Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Dotato di capacità eccezionali e, allo stesso tempo, di un temperamento morboso – quasi folle, nei momenti di sconsiderata esaltazione – Edgar Allan Poe sembra incarnare col suo modo di vivere quella "unità di effetti" da lui sostenuta in campo letterario, e alla quale concorrono inaudite sofferenze dell’anima e del corpo, e la sempre presente tentazione del suicidio. Ovviamente eroico.
La nascita e gli inizi
La vita di Edgar Allan Poe somiglia per molti versi alla trama di un racconto dell’orrore. Desolazione e talora miseria, abbrutimento fisico e disperazione, aristocratico coraggio e inettitudine sul piano pratico contraddistinguono un’esistenza vissuta all’insegna dell’orgoglio e fanno di lui, in America, l’antesignano di quelli che saranno chiamati, in Francia, "i poeti maledetti".
Figlio di attori di una compagnia di giro, Edgar Poe nasce a Boston il 19 gennaio 1809 e perde la madre a soli tre anni, quando anche il padre è da tempo scomparso nel nulla. Accolto senza essere legalmente adottato nella casa di John Allan, un ricco mercante di Richmond, il piccolo Edgar viene a trovarsi in una condizione emotivamente difficile. Vive la vita di un figlio di famiglia abbiente, che peraltro per certi versi lo vizia, ma avverte allo stesso tempo un persistente e quasi patologico senso di estraneità rispetto alle persone che gli stanno attorno. Il suo modo di pensare e di comportarsi, nel corso dell’intera esistenza e in buona parte della sua opera, saranno infatti quelli di un orfano: di una persona per la quale nessun dono e nessun risultato possono mai apparire acquisiti e sicuri.
Edgar Poe segue la famiglia Allan in Inghilterra e frequenta ottime scuole tra il 1815 e il 1820. Quando torna in America studia per un breve periodo nella University of Virginia, di recente fondata, ma il suo comportamento scorretto – alcol e debiti di gioco – costringono il protettore-patrigno a richiamarlo in famiglia. Lasciati gli Allan, Poe cerca a Baltimora qualche traccia dei genitori naturali e quindi si trasferisce nella città natale, dove pubblica a proprie spese, nel 1827, Tamerlano e altre poesie (Tamerlane and Other Poems), che firma non con il proprio nome ma semplicemente come "opera di un bostoniano". Il poemetto che dà il titolo al volume è una reinterpretazione in chiave romantica – à la Byron – della storia resa famosa in epoca elisabettiana da Christopher Marlowe. Dopo due anni come volontario nell’esercito, dove si arruola come Edgar A. Perry, Poe pubblica a Baltimora un secondo volume, Al Aaraf, Tamerlano e altre poesie minori (Al Aaraf, Tamerlane, and Minor Poems, 1829), che, al pari del primo, non porta né quattrini né fama.
Morta la madre adottiva con la quale aveva un tenero rapporto affettivo, Poe, con l’aiuto di Allan, entra all’accademia militare di West Point (1830) dove pensa di fare carriera. Il posto, però, non gli piace e fa in modo di farsi espellere, rompendo così definitivamente i rapporti con il suo protettore. Inizia così un’esistenza che fino all’ultimo giorno sarà schiacciata tra l’incudine della povertà e il martello della paura. Né come scrittore né come editore, Poe guadagnerà mai abbastanza per essere tranquillo e ci saranno momenti in cui non avrà i soldi per comprarsi da mangiare.
La vita dura dello scrittore
Nel 1831 va a vivere a Baltimora, con due parenti ritrovate, Maria Poe Clemm e la di lei figlia, Virginia. Pubblica con l’aiuto dei suoi ex commilitoni un nuovo libro che si intitola Poems e contiene la prima versione di To Helen e Israfel. Non è un completo insuccesso, ma per trovare una via d’uscita alle proprie misere condizioni Poe si mette a scrivere racconti dell’orrore per il "Saturday Courier" (1832 e il 1833). Ottiene un certo successo e vince anche un premio di 100 dollari. Nel 1835 ritorna a Richmond e trova impiego come vice redattore al "Southern Literary Messenger". Lo stipendio è da fame (540 dollari all’anno sono pochi anche all’epoca), ma è ormai uno scrittore che si fa notare come critico di alto livello. Nessun altro in tutto il Paese è in grado di mettere insieme una recensione con tanta dottrina e tanto acume, e solo questo basterebbe per assicurargli un posto importante nella storia della cultura americana.
