Edilizia sismica
I terremoti sono movimenti oscillatori del terreno (sia verticali sia orizzontali) con improvviso rilascio di energia. Sono dovuti all’interazione fra le zolle litosferiche (teoria della tettonica a placche) che genera stati di tensione e deformazione della crosta rocciosa in corrispondenza delle faglie, con un conseguente accumulo di enormi quantità di energia elastica; quando la tensione generata supera la resistenza degli strati rocciosi a contatto, si ha un improvviso scorrimento fra le superfici e un conseguente rilascio dell’energia accumulata. La perturbazione associata a questi scorrimenti improvvisi si propaga sotto forma di onde che causano la vibrazione della superficie terrestre e, di conseguenza, di qualsiasi costruzione si trovi su di essa. Risulta quindi evidente che sia il profilo stratigrafico sia le caratteristiche fisico-meccaniche del terreno hanno un’importanza fondamentale, dato che riescono ad amplificare oppure, al contrario, a smorzare l’ampiezza delle oscillazioni prodotte dal moto sismico, agendo come un vero e proprio filtro e influendo sugli effetti che queste possono avere sulle costruzioni.
Le statistiche sui terremoti registrati nel territorio italiano testimoniano come il nostro Paese sia soggetto a un’intensa attività sismica; a partire dall’anno 1000, infatti, si ha notizia di circa 30.000 terremoti, dei quali circa l’1% con intensità maggiore all’VIII grado della scala Mercalli. Una stima dei costi associati ai terremoti degli ultimi 40 anni, che esclude il terremoto dell’Aquila del 2009 (dei cui danni non si conosce ancora l’effettiva entità in termini economici) ma comprende quelli di Friuli, Irpinia e Umbria-Marche (1976, 1980 e 1997), valuta che tali costi abbiano superato i 130 miliardi di euro (Dolce 2007). Si valuta inoltre che le vittime di eventi sismici in Italia negli ultimi due secoli ammonterebbero a circa 150.000. Una stima del rischio sismico, cioè la valutazione del danno atteso a seguito di eventi sismici, indica, in base a uno studio svolto nel 2001 dal Servizio sismico nazionale (SSN), le seguenti cifre relative alla media annua: 17.000-27.000 unità abitative rese inagibili, 650-750 vittime, 1,5-2,6 miliardi di euro di danni alle costruzioni (A. Lucantoni, V. Bosi, F. Bramerini et al., Il rischio sismico in Italia, «Ingegneria sismica», 2001, 1, pp. 5-36).
Suddividendo la popolazione in base alla pericolosità sismica del territorio, ci si può facilmente rendere conto di come più del 40% viva in zone ad alta o media sismicità (zone 1 e 2, secondo i criteri di classificazione per l’individuazione delle zone sismiche del territorio nazionale stabilita tra il 2003 e il 2006; v. oltre), soltanto il 33% in zone a bassa sismicità (zona 4, secondo la stessa classificazione) e il restante 27% in zone ritenute di media-bassa sismicità (zona 3). Questo dato è ancor più significativo se associato all’alto numero (35.000) degli edifici di carattere strategico (cioè importanti ai fini della protezione civile, e la cui immediata funzionalità dovrebbe essere assicurata nelle primissime fasi del dopo sisma) collocati in aree ad alta sismicità. La presenza di un grandissimo patrimonio storico e monumentale, e il fatto che gran parte dell’edificato esistente sia stato costruito prima dell’adozione di una moderna normativa sismica, ha fatto sì che il rapporto fra i danni prodotti dai terremoti e la loro intensità sia stato in Italia molto più alto rispetto a quello di Paesi a elevata sismicità, quali la California o il Giappone: il terremoto di Loma Prieta (Cal.) del 1989 ha comportato un danneggiamento paragonabile a quello provocato in Umbria e nelle Marche dal sisma del 1997, pur essendo quest’ultimo caratterizzato da una energia trenta volte inferiore.
Si evidenziano due fattori: il primo, già citato, è relativo alla presenza di un patrimonio edilizio in gran parte precedente a una qualsivoglia normativa antisismica; il secondo consiste nel fatto che la normativa si è sviluppata, soprattutto in tempi recenti, con gravi ritardi e, spesso, sulla scorta dell’emotività derivante da accadimenti catastrofici. Nel corso di più di due secoli, a partire dalla disastrosa sequenza di terremoti registratasi in Calabria nel 1783, la normativa sismica in Italia si è evoluta da un impianto prescrittivo, basato su norme e indicazioni caratterizzanti le tipologie strutturali più idonee e i dettagli costruttivi nelle aree colpite, all’attuale, di tipo prestazionale. Entrare nei dettagli di questo excursus, che coinvolge l’emanazione di leggi in materia anche degli Stati precedenti l’unificazione d’Italia (Regno delle due Sicilie e Stato pontificio), travalica le finalità del saggio presente; è il caso tuttavia di richiamare almeno il r.d. 18 apr. 1909 n. 193, successivo al terremoto di Messina del 1908, che introdusse il concetto di classificazione sismica del territorio, e il d.m. 3 marzo 1975 n. 40 del Ministero per i Lavori pubblici, per l’attenzione posta alla natura dinamica dell’azione sismica, con l’introduzione dello spettro di risposta in funzione del periodo proprio della struttura sollecitata e la possibilità di eseguire l’analisi dinamica. Le ultime normative, l’o.p.c.m. 20 marzo 2003 n. 3274 (Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica), l’o.p.c.m. 28 apr. 2006 n. 3519 (Criteri generali per l’individuazione delle zone sismiche e per la formazione e l’aggiornamento degli elenchi delle medesime zone) e il d.m. 14 genn. 2008 del Ministero delle Infrastrutture (Approvazione delle nuove norme tecniche per le costruzioni), definiscono il completo passaggio alla nuova filosofia rispetto alla progettazione sismica. La differenza tra una norma di tipo prescrittivo e una di tipo prestazionale può essere, in estrema sintesi e nello specifico, espressa nel modo seguente: nel primo caso, definita l’azione sismica, si procede alla combinazione della stessa con le altre azioni analogamente definite e alla verifica globale e locale della sicurezza strutturale; nel secondo caso, si definiscono i livelli di azione e di prestazione per pervenire alla scelta della strategia di progettazione che assicuri il raggiungimento di un determinato set di obiettivi. Pertanto, gli obiettivi della progettazione sono esplicitamente dichiarati, consentendo così al progettista di acquisire maggiori consapevolezza e responsabilizzazione.
Altro importante aspetto è il definitivo abbandono della distinzione tra zone classificate e zone non classificate ai fini sismici. Il territorio nazionale è riconosciuto complessivamente a rischio sismico, con caratteristiche di pericolosità diverse secondo le varie zone. La pericolosità sismica, da intendersi in termini probabilistici, corrisponde alla probabilità che, in una finestra temporale fissata convenzionalmente, si verifichi almeno un terremoto di intensità non inferiore a un certo livello.
Il corpus legislativo moderno affronta la questione sismica su livelli e scale differenti. Il progetto del singolo edificio con criteri antisismici, in modo da assicurare l’assenza o il contenimento del danno a fronte di un certo terremoto, rappresenta soltanto una parte dell’attività di prevenzione che è prerogativa del legislatore. La pianificazione territoriale a livello urbanistico assume un ruolo importante per la sicurezza di una comunità. La mappatura del territorio e l’individuazione del rischio associato all’espansione dell’abitato in una determinata zona, o la prefigurazione dei possibili scenari nell’immediato dopo sisma per un agglomerato esistente di recente o remota costruzione, costituiscono strumenti importanti per limitare i danni conseguenti a un evento sismico e agevolare le attività di protezione civile.
