Edictum de resignandis privilegiis
Il capitolo XV delle Assise promulgate tra il 17 e il 22 dicembre da Federico a Capua (v. Assise di Capua) disponeva: "Volumus et districte iubemus, ut quia post obitum domini imperatoris Henrici sigillum nostrum devenit ad manus Marcualdi, qui de ipso sigillo plura confecisse dicitur que sunt in preiudicium nostrum, et simile factum putatur de sigillo imperatricis matris nostre post obitum eius, universa privilegia, que facta sunt et concessa ab eisdem imperatore et imperatrice ab hiis qui sunt citra farum usque ad Pascha resurrectionis Domini presententur: et ab illis de Sicilia usque ad Pentecostem. Omnia etiam privilegia et concessionum scripta a nobis cuilibet hactenus facta in eisdem terminis precipimus presentari. Quod si non presentaverint, [in] ipsis privilegiis non impune utantur; sed irritatis penitus qui ea conculcaverint, indignationem imperialem incurrant".
La norma ‒ per l'incisività, le reazioni suscitate e le implicazioni ‒ ha sempre polarizzato l'attenzione della storiografia che, nella chiave di lettura mitica della vicenda fridericiana, ha voluto cogliervi il tratto più significativo di una vera e propria svolta che si sarebbe realizzata nelle linee della politica del neoimperatore al suo rientro nel Regno. A una più attenta e complessiva riflessione, però, anche questa di-sposizione si colloca in piena coerenza con gli sviluppi di una linea 'normanna' che venne costantemente connotando l'azione di Federico II. Com'è stato notato, tale orientamento si era profilato fin dal 1208, allorché, scomparso Filippo di Svevia il 21 giugno, Federico, riconosciuto maggiorenne il 26 dicembre, aveva dichiarato di voler esercitare personalmente il potere. Nella prospettiva di rimettere ordine nel caos che dilagava senza remore in tutto il Mezzogiorno, il giovane re dava esplicita dimostrazione di possedere appieno quelle referenze che il tutore aveva enunciato nella missiva del 26 febbraio al titubante Pietro d'Aragona: il giovane rampollo di casa sveva era non solo di un lignaggio eccezionale, ma la sua vitalità era ampiamente al di sopra dell'età. L'intento di ricostruire le strutture del Regno siciliano, tuttavia, si poteva portare avanti solo con estrema difficoltà.
I baroni, adusi all'arbitrio, schernivano quel fanciullo che pretendeva d'imporre una regola a chi rivendicava con i fatti di essere padrone di se stesso. Per Federico erano, del resto, proprio i feudali gli obiettivi precipui da colpire, in quanto usurpatori di una cospicua parte dei territori regi.
Avendo visto estendersi, sia pur abusivamente, la consistenza dei loro domini a discapito del demanio, i baroni sentivano accresciuta la propria potenza che non esitava a contrapporsi all'autorità regia, ormai vilipesa dappertutto. Allo stato di pressoché totale illegalità si era venuto abbinando il delinearsi e il consolidarsi del mito normanno. La situazione tumultuosa, protrattasi per oltre un decennio, aveva in effetti vanificato il progetto normanno di evitare il concentrarsi di feudi eccessivamente importanti i cui titolari fossero in grado di esercitare un potere esclusivo sugli uomini a prescindere dall'autorità della Corona.
Federico, appena riconosciuto maggiorenne, di fronte alla difficoltà di ripristinare le strutture del Regno e l'autorità della Corona, mostra grande fermezza non tollerando ormai la tutela di nessuno. Rinvia nel vescovado di Catania il cancelliere Gualtiero di Palearia che rifiuta di controfirmare i suoi atti, e costituisce un consiglio di giuristi con il compito di redigere un inventario dei beni sottratti alla Corona in vista della ricostituzione del demanio regio. A questo scopo, un editto, di data incerta, dispone che tutti i titoli di proprietà debbano essere sottoposti a una commissione di giuristi, per essere vagliati al fine di recuperare i beni inalienabili usurpati soprattutto nell'ultimo decennio.
