economia e matematica
economia e matematica Metodi matematici di varia complessità sono stati applicati all’analisi di problemi economici sin dagli albori dell’economia moderna. Ma se non sono certo mancati i precursori, si può sostenere con una certa approssimazione che i rapporti tra matematica ed economia – e dunque la nascita dell’economia matematica – diventano stringenti e ben definiti nei primi anni Settanta dell’Ottocento con la rivoluzione marginalista. Nel 1871 vengono pubblicati The Theory of Political Economy (Teoria di politica economica) dell’economista e logico William Stanley Jevons (1835-1882) in Gran Bretagna e Grundssätze der Volkswirtschaftslehre (Principi di economia) dell’economista Carl Menger (1840-1921) in Austria; nel 1874 esce in Francia Eléments d’économie politique pure ou théorie de la richesse sociale (Elementi di economia politica pura o teoria della ricchezza sociale) dell’economista Leon Walras (1834-1910). È Walras a esporre la teoria più chiara e completa con quella formulazione dell’equilibrio economico generale che è stata considerata la magna charta e l’architrave dell’economia neoclassica.
Il marginalismo non si occupa più dei grandi affreschi storici, delle classi sociali e degli scottanti elementi di conflitto tra capitale e lavoro. Il suo punto di riferimento è costituito dal consumo, che viene ad assumere una posizione centrale rispetto a scambio, produzione e distribuzione. Il consumatore, alla base del cui comportamento c’è un’ipotesi di razionalità, è mosso dalla ricerca della massimizzazione della propria funzione di utilità, dove l’utilità di una merce non è una sua qualità oggettiva ma si presenta come rapporto soggettivo tra l’individuo e la merce stessa. Il passo teorico decisivo fu quello di individuare nell’utilità marginale lo strumento analitico in grado di misurare la scarsità e di farne con ciò stesso il fondamento del valore. Guardando agli incrementi di utilità che quantità addizionali dei diversi beni danno, l’individuo è in grado di risolvere questo problema di massimo determinando le quantità ottime da destinare al consumo, tali cioè da massimizzare l’utilità. Più precisamente, Walras riuscì a incastonare l’utilità marginale all’interno di quell’edificio mirabile di interrelazioni tra mercati noto oggi come teoria dell’equilibrio economico generale. Riuscì, in particolare, a ricavare dal teorema dell’utilità massima le curve individuali di domanda e offerta e a determinare poi per aggregazione i prezzi di equilibrio. Si comprende, quindi, il ruolo nuovo assunto dalla matematica, che non è più semplice strumento per il calcolo algebrico ma diventa elemento costitutivo e parte integrante dell’analisi economica. Il problema economico fondamentale affrontato dalla teoria dell’equilibrio è la ricerca delle condizioni che assicurano che la domanda e l’offerta si trovino in equilibrio simultaneamente in tutti i mercati. In termini matematici, il problema diventa: esiste un vettore non negativo che risolve il sistema di equazioni che descrive l’interdipendenza tra le diverse variabili economiche (e, ammesso che esista, è unico)? Da Walras in poi, il problema è stato affrontato con gradi crescenti di generalità, complessità e sofisticazione, fino alla sintesi di Arrow e Debreu negli anni Cinquanta del Novecento. Ogni volta che si pone una questione di interdipendenza tra variabili economiche, i problemi dell’esistenza, unicità e significatività delle soluzioni di un sistema di equazioni si ripropongono: anche nella teoria dei giochi, per esempio (si veda oltre), si studia l’interazione tra agenti economici che agiscono strategicamente, ossia tenendo conto, nelle proprie decisioni, delle possibili reazioni di altri agenti, e anche in questo contesto si fa spesso ricorso alla rappresentazione dell’interdipendenza mediante un sistema di equazioni.