Vulnerabilità del patrimonio edilizio e pianificazione territoriale
La pianificazione territoriale e la gestione dello scenario postsismico sulla base della vulnerabilità del patrimonio edilizio esistente rappresentano un aspetto di fondamentale importanza ai fini della sicurezza di una comunità di cittadini. I danni comunemente riscontrati a seguito di un terremoto interessano generalmente: il danneggiamento del patrimonio insediativo dei centri urbani conseguente a crolli parziali o totali; la crisi del sistema comunicativo nell’accezione più ampia (con ricadute su viabilità, trasporti, comunicazioni ecc.); il blocco temporaneo del sistema produttivo artigianale, commerciale, industriale e agricolo, nonché diversi livelli di alterazione del sistema naturalistico e dell’assetto geologico e idraulico.
La valutazione della vulnerabilità sismica a livello urbanistico e l’identificazione di possibili scenari di intervento e gestione dell’emergenza costituiscono un approccio che, pur se non di nuovissima concezione, in quanto già presente all’interno di normative passate (anche se in termini solo qualitativi), non può essere ignorato ai fini di una moderna ed efficace azione di protezione civile. È intuitivo comprendere come il censimento e l’identificazione del rischio associato a un determinato evento sismico per il patrimonio esistente costituiscano un obiettivo di grande complessità. Altrettanto complessa e importante è la valutazione dell’accessibilità dei centri abitati e degli edifici strategici a valle di un evento sismico. Il concetto di accessibilità non riguarda soltanto aspetti direttamente legati alle infrastrutture, ma coinvolge anche gli edifici e i pendii che si attestano a ridosso delle vie strategicamente fondamentali per assicurare il corretto svolgersi delle operazioni di soccorso e la possibilità di accedere tempestivamente ai siti ritenuti strategici. È chiaro, infatti, come la certezza della funzionalità di un’opera infrastrutturale o di un asse viario immediatamente dopo un evento sismico può non avere alcun senso di fronte alla presenza di ostacoli lungo il tracciato per il suo raggiungimento, dovuti a crolli parziali o totali di edifici adiacenti.
Ai fini della valutazione della consistenza del costruito, risulta estremamente difficoltosa l’effettuazione di indagini dettagliate per la totalità del patrimonio edilizio su vaste scale territoriali.
Si può operare su base statistica ricorrendo, per es., alla ricognizione e valutazione puntuale di uno stock di edifici all’interno di limitate porzioni significative del territorio urbano e al confronto dei dati locali ottenuti su base fotogrammetrica o satellitare con porzioni di territorio di caratteristiche omogenee o equiparabili.
Il concetto di vulnerabilità è legato a quello di rischio: per un determinato sistema urbano, il rischio associato a un dato evento sismico con certe caratteristiche, secondo il GNDT (Gruppo Nazionale Difesa Terremoti) del Consiglio nazionale delle ricerche, è legato all’estensione, alla tipologia della zona interessata, al valore dei beni contenuti e al numero di persone coinvolte. La vulnerabilità può essere espressa in funzione del rischio come Vs=R/[Pr(PlEu)], dove Vs rappresenta la vulnerabilità di un sistema urbano, descritta per mezzo di indicatori sintetici quali la tipologia insediativa, il materiale, l’età degli edifici, il numero di piani ecc.; Pr la pericolosità di riferimento, che identifica la massima intensità di un terremoto atteso (in una data area) in un certo periodo di riferimento esclusivamente secondo aspetti sismogenetici; Pl la pericolosità locale, che indica come l’energia trasmessa dalle onde sismiche possa essere variata da condizioni particolari del suolo relative a un certo sito; Eu l’esposizione urbana, che tiene conto di tipologia di popolazione, patrimonio edilizio esistente e attività socioeconomiche in atto. La vulnerabilità viene espressa attraverso una legge causa-effetto in cui la causa è l’azione sismica e l’effetto è il danno, generalmente riferito alla quantificazione economica necessaria al ripristino.
La riduzione della vulnerabilità può essere realizzata mediante la diminuzione del rischio, ottenuta attraverso differenti e complementari strategie: un’attività di prevenzione a scala territoriale, in cui l’adeguamento o il miglioramento delle caratteristiche sismiche degli immobili e delle infrastrutture viene fatto a partire da un disegno strategico che consenta la massima efficienza dei soccorsi nell’immediato dopo sisma (percorribilità delle via d’accesso ai luoghi interessati, fruibilità immediata degli edifici destinati al soccorso e alla raccolta dei feriti e degli sfollati); l’applicazione attenta delle leggi che regolano le modalità realizzative nel campo della costruzione sismica e il controllo oculato da parte delle autorità preposte durante le fasi operative (sia per le nuove costruzioni sia per l’adeguamento o il miglioramento di quelle esistenti); l’informazione e la formazione degli operatori e dei cittadini per affrontare situazioni di emergenza derivanti dall’evento sismico. Pianificare su scala territoriale l’azzeramento del rischio sismico per un determinato agglomerato urbano non risulta un’opzione praticabile in modo sistematico.
Preso allora atto dell’impossibilità di applicare strumenti a scala territoriale per contrastare completamente gli effetti del terremoto, è necessario pervenire alla definizione di rischio accettabile, ossia del livello di rischio residuo a valle dell’attuazione di misure preventive tese ad assicurare la conservazione di beni storici, servizi pubblici fondamentali, attività produttive. Tutto ciò avviene attraverso una valutazione del rapporto costi/benefici, derivante dalla quantificazione degli oneri economici necessari alla prevenzione di fronte ai corrispondenti costi sociali ed economici dell’eventuale ricostruzione, comprensivi dell’emergenza nell’immediato dopo sisma. Quanto detto è strettamente legato al concetto di etica, e non può prescindere dal bagaglio culturale, dalle esperienze vissute e dalla sensibilità specifica di una comunità di cittadini su scala locale, regionale o nazionale.
Una pianificazione su scala territoriale necessita della considerazione di vari fattori come, per es., il numero di abitanti e di complessi edilizi; la tipologia edilizia (case isolate, a schiera ecc.), il grado di omogeneità costruttiva e di conservazione, l’epoca di costruzione e la presenza di ampliamenti/modifiche; le condizioni di accessibilità, come la larghezza delle strade e la presenza di aree libere; il censimento degli edifici di rilevante interesse pubblico e strategico al fine della gestione dei soccorsi nello scenario postsismico, con le condizioni di sicurezza strutturale e le caratteristiche di accessibilità; l’individuazione di idonee vie di fuga su scala urbana e territoriale; l’individuazione di emergenze edilizie quali campanili, ciminiere, torri, dighe, ponti, strade sopraelevate. I dati così individuati vanno poi confrontati, al fine della strategia più opportuna da adottare nei confronti della limitazione della vulnerabilità territoriale, con la zonazione macrosismica di un dato territorio, corrispondente alla mappatura delle intensità sismiche riferite a un determinato periodo di ritorno, ovverosia all’intervallo di tempo che statisticamente intercorre tra il manifestarsi di due successivi eventi di data intensità. Una tale mappatura del territorio si basa sui risultati di studi multidisciplinari: geologici, per la caratterizzazione della stratigrafia e litologia dei luoghi, con indicazioni sullo stato di consistenza e fratturazione dei terreni; geofisici, con l’individuazione delle frequenze proprie dei vari strati e di eventuali fattori di amplificazione; geotecnici, con la determinazione delle caratteristiche meccaniche dei terreni; statistici, attraverso lo studio delle registrazioni storiche di determinati eventi in zone di territorio specifiche.
La zonazione macrosismica consente di giungere alla definizione di curve locali di pericolosità sismica corrispondenti alla probabilità di eccedenza, ossia alla probabilità che in un determinato periodo di riferimento (tipicamente la vita utile di un edificio) si verifichi un terremoto di intensità superiore a quella relativa a un dato periodo di ritorno.