Intanto, mentre Federico s'impegna a ricostituire il patrimonio ereditato dai predecessori Altavilla, le forze imperiali di Ottone IV marciano alla volta della Sicilia. Ma è proprio il fermo proposito aggressivo di Ottone che determina la rottura fra il papa e l'imperatore, alla cui impresa arride il favore di quei baroni che, preoccupati per la politica avviata da Federico per ricostituire il demanio, sperano che una nuova presenza germanica nel Regno possa garantire il perdurare dell'usurpazione. Nonostante la solenne scomunica del papa, Ottone avanza in Puglia e Calabria, e dopo l'estate del 1211 la situazione di Federico si presenta senza vie d'uscita.
Tuttavia, l'intreccio diplomatico realizzato da Innocenzo III con i grandi elettori tedeschi, e anzitutto con Filippo Augusto, sempre ostile al nipote di Giovanni Senzaterra, mette in crisi la causa di Ottone. Nel settembre 1211 un'assemblea di principi tenuta a Norimberga elegge Federico re dei Romani e la ratifica pontificia induce Ottone a un precipitoso rientro in Germania agli inizi del 1212, proprio mentre arrivano a Palermo i legati Corrado di Ursberg e Anselmo di Justingen con l'offerta a Federico della corona imperiale da parte dei principi germanici. Convinto, ormai, di aver consolidato la propria autorità nella Sicilia, Federico, non senza aver preso gli ultimi provvedimenti ritenuti adeguati ad assicurare il governo del Regno, prende la volta della Germania, da dove tornerà solo otto anni dopo con ben altro prestigio.
Prim'ancora di partire da Messina, su richiesta di Innocenzo III, Federico sottoscrive tre documenti: col primo riconosce formalmente i diritti della Chiesa sul Regno di Sicilia; col secondo innanzi al legato apostolico, Gregorio di S. Teodoro, presta giuramento di fedeltà alla Chiesa e al papa, impegnandosi a rinnovarlo innanzi al pontefice; col terzo ribadisce il concordato concluso dalla madre Costanza con Roma circa le elezioni episcopali. Dopo l'incoronazione romana del 22 marzo 1209 (M.G.H., Leges, 1896, pp. 216-217), giunto fortunosamente in Germania, forte del sostegno pontificio e della consolidata alleanza Svevi-Capetingi, Federico raccoglie una serie unica di successi, che gli consente, all'indomani della 'simbolica' incoronazione di Magonza, di prendere in mano il governo del suo nuovo Regno e porre in essere, al solo fine di conseguire la corona imperiale, una politica di concessioni dei diritti della monarchia ai principi e alla Chiesa germanica (12 novembre 1213, bolla di Eger).
La scomparsa nel luglio 1216 del verus Imperator, cui subentra il vecchio e 'docile' Onorio III, e soprattutto la morte di Ottone spianano la strada al pieno trionfo dello Svevo. La trattativa con Roma in ordine all'incoronazione si deteriora, però, allorché si rende del tutto evidente il disegno fridericiano di preordinare al figlio Enrico l'elezione a re dei Romani. L'elezione del 23 aprile 1220 a Francoforte definisce il nuovo scenario che a stento Federico dissimula, ribadendo che l'Impero non sarà mai unito al Regno di Sicilia. In agosto, in veste di "difensore devoto della Chiesa", può muovere alla volta di Roma. Le condizioni pontificie per l'incoronazione sono puntuali: ribadire la separazione delle Corone, non riaprire vertenze sulla preminenza feudale della Chiesa sulla Sicilia, nominare nel Regno solo ministri 'siciliani'. L'unione effettiva Impero-Regno di Sicilia si converte formalmente in mera unione personale, e il 22 novembre si può svolgere la solenne incoronazione in basilica beati Petri (Coronatio romana, ibid., pp. 240-243). Appena qualche giorno dopo l'incoronazione, Federico volge l'iter verso il Regno, che ritrova in condizioni analoghe, e per vero molto deteriorate, rispetto a quando, otto anni prima, lo aveva lasciato. Esaurita la risorsa di uno stato che al tempo degli avi Altavilla si presentava nell'Occidente cristiano come uno dei meglio organizzati e floridi, all'ancor giovane imperatore e re s'impone un'ardua impresa di ricostruzione in vista della quale gli appare ineludibile una preliminare opera di 'bonifica'.
