EDDA
. Il celebre storico, poeta e statista islandese Snorri Sturluson (1178-1241) aveva composto, probabilmente tra il 1222 e il 1231, un manuale di arte poetica, al quale non è certo che egli stesso desse il titolo di Edda, che si trova per la prima volta nel Codex Upsaliensis, copiato circa cinquant'anni dopo la sua morte. Fin verso la metà del sec. XVII quest'opera rimase il più cospicuo documento dell'antica poesia e mitologia nordica. Varie sono le opinioni sull'origine del nome Edda: Eirík Magnússon lo vuol derivato da Oddi, centro della cultura islandese, dove Snorri stesso studiò, più plausibile è l'etimologia da ódhr "canto, poema" (Konrád Gíslason), quindi "arte poetica". L'opera di S.S. si divide in 5 parti: I (formáli "prefazione"), riassunto di storia universale, secondo la tradizione cristiana. II (Gylfaginning "la delusione di Gylfi"), preziose notizie sull'antica mitologia nordica, inserite in un dialogo-cornice tra il re svedese Gylfi e la Trinità di Odino, a lui ignota: con citazioni di strofe e canti. III (Bragarcødhur "sentenze di Bragi", il dio della poesia). IV (Skáldskaparmal "discorso sulla creazione poetica"), il vero e proprio manuale degli skaldi o poeti d'arte contrapposti ai thulir, cantori degl'inni più antichi, anonimi; spiegazione di parole semplici e composte, antiquate o non mai usate nel linguaggio comune, e di numerosi kenningar o perifrasi (per es., Sifs hari, oro, perché la dea Sif aveva i capelli d'oro; benwôndr "ramo delle ferite - spada"; skókr bituls "scuotimorso = cavallo"; queste perifrasi, spesso assai artificiose, sono precipua caratteristica dello stile scaldico): regole di metrica; esemplificazione mediante copiosi estratti e anche intere poesie. V (Háttatal "numero dei metri", minuzioso commento a tre poemetti di S.S. in onore di Haakon re di Norvegia: polimetro in 102 strofe, ma l'ordine dei metri non corrisponde al loro svolgimento storico. S.S. è insieme il più dotto e il più artista degli scrittori islandesi del Medioevo e la sua Edda ne forma il più cospicuo monumento, ammirabile per lo stile sia prosaico sia poetico, ora solenne, ora giocoso, sempre pieno di vita; e preziosa per il contenuto, attinto in massima parte alla tradizione orale; ché solo dopo di lui, e per l'esempio suo, si raccolsero e fissarono con la scrittura quei canti eddici, alcuni dei quali egli riporta nell'opera sua. Quando egli scriveva, il cristianesimo era penetrato in Islanda da due secoli, ma la tenacia e fedeltà con cui le tradizioni pagane si conservavano nell'isola remota, dànno alle pagine di Snorri un valore e un'importanza incalcolabili.
Tra i cultori e gli studiosi dell'antica poesia pagana, tenne posto cospicuo, verso la metà del sec. XVIII, il vescovo islandese Bryniólf Sveinsson, cui si deve la scoperta (1643) di un codice pergamenaceo contenente 29 canti intorno agli dei e agli eroi nordici. A una copia di questo celebre manoscritto (della seconda metà del sec. XIII, ma derivato da un testo più antico, fissato circa il 1200), copia da lui inviata in dono (1662) al re Federico III e passata poi nella Biblioteca reale di Copenaghen, come Codex Regius, il dotto vescovo diede il titolo Saemundar Edda hins Frodha (Edda Saemundi multiscii), attribuendo la composizione o la redazione di quei canti al più famoso fra i dotti islandesi del Medioevo, Saemund (1056-1133), del quale la leggenda aveva fatto una specie di Faust nordico. Poiché nell'Edda di Snorri erano sparsi frammenti di alcuni canti dell'antica raccolta e da alcuni altri appariva derivata la sua narrazione in prosa, lo Sveinsson, e molti dopo di lui, ritennero l'Edda poetica fonte della prosaica e contrapposero quella a questa, Saemund a Snorri. Da che si riconobbero l'erroneità dell'attribuzione a Saemund e la diversa età dei canti dell'Edda, la denominazione di Saemundar fu abbandonata: oggi si parla di Edda in prosa o di Snorra Edda o di Edda recentior, di Edda poetica o di Edda antica Alla giusta interpretazione di ars poetica fu spesso sostituita - e accettata - quella di "avola" o "nonna", accennante