Nella prima fase dell’economia matematica, la matematica è il calcolo differenziale: la considerazione delle relazioni funzionali e l’uso delle derivate per risolvere problemi di massimo e di minimo vincolati. Al di là degli aspetti tecnici, questo contributo partecipa alla trasmigrazione dell’economia dal novero delle scienze morali a quello delle discipline scientifiche. Da subito, l’applicazione della matematica all’economia si trova al centro di forti polemiche metodologiche che mettono in dubbio la congruità di un ragionamento puramente logico-deduttivo rispetto alla sfera economica e alle sue contaminazioni storiche, politiche, ideologiche. I critici sostengono che la formalizzazione matematica andrebbe di pari passo con una crescente mancanza di realismo dei modelli economici così sviluppati, sempre più attenti alla coerenza logica piuttosto che alla complessità storica dei sistemi economici esistenti nella realtà. In generale, però, non si contesta che un’appropriata formalizzazione matematica possa, almeno in alcuni casi e in alcuni stadi dell’indagine, favorire una formulazione più chiara e rigorosa dei problemi. I fautori dell’impiego della matematica in economia sottolineano proprio questi vantaggi e negano che tale impiego implichi necessariamente l’abbandono dell’indagine empirica, comunque necessaria per l’applicazione dei modelli alla complessa realtà dell’economia.
Quando nel 1892 Walras si ritirò dall’insegnamento, fu l’italiano Vilfredo Pareto a succedergli sulla cattedra di Losanna. Pareto aveva studiato matematica a Torino con A. Genocchi per poi laurearsi, sempre a Torino, in ingegneria. È lui, l’economista italiano agli antipodi del riformismo sociale di Walras, che diventa il principale canale di diffusione del pensiero marginalista anche grazie a una prosa brillante, a volte caustica, mai banale. Pareto sarà al centro di numerose e dure polemiche, sia sul versante politico che su quello scientifico, a partire dalle battaglie liberiste e antistataliste. Ha l’ambizione di sviluppare il programma walrasiano disinquinando la scienza economica da politica e filosofia. Scrive nel Cours d’économie politique (Corso di economia politica) del 1896: «La scienza di cui intraprendiamo lo studio è una scienza naturale come la psicologia, la fisiologia, la chimica ecc. Come tale non ha da darci precetti; studia dapprima le proprietà naturali e risolve poi dei problemi che consistono nel chiederci: date certe premesse, quali ne saranno le conseguenze?». E nella lettera ad Antonio Graziadei del 29 marzo 1901 ribadisce: «Finché le scienze naturali hanno ricercato “l’intima natura” delle cose, non hanno concluso nulla. Quando hanno badato solo alle relazioni tra le cose, hanno fatto meravigliosi progressi. lo dunque, guidato dall’esperienza, seguo quella via anche per le scienze sociali. E se altri vuole seguire una via diversa, s’accomodi: non litigo certo con lui». Il suo modello è la fisica. Il suo obiettivo è la riduzione dello schema argomentativo e dimostrativo dell’analisi economica a quello seguito, in particolare, dalla meccanica. Lo guida questa analogia con una disciplina consolidata, come sottolineano anche gli “specchietti” (in doppia colonna) che presentano gli elementi alla base dello studio del fenomeno meccanico e i loro corrispondenti per quello economico. Pareto procede a partire da pochissimi assiomi iniziali, incontrovertibili nella loro evidenza, che sviluppa poi con un rigoroso ragionamento deduttivo. La matematica è dunque in posizione strategica nella costruzione di un sapere sociale che sia esatto e oggettivo. Scrive all’economista Attilio Cabiati (13 febbraio 1908): «Non so dove lei ha trovato che io sono ferocemente avverso agli operai. Non voglio, quando mi occupo di scienza, avere nessuna fede. Adorare Giove, la Vergine Maria, o il dio operaio, o democratico, per me è tutt’uno […]. lo studio la società dal di fuori, come un uomo può studiare l’automobilismo senza mai andare in automobile».
