EDILI (aedīles)
Magistrati di città sabine e latine, tra cui Roma. A Roma gli edili non sono originarî, perché non sono in un primo tempo magistrati civici, ma funzionarî plebei. Originaria è l'edilità a Tusculo, dove si trova un collegio di tre edili, che è testimoniato anche in città volsche latinizzate, come Arpino, Fondi e Formia, le quali dunque dovettero ricevere l'edilità da Tuscolo o da altra città latina, per cui ci manca la documentazione scoperta a Tuscolo. È dubbio invece se sia originaria la coppia di edili che si riscontra nell'ottovirato di alcune città principalmente sabine quali Amiterno, Nursia, Trebula Mutuesca, Interamnia Praetuttianorum, Plestia: può essere infatti che la edilità sia qui un'importazione romana. Di tutt'altro genere è l'edile che è documentato accanto al dittatore in una città etrusca come Cere, perché il nome non è se non una traduzione del marunuχ etrusco: eventuali relazioni genetiche fra il marunuχ e l'edile sono possibili, ma fuori di ogni controllo. Molto si è discusso sulle funzioni primitive dell'edile ma par chiaro ch'egli debba essere stato in origine un addetto al tempio, in cui erano depositati l'archivio e la cassa della città: aedilis significa infatti "pertinente, appartenente al tempio", come civilis "pertinente alla città". La sorveglianza all'archivio e alla cassa dello stato trasformò a poco a poco questi impiegati del tempio in magistrati civici e anzi, come a Tuscolo, in supremi magistrati della città. Ora s'intende che la plebe romana, quando si stava organizzando in stato nello stato, dandosi un'amministrazione propria, abbia imitato questa magistratura di città vicine, certo quando essa era ancora legata al tempio, molto più di quel che non appaia più tardi. Gli edili plebei, due formanti collegio, a imitazione dei consoli, furono quindi in origine gli archivisti e cassieri della plebe, che aveva il suo centro nel tempio di Cerere. Come tali gli edili vennero a svolgere una duplice attività. Da una parte furono i segretarî dei tribuni della plebe, subordinati a questi e da questi incaricati anche dell'esecuzione delle loro sentenze. Dall'altra dovettero occuparsi dell'amministrazione del tempio, delle feste religiose e delle fiere che vi si organizzavano intorno, ecc. Da questi due caratteri derivano gli svolgimenti ulteriori delle mansioni degli edili. I quali, benché subordinati ai tribuni, non svolsero mai interamente la loro attività nelrambito di quella tribunizia, ma anzi per molti aspetti la integrarono: e mentre i tribuni dirigevano la vita politica della plebe, essi regolavano la vita quotidiana della comunità plebea. Come i tribuni, essi duravano in carica un anno ed erano eletti dai plebei in assemblea tributa. Raggiunta la concordia tra patrizî e plebei, non solo gli edili non furono aboliti, ciò che la plebe naturalmente non avrebbe permesso, ma fu riconosciuta la loro utilita con l'istituzione di altri due edili nel 367 a. C. Questi due edili aggiunti furono detti curuli, dalla sedia curule, simbolo delle maggiori magistrature civiche di Roma; e infatti furono teoricamente i soli edili magistrati civici e non fecero mai collegio con gli altri edili plebei: a differenza di questi essi potevano essere così patrizî come plebei. È dubbio se ci sia stato un periodo, del resto brevissimo, in cui gli edili curuli non potevano essere che patrizî. Certo, fino alla guerra sociale gli edili curuli furono alternamente un anno patrizî, un anno plebei: gli anni dispari toccavano ai patrizî. Più tardi, nel 44 a. C., Cesare creò due altri edili plebei, chiamati aediles ceriales, probabilmente per ricordo dell'antica connessione degli edili con il tempio di Cerere: secondo un'altra interpretazione essi avrebbero avuto questo nome per le funzioni di sorvegliafiti dell'annona a cui furono particolarmente addetti.