Nel 1836 Poe sposa in segreto la cugina Virginia, tredicenne, e si trasferisce a New York, dove per un paio d’anni vive alla giornata, sempre nell’ambiente dell’editoria. Nel 1837 pubblica le prime due puntate di Le avventure di Gordon Pym ( The Narrative of Arthur Gordon Pym) sul "Messenger" e il resto su "Harper’s" (1838). È la composizione in prosa più lunga che Poe abbia mai scritto, ed è la storia di un ragazzo imbarcatosi su di una baleniera come clandestino, che sopravvive a mille disavventure – ammutinamenti, inauditi gesti di ferocia e crudeltà, atti di cannibalismo, fughe e inseguimenti – e che alla fine approda in Antartide. Slegato nell’intreccio, Gordon Pym è basato su fatti realmente accaduti e nella prima edizione appare come una raccolta messa insieme da Poe come semplice curatore e non come autore. È però un’opera importante che attira l’attenzione di Herman Melville.
Nel 1838 Poe si trasferisce a Philadelphia e l’anno seguente ottiene finalmente un lavoro fisso come redattore del "Burton’s Gentleman’s Magazine". In quello stesso anno appare il volume Racconti del grottesco e dell’arabesco (Tales of Grotesque and Arabesque), che gli frutta come sola ricompensa una ventina di copie gratuite, ma non ha alcun successo. Come scrittore è al massimo delle capacità creative e il libro contiene tre racconti che diventeranno famosi: Ligeia, La caduta della casa Usher (The Fall of the House of Usher) e William Wilson.
Già apparso sulla rivista "American Museum" di Baltimora (1838), Ligeia è la storia di una reincarnazione – o forse di un’allucinazione dovuta all’uso di droghe da parte di chi racconta la storia – e si muove attorno a un problema, o dilemma, caro alla fantasia di Poe: la possibilità o meno di conservare il proprio senso di identità dopo la morte. La caduta della casa Usher è ambientato in un castello e riguarda il tema, anch’esso ossessivamente presente in Poe, della sepolta viva. Protagonisti sono Roderick Usher e la gemella Madeleine, che rappresentano due aspetti – quello mentale e quello emotivo – di una medesima anima; mentre la vecchia dimora, destinata a cadere e inabissarsi nel vicino stagno, è il simbolo di un corpo attratto dalle forze della distruzione e del caos. Il terzo racconto, William Wilson (che fornisce peraltro a Robert Louis Stevenson lo spunto per scrivere Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde), è la storia di un personaggio il cui alter ego, fin dall’infanzia, è un istigatore maligno che finisce per uccidere, uccidendo in tal modo anche se stesso.
La maturità e la fine
Licenziato per ubriachezza dall’editore del "Burton’s Gentleman’s Magazine", che comunque al momento di cedere la rivista lo raccomanda al nuovo proprietario, George Graham, Poe conosce, a partire dal 1840, un periodo di relativa prosperità e ha successo presso i lettori con articoli di crittografia e grafologia. Ma è un uomo ambizioso e inquieto. Nel 1844 va a vivere a New York, dove lavora per il "Sunday Times" e quello che segue è il suo annus mirabilis. Pubblica Il corvo (The Raven, 1845) sulla "American Review" suscitando una notevole sensazione e con i soldi che guadagna in un giro di conferenze decide mettere in piedi un mensile, "The Stylus", che però non vedrà mai la luce nonostante gli sforzi che profonderà fino al suo ultimo giorno di vita. Diventa comunque la firma più importante tra i recensori del settimanale "Broadway Journal". Evert A. Duyckinck, personaggio assai influente nell’editoria e grande amico di Melville, lo aiuta a pubblicare presso Wiley & Putnam una scelta di racconti e un volume di poesie, Il corvo e altre poesie (The Raven and Other Poems).
Poe è finalmente uno scrittore famoso. Acquista la testata del "Broadway Journal" che però all’inizio del 1846 fallisce. La morte della moglie Virginia, uccisa dalla tubercolosi a nemmeno vent’anni nel gennaio 1847, lo fa precipitare in un abisso dal quale si solleva solo per brevi intervalli. Spesso malato e forse affetto da una lesione al cervello, lavora a un "poema in prosa", Eureka, in cui, partendo dalle teorie di Newton e Laplace, presenta un’immagine dell’universo come un tutt’uno di natura spirituale e materiale. Subito dopo scrive Ulalume, che, secondo Mallarmé, è "la più originale e misteriosamente suggestiva tra tutte le sue opere", il punto d’avvio nell’elaborazione delle idee.
Poe muore in circostanze tuttora in parte misteriose, a soli 40 anni, nel 1849.