Pareto non è solo un “gran divulgatore”. A lui si deve, in particolare, il passaggio da un approccio cardinale a un approccio ordinale nella definizione di un’utilità basata ora sulle curve di indifferenza e che riesce così a evitare lo spinoso problema della sua misurabilità. Sua è anche la definizione di massimo edonistico collettivo – chiamato appunto ottimo paretiano – che, nell’ambito della programmazione matematica, è alla base di tutti i successivi sviluppi dell’ottimizzazione vettoriale e, in ambito economico, è l’avvio di una formulazione precisa di espressioni quali “pubblico bene” o “interesse della società” e della cosiddetta economia del benessere.
Il coinvolgimento del mondo matematico italiano nell’affermazione e diffusione dell’economia matematica porta subito alla mente il nome di Vito Volterra e la sua prolusione all’anno accademico 1901-02, tenuta all’università di Roma, con il titolo di Sui tentativi di applicazione delle matematiche alle scienze biologiche e sociali: vi si trova una delle prime analisi del concetto di modello matematico in discipline che non siano quelle fisiche. Volterra entra maggiormente nello specifico quando, nel 1906, recensisce su «Il Giornale degli economisti» quel Manuale di economia politica con cui Pareto ufficializza per così dire il passaggio dalla definizione cardinale dell’utilità a quella di carattere ordinale. Volterra si sofferma sul concetto di linee di indifferenza, riprendendo e precisando da un punto di vista matematico il “ripensamento” paretiano. Se lo scambio riguarda due soli beni economici, concorda che è effettivamente possibile ignorare il piacere come dato iniziale: non c’è nessun problema di integrabilità ed è sempre possibile risalire alla determinazione dell’ofelimità. Questo non è però più vero (salvo condizioni particolari) nel caso di tre o più beni e qui, ad avviso di Volterra, il Manuale è carente non riportando considerazioni che d’altra parte Pareto aveva già avuto modo di fare in un precedente articolo.
Se è vero che negli anni Trenta si sviluppa anche l’econometria (nata dal desiderio di colmare il divario tra la teoria economica e i dati forniti dall’economia reale e che si avvale della statistica matematica sia per quanto riguarda gli strumenti operativi sia per la logica formale), rimane il fatto che il periodo tra le due guerre mondiali è caratterizzato dai risultati ottenuti dalla teoria dell’equilibrio economico generale. Cambia ora il contributo offerto dalla matematica: da strumento di calcolo e di prova di affermazioni ben radicate all’interno dell’analisi economica, si trasforma progressivamente in un linguaggio dotato quasi di una vita indipendente, tendenzialmente separato dagli aspetti descrittivi e interpretativi della teoria economica. È un’evoluzione che si potrebbe visualizzare osservando la posizione che in un qualsiasi articolo di economia matematica era prima assegnata alle argomentazioni di carattere matematico, poste in nota o nell’appendice. Ora, invece, esse occupano il cuore dell’articolo e tendono a togliere sempre più spazio alla parte introduttiva, che fissa il problema economico, e alle conclusioni interpretative. Geograficamente l’attenzione si sposta da Losanna (dove avevano insegnato Walras e Pareto) a Vienna con il suo Circolo frequentato da eminenti intellettuali, tra cui i matematici e logici R. Carnap, K. Gödel, O. Morgenstern. È in questo ambiente che si forma Karl Menger, matematico, figlio dell’economista Carl, che coordina i lavori di un seminario – il Mathematisches Kolloquium – dove si parla anche di applicazioni economiche. Karl Menger presenta Abraham Wald, un giovane matematico di origini rumene, al banchiere e studioso di teoria economica Karl Schlesinger. Dalla loro collaborazione nascono i lavori con cui Wald, a metà degli anni Trenta del Novecento, riesce per la prima volta