Vedi EDESSA dell'anno: 1960 - 1994
EDESSA (v. vol. III, p. 211)
L'intensificarsi delle ricerche ha consentito, innanzitutto, qualche precisazione (o nuova riflessione) sulla storia politica e religiosa. Fra i culti pagani, notevole rilievo ha quello di Atargatis; per quanto riguarda, invece, la conversione al cristianesimo dei re di E., non è da escludere che questa sia avvenuta prima di Abgar VIII, e cioè con Abgar V Ukama («il Nero»), protagonista, secondo la leggenda, di scambi di lettere con Gesù e allievo dell'apostolo Addai.
Per quanto riguarda i monumenti, se ne possono aggiungere alcuni a quelli già noti. Nel cortile interno della vecchia moschea (Ulu Carni) si trovano alcuni capitelli antichi, probabilmente di una chiesa del IV sec. che aveva preceduto la moschea stessa.
Sono state meglio indagate, inoltre, le grotte funerarie nelle valli attorno a E. (usate oggi come abitazioni) che mostrano resti di sculture tombali: figure alate di Psiche, un tritone, una Vittoria alata appoggiata a una colonna, una coppia abbracciata e un grifone. L'esecuzione è alquanto rozza e il lavoro è stato eseguito localmente su esempi greco-romani. Vi sono anche stele con figure di defunti in costumi locali tradizionali: gli uomini col berretto frigio, le donne con l'alto copricapo su cui si portava il velo.
Molte tombe hanno sulla parete di fondo dell'arcosolio principale un rilievo con il c.d. banchetto funebre, una rappresentazione del pater familias circondato dalla sua famiglia, come immagine augurale di fortuna e prosperità terrena: questa raffigurazione è molto frequente nell'arte funeraria di Palmira. Su alcune stele sono raffigurate una cesta o un'aquila o ambedue insieme. Il tutto è circondato da ghirlande, generalmente con un'iscrizione in greco recante il nome (o i nomi) del defunto (o dei defunti), mentre al di sopra si trova un frontoncino triangolare con una rosetta al centro. Questo tipo è conosciuto anche al di fuori di E., p.es. a Seleucia sull'Eufrate. Contrariamente a quanto a suo tempo proposto dall'interpretazione mistica e astrale di F. Cumont, l'aquila è l'animale che simboleggia l'uomo mentre il paniere simboleggia la donna.
Il pavimento delle grotte funerarie dei notabili di E. era spesso coperto da un mosaico. A seguito di ritrovamenti fortuiti, sono noti fino a oggi undici mosaici, alcuni solamente attraverso disegni, andati quasi tutti perduti o ridotti in frammenti perché venduti clandestinamente. Alcuni di questi, inediti, sono arrivati tramite il mercato antiquario in musei o in collezioni private. I mosaici noti sono: 1. mosaico di Zenodora (disegno); 2. mosaico di Aphtuha (museo di Istanbul); 3. mosaico di Belai bar Gusai (disegno); 4. mosaico con ritratto di famiglia (perduto); 5. mosaico con tripode (frammenti nel museo di Istanbul); 6. mosaico con fenice (perduto); 7. mosaico di Orfeo (perduto); 8. mosaico con banchetto funebre (frammenti sul mercato antiquario); 9. mosaico degli animali (in parte conservato nel museo di Urfa e in parte in una collezione privata); 10. mosaico con stella geometrica (perduto?); 11. mosaico con Abgar bar Ma'nu, probabilmente re Abgar VIII (perduto? v. Balty, 1981). Tutti i mosaici presentano iscrizioni siriache e alcuni sono datati. Tutti, comunque, risalgono al tempo in cui E. era una colonia romana e subirono certamente l'influenza di Antiochia. Infatti un'ampia serie di mosaici funerari, piuttosto omogenei, è stata rinvenuta in un'area che da Antiochia si sviluppa verso oriente: a Seleucia sull'Eufrate, a Mas'udiye, ad Adana e a Gaziantep.
I mosaici di E. risalgono probabilmente a un unico atelier, e presentano motivi classici, tra cui la Fenice, Orfeo, le stelle e gli animali, ma anche caratteristiche stilistiche dell'arte partica, come nei gruppi familiari, nel banchetto funebre, e in alcuni ritratti, come p.es. quello di Abgar bar Ma'nu. Coloro che materialmente componevano il mosaico erano molto probabilmente artigiani di E. stessa, che lavoravano con cartoni da cui ricavavano i motivi «occidentali», talvolta con adattamenti «locali» (presumibilmente suggeriti dai committenti). Modi analoghi di lavorare sono stati riscontrati nell'arte di Palmira e in altre città. Qualcosa di simile si nota anche sulle monete di E.: i ritratti degli imperatori romani sono riprodotti abbastanza fedelmente da esempi «occidentali», talvolta con lievi varianti, ma i re locali come Abgar e Ma'nu sono ritratti secondo la tradizione partica.