all'antichità dei canti e al loro carattere talora quasi fiabesco. Il Codex Regius conta 45 fogli, con una lacuna di 8 fogli dopo il 32°; esso ci ha conservato il maggior numero di canti. Un altro codice pergamenaceo, frammentario, di soli 6 fogli, fa parte della raccolta Arna-Magnaeana nella biblioteca di Copenaghen: di nuovo contiene solo un brano lacunoso: tutti i manoscritti cartacei dell'Edda risalgono a questi due codici. Un terzo posseduto da Snorri Sturluson, è andato perduto. Qualche altro canto, o frammento di canto, ci è conservato per entro la prosa delle saghe islandesi e - come abbiamo visto - nell'Edda Snorra. Un primo nucleo di canti e leggende fu importato, conservato, e accresciuto in Islanda da quei nobili e agricoltori norvegesi che, insofferenti della supremazia del re Harold Hárfagri (il Belchiomato"), si stabilirono nell'isola remota (870-930, nel periodo del "Landnam", o presa di possesso del paese), dove i germi della cultura e della poesia, mantenuti anche dai rapporti con la madrepatria, si svolsero più rigogliosamente che in qualsiasi altra terra germanica nel Medioevo, iniziandosi coi canti eddici, continuando con la fioritura degli scaldi e terminando con la ricca e originale letteratura delle sögur (saghe).
L'antichità dei canti eddici non è molto remota: nel loro insieme si possono assegnare all'800-1250 d. C.; alcuni sono sorti in Norvegia, la maggior parte in Islanda, un paio in Groenlandia. Ma i tratti sono indubbiamente assai antichi; la "cavalleria" non vi appare e lo spirito cristiano vi ha lasciato poche e deboli tracce. Le leggende sembrano in massima parte di origine sud-germanica, importate in Scandinavia e quivi adattate allo spirito nordico, combinandosi tra loro senza riguardo ai tempi e luoghi della loro origine. Dell'antichità di questi miti, e della loro diffusione nel mondo germanico, poco sappiamo; né possiamo accertare quanto sia loro venuto dalle saghe celtiche (irlandesi) e dal cristianesimo. Certo questa mitologia rimase patrimonio vivente degl'Islandesi anche dopo la loro conversione al cristianesimo e gran parte degl'inni sacri fu composta in età post-pagana. Di un'interpretazione naturalistica o rituale non v'è traccia; il senso dei canti era preso alla lettera; e di rado la ricerca moderna riesce a concludere altrimenti; per es., per la Thrymskvidha, che può bene interpretarsi come "mito naturalistico" (analogo all'indiano di Indra e Vrtra).
La lingua islandese medievale è tutt'una con la norvegese; di carattere arcaico, sonora e pittoresca, degno strumento di una poesia già matura, aristocratica, dura, personale (quasi ogni canto ha una fisionomia propria), con scarse formule e senza fronzoli. Di difficile comprensione: talora sembra che all'alto pensiero non sia riuscito di trovare espressione adeguata. Poesia tormentata, senza serenità, senza un vero e proprio "narrare" (Genzmer). Le difficoltà esegetiche derivano anche dalla lunga tradizione orale (per forse più di due secoli), dalle frequenti lacune, dalle corruzioni spesso inemendabili, dalle stesse varianti.
Nella metrica domina il principio dell'ictus e dell'allitterazione. Il metro più antico (fornyrdhislag), usato per i canti epici, corrispondente al verso lungo allitterante germanico, consta di due emistichi (versi brevi) di 4 sillabe ciascuno, con allitterazioni principali e secondarie: le vocali allitterano qualunque siano, le consonanti solo con consonanti uguali. La strofa si compone di 8 versi brevi o 4 lunghi. Il ljódhaháttr, lirico e gnomico, si presenta in strofe di 6 emistichi di varia lunghezza, dei quali il 1°, il 2°, il 4° e il 5°, legati dall'allitterazione, formano un verso. Epico è pure il málaháttr, con strofe di 5 sillabe (irregolare è il metro del Hárbardhsljódh).
Nel Codex Regius, ai canti che celebrano gli dei e ai mitologico-didattici, seguono quelli ricordanti gli eroi, in ordine non rigoroso. Se a questi ultimi gli Anglosassoni e i Germani possono contrapporre i loro poemi epici, l'unica poesia religiosa conservataci del mondo germanico è questa dell'Edda.
