ecotossicologia e sistema nervoso
Le specie viventi sono esposte quotidianamente a molti composti chimici di sintesi (ma anche ad alcuni naturali) che, di fatto o potenzialmente, interferiscono con la funzionalità del sistema nervoso: numerose evidenze sperimentali ed epidemiologiche indicano come l’uomo e altre specie animali soffrano di effetti negativi conseguenti all’esposizione anche a piccole dosi di tali sostanze. In tempi più recenti, particolare interesse ha suscitato l’osservazione che molti composti di sintesi con struttura analoga a ormoni possono interferire con il sistema nervoso, in partic. durante lo sviluppo. Le sostanze con attività tossica, tra cui si annoverano i bifenili policlorurati, gli organoalogenati, un vasto elenco di pesticidi, i metalli pesanti nonché sostanze naturali (incluse alcune micotossine), sono tra loro molto diversi ma condividono caratteristiche di bioaccumulo nelle catene trofiche, di ubiquitarietà e di alta persistenza temporale negli ecosistemi, in quasi totale assenza di processi di degradazione naturale. A partire dalle prime osservazioni, che vengono da studi naturalistici, è oggi dimostrato come tali sostanze possano influenzare lo sviluppo cerebrale, interferendo direttamente con i processi di proliferazione, migrazione, sinaptogenesi o mielinizzazione o con effetti specifici su neurotrasmettitori e sistemi recettoriali di membrana. Inoltre, agli effetti diretti si possono sommare quelli indiretti, che consistono, per es., nell’interferenza con l’azione di molecole modulatrici della plasticità cerebrale, quali i fattori neurotrofici o gli ormoni steroidei.
La vita fetale, neonatale, infantile e l’adolescenza sono caratterizzate da un’elevata sensibilità ai rischi ambientali: molti inquinanti provocano alterazioni cliniche o subcliniche dello sviluppo neurocomportamentale in assenza di tossicità materna e di embriotossicità, attraverso effetti sottili sul cervello in sviluppo. Questi effetti sono spesso difficili da diagnosticare, e si manifestano solo tardivamente, per es. in età scolare, esitando in disturbi dell’apprendimento, dell’attenzione e dell’emozionalità o in patologie del neurosviluppo quali autismo, disturbo da deficit dell’attenzione e ritardo mentale. Inoltre, anche nel caso che singole sostanze neurotossiche abbiano effetti trascurabili, la combinazione di tali sostanze, insieme ad altri fattori avversi, come lo stress materno o la riduzione della funzionalità tiroidea, può determinare una notevole diminuzione dell’attività cerebrale e predisporre allo sviluppo di malattie degenerative.
Nel contesto sopra descritto acquisisce rilievo la valutazione del rischio per la salute umana e delle specie selvatiche mediante lo sviluppo di modelli adeguati che tengano conto della fisiologia dell’organismo, anche durante lo sviluppo, e delle sue caratteristiche ecoetologiche di suscettibilità all’insulto neurotossico e di possibilità di effetti ritardati. Gli studi di ecotossicologia comportamentale condotti con modelli animali hanno significativamente aumentato la conoscenza dei meccanismi attraverso i quali molti xenobiotici possono influenzare lo sviluppo dell’SNC e del comportamento, richiamando l’attenzione dei clinici e degli epidemiologi sui rischi, erroneamente considerati minori, connessi all’esposizione subtossica a sostanze che agiscono sull’SNC e che raramente producono una tossicità franca se non a dosi molto elevate. L’azione di tali sostanze interessa tipicamente sistemi fisiologici integrati, coinvolgendo il più delle volte funzioni nervose e sistema immunitario, oltre che endocrino. Il sistema endocrino è importante per lo sviluppo del cervello ed è noto a partire dai primi anni Sessanta del 20° sec. come anche piccoli cambiamenti dell’ambiente ormonale del feto durante la gravidanza, provocati, per es., dalla posizione intrauterina, possano influenzare il comportamento socio-sessuale dell’adulto, oltre ad alcuni parametri riproduttivi e morfologici. Il comportamento, quale manifestazione fisica di una risposta integrata della specie vivente all’ambiente, ha un grande potenziale come biomarcatore nello studio degli effetti degli agenti tossici sul sistema nervoso, per valutare il livello di esposizione sufficiente a causare effetti rilevabili e l’effetto cumulativo dell’esposizione prolungata. È stato riportato come l’esposizione perinatale a xenobiotici alteri lo sviluppo neurocomportamentale in una grande varietà di test, anche transgenerazionali, nei roditori e la caratterizzazione fine di elementi comportamentali individuati nell’ambito più generale dei repertori di tali specie ha dimostrato effetti sottili ma significativi. Per es., l’esposizione, a dosi ecologicamente ‘compatibili’, al diserbante atrazina induce alterazioni sottili ma specifiche nel comportamento sociale e nel repertorio emozionale/affettivo nel topo, alterazioni identificabili per altro solo in determinate fasi dello sviluppo.
L’uso di sostanze chimiche da parte dell’uomo, di derivazione naturale o di sintesi, è pratica antica. Tuttavia, il fenomeno ha assunto dimensioni consistenti e allarmanti intorno alla metà del 19° sec., quando l’industria chimica ha iniziato a produrre sostanze create dall’uomo e aventi struttura sconosciuta ai sistemi biologici (sostanze xenobiotiche). Lontano da prognosi ambientali fatalistiche, si è tuttavia creata una condizione nuova e particolare dell’esperienza umana nell’ambiente, dove i prodotti di sintesi derivati dall’attività dell’uomo interferiscono con le stesse menti che li hanno prodotti, oltre che con quelle delle coabitanti, ignare, popolazioni animali. Il che rende quanto meno auspicabile l’adozione del principio di precauzione, almeno per le fasce più vulnerabili delle popolazioni animali e umane.