Edilizia
Con il termine 'edilizia' si fa riferimento all'insieme di attività che si traduce nella costruzione (e nella ristrutturazione) di fabbricati a uso abitativo (case) o industriale (capannoni di stabilimenti, palazzi per uffici) ovvero ancora di infrastrutture quali stazioni ferroviarie, strade e autostrade, trafori, ponti, complessi portuali e aeroportuali (denominate generalmente 'opere pubbliche'). Detta tassonomia emerge nell'ambito dei conti economici nazionali, ove la totalità degli investimenti in 'costruzioni' risulta essere ripartita fra 'abitazioni', da un lato, e 'fabbricati non residenziali e opere pubbliche', dall'altro. Indagini settoriali più approfondite si preoccupano talora di distinguere, in specie nell'ambito delle abitazioni, la quota della produzione complessiva che può essere attribuita all'edificazione di nuove case da quella che riguarda attività di restauro, conservazione, ristrutturazione e ammodernamento di edifici costruiti precedentemente.
Tali distinzioni si spiegano con la consapevolezza del ruolo fondamentale degli impulsi derivanti dall'edilizia in quanto complesso di attività di un sistema economico e, conseguentemente, con la necessità di isolare le determinanti di tale produzione, decisamente differenziate in funzione delle diverse categorie di fabbricati.
L'edilizia ha una forte influenza sulla determinazione del livello di attività del sistema, soprattutto per effetto dell'elevato potere attivante della domanda finale di fabbricati; per concretizzarsi in effettiva produzione, questa richiede infatti materie prime, componenti, beni intermedi, macchinari e servizi da realizzarsi da parte dei più svariati settori produttivi (v. cap. 5). Un'accelerazione dei livelli di attività nel settore delle costruzioni è quindi in grado di imprimere una considerevole spinta espansiva al sistema economico di un paese, e ciò, come si vedrà, senza provocare un eccessivo aumento delle importazioni. Si tratta di una caratteristica assai importante agli occhi di chi è responsabile della politica economica, tale da giustificare un costante interesse verso il settore.
Nella fase preindustriale la scelta dei materiali da costruzione era strettamente determinata dalla loro più o meno agevole reperibilità. Gli elevatissimi costi di trasporto imponevano di utilizzare quanto era ampiamente disponibile in loco. Nelle zone ricche di foreste il materiale più frequentemente usato rimaneva il legno; nelle aree rocciose si costruivano case e ponti in pietra; ove abbondava l'argilla si preferivano i mattoni. Nel caso di edifici di maggiori dimensioni e a carattere monumentale si tendeva tuttavia, pressoché ovunque, a utilizzare pietra, marmi o granito. Può essere comunque interessante notare che la struttura di base delle abitazioni fu solo raramente condizionata dal materiale usato per l'edificazione, mentre lo fu piuttosto dalle caratteristiche climatiche delle differenti aree. Il tetto offre in tal senso l'esempio tipico: piatto nelle località ove le precipitazioni sono assai rare, spiovente nei paesi umidi, al fine di favorire lo scorrimento delle piogge, ancora più inclinato nelle zone caratterizzate da abbondanti nevicate invernali, ove una copertura di tipo piano potrebbe crollare sotto il peso della neve accumulata. A partire dal secolo scorso l'edilizia cominciò a utilizzare su vasta scala materiali più elaborati, quali il calcestruzzo e l'acciaio. Intorno al 1840 gli stessi innovatori che avevano studiato la forgiatura e la chiodatura delle caldaie delle macchine a vapore intuirono la possibilità di forgiare e chiodare il ferro dolce (detto anche 'ferro forgiabile') al fine di realizzare travi e archi per strutture edili.Il ferro forgiabile, con basso contenuto di carbonio, si rivelò meno fragile della ghisa, utilizzata come materiale da costruzione fin dai tempi della Rivoluzione francese, e, soprattutto, assai facile da lavorare e modellare in stato di incandescenza. Fu preferito inoltre alla tradizionale pietra perché, per costruzioni di pari resistenza, il primo pesava decisamente di meno ed era quindi molto più facile da trasportare.Una innovazione decisiva nell'ambito dei materiali per l'edilizia derivò tuttavia dal miglioramento del processo produttivo siderurgico, che permise l'ottenimento di grandi lingotti di acciaio fuso, successivamente laminabili in travi. L'acciaio sostituì rapidamente il ferro forgiabile, perché più economico.