Un notevole complesso di rovine è situato a Sumatar Arabesi, 60 km a SO di E., sulla catena dei monti Tektek: su un picco centrale sono raffigurati in un rilievo Sin Marelahē («Sin Signore degli Dei») e un funzionario locale (?) in vesti partiche. Sulla sommità della montagna, che era luogo di culto del dio della luna Sin, sono incise alcune iscrizioni. A varie distanze dal picco centrale si trovano opere architettoniche di pianta diversa, rotonda, quadrata o rettangolare, che servivano come tombe dei «Signori di 'Arab» (cioè Signori della Steppa), che avevano sede a Sumatar e dipendevano politicamente da Edessa. In una grotta vicina, visitata per la prima volta da H. Pognon, si celebrava la loro investitura sotto l'egida del dio Sin, il cui emblema è raffigurato nella grotta stessa. I Signori di 'Arab erano i capi degli abitanti arabi delle steppe e allo stesso tempo sacerdoti di Sin, con titolo di bwdar. Le opere architettoniche di Sumatar non sono quindi i templi degli dei planetari, come J. B. Segai supponeva, mettendole in relazione con i Sabî di Ḥarrān venuti dopo, bensì tombe. Le iscrizioni sulla montagna centrale riflettono gli avvenimenti politici di E. nel periodo dal 163 al 165 d.C. quando Wa'el bar Sahru sedeva sul trono in rappresentanza dei Parti.
Del periodo cristiano non abbiamo quasi nessun monumento. Nella Doctrina Addai viene citato spesso un ritratto di Gesù dipinto dall'archivista Ḥanan e portato al re Abgar. Questo ritratto però non ha quasi nessuna relazione con la posteriore e famosa icona «acheiropòietos» di E., citata per la prima volta da Evagrio (Hist. Eccl., IV, 27) alla fine del i VI sec., che la mise in relazione con l'assedio posto da Cosroe del 544. Questa icona avrebbe salvato la città in modo miracoloso ed era tenuta in grande venerazione. Nel 944 fu portata a Costantinopoli ed era ancora là nel 1204 quando i Crociati entrarono nella città. Fu poi portata a Parigi probabilmente nel 1247 con altre reliquie, e collocata nella Sainte Chapelle, ma andò perduta durante la Rivoluzione Francese: innumerevoli copie ne ricordano però l'antica fama.
Delle chiese cristiane di E. non è rimasto praticamente nulla. La famosa cattedrale fatta ricostruire da Giustiniano sul luogo di una precedente, distrutta da una piena del Daisan, era accanto alle sorgenti ai piedi della cittadella. La sua architettura ricordava, per quanto ci consta, quella ben più nota di Santa Sofia, anch'essa ricostruita da Giustiniano a Costantinopoli. Giustiniano fece anche deviare il corso del Daisan, restaurò la cittadella e le mura di cinta. Sono conservate ancora oggi alcune parti di queste mura e di quelle di Amida (Diyarbakır).
In definitiva, le testimonianze storiche, artistiche e religiose (pagane e cristiane) di cui disponiamo, pur non abbondanti, contribuiscono a delineare il quadro di una città in cui influssi orientali e influssi occidentali si sono continuamente intrecciati, dando luogo a una peculiare simbiosi.
Bibl.: H. J. W. Drijvers, Bardaisan of Edessa, in Studia Semitica Neerlandica, VI, Assen 1966; J. B. Segai, Edessa 'the Blessed City', Oxford 1970 (con bibl.); H. J. W. Drijvers, Old-Syriac (Edessean) Inscriptions, Leida 1972; id., Some New Syriac Inscriptions and Archaeological Finds from Edessa and Sumatar Harabesi, in Bulletin of the School of Oriental and African Studies, XXXVI, 1973, pp. 1-14; id., Hatra, Palmyra und Edessa. Die Städte der syrisch-mesopotamischen Wüste in politischer, kulturgeschichtlicher und religionsgeschichtlicher Beleuchtung, in ANRW, II, 8, 1977, pp. 799-906; Κ. Parlasca, Römische Grabreliefs aus der Südosttürkei, in Proceedings of the ioth International Congress of Classical Archaeology, Ankara-Izmir 1973, Ankara 1978, pp. 305-309; H. J. W. Drijvers, Cults and Beliefs at Edessa (EPRO, LXXXII), Leida 1980 (con bibl.), id., Ein neuentdecktes edessenisches Grabmosaik, in AW, XII, 1981, 3, pp. 17-20; id., A Tomb for the Life of a King. A Recently Discovered Edessene Mosaic with a Portrait of King Abgar the Great, in Muséon, XCV, 1982, pp. 167-189; K. Parlasca, Neues zu den Mosaiken von Edessa und Seleukeia am Euphrat, in R. Farioli Campanati (ed.), III Colloquio internazionale sul mosaico antico, Ravenna 1980, Ravenna 1983, pp. 227-234; Κ. E. McVey, The Domed Church as Microcosm: Literary Roots of an Architectural Symbol, in DOP, XXXVII, 1983, pp. 91-121; A. Cameron, The History of the Image of Edessa: The Telling of a Story, in Okeanos. Essays Presented to I. Ševčenko (Harvard Ukrainian Studies, VII),Cambridge 1984, pp. 80-94; H. J. W. Drijvers, East of Antioch. Studies in Early Syriac Christianity, Londra 1984.
Per un confronto con le sculture di Seleucia sull'Eufrate: j. Wagner, Seleucia am Euphrat/Zeugma, Wiesbaden 1976, p. 173 ss. - Per i mosaici: J. Balty, La mosaïque antique au Proche-Orient, I, in ANRW, II, 12, 2, 1981, pp. 387-390. - Confronti: Κ. Parlasca, Das Mosaik von Mas udije aus dem Jahre 228-229 n. Chr., in DaM, I, 1983, pp. 263-267. - Per le monete: P. Naster, Déformation des effigies impériales romaines sur les monnaies du Nord de la Mésopotamie (fin du IIe-milieu du IIIe siècle), in Mélanges J. B. Colbert de Beaulieu, Parigi 1987, pp. 665-669.