Il rientro nel Regno si realizza in forma ben diversa dalla partenza del 1212: il corteo avanza solennemente e visibilmente espressivo del nuovo status e del disegno politico di Federico. Il 13 dicembre questi con la sua scorta si ferma a San Germano e il giorno successivo ascende a Cassino, accolto adeguatamente: "quam magnificas et sumptuosas tunc dictus abbas Stephanus expensas fecerit in eorum receptione, utpote qui gentium multitudinem et equorum in singulis quibusque necessariis manu munifica nisus est procurare, omnis qui sanum sapit hoc advertere plene potest" (Ignoti monachi Cisterciensis, 1888, p. 101), come viene attestato anche nella redazione breve della cronaca: "magnifice a predicto abbate receptus" (ibid., p. 100). Si tratta di un incontro importante per l'autorevolezza dei personaggi, che giustifica la 'spesa', ma evidentemente ha una precisa valenza nella linea politica di Federico che "mensam campsorum et ius sanguinis, quod usque tunc habuit Casinensis ecclesia de tota terra sua ex concessione Henrici patris sui, revocat imperator in demanium suum" (ibid., p. 101). È un atto d'indubbio significato, che nella redazione breve viene dissimulato con una forma più cauta ("mensam campsorum et ius sanguinis que usque tunc habuerat ex concessione imperatoris Henrici ecclesia Casinensis, recipit ab eodem [abbate]"; ibid., p. 100), ma che resta nella sostanza emblematico, soprattutto per essere il primo documentato all'impatto con la situazione meridionale e per porsi in stretta relazione con l'ulteriore testimonianza secondo cui "similiter Suessam, Teanum et Roccam Draconis recipit a comite Rogerio de Aquila" (ibid., p. 101). Non sfugge che i due verbi, "revocat" e "recipit", pur se invertiti nella redazione breve, siano legati da un "similiter", con un evidente nesso analogico tra le due azioni, e avendo presente che proprio nel testo breve della cronaca si dice di Sessa, di Teano e di Rocca d'Arce "quas dictus comes Rogerius de Aquila tunc tenebat" ‒ una chiara situazione detentiva, di fatto ‒, fondati sospetti schiude l'inciso in cui la titolarità dell'ecclesia Casinensis viene riferita a un atto di concessione del genitore, ma la validità si descrive "usque tunc". La sensazione, d'altro canto, di un processo in atto si coglie proprio nelle narrazioni dei cronisti ("in die Sancti Ambrosii idem dominus imperator introivit civitatem Suessae quam recuperavit in ejus dominium, et ibidem stetit per tres dies"; Chronicon Suessanum, 1762, p. 227). Interviene, a tal punto, il fondamentale privilegio riportato da Gaudenzi nell'edizione dei Chronica priora di Riccardo di San Germano: "Significaverunt eciam nobis, quod sigillum privilegii domini imperatoris Henrici patris nostri felicis augusti memorie recolende eidem monasterio facti, cum ad edictum nostrum idem privilegium post generalem curiam Capue sollempniter celebratam nobis assignaverunt cum aliis privilegiis monasteri memorati ex custodis in curia dignoscitur esse fractum, sicut veraciter constat nobis ex ipso privilegio nostre celsitudinis presentato" (Ignoti monachi Cisterciensis, 1888, Prefazione, p. 7). Il monastero, quindi, all'atto di dover 'documentare' la legittimità delle concessioni, secondo il disposto dell'editto De resignandis privilegiis, esibisce un atto di dubbia validità risultando "fractum" il sigillo. La recente normativa, quindi, palesava tutta la sua efficacia nell'evidenziare le situazioni sospette con un duplice fine, certificatorio e di riconoscimento dell'autorità sovrana di