I risultati di un’attività di zonazione del territorio ai fini del rischio sismico sono fondamentali, oltre che per la gestione del patrimonio esistente, anche per la scelta di nuove zone di espansione edilizia. I piani urbanistici si devono commisurare a una valutazione di compatibilità sismica. In generale, è ovvio come zone di nuova espansione risultino, nel complesso, meno vulnerabili rispetto ai centri storici o a zone caratterizzate da un’edilizia datata. Questo a causa delle caratteristiche degli edifici recenti (che presentano tipologie costruttive, materiali e normative di riferimento sempre migliori con il passare degli anni), delle densità inferiori dei fabbricati e del fatto che il sistema viario è caratterizzato da sedi di larghezza aumentata: tutti fattori che agevolano le attività di soccorso e protezione civile nell’immediato dopo sisma. Tuttavia, è istruttivo riscontrare come, a fronte di eventi sismici recenti, la performance strutturale di edifici relativamente nuovi sia risultata spesso, e in modo inatteso, inferiore e (del tutto o in parte) insufficiente rispetto a quella di edifici più datati e teoricamente caratterizzati da una vulnerabilità maggiore. A ciò va aggiunto che la normativa sismica di ultima generazione prescrive, per diversi periodi di riferimento, differenti probabilità di superamento. Questo è un aspetto chiave per la gestione dell’emergenza. Infatti, per periodi di riferimento crescenti, con il conseguente aumento della probabilità di superamento, il livello prestazionale in termini di risposta strutturale varia di conseguenza, essendo richiesto dalla normativa che l’edificio sia perfettamente operativo nell’immediato dopo sisma, immediatamente occupabile (in riferimento al non superamento degli stati limite di servizio), ovvero che lo stesso non collassi nelle sue parti non strutturali, mettendo a repentaglio la vita degli occupanti, o non subisca il collasso parziale o totale di elementi strutturali (in riferimento al superamento degli stati limite ultimi). Si sottintende che, da un punto di vista normativo, il moderno approccio alla progettazione sismica dia per scontato un certo livello di danneggiamento dell’edificio a fronte di eventi di una certa intensità. Le conseguenze di questa filosofia legislativa, nei confronti della protezione civile, implicano lo sgombero degli immobili nell’immediato dopo sisma e la verifica, da parte di tecnici preposti, della consistenza del danno subito in vista di un ritorno della popolazione alle abitazioni di origine o dell’inizio delle operazioni di retrofitting strutturale (ossia interventi di miglioramento della qualità strutturale senza demolizione e ricostruzione) o di demolizione. Queste procedure possono avere su una comunità ricadute molto pesanti in termini economici e sociali. Per far fronte a tale evenienza è possibile il ricorso sistematico, dove si renda necessario in conseguenza dei risultati della zonazione macrosismica, a tecniche di isolamento sismico degli edifici, illustrate brevemente di seguito.
Livelli di danno accettabili: nuovi codici normativi
L’approccio moderno alla progettazione sismica, basato su parametri prestazionali attribuibili ai singoli elementi e non sull’adempimento di una serie di prescrizioni stabilite a priori, porta al concetto di soddisfacimento di una certa attesa performance sismica come obiettivo, quantificabile attraverso il tracciamento di curve di fragilità caratterizzanti i singoli elementi di un edificio. L’individuazione di tali curve è di fondamentale importanza nella determinazione della risposta sismica attesa e nella quantificazione economica delle perdite derivanti dal danneggiamento dei componenti, strutturali e non. Una curva di fragilità esprime il rapporto tra un parametro rappresentativo della risposta strutturale di un certo componente EDP (Engineering Demand Parameter) e la probabilità di superamento di un determinato stato di danno. Esistono due tipi di EDP che ben si prestano a descrivere il livello di danno di un componente all’interno di un edificio e quindi a un approccio prestazionale all’ingegneria sismica: l’IDR (maximum Interstory Drift Ratio) e il PFA (Peak Floor Acceleration). L’indice IDR appare particolarmente significativo per tutti quei componenti che risultano danneggiati a seguito di apprezzabili deformazioni implicanti spostamenti relativi nei piani orizzontali a livello dei solai. Al contrario, l’indice PFA è indicato soprattutto per le curve di fragilità relative a tutti quei componenti, tipicamente non strutturali, che risultano particolarmente sensibili alle forze d’inerzia, per es. gli impianti elettromeccanici, i controsoffitti e tutti quegli elementi appesi alle strutture orizzontali che risultano in particolare vulnerabili ai picchi di accelerazione. Alcuni elementi appaiono sensibili a entrambi gli indici, IDR e PFA; per es., gli ascensori posseggono componenti (come binari, porte ecc.) vulnerabili nei confronti degli spostamenti relativi degli interpiani, e altri (come motori e contrappesi) danneggiati dai picchi di accelerazione.
Il livello di performance atteso è un concetto intrinsecamente legato a un determinato componente, così come di conseguenza il livello di danno.
Il dato principale al fine di determinare una curva di fragilità è la descrizione dei livelli di danno per un certo componente, contestualmente all’intensità dell’indice correlato per cui tale danno si manifesta.
Le informazioni necessarie allo sviluppo delle curve di fragilità derivano essenzialmente da: risultati di prove sperimentali; dati rilevati durante gli eventi sismici all’interno di edifici strumentati; dati rilevati da ispezioni in edifici non strumentati danneggiati da un evento sismico in cui siano disponibili le accelerazioni del terreno nelle zone circostanti. Si intuisce immediatamente come la determinazione delle curve di fragilità per i componenti di un determinato edificio sia una questione estremamente delicata. Di qui i tentativi presenti in letteratura di creare data-base quanto più possibile esaustivi che, a partire dalla quantificazione del danno registrato in un gran numero di componenti a determinati picchi di accelerazione oppure a determinati livelli di spostamento relativo tra diversi livelli di solai, possano fornire, per interpolazione, le rispettive curve di fragilità.
La ricerca si è ampiamente occupata della risposta sismica dei componenti non strutturali degli edifici. Il danneggiamento di componenti quali impianti, tamponamenti, arredi e simili è stato diffusamente studiato da numerosi ricercatori e i risultati sono disponibili nella letteratura specifica. Oltre a ciò, sono preziosi i dati derivanti da specifiche campagne sperimentali finalizzate a cogliere gli aspetti dei menzionati componenti sotto determinate condizioni di carico. Esistono varie strategie per limitare i rischi correlati al danneggiamento degli elementi non strutturali.
Le misure di prevenzione possono essere progettate partendo da un’approfondita conoscenza dello stato di fatto dell’edificio in oggetto e decidendo una strategia basata sulle priorità di intervento.
Il patrimonio vincolato a contenuti non strutturali
Il problema della vulnerabilità sismica degli elementi non strutturali negli edifici ha dimostrato di ricoprire un ruolo fondamentale nel determinare il grado di rischio associato a un evento sismico nei confronti della possibile perdita di vite umane e di possibili ingenti danni economici derivanti da perdite patrimoniali o da rotture di componentistica non strutturale.
Per una data struttura, il rischio sismico per un particolare componente strutturale è determinato da un numero estremamente elevato di variabili che comprendono: il grado di sismicità dell’area, le caratteristiche locali del suolo, le caratteristiche strutturali dell’edificio, la risposta dinamica del componente non strutturale, la posizione del componente non strutturale all’interno dell’edificio e il grado d’importanza dello specifico componente nel sistema. La questione assume una rilevanza particolare a livello economico, poiché spesso il costo degli elementi non strutturali supera di gran lunga quello degli strutturali.
