Economia e societa assire
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel corso del periodo neoassiro un flusso costante e copioso di ricchezze e di manodopera, attraverso varie forme di prelievo, viene convogliato nel cuore dell’impero dalle numerose province. Pur rimanendo il palazzo e, in diversa misura, i templi gli organismi economici più forti, le dinamiche della distribuzione determinano profonde trasformazione nell’assetto economico e sociale dell’Assiria, non solo in quello delle regioni sottomesse.
Il controllo, l’acquisizione e lo sfruttamento dei nuovi territori da parte assira modifica inevitabilmente, oltre all’originario quadro produttivo generale e delle singole regioni conquistate, anche e necessariamente quello dell’Assiria propria, entrata rapidamente e a lungo in possesso di una ricchezza ingente e qualitativamente diversificata.
Per quanto sia un ricco e popoloso distretto, comunque di ristrette dimensioni, l’Assiria è inadeguata a sostenere un impero così esteso, tanto più che le continue guerre decurtano la popolazione in presenza. Le campagne, spopolate per via delle costanti leve militari, necessariamente devono essere integrate dai deportati, dal momento che l’agricoltura è la base dell’economia, ancor prima dell’allevamento e del commercio. La sufficiente piovosità e le ampie terre coltivabili spiegano bene la vocazione agricola. I villaggi agricoli costituiscono la base produttiva cui fa riferimento l’urbanizzazione diffusa.
Lo sforzo bellico e le conseguenti conquiste producono, oltre che trasformazioni nella configurazione politica e amministrativa dell’impero, ulteriori effetti e di carattere economico e sociale. La redistribuzione sociale delle terre di conquista, anche se limitata e a vantaggio di una determinata e ristretta fascia della popolazione assira, favorisce lo sviluppo di grandi proprietà fondiarie destinate, soprattutto negli ultimi secoli dell’impero e con una ricaduta anche nella realtà provinciale, ai maggiorenti. Ai latifondisti si contrappone una classe servile indifferenziata, anch’essa crescente, frutto del cedimento delle comunità di villaggio spossessate e asservite rispetto alle forme di appropriazione messe in atto da parte dei potenti creditori pubblici e privati.
Quanto allo stato giuridico delle terre, quelle libere e soggette a compravendita si aggiungono a quelle regie che ricadono sotto la diretta gestione dall’amministrazione centrale e a quelle, pure di proprietà del sovrano, date in concessione ai funzionari di corte. Alle prime e alle terze viene applicata una tassazione percentuale sulla produzione. In aggiunta al drenaggio di prodotti agricoli e d’allevamento, il fisco effettua un altra tipologia di prelievo esigendo una contribuzione lavorativa sottoforma di corvée per le attività edili, agricole e il servizio militare. In parallelo, tuttavia, l’amministrazione centrale accorda facilitazioni e privilegi attraverso un sistema di esenzioni che possono o riguardare complessi cultuali o alti funzionari.
Lo sforzo burocratico e amministrativo richiesto dalla gestione dell’impero produce degli effetti anche sulla distribuzione del popolamento producendo un incremento nel numero di coloro che svolgevano attività non direttamente produttive, nell’amministrazione e nei servizi, e, d’altra parte, un decremento demografico nelle campagne. In corrispondenza dell’aumento dei dipendenti di palazzo e tempio si ha dunque la crescita del numero dei residenti in città. L’addensamento di abitanti nei centri urbani acuisce il problema dell’approvvigionamento cittadino.
Ad assicurare il mantenimento delle strutture statali, dalla corte all’apparato amministrativo e all’esercito, è il sistema delle imposte. La concentrazione di beni e ricchezze nelle città principali attesta il prestigio e il potere dell’autorità centrale, necessari alla solidità di un sistema altamente centralizzato e focalizzato sulla figura del sovrano.
Alla necessità di ripopolamento del territorio si sopperisce soprattutto destinando le popolazioni conquistate alla fornitura di manodopera nell’agricoltura e all’arruolamento nell’esercito. Questo le inserisce di fatto nel sistema produttivo come elemento irrinunciabile per la continuità e la stabilità dell’impero. Sul piano giuridico la condizione di inserimento organico e funzionale di queste popolazioni si traduce in un livellamento di status secondo cui tutti in maniera indistinta, e quindi anche i deportati introdotti nella madrepatria o i nuovi sottomessi, sono sudditi del re (urdani sha sharri). Essi vengono assorbiti nel tessuto sociale e produttivo, omologati secondo la formula “contai fra gli Assiri”, la quale è attestata fino al regno di Sargon II, ma che fu in breve tempo definitivamente sostituita da un’identificazione basata sulla provenienza geografica. L’incremento della manodopera così realizzato garantiva la possibilità di dedicare più forze e tempo alla guerra, che a sua volta assicurava risorse, umane e non, e quindi perpetuava il processo.