Da allora a oggi si è proceduto lungo tale linea, ottenendo varietà di acciaio sempre più robuste e leggere. L'impatto dei metalli nel processo produttivo dell'industria delle costruzioni fu rivoluzionario. In mancanza di questi il simbolo dell'edilizia contemporanea, ossia l'immobile a molti piani, protagonista indiscutibile dei processi di urbanizzazione di massa, non sarebbe mai potuto sorgere o, in ogni caso, non avrebbe potuto consentire la concentrazione di vasti potenziali abitativi su una superficie di terreno limitata. Mura e pilastri in pietra, capaci di sostenere edifici molto alti, avrebbero richiesto infatti fondamenta talmente larghe e massicce da occupare aree vastissime. Ai nostri giorni, tuttavia, l'armatura di un edificio può essere realizzata indifferentemente in acciaio o in cemento armato. Il calcestruzzo (conglomerato) viene realizzato miscelando pietrisco, cemento e acqua in un tamburo rotante (betoniera). Il miscuglio viene poi convogliato in stampi che permettono di ottenere la forma richiesta. All'interno del conglomerato il pietrisco accresce la resistenza, la sabbia colma gli interstizi fra le pietre, mentre il cemento, miscelato con un'adeguata dose d'acqua, consente di fondere il tutto in una massa omogenea destinata a rapprendersi in maniera durevole con l'essiccamento. La resistenza del conglomerato dipende dalla quantità d'acqua utilizzata per rendere pastoso il cemento e procedere a modellarlo. In particolare, ove si desideri disporre di un calcestruzzo di particolarissima resistenza, lo si miscela con l'acqua strettamente indispensabile, lo si introduce in stampi e, all'interno di questi, prima che faccia presa, lo si 'vibra' con una apposita apparecchiatura. Nei punti di massima tensione, la resistenza del calcestruzzo è rafforzata inserendo negli stampi (prima che vi venga versato il miscuglio) tondini, ossia sottili intelaiature in acciaio. Si ottiene e si utilizza in tal modo il cemento armato, grazie al quale diviene possibile dar vita a una gamma decisamente più vasta di forme architettoniche. Poiché in una trave in cemento il calcestruzzo ha il compito precipuo di resistere alla compressione, diviene utile, prima di assoggettarlo a carichi esterni, sottoporlo ad adeguate sollecitazioni, sì da esaltarne gli attributi. Se, ad esempio, una trave armata può incurvarsi verso il basso fino a due centimetri prima che in essa si producano crepe di una certa gravità, occorrerà un carico doppio per raggiungere questo punto critico se in precedenza la trave in questione sarà stata incurvata verso l'alto appunto di due centimetri (tendendone l'armatura). Si tratta, in sostanza, di 'preparare' il calcestruzzo alle sollecitazioni esercitate dal carico esterno (compressione e trazione) precomprimendolo in senso opposto. Si parla in tal modo di cemento armato precompresso. Per il futuro la tendenza sempre più evidente della ricerca verso la scoperta e la messa a punto dei cosiddetti 'nuovi materiali' sembra in grado di consentire, per quanto riguarda l'edilizia, sviluppi di notevole interesse nell'ambito degli elementi prefabbricati di acciaio e resina rinforzata, delle tecniche di precompressione, dei compositi precompressi, del cemento con armature ibride.