Per es., se si considerano per diverse tipologie di edifici i costi rispettivamente di struttura, elementi non strutturali e contenuti, secondo statistiche fornite dal FEMA (Federal Emergency Management Agency) statunitense, l’equivalente della Protezione civile in Italia, si trovano per gli uffici valori di 18, 62 e 20%, per gli hotel di 13, 70 e 17%, e per gli ospedali, dove l’impiantistica gioca un ruolo fondamentale, di 8, 48 e 44%. Si capisce chiaramente che dal punto di vista patrimoniale la protezione della sola struttura rappresenti un dato certamente fondamentale ai fini della salvaguardia della vita umana ma del tutto secondario nei confronti della difesa del valore del patrimonio investito.
Tale sperequazione risulta decisamente più evidente nel caso di edifici di interesse storico-monumentale, dove elementi non strutturali e contenuti possono avere carattere artistico. È inoltre importante notare come fenomeni di danneggiamento di elementi non strutturali abbiano luogo per livelli deformativi inferiori a quelli che generalmente innescano tali fenomeni negli elementi strutturali. Per es., il danneggiamento di pannelli di tamponamento fragili (come tramezze divisorie in laterizio) si manifesta già per sollecitazioni sismiche estremamente limitate e tali da non indurre alcun danno all’interno delle strutture portanti principali. Analogamente, picchi elevati di accelerazione, associati a limitati livelli deformativi, provocano seri danneggiamenti nei controsoffitti e nelle tubazioni. Statistiche statunitensi redatte per un certo numero di installazioni non strutturali negli ospedali della California, durante il terremoto di Loma Prieta del 1989, hanno evidenziato la più elevata vulnerabilità sismica in componenti non strutturali (ATC, SSN 2003), come impianti per gas medicali, generatori di emergenza, ascensori e impianti di comunicazione. In generale, risulta comunque estremamente chiaro come un’interruzione temporanea delle funzioni assicurate dai componenti non strutturali possa determinare l’inagibilità dell’intera struttura, con conseguenti gravissime perdite economiche e pesantissimi disagi per gli occupanti.
Un moderno approccio alla progettazione in campo sismico, basato su criteri prestazionali, deve pertanto concentrare la sua attenzione, oltre che sulle strutture principali, anche sulla performance sismica di tutti i componenti non strutturali presenti all’interno di un edificio, intendendo con la definizione non strutturale tutto ciò che non è strettamente deputato all’assorbimento dei carichi permanenti e accidentali. I componenti non strutturali comuni consistono in: controsoffitti; corpi illuminanti; impianti elettromeccanici; tramezze e pannelli divisori; serramenti; elementi d’arredo. Il loro danneggiamento, parziale o definitivo, può avere come principali conseguenze perdita di vite umane, danneggiamenti parziali e totali di patrimonio, interruzione o interdizione di funzioni essenziali. In letteratura sono presenti varie classificazioni dei componenti non strutturali. Tra queste, vale la pena di segnalare quella del documento FEMA n. 274 dell’ottobre 1997 (NEHRP Commentary on the guidelines for the seismic rehabilitation of buildings), che prevede di raggruppare i componenti non strutturali in due categorie principali, con differenti prerogative a seconda del tipo di funzione per cui gli stessi sono progettati: l’utilizzo immediato dell’edificio dopo l’evento sismico oppure la salvaguardia della vita umana. Peraltro, in tempi meno recenti, il gruppo di ricerca coordinato da Roger E. Scholl (R.E. Scholl, H. Lagorio, C. Arnold, Nonstructural issues of seismic design and construction, 1984) classificò questi componenti in accordo alle loro implicazioni in termini di perdita di vite umane, di funzionalità degli ambienti serviti e, infine, di perdite economiche. Risale invece al 2003 la classificazione pubblicata dal PEER (Pacific Earthquake Engineering Research Center) della University of California, Berkeley, basata su vari livelli che raggruppano in sistemi non strutturali un certo numero di componenti correlati per funzione (Taghavi, Miranda 2003). All’interno di questi gruppi, si prende in esame lo stato di danno di ciascun componente nei confronti di una determinata accelerazione e la sensibilità dello stesso rispetto ad accelerazioni di tipo diverso. Per ciascun componente si esaminano le azioni necessarie al ripristino, le conseguenze provocate dal danneggiamento nell’edificio, la perdita di funzionalità subita dalla costruzione nel complesso e dal singolo componente, il rischio in termini di perdita di vite umane.
Tecniche avanzate di progettazione antisismica
Durante un evento sismico, nella misura in cui una certa costruzione è messa in vibrazione, si sviluppano su di essa forze di inerzia proporzionali alla massa inerziale e all’accelerazione. Ha quindi grande rilevanza, ai fini della sicurezza strutturale, il massimo valore dell’accelerazione prodotta nel terreno dal moto sismico, detta accelerazione di picco al suolo del terreno (ag) e, in particolare, la sua componente orizzontale: infatti, è in direzione parallela al terreno che gli edifici presentano la vulnerabilità maggiore, essendo stati tradizionalmente progettati per resistere ai carichi gravitazionali verticali.
Il comportamento di un edificio durante un terremoto dipende, oltre che dalle caratteristiche dell’azione sismica, da altri elementi quali la tipologia strutturale, i criteri di progettazione adottati, le caratteristiche dei dettagli degli elementi strutturali e la cura della realizzazione. I fattori che condizionano la corretta scelta di un sistema sismoresistente sono riconducibili a due concetti fondamentali: la regolarità geometrica, corrispondente alla presenza di flussi delle forze indotte dalle azioni sismiche nelle strutture portanti, chiari e continui dal punto di applicazione fino al livello delle fondazioni, e l’impiego di materiali e di dettagli costruttivi appropriati che assicurino un’adeguata capacità elastica e postelastica degli elementi e del sistema resistente.
La regolarità geometrica, che interessa tanto la configurazione strutturale quanto quella architettonica, non sempre è tenuta nella giusta considerazione nel progetto architettonico. Quest’ultimo è spesso sviluppato indipendentemente dalla definizione del sistema strutturale, che deve poi adattarsi a una morfologia già definita, senza poter più ricercare soluzioni ottimali. La risposta di un edificio all’azione sismica dipende in modo determinante dalla configurazione geometrica in pianta e in altezza dello stesso. Generalizzando si può dire che maggiore è la regolarità, migliore sarà il comportamento della struttura durante il terremoto.
