Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel corso dell’Ottocento l’emergere di una fitta trama di rapporti fra libertà e rivoluzione industriale genera una profonda trasformazione dei rapporti sociali che segna l’inizio di una nuova epoca dei conflitti di classe. Sullo sfondo della lotta politica, tra liberalismo, nazionalismo, autoritarismo, democrazia e socialismo, e nel quadro della formazione della moderna società industriale, la borghesia e il proletariato si affermano attraverso un conflitto di classe sempre più esplicito e consapevole.
Mutamenti politici e sviluppo industriale
La chiusura dei lavori del Congresso di Vienna (9 giugno 1815) segna per l’Europa l’inizio di una nuova epoca, destinata a durare quasi un secolo. Infatti, grazie al compromesso raggiunto dalle cinque maggiori potenze – Inghilterra, Austria, Russia, Prussia e Francia (solo più tardi il sistema della pentarchia sarà esteso all’Italia) – l’Europa raggiunge un assetto giuridico e politico-territoriale che, nonostante le guerre d’indipendenza della Germania e dell’Italia, le frequenti guerre civili e la periodica “apparizione” della rivoluzione, viene abbandonato solo con la prima guerra mondiale.
Tra le cinque potenze predominanti nel periodo della Restaurazione, l’Austria e la Russia sembrano all’apogeo del loro splendore e si presentano come Paesi dotati di una forte stabilità interna; ma in realtà l’Impero asburgico è minacciato dalla sua stessa natura plurinazionale e quello russo è afflitto da gravi questioni politico-sociali, mentre la Francia che appare un Paese instabile si afferma ben presto insieme con l’Inghilterra come uno dei due modelli di riferimento politico, ai quali guardano con interesse gli altri Paesi europei. La modernità del dibattito politico, la diffusione delle idee di libertà, democrazia e socialismo fanno della Francia uno dei due “laboratori” più avanzati del mondo politico europeo dell’Ottocento. Così al modello della democrazia anglosassone, che propone un regime dotato di una capacità riformatrice tale da preservare e ammodernare l’ordinamento politico e in grado di garantire un sostanziale equilibrio sociale, si affianca quello della democrazia latina. Diversa, infine, è la posizione della Prussia che, uscita dalle guerre rivoluzionarie e napoleoniche come un Paese dotato di strutture relativamente moderne e assuntasi il compito di promuovere l’unità tedesca, si pone come potenza destinata a contendere il primato all’Austria asburgica.
Verso la metà del XIX secolo, cessati i moti del 1848 e accantonata l’idea repubblicana, l’Europa si presenta come un continente in cui a Paesi politicamente più avanzati si affiancano Paesi più arretrati; agli Stati costituzionali dell’Europa occidentale, infatti, si oppongono quelli corporativo-assolutistici dell’Europa orientale. Senza dubbio i mutamenti politici danno un forte impulso alle forze produttive interne, e appare così evidente che fra modernizzazione politica e modernizzazione economica, fra libertà e sviluppo industriale intercorre una fitta rete di rapporti.
L’affermazione della borghesia e la classe operaia
L’affermarsi della “civiltà industriale” e il collocarsi dei Paesi europei sulla scia della Gran Bretagna – sebbene non tutti reagiscano allo stesso modo al processo di industrializzazione – non agiscono solo sulle strutture economiche e politiche, ma contribuiscono anche a una profonda trasformazione dei rapporti sociali e all’emergere di nuove forme di organizzazione. La borghesia, sia pure in varia misura, assume notevole importanza, tanto che l’antica aristocrazia tende a imborghesirsi sempre più. In Francia, ad esempio, l’alta finanza borghese riesce ad assicurarsi la gestione del potere politico, favorita dalla cosiddetta Monarchia di Luglio; la borghesia mira così a rafforzare il proprio potere, acuendo nel Paese il conflitto di classe. In Prussia, invece, il ceto dominante continua a essere la burocrazia colta che trova nella nobiltà un potente alleato. Nella sua ascesa economico-sociale la borghesia industriale è sostenuta dallo Stato con una serie di provvedimenti, a patto però che si tenga lontana dalla politica.
Il rapido diffondersi della produzione di massa e la liberalizzazione dell’economia danno vita a un vasto movimento sociale: il numero degli imprenditori aumenta considerevolmente e, allo stesso modo, mentre l’artigianato subisce una netta contrazione, cresce il numero degli operai delle fabbriche. Contemporaneamente, lievitano anche i salariati dell’industria a domicilio, in particolare di quella tessile, e parallelamente al definitivo tramonto delle organizzazioni corporative, gli operai di fabbrica costituiscono le prime forme di associazione che, sebbene fondate sulla base di principi di mutuo sostegno e alimentate dalle utopie socialiste, non esprimono ancora una coscienza di classe, che emerge soltanto dopo i moti del 1848.
