economia urbana
Disciplina economica che interpreta il fenomeno ‘città’ come forma originale di organizzazione del lavoro sociale: una forma che, sin dai primi agglomerati u., ha garantito efficienza agli scambi e alla interazione fra gli uomini, ha ampliato la divisione del lavoro e ha generato innovazione continua, in ambito economico, sociale, culturale e politico, poiché anche la ‘politica’ e la democrazia nascono con la città. Per realizzare questo obiettivo interpretativo, l’e. u. utilizza inoltre strumenti e modelli concettuali maturati da altre scienze: dalla geografia u. all’ecologia matematica e l’analisi dei sistemi, fino alla teoria delle catastrofi e del caos; sempre però al fine di interpretare fenomeni e comportamenti economici come la competitività, la capacità innovativa, le traiettorie di sviluppo e di declino, la divisione spaziale del lavoro, la distribuzione del reddito nello spazio e in particolare fra la città e la non-città (la ‘campagna’), seguendo la terminologia degli economisti classici, da A. Smith a K. Marx, e di alcuni grandi filosofi come G.W.F. Hegel. Non si tratta quindi della semplice applicazione di concetti e del metodo dell’economia alla città, come è avvenuto con la macroeconomia regionale degli anni 1960 e con la cosiddetta new urban economics avviata negli anni 1970: un approccio necessariamente parziale che non coglie la totalità del fenomeno. Vari sono i temi di cui si occupa l’e. u. e che rientrano in specifici e diversi ambiti. Tra essi, la crescita della città, legata alla sua competitività, alla capacità di esportare beni e servizi, quindi alla presenza di reti; e il tema della rendita fondiaria che nasce, da una parte, dalla dimensione, dalla dinamica e dall’efficienza della città (rendita ‘assoluta’, spalmata su tutto il comprensorio urbano) e, dall’altra, dall’accessibilità e dalla qualità territoriale di ogni singolo luogo interno alla città (rendita ‘differenziale’).
È l’ambito in cui si valutano quei vantaggi che spiegano perché la città esiste, e che discendono dalla densità, dai contatti possibili, dalla dimensione del mercato locale di beni, servizi e lavoro, dalle esternalità positive garantite da infrastrutture e servizi. Queste economie si presentano diversamente in città di diversa dimensione e funzione, e al di là di certe soglie, differenziate, si tramutano in diseconomie capaci di generare crisi e declino.
Sulla scorta del classico modello di J.H. von Thünen (➔) del 1826, rivisitato in chiave urbana da W. Alonso negli anni 1960 e, successivamente, approfondito da M. Fujita, l’ambito delle scelte localizzative di imprese e famiglie è legato all’accessibilità. Essa interpreta, ma anche suggerisce in senso normativo e di ottimizzazione, la collocazione delle diverse attività nella città, generando potenziali localizzativi nei luoghi e conseguenti rendite di posizione.
È il metodo di analisi e descrizione dei rapporti tra attività economiche e territorio, dei movimenti di persone, cose, informazione, di domanda e offerta di servizi di trasporto e comunicazione. I modelli che vengono utilizzati non sono solo interpretativi ma anche direttamente operativi (modello gravitazionale di flusso, modello gravitazionale di potenziale).
Le teorie ‘gerarchiche’ tendono a individuare, all’interno del sistema u. complessivo, una chiave per interpretare i livelli gerarchici delle città: la gerarchia dei centri u. e la gerarchia delle funzioni. ● L’approccio dell’e. u. è teorico, teorico-empirico (econometrico) e operativo (modelli di localizzazione e di trasporto). Gli specialisti della disciplina sono economisti dello spazio, teorici della localizzazione, macroeconomisti, organizzati nella Regional Science Association International, fondata nel 1954 da W. Isard. Studi sui temi dell’e. u. si devono anche ai premi Nobel R.M. Solow (➔) e P.R. Krugman (➔); libri di testo sono stati elaborati da M. Fujita, A. Evans e, in Italia, da R. Camagni.