a dimostrare esistenza e unicità dell’equilibrio. Le ipotesi introdotte per arrivare a questo risultato accompagneranno molti degli sviluppi successivi della teoria. Gli articoli di Wald sollecitano poi J. von Neumann a pubblicare nel 1937, sempre negli «Atti» del Mathematisches Kolloquium, il testo di quello che era stato un seminario tenuto qualche anno prima a Princeton. Il modello di equilibrio di von Neumann, con il relativo teorema di esistenza, è stato giudicato in assoluto uno dei più importanti contributi economico-matematici, anche per la strumentazione formale che viene per la prima volta utilizzata. La matematica non è più solo calcolo differenziale. Diventano familiari agli economisti anche altri “capitoli” quali l’analisi convessa, l’uso delle disuguaglianze, la teoria dei giochi, i teoremi di punto fisso. Von Neumann, nato a Budapest da famiglia ebrea, era stato costretto a emigrare in Germania per un’ondata di antisemitismo. Aveva studiato a Berlino, a Zurigo con H. Weyl, a Göttingen con D. Hilbert. Nel 1933 si era trasferito definitivamente a Princeton presso l’Institute for Advanced Study, ma già nel 1928 aveva posto i fondamenti matematici della teoria dei giochi e dimostrato il primo teorema di minimax. Nel 1944 pubblicò, con O. Morgenstern, il famoso Theory of games and economic behavior (Teoria dei giochi e comportamento economico): il testo diede un contributo decisivo alla teoria della scelta in condizioni di incertezza con il celebre teorema dell’utilità attesa, che si applica anche in campi differenti, come la teoria dei mercati finanziari e assicurativi e delle scelte di portafoglio. In questo campo rivestono un ruolo fondamentale gli strumenti matematici forniti dalla teoria della probabilità e dalla statistica matematica. Ma la teoria dei giochi è stata applicata anche al famoso modello di oligopolio di Cournot del 1838, reinterpretato dopo oltre un secolo come esempio tipico di gioco non cooperativo.
La storia del Mathematisches Kolloquium si chiude drammaticamente nel 1938 con l’ingresso delle truppe naziste a Vienna. Schlesinger si toglie la vita. Morgenstern viene allontanato dai suoi incarichi ma riesce comunque ad aiutare Wald a emigrare negli Stati Uniti (i genitori e le sorelle del matematico rumeno moriranno invece ad Auschwitz).
■ La matematizzazione dell’economia. Nel secondo dopoguerra la matematica accentua il suo ruolo nell’economia. Acquista progressivamente spazio e importanza la ricerca che vede presente e centrale il formalismo di una struttura matematica fatta di oggetti che solo nei nomi ricordano la loro origine economica. È il riflesso di un’evoluzione che accompagna buona parte della ricerca matematica “moderna” a metà del Novecento, con l’enfatizzazione del metodo assiomatico, con la “sfacciata” ammissione che i punti di contatto tra linguaggio formale e mondo reale – se, e quando, si verificano – sono solo una fortunata coincidenza, con uno stile asciutto e tutto teso a mettere in evidenza la potenza dell’apparato logico-deduttivo. «Uno dei più eclatanti aspetti dello sviluppo dell’economia matematica è stato il massiccio e sofisticato uso degli strumenti matematici da parte dei teorici dell’economia. Al calcolo differenziale e all’algebra delle matrici si sono via via aggiunti l’analisi convessa, la teoria degli insiemi, la topologia, la topologia algebrica, la teoria della misura, gli spazi vettoriali, l’analisi globale, l’analisi non standard. E la lista non è completa. Contemporaneamente, mentre la teoria economica procedeva nella sua matematizzazione, il riferimento a precisi standard di rigore logico è diventato la regola (e non più un’eccezione)»: la citazione è di Gérard Debreu (1921-2004), Premio Nobel per l’economia nel 1983. Francese, di formazione fisico-matematica, dopo la seconda guerra mondiale si trasferisce negli usa lavorando prima