L’aspetto concettuale del progetto di un edificio è quindi di grande importanza in campo sismico: concepire un edificio dove le forze laterali possono essere facilmente trasferite a terra senza eccessive deformazioni e con comportamento duttile ne assicura il buon funzionamento sotto l’azione sismica. Questo obiettivo può essere raggiunto se si seguono alcuni principi guida, come descritto dalla normativa italiana vigente: «gli edifici devono avere quanto più possibile caratteristiche di semplicità, simmetria, iperstaticità e regolarità» (dalla citata o.p.c.m. 20 marzo 2003 n. 3274, allegato 2, Norme tecniche per il progetto, la valutazione e l’adeguamento sismico degli edifici, punto 4.3.1, Regolarità). In particolare: semplicità strutturale, che assicura l’esistenza di percorsi evidenti e diretti per la trasmissione delle forze sismiche, riducendo le incertezze insite nelle varie fasi di progettazione ed esecuzione, e quindi rende più affidabile la previsione del comportamento della struttura sotto sisma; uniformità e simmetria, che assicurano una distribuzione bilanciata e adeguata degli elementi strutturali in pianta e in altezza, inducendo la struttura ad avere una risposta globale uniforme, e quindi riducono i rischi legati alla presenza di eccentricità, zone di concentrazioni di sforzi e di elevata richiesta di duttilità; iperstaticità, che assicura una ridondanza di elementi strutturali e, quindi, una più favorevole e più ampia ridistribuzione degli effetti dell’azione sismica e dissipazione di energia; resistenza e rigidezza flessionali, secondo due direzioni ortogonali che assicurano un buon comportamento della struttura qualunque sia la direzione del moto sismico (la presenza di due sistemi resistenti orditi secondo direzioni ortogonali e con valori di rigidezza e resistenza simili è estremamente importante se si considera l’aleatorietà del moto sismico e, quindi, l’impossibilità di prevederne la direzione di azione); resistenza e rigidezza torsionali, che assicurano limitati effetti torsionali nella struttura e quindi riducono il rischio che spostamenti differenziati, dovuti a tali effetti nei diversi elementi strutturali, inducano sollecitazioni non uniformi; rigidezza e resistenza dei solai nel piano, che assicurano capacità di ridistribuzione delle forze indotte dal sisma sul sistema proporzionale alle rigidezze e alle resistenze degli elementi resistenti nonché un comportamento globale uniforme; fondazioni adeguate, in grado di assicurare che l’intero edificio sia soggetto a un’uniforme eccitazione sismica, riducendo eventuali spostamenti dovuti a input non sincrono. Il soddisfacimento di tali requisiti permette di realizzare strutture che, durante sismi di media ed elevata intensità, hanno una capacità di deformazione anelastica e dissipazione di energia tali da permettere alla struttura di mantenere anche dopo l’evento la propria capacità portante, pur avendo ammesso danni negli elementi strutturali e non.
L’approccio progettuale da utilizzarsi per le costruzioni in zona sismica può quindi basarsi sul metodo tradizionale di aumentare la capacità di resistenza (e sui concetti prima introdotti di semplicità, simmetria, iperstaticità e regolarità), o su quello, tipico di un approccio più moderno alla progettazione sismica, di ridurre la rigidezza della costruzione, come ben argomentato da Ray W. Clough, uno dei padri fondatori della moderna ingegneria antisismica (R.W. Clough, J. Penzien, Dynamics of structures, 1975, 19932). Secondo Clough, il rischio sismico comporta una specificità di progettazione, in quanto un forte terremoto propone una combinazione di condizioni contrastanti, costituendo per molte strutture civili la più severa delle sollecitazioni ma con una probabilità di manifestarsi molto bassa. In questa situazione l’impostazione ingegneristica ottimale può essere di progettare la struttura per scongiurare il crollo (per un terremoto della massima violenza possibile), accogliendo, tuttavia, l’ipotesi di danni (sostituire o riparare strutture danneggiate è meno costoso che costruirne di tanto resistenti da non subire danno). La sfida di una tale impostazione risiede nello sviluppare un progetto economico secondo cui un edificio suscettibile di essere danneggiato da un sisma sia, tuttavia, sostanzialmente a prova di crollo. Clough ritiene che la soluzione di questo problema progettuale possa essere conseguita considerando un’altra caratteristica peculiare della sollecitazione sismica: l’intensità del carico sismico dipende dalle caratteristiche della struttura, a differenza di quanto avviene con gli altri carichi considerati nella progettazione strutturale (vento, gravità, carichi idrodinamici ecc.). Si può ottenere un’adeguata resistenza sismica sia aumentando la capacità di resistenza vera e propria sia riducendo la rigidità e, di conseguenza, gli sforzi a cui resistere. Rispetto ad altri settori dell’ingegneria civile, lo specifico approccio della progettazione sismica richiede una maggiore comprensione del comportamento strutturale degli edifici. Si deve concludere che anche cambiamenti secondari nel sistema d’intelaiatura o nella progettazione di dettagli costruttivi possono avere influenza determinante sulle prestazioni rispetto alle sollecitazioni sismiche; l’aggiunta non commisurata di materiale non assicura comportamenti soddisfacenti, mentre di certo implica un diretto aumento dei costi.
Fra i modelli interpretativi proposti per comprendere il comportamento sismico delle costruzioni si può considerare quello di Hiroshi Akiyama (Earthquake-resistant limit-state design for buildings, 1985), basato sul concetto dei flussi energetici. Secondo questo modello, l’energia sprigionata dal terremoto in profondità (ipocentro del terremoto) arriva alla fondazione delle costruzioni modificata in funzione delle caratteristiche dinamiche del terreno stesso (fase I). Successivamente, la costruzione assorbe una quantità di energia che dipende dalle caratteristiche architettonico-strutturali della stessa; fra tali caratteristiche assumono particolarmente importanza la massa, la rigidezza (intesa come la capacità di un edificio di deformarsi sotto una data forza) e la distribuzione delle stesse in pianta e in altezza (fase II). In genere, a parità di massa, al diminuire della rigidezza l’energia assorbita dalla struttura diminuisce (gli edifici tozzi possono essere più sensibili ai terremoti di quelli snelli). Il rapporto fra la rigidezza e la massa determina la frequenza di vibrazione (numero di oscillazioni libere nell’unità di tempo) di un edificio e, quindi, le sue caratteristiche dinamiche. La costruzione è poi in grado di sviluppare meccanismi di dissipazione dell’energia assorbita (fase III), fra i quali si citano quello classico di tipo viscoso (in cui l’energia dissipata è proporzionale alla velocità raggiunta dall’edificio durante il terremoto), dovuto principalmente all’effetto delle forze di attrito fra i vari elementi della costruzione durante l’evento, e quello dovuto agli effetti delle deformazioni permanenti nella struttura in seguito all’entrata dei materiali in fase plastica. L’energia assorbita dall’edificio viene in seguito distribuita (fase IV) fra i vari elementi portanti verticali (pilastri, setti) e orizzontali (travi), in base alla rigidezza dei vari sistemi (in genere l’elemento sismo-resistente più rigido assorbirà una quantità maggiore di energia). Il comportamento sismico della costruzione può essere valutato (fase V) in base al livello di danneggiamento avuto, e dipende dalla quantità di energia assorbita dal sistema strutturale sismoresistente durante l’evento (domanda), confrontata con la capacità di assorbire l’energia deformativa (offerta).
Il modello interpretativo introdotto può essere d’aiuto per comprendere i concetti alla base delle tre principali tecniche di protezione antisismica: a) incremento di resistenza; b) dissipazione di energia; c) isolamento sismico. La prima tecnica consiste nell’aumentare le caratteristiche di resistenza della struttura, che risponderà all’azione sismica rimanendo in campo elastico. Tale scelta progettuale determina in genere un costo di costruzione molto elevato, per la necessità di avere un sistema sismoresistente estremamente importante. La seconda tecnica, a dissipazione di energia, mira a diminuire l’energia assorbita dalla costruzione dissipandola attraverso la capacità duttile dei materiali (ossia la capacità del materiale di deformarsi in fase plastica), o attraverso l’introduzione di elementi a perdere dove concentrare la dissipazione (in particolare, elementi a elevata duttilità in acciaio); sempre basati sullo stesso concetto sono i dissipatori viscosi, dispositivi contenenti al proprio interno un fluido viscoso che mentre si muove dissipa energia. L’ultima tecnica sopra menzionata, quella dell’isolamento sismico, è basata sull’inserimento di appoggi scorrevoli fra la fondazione dell’edificio e il terreno, variando quindi le caratteristiche dinamiche del sistema (le frequenze di fase II) e, di conseguenza, diminuendo l’energia assorbita dalla costruzione.
Dopo aver introdotto la tematica dei flussi energetici, per capire meglio quali siano i concetti su cui si basano le moderne tecniche di progettazione antisismica bisogna innanzitutto introdurre i modelli normalmente adottati per rappresentare l’azione sismica e la risposta delle strutture a tale azione.