Federico imperatore, ma nella connessa veste di rex Siciliae. È lo stesso privilegio estremamente chiaro in tal senso: "prece supplici petierunt ut pro securitate ac pace ipsius monasterii ipsis successoribus suis et eidem monasterio concedere et confirmare dignaremur quicquid idem monasterium iuste acquisivit vel possidere dignoscitur usque ad hec tempora nostri Imperii tam in possessionibus quam et in libertatibus donacione, oblacione, concessione et confirmacione regis Guillelmi secundi consobrini nostri et predictorum felicium augustorum parentum nostrorum inclite recordationis" (ibid.). Si presuppone, dunque, una ricognizione di quanto acquisito e posseduto "iuste" in diretta ed esplicita continuità con la linea normanna. Di fatto, appunto ciò giustificava la ricostituzione del demanio regio, in un quadro in cui le monarchie, secondo una direttrice peculiare dei re normanni di Sicilia, proprio da quel settore miravano a ricavare le risorse più consistenti in quanto non soggette alle incertezze della devozione feudale. Ciò avrebbe consentito, peraltro, di recuperare i castelli usurpati, con evidenti risvolti di carattere militare, e in pochi mesi, in effetti, furono recuperati importanti castelli come Caiazzo, Sorella, Rocca d'Arce, Roccamandolfi, Alife, Baiano.
Nel contempo, si prospettava l'esigenza per Federico di configurare l'arco temporale trascorso fuori del Regno, analogamente alla fase della sua minorità dopo la morte dei genitori, come una sorta di periodo di sospensione nella possibilità di far valere le rivendicazioni della maestà e del patrimonio degli Altavilla, come pure nel remunerare chi avesse contribuito o contribuisse alle loro fortune. Molto significativo appare l'importante privilegio del dicembre 1220 all'abbate Giovanni e ai frati del monastero della Vergine Maria di Monte Vergine, cui era stata particolarmente legata la regina Costanza. Dopo aver segnalato che "nihil dignius poterit reperiri quam unde nobis bona perveniunt, illa nostre liberalitatis munera conferantur" (Historia diplomatica, II, 1, p. 87), si confermano e conferiscono ex novo all'abbazia, "pro salute quoque divorum augustorum parentum nostrorum memorie recolende et de consueta nostre munificentia majestatis" (ibid.), beni e diritti "sicut ea ubique per totum regnum et imperium nostrum ad monasterium ipsum juste dignoscitur pertinere" (ibid., p. 90) secondo le risultanze documentali ("prout in eisdem monasterii privilegiis, instrumentis, juribus et aliis scriptis publicis plenius continetur"; ibid.).
Appare da quanto sopra ben chiaro il contesto 'genetico' su cui interviene la disposizione capuana De resignandis privilegiis, che significativamente si apre con "volumus et districte iubemus", una formula ben più stringente del mero "volumus", "statuimus", "precipimus" delle altre assise. La disciplina della norma è chiara: tutti i privilegi concessi da Enrico e Costanza andranno esibiti entro i termini indicati con scadenze diversificate per il citra farum e la Sicilia. Questa parte della norma si pone in diretta continuità con la politica intrapresa nei primi anni di governo del Regno, prima della partenza per la Germania. A quella disciplina si assoggettano, ora, anche le concessioni "a nobis [Federico] cuilibet factis", schiudendo l'adito a un'alternativa tra l'esigenza di porre in luce i privilegi falsi ovvero di esercitare una ricognizione di merito su quanto concesso, con una non infondata preoccupazione degli stessi beneficiati da Federico e anzitutto della Chiesa.