a Harvard e poi a Berkeley. Il cosiddetto modello di Arrow-Debreu è del 1952: vi si trova dimostrata l’esistenza dell’equilibrio economico generale, senza quelle ipotesi così vincolanti che ancora comparivano in Wald e con un forte riferimento alla teoria dei giochi. In The theory of value (Teoria del valore) del 1959, Debreu perviene ancora a un teorema di esistenza ma seguendo un altro approccio. Quella che è considerata la sua opera più famosa è un agile volume di un centinaio di pagine, tutto scritto con quello stile che ha fatto parlare di penetrazione del bourbakismo anche nel campo dell’economia matematica. Nella prefazione, si legge che «la teoria del valore è trattata qui secondo gli standard di rigore dell’attuale scuola formalista di matematica [...]. Questo può portare anche a un cambiamento radicale negli strumenti matematici usati. Nel nostro caso, il cambiamento ha riguardato il passaggio dal calcolo differenziale alla convessità e alla topologia, con notevoli vantaggi nella generalità e nella semplicità della teoria. La fedeltà all’esigenza del rigore impone all’analisi una forma assiomatica in cui la vera e propria teoria rimane completamente separata dalle sue interpretazioni». Questa separazione viene ribadita con forza in altri punti di The theory of value. Ecco per esempio quanto Debreu scrive in chiusura del secondo capitolo dove un prezzo era stato definito come un semplice vettore e il valore come un prodotto interno: «Il numero I dei beni è un intero positivo assegnato. L’azione a di un agente è un punto dello spazio vettoriale l-dimensionale, lo spazio delle merci. Un sistema di prezzi p è un punto dello stesso spazio vettoriale. Il valore di un’azione a, relativamente ad un sistema di prezzi p, è il prodotto scalare p ⋅ a. Tutto quanto precede queste affermazioni è irrilevante per lo sviluppo logico della teoria».
■ Modelli e strumenti matematici per l’economia. L’economia matematica del Novecento non è solo la teoria dell’equilibrio economico, nella linea che va da Walras a Debreu. Si è già notato come l’intensificarsi dei rapporti tra le due discipline abbia portato a una notevole articolazione degli strumenti matematici impiegati in economia. Oltre alla teoria dei giochi, si possono ricordare anche le catene di Markov, le equazioni stocastiche, l’uso dei teoremi della funzione implicita e dell’inviluppo. Così nell’analisi dei problemi decisionali in economia risultano rilevanti il calcolo delle variazioni, la teoria del controllo ottimo e la programmazione dinamica. Qualsiasi teoria economica, infatti, contiene o presuppone una teoria del comportamento dei diversi agenti. Il comportamento degli agenti economici è il risultato di una scelta: per esempio un’impresa sceglie il metodo produttivo che corrisponde al massimo profitto, tra quelli disponibili, data la tecnologia esistente. L’ipotesi comportamentale corrisponde a un problema di programmazione vincolata (teoremi di Lagrange e Kuhn-Tucker). Si tratta di comprendere se un certo problema decisionale ha almeno una soluzione (problemi di esistenza e unicità), quali proprietà abbiano le soluzioni del problema (caratterizzazione delle soluzioni) e come le soluzioni varino al variare dei dati del problema (statica comparata). Lo studio dei problemi di programmazione intertemporale richiede poi un’integrazione tra i metodi di ottimizzazione e i metodi di analisi dinamica. In tali problemi, infatti, la decisione individuale (o d’impresa) si riferisce a una sequenza di periodi futuri di tempo, collegati tra loro dalla presenza di variabili di stato, il cui valore, determinato in un dato periodo t, influenza le decisioni da prendere nei periodi successivi. Tali metodi sono ormai ampiamente diffusi soprattutto nella teoria della crescita e dell’accumulazione, ma anche in campi diversi come la teoria degli incentivi ottimali.