Gli edili curuli e gli edili plebei, per quanto teoricamente non avessero tra loro alcun rapporto, finirono col costituire praticamente una magistratura unica, e anche gli edili plebei passarono insensibilmente dalle dipendenze dei tribuni a quelle del console, a cui sottostava tutta l'amministrazione della città. Ciò spiega come l'edilità abbia finito con l'essere rivestita dopo il tribunato nel periodo repubblicano, tra la questura e la pretura, mentre poi nel periodo imperiale fu resa obbligatoria ai plebei, che facevano carriera politica. Gli edili non ebbero mai diritto di radunare i comizî o il senato, né possedettero mai piena giurisdizione o comando militare e quindi non ebbero littori. Continuarono a essere sorveglianti della vita cittadina, svolgendo la loro attività essenzialmente su tre punti: la cura urbis, la cura annonae e la cura ludorum. Agli edili toccava infatti la sorveglianza delle strade e quella dei mercati, alla quale ultima ben si comprende che si collegasse la sorveglianza sui prezzi delle derrate e quindi in genere sugli approvvigionamenti; inoltre toccava l'organizzazione dei giuochi pubblici, che erano divisi tra le due edilità (ad esempio i ludi Romani e i Megalesia agli edili curuli; i ludi plebei e i Cerialia agli edili plebei): la cura ludorum fu però trasferita da Augusto ai pretori. È pure indubbio che gli edili, seguendo la tradizione dei primitivi edili plebei, sorvegliavano l'archivio di stato; ma quale fosse precisamente il loro ufficio in confronto a quello dei questori non è chiaro. Come non è chiaro l'ambito della loro attività giudiziaria, che è certo svolgimento della partecipazione degli edili plebei alla giurisdizione dei tribuni. Esclusi assolutamente da ogni processo capitale, gli edili hanno tuttavia avuto ampia facoltà di multare in prevaricazioni diverse. Nella sorveglianza della città a ogni edile toccava un quartiere: divisa poi con Augusto la città in quattordici regioni, gli edili furono associati ai pretori e ai tribuni della plebe nel sopra intendere a ciascuna di queste regioni, ma limitatamente alle cerimonie religiose. Gli edili, e più precisamente gli edili curuli, furono portati da Roma nell'organizzazione dei municipî e delle colonie. In linea generale si può dire che nei municipî essi costituivano due dei quattro magistrati collegiali supremi e si chiamavano precisamente quattuorviri aedilicia potestate. Nelle colonie invece costituivano un collegio a sé, di rango inferiore a quello dei duoviri iure dicundo, e si chiamavano semplicemente aediles. Ma la regola è ricca di eccezioni, sia per i municipî, sia per le colonie. Le funzioni di questi edili erano analoghe a quelle degli edili romani. L'edilità in Roma decadde nell'Impero, soprattutto per le nuove magistrature introdotte da Augusto, che corrispondevano meglio nella loro specificazione alle accresciute esigenze della città. Con l'istituzione della praefectura annonae, pr. urbis, pr. vigilum è tolta agli edili rispettivamente la cura dell'annona, la polizia urbana, la sorveglianza degl'incendî. La cura ludorum è passata ai pretori. La giurisdizione multaticia è sempre più limitata. La cura aquarum e la cura operum publicorum passano a magistrati speciali. Con Alessandro Severo infine l'edilità riceve il più grave colpo, perché essa non è più obbligatoria (come anche il tribunato) per la carriera politica dei plebei. Sembra che con Severo spariscano le ultime attribuzioni nella cura urbis. Dopo la riforma di Diocleziano non c'è più traccia dell'edilità in Roma. Sopravvive con funzioni sempre più ridotte nei municipî.
Edili si trovano anche come funzionarî di villaggi (vici, pagi) e di associazioni non politiche, specialmente di carattere religioso: ad esempio l'organizzazione sacrale delle città etrusche rinnovata da Augusto aveva un aedilis Etruriae.
Bibl.: Th. Mommsen, Römische Forschungen, I, Berlino 1864, p. 96 segg.; Röm. Staatsrecht, II, i, 3ª ed., p. 471 segg.; W. Soltau, Die Ursprüngliche Bedeutung und Competenz der aediles plebis, in Historische Untersuchungen Arnold Schaefer... gewidmet, Bonn 1882; M. Pineau, Histoire de l'édilité romaine, Bordeaux 1893; Ohnesseit, Über den Ursprung der Ädilität, in Zeitschrift der Savignystiftung, Roman. Abt., IV (1883), p. 200 segg.; J. Beloch, Römische Geschichte, Berlino e Lipsia 1926, p. 488 segg.; W. Kubitschek, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I, col. 448 segg.; E. De Ruggiero, in Dizion. Epigr., I, p. 209 segg.; A. Rosenberg, Der Staat der alten Italiker, Berlino 1913, p. 3 segg.; A. Momigliano, L'origine della edilità plebea, in Bull. archeol. com., LIX (1931).