In Inghilterra, dove la crescita della società industriale moderna è a uno stadio più avanzato rispetto all’Europa continentale, il problema dei costi umani e sociali diventa oggetto di attenzione da parte della classe politica, che si propone di tutelare i lavoratori con un’apposita legislazione, presto imitata dagli altri paesi europei. Tuttavia, la crisi congiunturale alla fine degli anni Trenta, il sovrappopolamento e le tensioni politiche accresciute dai nazionalismi spingono i ceti sociali più bassi a organizzarsi segretamente e a dare alle loro associazioni connotati di classe più marcati. Nonostante il fallimento dell’esperienza rivoluzionaria e la conseguente repressione, le insurrezioni operaie del 1848, il diffondersi degli ideali socialisti, l’apparizione del Manifesto di Marx e la divulgazione dell’ideologia comunista, oltre alla propaganda delle idee democratiche e repubblicane segnano l’inizio di una nuova epoca dei conflitti di classe.
Nella seconda metà dell’Ottocento, la classe operaia, che in Inghilterra ha già raggiunto uno sviluppo tale da rappresentare quasi un quarto della popolazione, si rafforza fino a minacciare l’ordine costituito in Europa. In Francia, nonostante gli indubbi miglioramenti salariali, la classe operaia vive in uno stato di insicurezza, a causa dell’alto tasso di disoccupazione; anche in Inghilterra, del resto, le condizioni di vita degli operai continuano a essere dure, sebbene migliorino quelle igienico-abitative. Diversa è invece la situazione in Germania dove la classe operaia, di più recente formazione rispetto all’Inghilterra e alla Francia, si presenta più moderna. In realtà, il tardivo processo di industrializzazione consente di evitare, almeno in parte, gli effetti negativi di una simile trasformazione.
Nuove forme di organizzazione sociale e contrasti fra classi
Grazie allo sviluppo capitalistico, la borghesia ha ormai assunto una posizione di primato in quasi tutti i Paesi europei, soppiantando o affiancando la vecchia aristocrazia. In Inghilterra, il processo di integrazione fra l’alta borghesia e l’aristocrazia, che è una delle più potenti del continente, si è ormai compiuto, e se la media borghesia (professionisti, fabbricanti, grandi commercianti) si presenta come la struttura portante della società inglese del periodo vittoriano, anche la piccola borghesia urbana, costituita perlopiù da commercianti e da impiegati, trova una collocazione rispettabile nella società ottocentesca.
La società francese presenta una stratificazione sociale non meno articolata e complessa di quella inglese. Al vertice si trova l’alta borghesia degli affari, mentre una parte cospicua dell’alta e media borghesia continua a trarre le sue fortune dalla terra e dalla rendita immobiliare urbana; la piccola borghesia, numericamente consistente (circa 4 milioni di persone), si riconosce nel dominante sistema dei valori borghesi. In Germania, la grande borghesia capitalistica si impadronisce delle leve del potere, radicando la sua presenza nell’alta amministrazione dello Stato e imparentandosi con l’aristocrazia; resta invece estranea al potere la media e piccola borghesia, nella quale è diffuso un forte senso di disprezzo verso la classe operaia. In questo quadro, il conflitto sociale assume forme sempre più esplicite di lotta di classe e le associazioni operaie, oltre ad avanzare richieste salariali e forme di tutela del lavoro, sollecitano precise rivendicazioni politiche (suffragio, riconoscimento legale dei sindacati).
Nel 1864, a Londra viene fondata l’Associazione internazionale degli operai (Prima Internazionale) che non riesce però a sopravvivere, per la sua natura eterogenea, all’insuccesso della Comune di Parigi del 1871 che rappresenta “l’episodio più spettacolare della lotta di classe nell’Europa liberale”. Il fallimento dell’esperienza comunarda non arresta tuttavia la nascita, nei diversi Paesi europei, dei partiti socialisti che nel 1889 a Parigi fondano la Seconda Internazionale. Negli ultimi venti o trent’anni del secolo, in un contesto politico-economico molto diverso da quello degli anni Sessanta e Settanta, mentre la corrente marxista persegue obiettivi rivoluzionari, quella riformista riesce a crearsi uno spazio all’interno dello stato borghese e a denunciare con forza i termini della questione sociale. Ma, più che la lotta politica attraverso i partiti, che comunque operano su un terreno estraneo ai lavoratori (parlamento), questi ultimi preferiscono l’azione diretta – scioperi, boicottaggi, sabotaggi – dei movimenti sindacali che con i loro programmi, colpendo direttamente il nemico di classe, esprimono forse in misura più diretta la portata del contrasto fra le classi.