Un incremento di complessità analogo a quello degli strumenti matematici si registra nelle teorie economiche cui la matematica si indirizza. Lo stesso classico esempio dell’equilibrio tra domanda e offerta di un bene ha subito molteplici approfondimenti, per esempio nel senso della statica comparata e della dinamica che permettono di accennare all’impiego di ulteriori strumenti matematici quali le equazioni differenziali e le equazioni alle differenze. Questi tipi di equazioni (e i sistemi da esse formati) costituiscono il principale strumento matematico per l’analisi delle trasformazioni nel tempo dei sistemi economici. Sin dalle origini, infatti, l’analisi economica non si è limitata allo studio del sistema economico in un dato momento, ma ha indagato le leggi del suo sviluppo. L’idea fondamentale è che sia la crescita sia i mutamenti strutturali dei sistemi economici siano endogeni, e cioè che dipendano, per una parte rilevante, da forze e meccanismi interni al sistema economico stesso. La questione è la seguente: ammesso che esista un sistema di prezzi di equilibrio, e supponendo che inizialmente i prezzi vigenti nel mercato non siano i prezzi di equilibrio, esiste un meccanismo di aggiustamento tale che, nel corso del tempo, i prezzi di mercato tendano al livello di equilibrio? Il più semplice meccanismo di aggiustamento è quello in base al quale il prezzo di un certo bene aumenta quando la domanda eccede l’offerta e diminuisce nel caso contrario. La situazione può essere espressa con un’equazione alle differenze che forma un sistema insieme ad altre n analoghe equazioni. L’analisi di questo sistema consente di dare risposte rigorose al problema della stabilità.
La statica comparata trova una sua sistemazione formale rigorosa nel 1947 nelle Foundations of economic analysis (Fondamenti di analisi economica) dell’economista Paul Samuelson (1915-2009). Si supponga che si verifichi un mutamento nelle preferenze dei consumatori con un conseguente mutamento della curva di domanda. Si avrà allora un nuovo punto di equilibrio. Il compito della statica comparata è appunto di determinare questo genere di variazioni confrontando il nuovo equilibrio con quello precedente e determinandone la stabilità. In questo esempio si ha una dinamica quasi sovrapposta a un’analisi statica. Ci sono per contro modelli che nascono intrinsecamente dinamici. In macroeconomia i modelli non lineari del ciclo economico risalgono agli anni Quaranta e all’opera dell’economista anglo-ungherese Nicholas Kaldor (1908-1986), ripresi poi dallo statunitense Richard Murphey Goodwin (1913-1996). Nel modello di Kaldor (chiamato anche modello di Kalecki-Kaldor) sia l’investimento sia il risparmio sono funzioni non lineari del reddito e dello stock di capitale. La non linearità consente di spiegare la persistenza del ciclo per via puramente endogena. Se si usassero equazioni differenziali o alle differenze o miste, ma in ogni modo lineari, si avrebbero in generale oscillazioni smorzate o esplosive e si sarebbe quindi costretti a ricorrere (sempre per spiegare la persistenza del ciclo) a shock esogeni che mantengano in vita un’oscillazione di per sé smorzata oppure – si parla di soffitto e pavimento – limitino un’oscillazione che sarebbe di per sé esplosiva. I modelli non lineari degli anni Cinquanta sono stati poi criticati perché non permettevano ancora di spiegare compiutamente i cicli dei sistemi economici reali che non mostravano affatto quelle oscillazioni regolari previste dalla non linearità. In anni recenti l’analisi dinamica dei sistemi economici si è arricchita dei contributi provenienti dalla cosiddetta teoria qualitativa dei sistemi dinamici (teoria del caos, teoria delle biforcazioni, teoria delle catastrofi). Carattere distintivo di questi strumenti è la capacità di rappresentare fenomeni di grande complessità sulla base di modelli matematici dalla struttura relativamente semplice. Si prestano perciò allo studio di mercati caratterizzati da particolare turbolenza, come per esempio i mercati mobiliari e valutari. La scoperta del caos deterministico ha invece riacceso l’interesse per i modelli endogeni del ciclo economico mostrando come la sola ipotesi di non linearità permetta invece di spiegare l’insorgere di fluttuazioni anche irregolari attraverso meccanismi puramente endogeni e senza ricorrere a eventi stocastici esogeni introdotti ad hoc. Il connubio tra semplici modelli deterministici che generano dinamiche caotiche e modelli standard dell’economia ha così spezzato il legame tra determinismo e prevedibilità, generando una nuova dialettica tra dinamiche caotiche di equilibrio economico e aspettative razionali.