Il terremoto si può considerare come uno scuotimento del terreno che determina un’accelerazione nella struttura. Il modello più utilizzato, in campo ingegneristico, per rappresentare l’azione sismica è costituito da un diagramma, chiamato spettro di risposta, che rappresenta l’accelerazione massima causata non nel terreno ma nella stessa struttura al variare delle sue caratteristiche dinamiche principali quali massa e rigidezza, responsabili di eventuali effetti di amplificazione dell’azione trasmessa dalle fondazioni. Tale diagramma è ottenuto prendendo in considerazione un semplice modello dinamico di edificio, chiamato oscillatore semplice (schematizzato come un massa concentrata vincolata a una molla). Tale schematizzazione ben rappresenta, per es., il modello dinamico di un serbatoio pensile per l’acquedotto, dove la massa costituita dall’acqua si può considerare concentrata in un punto, vincolata a muoversi orizzontalmente ed elasticamente attorno al punto iniziale di equilibrio statico dalla presenza della pila dove risiede la rigidezza del sistema, intesa come la capacità di opporsi alla deformazione.
Quando arriva un terremoto, il terreno inizia a oscillare con una certa accelerazione, in genere diversa dall’accelerazione della massa concentrata per effetto della deformabilità della parte elastica (come la pila, nel caso dell’esempio del serbatoio). L’accelerazione totale a della massa m nel sistema di riferimento assoluto sarà data dunque dalla somma algebrica della sua accelerazione relativa ẍ, calcolata rispetto al sistema di riferimento locale solidale all’oscillatore, e dell’accelerazione (di trascinamento) ü dell’origine del sistema di riferimento solidale all’oscillatore rispetto a quello di riferimento assoluto (in pratica nel caso di un sisma rappresenta l’accelerogramma).
La forza dovuta all’azione sismica sull’oscillatore semplice sarà allora:
F=ma=m(ẍ+ü)
All’azione sismica fa da contrasto, istante per istante, la reazione elastica Re dell’asta (che corrisponde alla fase II del modello dei flussi di energia precedentemente introdotto):
Re=−kx
con k rigidezza traslazionale dell’asta, equivalente alla forza necessaria a imprimere uno spostamento orizzontale unitario all’asta; per il terzo principio della dinamica si ha:
Re=F; m(ẍ+ü)=−kx
da cui si ricava l’equazione del moto:
mẍ+kx=−mü
Se supponiamo che l’accelerazione ü sia nulla si ha l’equazione del moto di un oscillatore libero:
mẍ+kx=0 oppure ẍ+(k/m)x=0
L’interpretazione di questa equazione differenziale è la seguente. Se si impone uno spostamento orizzontale alla massa in equilibrio e la si rilascia, questa incomincia a oscillare intorno alla posizione iniziale con una frequenza e un periodo rispettivamente pari a:
f=(k/m)1/2 [Hertz]; T=2π/f=2π/(k/m)1/2 [s]
Se supponiamo inoltre di considerare anche il contributo dovuto alla dissipazione viscosa (fase III del modello dei flussi di energia precedentemente introdotto), si ha:
Rv=−cẋ
con c che rappresenta la costante di smorzamento, equivalente alla forza necessaria a imprimere una velocità orizzontale unitaria all’asta.
La reazione totale applicata, istante per istante, alla massa, può essere espressa dalla seguente relazione:
R=Re+Rv=−(kx+cẋ)
Per lo stesso principio di azione e reazione si ha:
R=Re+Rv=F; m(ẍ+ü)=−(kx+cẋ)
da cui si ricava l’equazione del moto, comprensiva della forza di dissipazione viscosa:
mẍ+cẋ+kx=−mü
La conoscenza dell’accelerogramma ü(t), della rigidezza k, della massa m e, quindi, del periodo proprio di vibrazione T, nonché delle condizioni iniziali del moto, permette di risolvere l’equazione del moto e quindi di definire la legge del moto nel sistema di riferimento relativo. Risulta di particolare importanza il valore dello spostamento relativo massimo xmax, al quale corrisponde la cosiddetta forza statica equivalente:
F=kxmax
Questa forza è pari in valore e in segno a quella che, applicata staticamente alla massa, provocherebbe lo spostamento relativo massimo xmax rispetto alla base dell’oscillatore, quindi rappresenta l’azione che, per il sisma dato, deformerebbe maggiormente l’oscillatore.
Il passo successivo, dovuto a Maurice A. Biot (Theory of elastic systems vibrating under transient impulse with an application to earthquake-proof buildings, «PNAS», 1933, 19, 2, pp. 262-68) e in seguito diffuso da George W. Housner (An investigation of the effects of earthquakes on buildings, 1941), è stato quello di non rappresentare più l’azione sismica come un accelerogramma agente sulle fondazioni della costruzione, ma in base agli effetti che questo ha sulla struttura. Si può quindi ottenere un diagramma chiamato spettro di risposta, il quale rappresenta le massime accelerazioni che si hanno su un edificio in base non solo alle caratteristiche geografiche e geologiche (latitudine, longitudine, peculiarità del terreno e quindi accelerazione massima attesa del terremoto alla base dell’edificio), ma anche considerando gli effetti di amplificazione o smorzamento dovuti alla struttura (rigidezza, massa e smorzamento). La procedura di tracciamento è la seguente: si determina l’accelerazione massima di un oscillatore semplice avente un certo periodo T e un determinato smorzamento sotto un accelerogramma assegnato; si varia il periodo e si determina l’accelerazione massima dell’oscillatore semplice sotto lo stesso input e con lo stesso smorzamento; si ripete l’operazione per un numero n di valori e quindi si diagrammano i valori ottenuti in funzione del periodo; si ripete l’operazione precedente cambiando l’accelerogramma di input (il segnale, non il valore massimo dell’accelerazione); si può quindi definire una curva che inviluppa tutti gli spettri di risposta o che viene superata solo occasionalmente. Si veda la figura 1, in cui A indica formazioni litoidi o suoli omogenei molto rigidi; B, depositi di sabbie o ghiaie molto addensate o argille molto consistenti; C, depositi di sabbie e ghiaie mediamente addensate oppure argille di media consistenza; D, depositi di terreni granulari da sciolti a poco addensati coesivi da poco a mediamente consistenti; E, profili di terreno costituiti da strati alluvionali superficiali.
Lo spettro di risposta fornisce quindi la massima accelerazione, e perciò la massima forza statica equivalente (F=mamax) di una costruzione a partire dal suo periodo proprio di vibrazione. Come si può notare dallo spettro di risposta elastico riportato nella figura, l’effetto della struttura è generalmente quello di amplificare l’accelerazione al suolo (dovuta al terremoto) per periodi bassi (strutture rigide), per poi avere invece per periodi più alti (strutture deformabili) un effetto opposto, cioè di smorzamento.
L’accelerazione massima del suolo è, per terremoti con un elevato periodo di ritorno, molto forte, fino a 0,35 g in zone ad alta sismicità. Per strutture con periodi propri di vibrazione medio-bassi, si ha una notevole amplificazione dell’accelerazione rispetto a quella del suolo, circa 2,5 volte, facendo insorgere forze inerziali, ossia orizzontali, indotte dal sisma, che possono arrivare a essere comparabili con le forze verticali. Progettare costruzioni in grado di resistere a forze orizzontali così elevate rimanendo in campo elastico, cioè non avendo danneggiamenti nelle strutture portanti, sarebbe però fortemente antieconomico. Le normative si sono quindi orientate ad accettare danneggiamenti locali e non in grado di determinare il crollo dell’edificio, salvaguardando quindi la sicurezza degli abitanti a scapito dell’accessibilità delle costruzioni dopo il sisma, se non nel caso degli edifici di tipo strategico (ospedali, caserme ecc.).