Per quel che riguarda i caratteri organizzativi dell'attività produttiva edile ci si trova di fronte a uno dei più interessanti casi di passaggio da uno stile di fabbricazione 'artigiano', organizzato per singoli mestieri, a uno più propriamente 'industriale' (v. Drucker, 1954), suddiviso secondo fasi omogenee.In un cantiere edile, organizzato artigianalmente, ciascun operatore specializzato svolge tutte e solo le opere relative alla propria qualifica professionale: il carpentiere si occupa della totalità dei lavori di carpenteria fino al completamento dell'edificio, così come l'idraulico mette in opera non solo le tubazioni comuni, ma anche gli apparecchi sanitari e la rubinetteria dei singoli appartamenti. Viceversa, quando il cantiere lavora industrialmente, il processo risulta scindibile in fasi omogenee. A fronte delle esigenze della specifica commessa, la lavorazione presenta sequenze facilmente identificabili, nell'ambito delle quali i lavoratori che vi prendono parte sono tenuti a svolgere tutte le mansioni necessarie, ancorché differenziate. In tal caso la realizzazione di un fabbricato residenziale si snoda attraverso una prima fase che comprende lo scavo delle fondamenta, la colata di calcestruzzo per i plinti, le travi di sostegno e il pavimento della cantina. Segue una seconda fase durante la quale si procede alla costruzione delle strutture esterne e del tetto, mentre la posa delle tubazioni e dei cavi all'interno delle pareti identifica la terza fase. Per concludere si passa alla quarta fase in cui sono eseguite le finiture interne. Ogni fase va considerata separatamente, sicché, all'interno di ciascuna di esse, chi vi lavora deve essere in grado di eseguire tutte le operazioni previste. La svolta, rispetto alla struttura organizzativa basata sulle differenti specializzazioni di mestiere, tipica dell'edilizia 'artigianale', è drastica. È peraltro evidente che l'affermarsi di un'organizzazione più schiettamente industriale non ha condotto, nel caso dell'edilizia, alla scomparsa del precedente modo di operare; esso sopravvive e in alcuni casi prospera (più frequentemente di quanto non avvenga nell'ambito delle produzioni più strettamente manifatturiere), stante la limitata uniformabilità del prodotto. Un'organizzazione produttiva fondata sulla dimensione minore si rivela maggiormente adeguata ad affrontare l'erraticità della domanda e i suoi caratteri personalizzati, in funzione delle preferenze del singolo committente e delle esigenze imposte da località (aree montane, collinari, costiere) in cui non è possibile applicare i moduli edificativi uniformi tipici dei complessi residenziali urbani. È peraltro vero che due caratteri fondamentali dell'organizzazione produttiva edilizia 'artigiana' permangono anche in uno schema industriale, vale a dire: a) la mancanza di una sede stabile dell'attività. Lo stabilimento coincide con il cantiere, il quale viene apprestato nel luogo in cui sorgerà il nuovo edificio; è pur vero tuttavia che oggi, con la diffusione di elementi prefabbricati, si può, entro certi limiti, osservare la distinzione tra il cantiere in cui la casa viene 'montata' e il luogo di produzione dei prefabbricati; b) la relativa mancanza di un flusso produttivo uniforme nel tempo, come avviene in tutte le industrie operanti su commessa, tra le quali l'edilizia rappresenta senza dubbio un caso emblematico.I fattori appena citati influenzano in modo rilevante l'organizzazione dell'attività che, sia essa concepita in forma artigiana ovvero industriale, richiede una particolare versatilità e capacità nel fronteggiare i momenti di flessione, così come quelli di particolare vivacità della domanda. Si comprende allora come un tratto essenziale dell'organizzazione produttiva dell'industria delle costruzioni vada ricercato nella limitata tendenza, da parte delle imprese, a immobilizzare capitale nella forma di macchinari a costo elevato e, viceversa, nel frequente ricorso al loro 'noleggio' presso società che svolgono espressamente tale funzione. Ciò avviene non solo perché l'impresa si trova frequentemente ad affrontare il succedersi, assai rapido, di fasi d'intensa attività e di stagnazione, ma anche e soprattutto perché la necessità di produrre beni fra loro assai differenziati (quando non addirittura 'unici', se non altro in funzione delle mutevoli caratteristiche del terreno su cui si costruisce) impone di far ricorso a numerosi macchinari assai diversi fra loro, per funzioni tutto sommato analoghe.Se l'impresa di costruzioni decidesse il loro acquisto, ben difficilmente sarebbe in grado di saturarne appieno le capacità produttive e di procedere dunque a un loro conveniente ammortamento. Il progresso tecnico, sempre presente, finirebbe inoltre con il provocarne rapidamente l'obsolescenza. L'impresa impegnata nel noleggio dei suddetti macchinari, potendo collocare pacchetti di giornate lavorative della macchina presso svariati costruttori, si rivela in grado di garantirne un più efficiente utilizzo, a vantaggio proprio e dei cantieri edili clienti.