L’uomo e il poeta
A richiamare l’attenzione del pubblico e di molti scrittori americani su Poe sono i versi scritti nell’ultimo periodo, soprattutto le 18 strofe del Corvo, che lo rendono famoso anche sul piano internazionale. È però significativo che l’anno dopo la sua pubblicazione Poe avverta la necessità di scrivere un testo in prosa, La filosofia della composizione (The Philosophy of Composition, 1846), con il quale illustra la genesi del poemetto e allo stesso tempo rivela che forse la sua vocazione più vera è quella del critico. E come tale Poe si è sempre avvalso delle idee provenienti dai trattati di estetica scozzesi di fine Settecento, rivisti alla luce delle opere di A. W. Schlegel e S. T. Coleridge. Ma il suo modo di porsi – tagliente e aggressivo come quello dei recensori che vanno per la maggiore sulle riviste inglesi – in America non è sempre ben visto ed è spesso motivo di dissidio con i proprietari delle testate per cui Poe lavora, i quali sospettano che la sua esuberanza sia dettata da antipatie e simpatie arbitrarie nei confronti degli scrittori che recensisce.
Edgar Allan Poe
Le avventure di Arthur Gordon Pym
Mi chiamo Arthur Gordon Pym. Mio padre era un rispettabile commerciante in articoli marittimi a Nantucket, dove io sono nato. Il mio nonno materno faceva l’avvocato e vantava una buona clientela. Era fortunato in tutto e aveva investito con notevole successo nei titoli di quella che un tempo si chiamava la Edgarton New Bank. Grazie a questo e ad altri mezzi era riuscito a metter da parte una discreta somma di denaro. Credo che fosse affezionato a me più che a chiunque altro al mondo, e alla sua morte speravo di ereditare gran parte dei suoi beni. A sei anni mi spedì alla scuola del vecchio signor Ricketts, un eccentrico gentiluomo che aveva un braccio solo – certamente chiunque sia stato a New Bedford lo conoscerà bene. Frequentai quella scuola fino all’età di sedici anni e poi mi trasferii all’accademia del signor E. Ronald, sulla collina. Lì divenni intimo amico del figlio del signor Barnard, un capitano che d’abitudine solcava i mari alle dipendenze della Lloyd e Vredenburgh – anche il signor Barnard è conosciuto a New Bedford e conta, di questo sono sicuro, molti parenti a Edgarton. Suo figlio, di nome Augustus, aveva quasi due anni più di me. Insieme al padre aveva partecipato a una spedizione sulla baleniera John Donaldson, e mi raccontava sempre delle sue avventure nel Pacifico meridionale.
Edgar Allan Poe, Il racconto di Arthur Gordon Pym, a cura di F. Binni e R. Cagliero, Milano, Garzanti, 2003
Edgar Allan Poe
La caduta della Casa Usher
Per un intero giorno, caliginoso, taciturno e spento, un giorno autunnale, greve di basse nuvole, avevo proceduto, solo, a cavallo, per una campagna sommamente tetra; e, con le ombre lunghe della sera, ero giunto, alla fine, in vista della malinconica Casa degli Usher. Non appena scorsi l’edificio, mi invase l’anima un sentimento di intollerabili tenebre, di cui non potrei dar ragione. Intollerabili, dico; poiché non medicava il sentimento nessuno di quegli affetti, cattivanti perché poetici, con cui la mente per solito accoglie le piú crude immagini del terribile e della desolazione. Contemplavo il luogo: quella casa, il nudo disegno del paesaggio, le mura spoglie, le aggrovigliate càrici, i radi, decidui tronchi; e pativo uno sfinimento dell’anima, che non posso paragonare a nessuna sensazione terrestre, se non al ridestarsi dell’oppiomane dal fasto dei suoi sogni: il tristo precipizio nella vita quotidiana, l’orrore del velo che cade. Era gelido il cuore, affranto, infermo; tetra, sconsolata meditazione, che nessuna sevizia dell’immaginazione poteva adizzare al sentimento del sublime. Che mai dunque - sostai a meditare - che mai dunque a tal punto mi stremava mentre contemplavo la Casa degli Usher? Insolubile mistero...
Edgar Allan Poe, I racconti, trad. it. di G. Manganelli, Torino, Einaudi, 2009
L’opera di Poe non è mai stata oggetto di valutazioni unanimi. Poeti di prim’ordine come Alfred Tennyson e W. B. Yeats lo lodano; i simbolisti francesi, specialmente Baudelaire e Mallarmé, lo giudicano un maestro; ma Emerson lo considera poco più di uno stornellatore – tante rime e poco altro; mentre Whitman, pur prendendolo sul serio, scrive che i suoi versi sono sicuramente elettrici – briosi e abbaglianti – ma privi di calore. Giudizi diversi che riflettono le differenze di opinione, nelle varie epoche, sulla natura e gli scopi dell’arte. E se i principi estetici di Poe nell’insieme sono coerenti, è anche vero che le sue convinzioni generali sono molto lontane da quelle della maggioranza degli scrittori americani suoi contemporanei.