La sanzione palesa anch'essa un duplice livello d'intervento normativo, di cui il primo, più antico, attiene alla mera inostensibilità dei privilegi stessi con uno spazio per ulteriori mediazioni, il secondo contempla per la semplice inosservanza dell'esibizione la nullità dei privilegi ("irritatis penitus qui ea conculcaverint") con il connesso disposto di realizzare con la forza il recupero di quanto ritenuto iuris et de iure usurpato. Si configuravano così, a ben vedere, tutti gli elementi che verranno tenuti presenti in occasione della redazione delle costituzioni Privilegia et instrumenta (Const. II, 28) e Cum concessiones (Const. II, 29): la prima norma, modellata sulla De resignandis privilegiis, avrebbe, infatti, decretato l'obbligo di declarare et renovare entro un anno "a die insinuationis" delle Costituzioni tutti i privilegi o anche gli atti notarili che comunque recassero nomi di traditori, degli invasori del Regno, ovvero la sottoscrizione di giudici o notai da loro designati, a pena della totale perdita di fede ("nulla ex instrumentis praedictis, ex praesenti jussione nostra non declaratis, in judiciis, aut extra judicia fide in posterum assumenda"); la Cum concessiones, invece, con un diretto riferimento al disposto dell'assisa XV del 1220, avrebbe ribadito che tutti i privilegi "tam a divis augustis parentibus nostris, quam a nobis ante Curiam Capuanam indulta, quae per nos post eandem Curiam confirmata non essent", non meno di quelli concessi "proximae turbationis tempore" di cui era già stata disposta la revoca, non avessero fede alcuna ("edicto praesentis legis edicimus praedictis privilegiis et concessionibus nullam omnino fidem haberi"), ma, volendo anche perseguire il comportamento malvagio degli inosservanti ("malivolum eorum propositum, qui ipsa post prohibitionem nostram retinent, prosequentes"), avrebbe disposto l'applicazione di una specifica pena come in presenza di un reato di falso: "jubemus praedictos omnes in tanta aestimatione damnari nostrae Camerae applicanda, quanta id, quod concessum fuerat, dignoscitur extitisse". Alla sanzione, quindi, dell'indignazione regia per un comportamento attivo di utilizzazione di un documento falso, come contemplata dall'assisa capuana XV, subentra la ben più grave pena per la mera retenzione, di per sé denotante un "malivolum propositum", indicativa, tuttavia, della parziale efficacia della disposizione del 1220. Scaduto il breve termine previsto dall'assisa XV, i titolari di privilegi non resignati, da reputare per lo più falsi in quanto concessi da chi Federico riteneva usurpatore, e anzitutto da Marcovaldo di Annweiler, li avevano serbati per tempi migliori, contando più su una sempre latente situazione di crisi della legittimazione sovrana che sul riproporsi delle condizioni caotiche della minorità fridericiana.
A ben vedere Federico, pur nel suo nuovo status, manifesta ancora una linea di continuità politica con l'età normanna, che tende a recuperare in una prospettiva di riforma ordinamentale. Molto allusivi in tal senso i tre privilegi rivolti all'abate Stefano di Cassino. Il primo, del 4 gennaio, costituisce una lettura fededegna della situazione patologica determinatasi nel Regno e della 'profilassi normativa' proposta da Federico: "Licet serenitati nostre dudum fuerit regni status incognitus et ecclesiarum seu aliorum fidelium nostrorum jura fuerint occupata, nemine malitiam expellente, nunc tamen cum nullus audeat in iniquitate confidere, omnia volumus sub jure lucescere et cuncta sub regimine nostro in statu justitie reformare" (Historia diplomatica, II, 1, p. 101). Ben chiaro appare l'obiettivo complessivo di Federico, in ordine al quale è indispensabile per il sovrano trovare sicuri punti di riferimento, tra i quali s'individuano indubbiamente i grossi complessi religiosi, e fra essi anzitutto il monastero di Montecassino: "Quantas igitur et quales pressuras usque ad hec tempora monasterium Cassinense a predecessoribus nostris memorie recolende dotatum a regni persecutoribus sit