Il peso del settore a livello internazionale. La realizzazione di case di abitazione e di infrastrutture (ponti, strade, complessi portuali e aeroportuali, stazioni ferroviarie) va a soddisfare bisogni primari di una qualsiasi collettività nazionale. Si dovrebbe allora pensare che il peso dell'edilizia, comunque misurato (in termini di occupazione, di contributo alla formazione del prodotto nazionale, oppure ancora considerando l'ammontare degli investimenti in costruzioni rispetto agli investimenti fissi complessivi), sia assai elevato nelle primissime fasi dello sviluppo economico di un paese e tenda a decrescere mano a mano che il benessere si diffonde e dunque i bisogni essenziali (tra cui quello dell'abitazione e delle più elementari infrastrutture) possono considerarsi in via di saturazione. Al presente fattore, certamente rilevante, debbono tuttavia essere aggiunti gli effetti di altri fenomeni e, in primo luogo, della dinamica della popolazione. Quest'ultima, com'è noto, si presenta in forte crescita nelle prime fasi dello sviluppo (a fronte del drastico calo dei saggi di mortalità e della relativa stasi di quelli di natalità) e solo dopo diverso tempo tende a rallentare, con il declino della natalità legato alla mutata organizzazione familiare e all'affermarsi di nuovi modelli di comportamento. Se ne deduce che la costruzione di nuove case dovrebbe continuare assai intensamente per un periodo di tempo relativamente lungo durante lo sviluppo economico di un paese, sotto la spinta della crescita della popolazione e della domanda di servizi abitativi.
Lo sviluppo economico è pure accompagnato, nella generalità dei casi, da una robusta tendenza all'urbanizzazione, cui segue la disintegrazione della tradizionale 'famiglia estesa' tipica delle campagne (con più generazioni riunite sotto lo stesso tetto), a favore di nuclei più ristretti, con il conseguente aumento del fabbisogno abitativo, anche a parità di popolazione. In pratica, la necessità che nell'ambito di una famiglia estesa contadina veniva soddisfatta da un'unica abitazione finisce per richiedere più unità immobiliari, tante quante sono le famiglie 'nucleari' originate dalla scissione della famiglia estesa. Si ha così un altro motivo per pensare che la costruzione di abitazioni, durante lo sviluppo economico di un paese, tenda per un periodo di tempo non breve ad aumentare il proprio rilievo e, solo successivamente, a denunciare una progressiva perdita d'importanza. Deve in ogni caso essere tenuto presente che lo sviluppo economico conduce all'incremento dell'edilizia di tipo strutturale o comunque connessa all'espletamento dell'attività produttiva. Può apparire allora utile un confronto a livello internazionale della recente evoluzione del settore, e in particolare dell'incidenza di quest'ultimo, in termini di prodotto, di occupazione e d'investimenti, nelle varie economie. A tal proposito si può osservare (v. tab. I) come nel 1980 il valore aggiunto realizzato dal settore delle costruzioni in Italia rappresentasse il 7,16% del prodotto interno lordo (PIL), una quota superiore a quella francese, tedesca e britannica, ma inferiore a quella misurata nell'economia spagnola (8,44%). I dati consentirebbero dunque di individuare una correlazione inversa tra livello di sviluppo economico e peso delle attività edificative. Si noti altresì come l'incidenza del valore aggiunto dell'edilizia sul prodotto interno lordo tenda a diminuire in tutti i grandi paesi della CEE tra il 1980 e il 1987.