Un ultimo aspetto connesso alla pratica delle deportazioni imperiali è la progressiva aramaizzazione linguistica dell’area siro-palestinese e della Mesopotamia. I trasferimenti coatti incrociati determinano l’assimilazione dei gruppi minori a quello numericamente più rilevante, quello aramaico appunto, e favoriscono il processo che avrebbe portato un dialetto aramaico unificato, il cosiddetto “aramaico d’impero”, ad emergere quale lingua ufficiale dell’Impero babilonese prima e dell’Impero persiano poi.
Il drenaggio di ricchezze dalle province al cuore dell’impero è costante. Esso fornisce risorse assicurando un afflusso di lavoratori e soldati. In genere i singoli paesi sono tenuti a fornire i loro prodotti più tipici, sulla base di un meccanismo che porta a sfruttare da parte dell’amministrazione centrale le principali risorse locali. Dall’est i Medi provvedono regolarmente a rifornire l’esercito di quell’imprescindibile risorsa che è costituita dai cavalli, mentre dalla Fenicia arrivano abiti porpora o, ancora, i Filistei assicurano olio di oliva, la cui produzione durante l’amministrazione assira viene riorganizzata e potenziata. Quando un territorio di conquista riveste un’importanza cruciale nelle dinamiche produttive o nel commercio lo si ripopola mediante deportazioni.
Il tributo è pagato annualmente e offerto al re nell’ufficialità di una cerimonia che prevede il rinnovamento del giuramento di fedeltà. La fruizione dei beni e la stessa produzione, nei loro risvolti non prettamente economici, descrivono dinamiche essenziali per la tenuta del sistema politico ed economico.
L’organismo economico più forte è il palazzo, che però non si pone in posizione monopolistica: tanto la produzione primaria quanto il commercio possono essere intrapresi da templi o da privati che dispongono di grandi patrimoni. I templi sono formalmente indipendenti nella gestione interna anche se si giovano di donativi, esenzioni o privilegi stabiliti dal sovrano. I beni di lusso dei bottini di guerra spettano al re che ne dispone a piacimento, talvolta facendone dono alle sedi dei culti maggiori. All’interno il personale, specialmente ai vertici, gode di benefici e può avere un certo potere economico.
Socialmente significativo, in questo contesto, è il ruolo delle donne e in particolare di quelle appartenenti alla famiglia reale, le sole per cui esiste una documentazione di qualche rilievo. Costoro godono infatti di una certa indipendenza nel gestire il proprio patrimonio, che può comprendere anche beni immobili. Le madri e le mogli di primo rango dei sovrani hanno essenzialmente incombenze e funzioni religiose e cerimoniali; tuttavia alcune regine, come Sammu-ramat (la Semiramide moglie di Shamshi-adad V, sovrano dal 823 al 811 a.C.) e come Naqi’a (sposa di Sennacherib), sono note per aver saputo esercitare un’influenza palese sui reggenti. È verosimile che anche fra le donne della casa reale, in perfetta rispondenza con la struttura della società assira, operi una certa gerarchia a distribuire ruoli e competenze.
Il commercio riveste una notevole rilevanza nella vita economica dell’Assiria. La collocazione geografica della regione le assicura il ruolo di intermediario nei traffici di lunga distanza lungo le vie per l’alta Mesopotamia, l’Iran o, attraverso il Tigri, per il Golfo Persico. Nel periodo neoassiro, allo scopo di facilitare il drenaggio di risorse, l’efficienza delle operazioni militari e un regolare inoltro delle informazioni, la rete viaria viene sistemata e potenziata. Il palazzo, d’altra parte, non riveste una posizione di unico agente commerciale, data la possibilità riconosciuta ai privati e anche alle popolazioni sottomesse di finanziare e intraprendere autonomamente attività mercantili, sebbene in modo controllato.
La centralità del potere nelle dinamiche economiche resta comunque un fattore caratterizzante. Il persistere dell’organizzazione del sistema palatino tipico del Tardo Bronzo, che a lungo tiene l’Assiria a riparo dalla crisi, ha però il limite di chiuderla alle nuove tecnologie e alle innovazioni che segnano l’avvento dell’Età del Ferro. Queste trovano invece spazio nelle situazioni in cui il sistema-palazzo, caratterizzato dal monopolio sui commerci, dal controllo sulle botteghe artigianali e dalla padronanza specialistica della tecnica della scrittura, perde progressivamente terreno e dove vediamo affermarsi delle tecniche socialmente diffuse, come la metallurgia del ferro e l’uso della scrittura alfabetica.