perpessum, tenore presentium non duximus inserendas, sed ad ejus remedium benigne volentes intendere, ne de cetero jura ipsius ab aliquibus prout hactenus teneantur, fidelitati vestre mandamus et sub obtentu gratie nostre districte precipimus quatenus […]" (ibid.). La linea di favore espressa verso la più prestigiosa entità monastica nel Regno risulta ulteriormente sottolineata dal secondo privilegio, sempre del 4 gennaio, con il quale si concede "ut judices et balivi terre monasterii Casinensis audiant et determinent finaliter civiles questiones hominum abbatie juxta jura et consuetudines regni nostri, appellatione ante diffinitivam sententiam ad majestatem nostram interposita non obstante" (ibid., p. 102). Ma se i privilegi già indicati sono sintomatici di un atteggiamento di favore nei riguardi del monastero, è il terzo ‒ espressamente "datum in civitate Neapoli post curiam Capue celebratam" (ibid., p. 103) e con una formula diplomatica che ormai si stabilizza ("imperante domino nostro Friderico Dei gratia Romanorum imperatore, semper augusto et rege Sicilie, Romani vero imperii ejus anno […] et regni Sicilie […], feliciter"; ibid.) ‒ a porre in essere quanto disposto dall'assisa De resignandis privilegiis: vi si dice, infatti, che su richiesta dell'abate Stefano vengono confermate "omnes res et possessiones que predicto venerabili xenodochio de jure pertinent", che viene parimenti confermato il "privilegium avi nostri regis Rogerii felicis memorie", che si stabilisce "ut nullus abbas vel rector ejusdem xenodochii ipsum de prenominatis minuere, impedire seu molestare presumat, salvo mandato et ordinatione nostra" (ibid.). Si attesta, infine, che il privilegio per la prima volta reca il nuovo sigillo imperiale ("sigillo nostre celsitudinis roboratum"): segno che quanto previsto dalla norma cassinese è ormai andato a regime, come indicano il privilegio del 30 gennaio 1221 al venerabile Bassuino vescovo di Aversa (Acta Imperii inedita, I, pp. 189-190: "iuxta generale edictum, quod fecimus apud Capuam in curia sollempniter celebrata, privilegia quondam domine imperatricis, serenissime matris nostre, ecclesie sue indulta in constituto termino nostro conspectui presentassent"), quello del mese di febbraio da Aversa al venerabile Matteo, abate del monastero di S. Sofia di Benevento (ibid., pp. 194-197: "post sollemnem curiam nostram noviter Capue celebratam, ubi inter cetera, que generaliter statuimus observanda, privilegia omnia ab obitu regis Guillermi bone memorie facta resignari precipimus"), ovvero ancora l'ulteriore privilegio di conferma in perpetuum "salvo mandato et ordinatione nostra" all'abate Pietro e al monastero di S. Maria in pede Roccae Pimontis (Historia diplomatica, II, 1, p. 104). In questo ultimo privilegio inizia peraltro a presentarsi una formula, in seguito ricorrente, circa la legittimazione a compiere l'atto di conferma ("pro remedio quoque felicium augustorum parentum nostrorum et ut nobis omnipotens a quo cuncta bona suscepimus vitam augeat et salutem"; ibid.), che, a pochi giorni di distanza dall'assisa capuana, non poteva non preoccupare vivamente il pontefice. E Onorio protesta vivamente. Ne abbiamo notizia (cf. Regesta Imperii, V, pp. 278-279) dalla missiva che a lui invia Federico da Trani il successivo 3 marzo: "Pervenit ad nos, Sanctissime Pater, vestre beatitudini fuisse suggestum quod edictum illud in solempni curia pridem Capue celebratum [sic] de resignandis nobis privilegiis imperatoris et imperatricis recolende memorie parentum nostrorum et nostris serio factum fuerit ut per ipsum privilegia dudum a nobis ecclesie Romane indulta deberent penitus irritari" (Historia diplomatica, II, 1, p. 139). Fin da questo primo asserto, all'apprensione manifestata da Onorio Federico contesta l'effetto ("suggestum") e non la causa, con l'ulteriore cautela ‒ ma proprio questa era il sospetto del papa ‒ di precisare che non proprio tutti i privilegi da lui concessi alla Chiesa dovessero "penitus irritari". Conseguita l'incoronazione imperiale