Il canto più importante del primo gruppo, e forse di tutta la poesia nordica, è la Váluspä (I), "Profezia della Volva" o "Veggente"; in brevi tratti possenti (sono in tutto 52 strofe), si rievoca il passato, si descrive il presente, si predice l'avvenire. L'autore appartenne forse all'ultimo periodo del paganesimo, del quale vuol mostrare quanto abbia in comune con la nuova fede e anche di quanto le sia spiritualmente superiore.
La più insigne, anche poeticamente, delle tre raccolte sentenziose, è l'Hávamál (II), "I detti dell'Eccelso" (Odino), in 164 strofe, di struttura chiara e acuta, inculcanti una morale pratica utilitaria, senza dei né spiriti, perfino senza il Destino.
Dei canti mitologico-didattici il primo è il Vafthrúdhnismál (III), dialogo di Odino col saggio gigante Vafthrudnir, completante in parte la Völuspá. Segue il Grímnismál (IV), monologo di Odino, elencante gli splendori del suo regno. La serie delle "invettive i (che hanno un posto cospicuo anche nelle saghe) è aperta dalla Lokasenna (V), "Disputa di Loki" (con gli altri dei) nella quale il maligno Loki scopre tutte le magagne dell'Olimpo nordico. Nell'Alvíssmál (VI), il nano Alvís (Onnisciente") chiede a Thor la figlia in sposa. Gliela concederà se gli enumererà i nomi che le varie categorie di esseri umani e divini dànno alla terra, al cielo, alla luna, al sole, alle nubi, al vento, all'aria, al mare, al fuoco, al bosco, alla notte, all'orzo, alla birra. A tuttti risponde il nano: ma giunto all'ultimo quesito, si è fatto giorno: e, secondo la regola magica, gli esseri sotterranei sorpresi dalla luce del giorno, si traslormano in sasso! L'idea di questo "vocabolario poetico" in versi mostra la tendenza linguistico-erudita dell'Islanda di circa il 1200. Una delle più belle ballate della poesia eddica è la Thrymskvidha (VII), "Il racconto di Thrym": narrazione rapida e faceta dell'astuzia di Thor, che, travestito da donna, riprende il martello rubatogli dal gigante Thrym, che uccide.
Lo Skirnisfor (VIII) descrive il viaggio di Skirnir dal gigante Gynnir, per ottenerne la figlia Gud in sposa al dio Freyr. Simile, e pur fondamentalmente dissimile dalla Lokasänna, è lo Hárbardsljódh (IX), "Il canto di H.", che ci presenta in vivo contrasto i due dei tipici dell'Olimpo nordico: Thor, rozzo, contadinesco, bonario ammazzagiganti; Odino mondano, maligno, guerriero e donnaiolo. La Völundarkvidha (X) ci offre la più antica versione della leggenda del fabbro magico Völund (il Wieland della poesia cavalleresca medievale): la vendetta che Völund prende del re Nidud e de' suoi. Ben quindici canti si riferiscono, più o meno direttamente, a una saga diffusa tra i popoli teutonici e probabilmente cantata dai thulir, e in parte poi dagli skaldi, in unità poetica, di cui questi canti appaiono frammenti: la saga dei Volsunghi, materia di racconto ai narratori islandesi, fondamento del Conto dei Nibelunghi germanico, vivificata nell'età moderna dal genio di L. Hebbel e di R. Wagner.