Poe mostra infatti scarso interesse sia per la teologia (a differenza di Hawthorne e Melville), sia per una forma qualsiasi di religione (a differenza dei trascendentalisti) ed è apertamente contrario al sistema democratico e ai progetti di riforma sociale – abolizione della schiavitù compresa – allora in gran voga in America. I suoi atteggiamenti da aristocratico sudista hanno talora tutta l’aria di essere una mera compensazione delle insicurezze che si porta dietro dall’età giovanile; e anche nei rapporti con il gentil sesso, in lui sembra esserci sempre qualcosa di irrisolto e contraddittorio. Attratto com’è dalle donne mature materne e protettive, e, allo stesso tempo, da figure infantili, che non presentano alcuna minaccia, Poe è il tipo di uomo – "poco uomo", secondo W. H. Auden – la cui vita amorosa ha il suo climax nel pianto e nel lamento: ora poggiando la testa sul grembo di una persona amica ora trastullandosi dentro una casa delle bambole.
Sarebbe però un errore vedere in lui solamente un tipo eccentrico e stravagante, anche se forse unico. Poe fa parte, essendone certamente uno degli iniziatori, di una tradizione americana fortemente radicata. Quella di un estetismo estremo che consiste nel mal sopportare il modo di vivere della gente comune. Una tradizione oggi difficilmente difendibile, ma che ha un risvolto positivo dal punto di vista letterario perché permette a Poe di prendere le distanze dal modo di intendere l’arte che fino a quel momento domina in America. È infatti il primo autore di una certa importanza a sostenere che la letteratura non ha scopi moralistici o didattici e che un’opera d’arte va giudicata secondo criteri meramente artistici. È un principio rivoluzionario che Poe mette in atto lavorando come critico e che ha di fatto un’importanza assai maggiore degli scritti teorici nei quali sostiene in buona sostanza una forma di romanticismo portato all’estremo.
"Non esistono poesie lunghe", afferma Poe. "Una poesia lunga è una contraddizione in termini" e se non si vuole perdere quell’unità di effetti – basata su di un sapiente gioco di echi e di ripetizioni – che permette di incantare il lettore, non bisogna mai superare i cento versi. Il tono da preferire è quello malinconico e il tema perfetto per una poesia è la morte di una giovane donna. Poe rinnega in tal modo buona parte delle composizioni esistenti – belle o brutte che siano – presentando un validissimo argomento contro quella che chiama l’"eresia didattica" e però finisce per promuovere un’idea estetica in cui si fa di ogni erba un fascio, confondendo la predica moralistica con la prospettiva morale di un’opera che può essere altrimenti valida.
I racconti: l’horror e l’invenzione del poliziesco
Maggiore considerazione meritano i racconti di Poe. Oltre ai Tales of Grotesque and Arabesque, nominati in precedenza, sono da ricordare, tra quelli pubblicati dopo il 1838, Una discesa nel Maelström (The Descent into the Maelström, 1841); La maschera della morte rossa (The Masque of the Red Death, 1842); Il pozzo e il pendolo (The Pit and the Pendulum, 1843); Il gatto nero (The Black Cat, 1863) e Il barile di Amontillado (The Cask of Amontillado, 1846). Racconti del terrore, ambientati nelle profondità dell’oceano o in sotterranei di castelli e abbazie dove le porte e le finestre cigolano nell’oscurità e disumane figure di pervertiti escogitano eccentriche torture ai danni di vittime non sempre innocenti. Lo scopo comune di queste storie è di evocare luoghi e circostanze della mente in cui prendono il sopravvento impulsi segreti ed esecrabili, presumibilmente sepolti negli abissi della coscienza di ognuno di noi. Masochismo, sadismo, necrofilia e vampirismo sono presentati come incubi ma – secondo lo stesso Poe, e a differenza di quanto vuole credere la critica moderna – non sono da considerarsi abnormi. Anche perché non è possibile distinguere tra ciò che è normale e ciò che non lo è, e le elaborate, melodrammatiche scene di morte e di violenza che fanno della vita un teatro dell’orrore non sono qualcosa che si possa spiegare ma piuttosto una dannazione e un fardello che si è obbligati a sopportare.
Poe è anche autore di storie poliziesche. È anzi l’inventore di un genere che non ha più finito di avere successo e che consiste nel presentare una trama contenente tutti i dettagli necessari per arrivare a una spiegazione dei fatti lasciando però che il percorso sia tutto da ricostruire seguendo i processi mentali dell’investigatore Auguste Dupin. Apparso per la prima volta in Gli assassini della rue Morgue (The Murders of the Rue Morgue, 1841), Dupin è anche protagonista in Il mistero di Mary Roget (The Mystery of Marie Roget, 1842-1843) e La lettera rubata (The Purloined Letter, 1854) in cui applica il suo metodo di analisi o "inventiva raziocinante" che lo Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle chiamerà a sua volta, seguendone l’esempio, "metodo scientifico" o "scienza della deduzione".