si apriva una nuova fase di 'contrattazione', con posizioni evidentemente modificate rispetto al passato? Che ne sarebbe stato, fra l'altro, dell'accordo rimasto sempre in bilico circa l'elezione dei vescovi? Di certo il documento ci rappresenta un'effettiva maturazione politica di Federico che, nell'intento dichiarato di voler rassicurare Onorio, non limita il disegno di resignare a un mero controllo formale ("post obitum imperatoris de sigillo suo privilegia multa falsa inventa sunt quibus major pars nostri demanii fuerat occupata"; ibid.), ma segnala di voler esprimere una valutazione di merito sugli atti dei predecessori ("predictus imperator pater noster multa de regno sub spe revocationis concesserat que debuerat retinere"; ibid.). Proprio in vista dell'obiettivo indicato, anzi, con una disposizione di carattere generale Federico enuncia di aver disposto che alla sua ricognizione ("ad manus nostras") pervenissero tutti i privilegi: "omnia privilegia […], similiter et nostra, que a diversis dominis quibus detinebantur et sub diversis sigillis ad tocius regni perniciem aperte noscuntur fuisse confecta" (ibid., p. 140). Se la formula dell'assisa De resignandis privilegiis poteva lasciar adito a sospetti, nessun margine di dubbio consentiva questa lettera 'interpretativa'. Quasi irridente si presenta a tal punto l'inciso finale: "De proposito et firma voluntate quam habuimus et habemus erga carissimam personam vestram et sanctam Romanam Ecclesiam ex eo certiores esse potestis, quia requisita privilegia post ipsam constitutionem paternitati vestre curavimus destinare" (ibid.). Era, a ben vedere, trascorso poco più di un decennio, ma appariva un'eternità, da quando (29 gennaio 1207) Innocenzo III, riflettendo sulla cura per il pupillo ("quoties littere pro tua tuique regni tranquillitate mittende notariorum fatigavere calamos et scribarum atramenta siccarunt"), pur con soddisfazione ("etsi fuerit labor plurimus, gaudendum est quia nonnunquam extitit fructuosus"), poteva affermare: "ille per quem reges regnant et principes principantur tuum solium confirmabit et dabit tibi fortitudinem per quas possis inimicis obsistere tuumque populum feliciter gubernare" (ibid., I, 1, p. 125).
All'indomani dell'assisa capuana, Federico, forte dell'apporto dei suoi senatores occulti, mostrava con l'uso politico dell'editto De resignandis privilegiis, ancor più che con la disciplina formale, di essere del tutto emancipato da tutele: avviava, così, la gestazione delle Constitutiones, e in particolare di quella Non sine grandi, vero punto di riferimento centrale del suo concetto di sovranità.
fonti e bibliografia
Per le fonti e la letteratura generale v. Assise di Capua. Gesta Innocentii III Romani Pontificis, in Epistolarum Innocentii III, a cura di S. Baluzius, Parisiis 1682;
F. Ughelli, Italia Sacra, IX, Venetiis 1721; J.C. Lünig, Codex Italiae diplomaticus, I, Fracofurti-Lipsiae 1725; Chronicon Suessanum, a cura di F. Zacharia, in Iter italicum per Italiam, Venetiis 1762, pp. 227-240; Historia diplomatica Friderici secundi; M.G.H., Scriptores, XIX, a cura di G.H. Pertz, 1866; Riccardo di San Germano, Chronica, a cura di G.H. Pertz, ibid.; Acta Imperii inedita; Regesta Imperii, V, 1-3, Die Regesten des Kaiserreiches […], a cura J.F. Böhmer-J. Ficker-E. Winkelmann, Innsbruck 1881-1901 (Hildesheim 1971); Ignoti monachi Cisterciensis S. Mariae de Ferraria Chronica et Ryccardi de Sancto Germano Chronica priora, a cura di A. Gaudenzi, Neapoli 1888; M.G.H., Leges, Legum sectio IV: Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, II, a cura di L. Weiland, 1896; Riccardo di San Germano, Chronica, in R.I.S.2, VII, 2, a cura di C.A. Garufi, 1936-1938; H. Dilcher, Die sizilische Gesetzgebung Kaiser Friedrichs II. Quellen der Constitutionen von Melfi und ihrer Novellen, Köln-Wien 1975; Die Konstitutionen Friedrichs II. für das Königreich Sizilien, a cura di W. Stürner, in M.G.H., Leges, Legum sectio IV: Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, II, Supplementum, 1996.