Il Reginsmál (XI), forse composto di due parti, poi riaccostate insieme: l'antefatto e la maledizione dell'"Oro del Reno", l'uccisione di Fafnir e Regin per mano di Sigurd (Sigfrido), che così viene in possesso del tesoro e parte per nuove imprese. Versi gravi e possenti, certo dell'età pagana. L'uccisione del drago Fafnir è narrata separatamente nel Fáfnismál (XII), contenente anche una serie di strofe didattiche, sui fausti e infausti presagi nei combattimenti. Nel Sigrdrífumál (XIII) Sigurd risveglia la valchiria Sigrdrifa (datrice di Vittoria, poi identificata con Brynhild): nota il solenne, magnifico lirismo delle strofe 5-4, che sembrano quasi riecheggiare i rapimenti del cantore vedico dinanzi agli splendori di Ushas. Dalla più antica versione nordica della saga di Sigurd e Brynhild ci resta solo il "frammento" (Brot) della Sigurdharkvidha en forna (XIV), "La narrazione antica di Sigurd": racconto semplice e angoloso, con molti sottintesi, di arte ancora imperfetta; la lacuna del Codex Regius ci ha privato della prima metà del canto, cui supplisce in parte la riduzione della Volsungasaga. La stessa saga è adattata allo spirito di tempi nuovi nella Sigurdharkvida in skamma (XV), "La breve narrazione di Sigurd": segue la versione che fa Sigurd ucciso nel suo letto, dove riposa accanto a Gudrun. Il poeta è grande nei due monologhi di Brynhild (str. 6-7 e 9) e nella chiusa del canto. Seguono quattro "canti episodici". La Gudhrúnarkvidha I (XVI) ci presenta Gudrun dinanzi alla salma di Siguid. Impietrita e muta dal dolore, non può piangere. Invano nobili dame, orbate di tutti i loro cari, ricordano le loro sventure. Ma quando una di esse discopre la salma dell'eroe, e Gudrun vede le chiome intrise di sangue, spenti gli occhi luminosi, trafitto il "castello del coraggio" (il petto), scoppia finalmente in pianto ed esalta l'amore perduto e impreca ai fratelli uccisori e fedifraghi. Il canto termina con un'aspra rampogna di Brynhild, rimbeccata da Gullrönd. "Idillio eroico che svolge un problema psichico" (Genzmer).
Secondo una brevissima didascalia in prosa, nella Gudhrúnarkvidha II (XVII), Gudrun, alla corte di Atli, racconta a Thiodrek (Teodorico da Verona) le sue dolorose vicende. Non mancano strofe piene di poesia; ed è nuovo il motivo psicologico per cui Gudrun si decide, benché riluttante e non presentendone nulla di buono, alle nozze con Atli (= Attila).
Nella Gudhrúnarkvidha III (XVIII) Gudrun, accusata da Herkja (Helche), prima moglie e poi, quand'egli ebbe sposata Gudrun, concubina di Atli, di aver commesso adulterio con Thiodrek, si dimostra innocente mediante un "giudizio di Dio". Nel breve canto (10 strofe) compaiono, unico esempio nell'Edda, due personaggi del ciclo eroico tedesco, Teodorico e Helche.
Nella Helreid Brynhildar (XIX) "La discesa di Brynhild nel mondo sotterraneo", Brynhild narra, a propria giustificazione, alla gigantessa che le impedisce il cammino verso la Hel, come essa lu ingannata da Sigurd.
L'ultima parte della saga, la caduta dei principi burgundi (Gibicunghi) per mezzo di Atli e la vendetta che di lui prende Gudrun, è rappresentata da due canti, dei quali l'uno è ampio e tardo rifacimento dell'altro: Atlakvidha in groenlendska (XX) "Narrazione groenlandese intorno ad Attila"; ineguale di stile ma di notevole impeto lirico; Atlamél in groenlendsko (XXI), il più lungo dei canti eddici (105 strofe), di crasso e rude realismo (frequente nelle sögur islandesi), ma in cui di tanto in tanto traducono lampi di poesia.
A più tarde vicende accennano altri tre canti: Gudhrúnarhvöt (XXII) "L'eccitazione di Gudrun": partiti i suoi ultimi figli, votati alla morte, essa ripensa la vita passata, stanca e desiderosa della pace eterna. Ed ha la grande idea di morire sul rogo, accanto all'ombra del primo e unicamente amato marito, come già la rivale Brynhild. Le due ultime strofe - osserva il Genzmer - "esprimono con sorprendente immediatezza il Weltschmerz di questa era più giovane".
Hamdismál (XXIII): Jörmuntek (Ermanrico), re dei Goti, aveva fatto impiccare il proprio figlio e calpestare a morte dai cavalli la sua seconda moglie, accusata di adulterio col figliastro. Dopo un accenno a questo antefatto, il canto narra la tentata uccisione di Jörmunrek per mano di Hamdir e Sörli, fratellastri di sua moglie, nati dal matrimonio di Gudrun con Jonakr, ai quali si unisce il giovanetto Erp, loro fratellastro (nato dall'unione di Jonakr con una concubina): prima però, di giungere dai Goti, esso viene ucciso dai fratellaatri, offesi da una sua sarcastica parola (strofe 17-18). L'impresa fallisce, nonostante il valore dei prodi: Jörmunrek, intuita l'inviolabilità delle loro corazze, ordina che siano lapidati; così, privi dell'aiuto di Erp che doveva troncare il capo al re goto, cadono fra i guerrieri trafitti. Canto cupo, spirante l'ineluttabilità della vendetta: frammmtario (certo mutilo) e ineguale di stile e metrica. Da racconti posteriori se ne ricostruisce lo svolgimento.