L’isolamento sismico
Per isolamento sismico o isolamento alla base di un edificio s’intende l’inserimento tra la struttura e le sue fondazioni di opportuni dispositivi molto flessibili orizzontalmente, anche se rigidi in direzione verticale, in grado di disaccoppiare il moto del terreno e quello dell’edificio sovrastante. Tali dispositivi sono generalmente isolatori in gomma armata, costituiti cioè da strati alterni di gomma e acciaio solidarizzati mediante vulcanizzazione. L’inserimento degli isolatori consente di ottenere l’aumento del periodo proprio di vibrazione della struttura per allontanarlo dalla zona dello spettro di risposta con maggiori accelerazioni (fig. 2), assicurando al contempo un sostanziale aumento dello smorzamento strutturale.
Un edificio isolato sismicamente, rispetto a uno non isolato e con le medesime caratteristiche, presenta i seguenti vantaggi: a) si ha una sensibile riduzione delle accelerazioni trasmesse dal sisma alla struttura, anche ai piani più alti, e quindi si hanno minori azioni agenti sulla struttura (in questo modo si previene non solo il collasso dell’edificio, ma anche il danneggiamento degli elementi strutturali) e minori accelerazioni (ciò consente di evitare danni anche a tutti gli elementi non strutturali e in particolare agli impianti, assicurandone il mantenimento della funzionalità anche nel caso di un evento molto rilevante); b) la deformazione viene concentrata quasi interamente sugli isolatori, mentre l’edificio si muove come un blocco rigido al di sopra degli stessi (questo comporta una forte riduzione degli spostamenti d’interpiano limitando il livello di danno non solo agli elementi strutturali, ma anche a quelli non strutturali e agli arredi, che possono comunque rendere inagibile un edificio costruito in modo tradizionale).
Ricordiamo che la progettazione sismica tradizionale convenzionale in senso moderno, basata sul capacity design (o gerarchia delle resistenze), ha come obiettivo quello di evitare il collasso dell’edificio e quindi la perdita di vite umane, ma prevede e accetta il verificarsi di danni ingenti, anche non riparabili: perché con le metodologie tradizionali sarebbe antieconomico evitare completamente i danni, o addirittura impossibile ridurre le accelerazioni al fine di mantenere la funzionalità dell’edificio e preservarne il contenuto.
La maggiore caratteristica dell’isolamento alla base degli edifici è dunque la possibilità di eliminare completamente, o quantomeno ridurre sensibilmente, i danni a tutte le parti strutturali e non strutturali e a tutto ciò che gli edifici contengono. Questo aspetto assume particolare importanza per gli edifici strategici (cui si è accennato all’inizio di questo saggio), che devono rimanere operativi dopo un violento terremoto, per es. gli ospedali o i centri per la gestione dell’emergenza (centri di protezione civile, caserme dell’esercito e dei vigili del fuoco ecc.), oppure per tutti quegli edifici il cui contenuto ha un valore di gran lunga superiore a quello degli edifici stessi (musei, banche, centri di calcolo ecc.).
Dal punto di vista dei costi di costruzione, l’isolamento sismico sembra una tecnica vantaggiosa per edifici che presentano asimmetrie in pianta o in elevazione. Tali asimmetrie, infatti, risultano costose e in alcuni casi anche di problematica esecuzione per edifici con fondazioni di tipo tradizionale, soprattutto in aree di forte sismicità. Come esempio si cita il Centro regionale Marche della Telecom Italia di Ancona (in zona sismica 2), completato nel 1992 (prima dell’entrata in vigore, in Italia, di qualsiasi regola di progetto riguardante i sistemi antisismici), per il quale si stima che l’utilizzazione dell’isolamento abbia comportato un risparmio del 7% dei costi di costruzione, evitando di realizzare fondazioni molto impegnative e permettendo di alleggerire la sovrastruttura pur realizzando un edificio con grandi asimmetrie strutturali.
La dissipazione sismica
S’intende con questa espressione il processo di attenuazione dell’energia sismica che entra all’interno di una struttura durante il terremoto, per mezzo dell’utilizzo di particolari apparecchiature in grado di incrementare il livello di smorzamento già naturalmente in possesso di una struttura. Tali dispositivi vengono utilizzati per collegare punti della struttura principale soggetti a spostamenti relativi. Esistono sostanzialmente due categorie di dissipatori sismici, attivi (o semiattivi) e passivi, a seconda che venga immessa o meno energia dall’esterno per il loro funzionamento.
Dissipazione passiva. Fra i dispositivi di dissipazione passiva, i principali sono: dissipatori metallici isterici in acciaio, quelli ad attrito, viscoelastici, a massa accordata, a liquido accordato.
I dissipatori metallici isterici in acciaio rappresentano una fra le tecnologie più efficaci: essi consentono di sfruttare le proprietà di deformazione anelastica di elementi in acciaio. A questo fine si utilizzano dispositivi appositamente progettati, che possono essere inseriti in posizioni prefissate dell’organismo strutturale. In tal modo si concentra la dissipazione postelastica in questi elementi, che divengono veri e propri elementi a perdere, da sostituire dopo il terremoto.
I dissipatori ad attrito esplicano la loro azione attraverso l’attrito che si sviluppa all’interfaccia di due superfici solide che scorrono l’una relativamente all’altra. Il loro funzionamento si basa sul lavoro delle forze (non conservative) di attrito secondo la teoria di Coulomb. In realtà, tali dispositivi non sembrano avere sempre un comportamento stabile, a causa di diversi fattori, fra cui le condizioni ambientali e il trascorrere del tempo, che possono modificare le caratteristiche delle superfici a contatto e quindi le condizioni di attrito, oltre che la dipendenza di quest’ultimo dalle forze di compressione agenti sulle superfici stesse, potenzialmente variabili durante il sisma. Fra le possibili applicazioni nel caso degli edifici, lo smorzatore può essere inserito nel punto d’incrocio di diagonali di S. Andrea utilizzate come controventi.
I dissipatori viscoelastici si avvalgono di materiali polimerici o vetrosi che dissipano energia per effetto delle deformazioni tangenziali. Tali dispositivi, una volta inseriti nella costruzione, dissipano energia quando le vibrazioni strutturali producono scorrimenti relativi fra i due elementi (generalmente piastre metalliche) fra i quali è stato inserito il materiale con comportamento viscoelastico. Le applicazioni di tali dissipatori in campo sismico sono più recenti e presentano maggiori problemi, quali la difficoltà di dissipare le grandi quantità di energia normalmente presenti durante un sisma di rilevante entità e di adattarsi ad ampie bande spettrali. Dissipatori di tipo viscoelastico erano presenti nelle Twin Towers del World trade center a New York, per limitare le vibrazioni indotte dal vento.
Nel caso dei dissipatori viscosi, l’azione si esplica tramite l’utilizzo di un fluido viscoso, che viene fatto deformare e poi eventualmente passare attraverso un’apertura. Tali dispositivi dissipano secondo una legge proporzionale alla velocità di deformazione e presentano una bassa resistenza alla deformazione quando i carichi sono applicati in maniera molto lenta, ma tale resistenza aumenta all’aumentare della velocità di applicazione delle forze.