A. Chiarito, Comento istorico-critico-diplomatico sulla costituzione 'De instrumentis conficiendis per curiales' dell'imperador Federigo II, Napoli 1772.
A. Del Vecchio, Intorno alla legislazione di Federico II, Firenze 1872.
E. Winkelmann, Jahrbücher des deutschen Geschichte. Kaiser Friedrich II., I-II, Leipzig 1889-1897.
G. Paolucci, La giovinezza di Federico II di Svevia e i prodromi della sua lotta col papato, "Atti della R. Accademia di Palermo", ser. III, 6, 1900, pp. 1-55.
P. Scheffer-Boichorst, Das Gesetz Kaiser Friedrichs II. 'De resignandis privilegiis', "Sitzungsberichte der Königlich-Preussichen Akademie der Wissenschaften zu Berlin", 1900, pp. 132-162.
E. Kantorowicz, Kaiser Friedrich der Zweite, Berlin 1927 (trad. it. Federico II, imperatore, Milano 1976).
G. De Vergottini, Studi sulla legislazione imperiale di Federico II in Italia. Le leggi del 1220, Varese-Milano 1952.
J.-M. Martin-E. Cuozzo, Federico II. Le tre capitali del regno: Palermo-Foggia-Napoli, Napoli 1955.
W. Ullmann, Some Reflections on the Opposition of Frederick to the Papacy, "Archivio Storico Pugliese", 13, 1960, pp. 16-39.
H.M. Schaller, Kaiser Friedrich II. Verwandler der Welt, Frankfurt a.M.-Zürich 1964 (trad. it. Roma 1970).
F. Calasso, Gli ordinamenti giuridici del rinascimento medievale, Milano 1965, pp. 175-176.
A. Marongiu, Politica e diritto nella legislazione di Federico II, in Atti delle seconde giornate federiciane, Bari 1974, pp. 81-101.
E. Mazzarese Fardella, I feudi comitali di Sicilia dai Normanni agli Aragonesi, Milano-Varese 1974.
Id., Federico II e il 'Regnum Siciliae', "Annali dell'Istituto Storico Italo-Germanico in Trento", 1, 1975, pp. 25-49.
C.A. Willemsen, Sulla gioventù di Federico II, "Studi Storici Meridionali", 1, 1981, pp. 267-289.
S. Tramontana, La monarchia normanna e sveva, in Il Mezzogiorno dai Bizantini a Federico II, a cura di A. Guillou et al., Torino 1983 (Storia d'Italia, diretta da G. Galasso, III), pp. 433-810.
R. Elze, Papato, Impero e Regno meridionale dal 1210 al 1266, in Potere, società e popolo nell'età sveva (1210 1266). Atti delle seste giornate normanno-sveve, Bari 1985, pp. 25-36.
N. Kamp, Monarchia ed episcopato nel Regno svevo di Sicilia, ibid., pp. 123-149.
R. Neumann, Parteibildungen im König-reich Sizilien während der Unmündigkeit Friedrichs II. (1198-1208), Frankfurt a.M. 1986.
E. Voltmer, Personaggi attorno all'imperatore: consiglieri e militari, collaboratori e nemici di Federico II, in Politica e cultura nell'Italia di Federico II, a cura di S. Gensini, Pisa 1986, pp. 71-93.
H. Takayama, The Administration of the Norman Kingdom of Sicily, Leiden-New York-Köln 1993, pp. 133-142.
E. Cuozzo, La nobiltà dell'Italia meridionale e gli Hohenstaufen, Salerno 1995, pp. 79 ss.
M. Caravale, La monarchia meridionale. Istituzioni e dottrina giuridica dai Normanni ai Borboni, Roma-Bari 1998, pp. 137 ss.
P. Racine, Federico II di Svevia. Un monarca medievale alle prese con la sorte, con prefazione di A. Romano, Milano 1998; E. Cuozzo, Federico II. Rex Siciliae, Atripalda 2003, pp. 23 ss.