al diminuire dei costi di transazione nei mercati finanziari. In questo contesto, imprese con un insufficiente cash flow per finanziare la loro espansione e che debbono ricorrere al mercato finanziario sono fortemente incentivate a produrre informazione distorte su sé stesse al fine di ottenere fondi a più basso costo. L'informazionedisponibile è cresciuta, ma la sua bassa qualità, e quella di coloro che la percepiscono, fanno sì che i mercati continuano a funzionare in modo non efficiente, cioè diverso da quello paradigmatico d'informazione perfetta.
bibliografia
J.M. Keynes, The general theory of employment, interest and money, London 1936 (trad. it. Torino 1947).
K.J. Arrow, G. Debreu, Existence of an equilibrium for a competitive economy, in Econometrica, 1954, 22, pp. 265-90.
E.F. Fama, Efficient capital markets: a review of theory and empirical work, in Journal of finance, 1970, 2, pp. 383-417.
K.J. Arrow, Limited knowledge and economic analysis, in American economic review, 1974, 1, pp. 1-10.
J. Hirshleifer, J.G. Riley, The analytics of uncertainty and information, Cambridge (Mass.) 1992.
P. Davidson, Reality and economic theory, in Journal of post keynesian economics, 1996, 4, pp. 479-508.
I. Macho-Stadler, J.D. Pérez-Castrillo, An introduction to the economics of information: incentives and contracts, Oxford 1997.
A. Shleifer, Inefficient markets: an introduction to behavioral finance, Oxford 2000.
J.E. Stiglitz, The contributions of the economics of information to twentieth century economics, in Quarterly journal of economics, 2000, 4, pp. 1441-78.
A.G. Akerlof, Behavioral macroeconomics and macroeconomic behavior, in American economic review, 2002, 3, pp. 411-33.
M. Spence, Signaling in retrospect and the informational structure of markets, in American economic review, 2002, 3, pp. 434-59.
J.E. Stiglitz, Information and the change in the paradigm in economics, in American economic review, 2002, 3, pp. 460-501.
J.E. Stiglitz, B. Greenwald, Towards a new paradigm in monetary economics, Cambridge (Mass.) 2003.
M. Boisot, A. Canals, Data, information and knowledge: have we got it right?, in Journal of evolutionary economics, 2004, 1, pp. 43-67.