Molto interessanti sono i dissipatori a massa accordata (TMD, Tuned Mass Dampers). La loro azione si basa sulla presenza di una massa che, oscillando in controfase rispetto al sistema principale, ne riduce l’ampiezza di oscillazione, contrastando quindi il moto indotto dal terremoto. Il modello dinamico a esso associato è rappresentato da una massa vincolata al sistema principale, per es. un oscillatore a uno o più gradi di libertà, da una molla di rigidezza k e da uno smorzatore c. Scegliendo accuratamente la grandezza della massa m, le proprietà della molla e dell’ammortizzatore, si ottiene un sistema che attenua rapidamente il moto della massa maggiore (la costruzione da proteggere), facendo in modo che l’energia di vibrazione della struttura venga assorbita dalla massa smorzante. Nel caso di strutture con capacità di smorzamento basse e con un modo dominante, come i grandi grattacieli, il TMD è particolarmente efficiente nel ridurre il picco di risposta e la risonanza. Il problema di questo sistema risiede nel fatto che l’efficacia del dispositivo è assicurata soltanto per un modo di vibrare, cioè quello dominante per cui è tarato il dispositivo.
Una recente e famosa applicazione di tale tecnologia si trova nella protezione contro i terremoti e i tifoni del grattacielo Taipei 101 (Taipei Financial Center, Taiwan 2004) che, con i suoi 101 piani fuori terra e i 508 m, è attualmente uno tra gli edifici più alti del mondo. In questo caso la massa accordata di 660 t è sospesa mediante lunghi cavi, così da realizzare un pendolo la cui lunghezza è pari all’altezza di 5 piani, e collegata alla struttura del piano sottostante da 8 dissipatori viscosi. Il TMD di Taipei è il più grande del mondo di tipo passivo, e il primo a essere stato lasciato visibile da un piano mezzanino, integrandolo in questo modo all’architettura dell’edificio. La peculiarità degli smorzatori utilizzati è la loro capacità di reagire con leggi costitutive diverse agli spostamenti indotti dal sisma o dal vento, che hanno velocità differenti.
Una variante del TMD è il dissipatore a liquido accordato (TLD, Tuned Liquid Camper) che, per smorzare, utilizza una massa di liquido. L’ondeggiare del liquido in un serbatoio consente di dissipare energia. Questo sistema ha alcuni vantaggi, quali il basso costo e la semplicità di installazione e di eventuale variazione della frequenza (è sufficiente, per es., variare la massa del liquido), e si è diffuso principalmente in Giappone per il controllo delle vibrazioni indotte dal vento. Nonostante un’effettiva riduzione delle azioni agenti sulle costruzioni che può arrivare fino al 70%, i TLD, tuttavia, non si sono storicamente dimostrati efficienti come i TMD.
Dissipazione attiva. Fra i dispositivi a controllo attivo (o semiattivo) si possono citare: dispositivi a massa attiva (active mass dampers); dispositivi a rigidezza attiva variabile (active variable stiffness); dispositivi ad attrito attivo (o variabile).
I dispositivi a massa attiva sono i più impiegati tra i dispositivi a controllo attivo e sono simili ai TMD potendo essere considerati come una loro evoluzione. La differenza risiede nella presenza di un martinetto che viene impiegato per posizionare la massa istante per istante, in modo da aumentare il campo di utilizzo del dispositivo e quindi il suo effetto di smorzamento a un campo più ampio di frequenze.
I dispositivi a rigidezza attiva variabile si basano sulla possibilità di modificare la rigidezza della struttura, e quindi la sua frequenza naturale, in modo da evitare condizioni di risonanza; possono essere installati nei controventi per aumentare o diminuire la rigidezza a seconda della necessità. Sono costituiti da un cilindro idraulico, un pistone e una valvola di controllo. La regolazione della rigidezza del sistema avviene agendo sulla valvola; quando la valvola è aperta il fluido scorre liberamente e disimpegna la connessione trave-controvento, riducendo quindi la rigidezza strutturale e, viceversa, chiudendo la valvola la rigidezza aumenta.
I dispositivi ad attrito attivo (o variabile) si basano sull’impiego di un attuatore elettromagnetico per variare lo smorzamento dovuto all’attrito. L’attuatore regola lo sforzo normale da trasferire a un controvento collegato al dispositivo; assunto che la forza di attrito è proporzionale allo sforzo normale, di conseguenza variando l’attrito viene variata la dissipazione.
Costruzioni in legno
Il legno, pur rappresentando un materiale da costruzione di tipo tradizionale utilizzato da sempre in molti Paesi europei ed extraeuropei, è tornato a suscitare grande interesse in Italia in particolare per la sua valenza di materiale sostenibile dai contenuti molto interessanti nel campo edilizio.
Il legno come materiale, e le strutture in legno in generale, sono intrinsecamente dotate anche di alcune caratteristiche che lo rendono adatto per l’impiego in zona sismica. Il primo vantaggio nel suo impiego come materiale strutturale è rappresentato dalla leggerezza, e quindi dalla minore sensibilità all’azione sismica. Basti pensare che il peso specifico di un legno massiccio di conifera è attorno ai 500 kg/m3 contro i 2400 kg/m3 di un calcestruzzo, pur essendo i due materiali caratterizzati da una resistenza meccanica simile. Inoltre il legno risulta dalle 4 alle 5 volte più deformabile del calcestruzzo e in generale degli altri materiali da costruzione; ciò comporta una minore rigidezza, e quindi un aumento dei periodi propri di vibrazione e una relativa minore sensibilità della struttura nei confronti dell’azione sismica.
Rispetto alla dissipazione di energia, il legno non presenta vantaggi intrinseci, essendo il suo comportamento di tipo lineare sino al punto di rottura. Si può, tuttavia, introdurre un efficiente meccanismo dissipativo nelle strutture in legno progettando in modo opportuno i collegamenti fra i vari elementi strutturali. I giunti realizzati con connettori meccanici possono presentare un grande comportamento dissipativo, dovuto principalmente a due meccanismi che si manifestano durante la deformazione della connessione: il rifollamento (plasticizzazione) del legno intorno ai connettori; l’entrata in campo plastico dei connettori metallici. L’azione combinata di questi due meccanismi permette alle costruzioni in legno di avere un comportamento duttile e di dissipare energia, aspetti fondamentali per la resistenza all’azione sismica.
Gli edifici a struttura in legno costituiscono una parte sempre crescente dell’intero mercato dell’edilizia residenziale, non solo in America Settentrionale (dove tale tipologia è di gran lunga predominante) ma anche in Giappone e, in misura minore, in Europa; nelle tre zone il rapporto numerico fra edifici in legno ed edifici in acciaio/calcestruzzo è rispettivamente di circa 8:1, 1:1 e 1:29. La ragione di tale diversa diffusione è dovuta all’influenza di due fattori fondamentali: il clima e la disponibilità di materia prima naturale. Nei Paesi caratterizzati da un clima rigido e con frequenti precipitazioni, il legno, generalmente disponibile in abbondanza, offre pareti e coperture impermeabili e con ottime proprietà di isolamento termico. Al contrario, nei Paesi con un clima asciutto o tendenzialmente secco, e una relativamente bassa disponibilità di legname duro (rovere, castagno, faggio), si è diffusa un’edilizia basata su materiali quali pietra e mattone. Attualmente il legno sta conquistando sempre più favori come materiale da costruzione per motivi che vanno oltre il comportamento sismico, quali: buona risposta termica e acustica; generale semplicità e velocità di montaggio; costi competitivi, grazie alla riduzione dei tempi di cantiere; basso impatto ambientale e requisiti di ecocompatibilità (questo aspetto può essere, tuttavia, parzialmente inficiato dall’incidenza del trasporto, considerando che in molti Paesi il legno da costruzione viene importato e quindi si ha un relativo grande consumo energetico); buona durabilità, a condizione di progettare correttamente i particolari costruttivi; comportamento al fuoco non peggiore di quello degli altri materiali tradizionali. In generale, se ben progettati, gli edifici realizzati con questa tipologia hanno una buona risposta sismica, con un comportamento scatolare in cui le pareti laterali svolgono la duplice funzione di resistere ai carichi verticali e orizzontali (sisma e vento).
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