Oddrúnargrátr (XXIV), "Il lamento di Oddrun". Al canto precede una didascalia: "Il re Heidrek aveva una figlia, Borgny, amata da Vilmundr. Non poteva partorire, finché non fosse venuta da lei (per assisterla) Oddrun, sorella di Atli, che s'era innamorata di Gunnar, figlio di Gjuki". Dopo che Borgny si è sgravata di due gemelli, Oddrun lamenta la sua sorte e narra di Brynhild, di Atli e della strage dei Gjukunghi.
Grípisspá (XXV) da tutti i critici ritenuto il più recente tra i canti eddici: del periodo in cui essi furono fissati con la scrittura, dopo il 1200. È composto di 5 canti su Sigurd, indipendenti e per la prima volta incastrati in una specie di racconto-cornice. Sigurd giovanetto fa visita allo zio Gripir, che gli predice le gesta che compirà e l'uccisione per mano dei Gibicunghi (!). Profezia monotona e di assai cattivo gusto.
A un ciclo di canti di fonte nordica (e non sud-germanica come i precedenti) si riferiscono: Helgakvidha Hundingsbana II (XXVI), "Narrazione di Helgi uccisore di Hunding", in quattro episodî diversi (l'ultimo ci offre la forma nordica della leggenda della Lenore bürgeriana) e il rifacimento (XXVII) dello stesso titolo Helgakv. Hund. I. Cli eventi successivi, sino alla morte di Helgi, sono narrati, in tre distinti episodî, nella Helgakvidha Hjörvardsonar (XXVIII). La differenza tra lo stile pomposo degli scaldi e la semplicità dell'arcaica Thrymskvidha, si nota nella Hymiskvidha (XXIX), che narra il viaggio di Thor dal gigante Hymir, forse utilizzando anche frammenti antichi.
Bibl.: a) Edda antica: Norran fornkavadhí, ed. S. Bugge, Cristiania 1867 (ediz. fondamentale). - Edizione fototipica del Codex Regius, a cura di L. Wimmer e F. Jonsson, Copenaghen 1891; ed. K. Hildebrandt, Paderborn 1873 e 1904, col Dizionario di H. Gering, 3ª ed., Halle 1907; ed. B. Sijmons, I, Text, Halle 1888-1901 (ottima ediz., con una copiosa bibliografia di studî critici e monografie); II, Wörterbuch (di H. Gering), 1903; ed. G. Neckel, I, Text, II, Kommentierendes Glossar, Heidelberg 1927. - Buoni manuali nella Sammalung Göschen, Lipsia s. a.; W. Ranisch, Eddalieder. Grammatik, Übersetzung und Erläuterungen, 1893; W. Golther, Nordische Literaturgeschichte, I, 1905; O. L. Jiriczek, Die deutsche Heldensage, 1902; A. Heusler e W. Ranisch, Eddica minora, Dortmund 1903; G. Neckel, Beiträge zur Eddaforschung, Dortmund 1908; E. Noreen, Den norsk-isländska poesien, Oslo 1926. Comprende anche la poesia degli scaldi il Corpus Poeticum Boreale di G. Vigfusson, voll. 2, Oxford 1883. - Grammatiche: A. Noreen, Altnordische Grammatik, I, 2ª ed., Halle 1892; B. Kahle, Altisländisches Elementarbuch, Heidelberg 1896. - Dalle molte traduzioni ricordiamo solo, come più fedele alla lettera e allo spirito dell'originale, con ottime introduzioni e analisi, la tedesca di F. Genzmer, Edda, I, II, Jena 1912 e 1922 "Thule" 1-2). - b) Edda Snorra: editio princeps, nella collezione Arnamagnaeana, voll. 3, Copenaghen 1848-1887, edizione critica a cura di f. Jónsson, Copenaghen 1910 e Reykjavik 1907; trad. di G. Neckel e F. Niedner, Jena 1825 "Thule", 20). Gli studî eddici in Italia non hanno finora speciali cultori. I. Pizzi tradusse Il canto di Atli nella sua Antologia epica, 2ª ed., Torino 1891. V. inoltre T. Cannizzaro, in Fiori d'oltralpe, Messina 1882-93; una traduzione metrica della Thrymskvidha, in Manuale di letterature stran. di G. Mazzoni e P. E. Pavolini, Firenze. V. anche islanda, letteratura.