Leggermente più consistente appare il peso del settore qualora si proceda a misurarlo in termini di occupazione (il che farebbe pensare a livelli di produttività del lavoro lievemente inferiori alla media del sistema). Nel 1980 gli addetti assorbiti dall'industria delle costruzioni e delle opere pubbliche rappresentavano il 7,99% dell'occupazione complessiva in Italia (contro un valore aggiunto di settore pari al 7,16% del PIL), l'8,54% in Francia (valore aggiunto 6,89%), l'8,l6% in Germania (ancora 6,89% il valore aggiunto), il 6,55% nel Regno Unito e l'8,76 in Spagna (con una incidenza del valore aggiunto settoriale sui rispettivi prodotti lordi del 5,63% e dell'8,44%, sempre nel 1980). Anche a livello di occupazione si nota peraltro una sensibile discesa del peso del settore sul totale degli addetti dell'economia (v. tab. II). Diverso ovviamente è il discorso qualora si misuri il contributo del settore delle costruzioni alla formazione del capitale fisso nazionale (v. tab. III): in questo caso l'edilizia acquista un ruolo dominante, giacché per convenzione universale negli schemi della contabilità economica nazionale tutti i fabbricati, indipendentemente dalla loro destinazione, sono considerati beni d'investimento. Si può allora osservare che, nel 1980, nei cinque maggiori paesi della Comunità Europea l'incidenza degli investimenti in costruzioni sugli investimenti fissi lordi complessivi si collocava tra un minimo del 49,27% nel Regno Unito e un massimo del 63,54% in Spagna. Sette anni dopo, pur rilevando un deciso calo del peso degli investimenti in costruzioni rispetto a quelli in impianti, macchinari e attrezzature (al quale non è peraltro estranea una componente di ordine congiunturale), si oscilla ancora tra un minimo del 45,98% e un massimo del 58,48%, sempre rispettivamente in Gran Bretagna e in Spagna.Procedendo alla disaggregazione degli investimenti in costruzioni nelle due tipologie delle abitazioni e dei fabbricati non residenziali (ivi comprese le opere pubbliche) si può osservare con un certo interesse che la costruzione di abitazioni presenta in Italia un'incidenza rispetto agli investimenti fissi complessivi superiore a quella dei fabbricati non residenziali sia nel 1980, sia nel 1987. Negli altri paesi si verifica prevalentemente il fenomeno opposto, con l'unica eccezione della Francia (limitata al 1980). La Francia è peraltro l'unico paese, con la Spagna, a registrare tra il 1980 e il 1987 un incremento dell'incidenza della costruzione di fabbricati non residenziali sugli investimenti fissi complessivi.
Nel settore edile preme sottolineare e valutare la capacità di stimolare, attraverso la domanda dello stesso, i livelli produttivi di una molteplicità di altri comparti. Essa può venire misurata tramite le cosiddette 'tavole input-output' dell'economia, nelle quali l'Istituto Centrale di Statistica accoglie i valori delle transazioni, avvenute nell'anno considerato, tra tutti i settori produttivi e tra questi e i cosiddetti settori finali (consumi e investimenti privati e pubblici, esportazioni). Dalle citate tavole è possibile ottenere, mediante opportune ipotesi ed elaborazioni matematiche, le cosiddette 'matrici dei coefficienti di fabbisogno diretto e indiretto di produzione interna'. Esse consentono di misurare l'aumento della produzione complessiva di ciascun settore (e dell'economia nel suo insieme) a fronte di un dato aumento della domanda finale per consumi, investimenti o esportazioni di uno specifico comparto di attività. A questo proposito si deve ricordare che, nella costruzione di un fabbricato, specialmente se a uso residenziale, è coinvolta una molteplicità di industrie fornitrici di materie prime, beni intermedi e componenti, macchinari e servizi atti a garantirne la piena abitabilità. Basti pensare, oltre al materiale da costruzione in senso stretto, a quello per tubazioni, rubinetterie, articoli sanitari, cavi elettrici per i necessari collegamenti, vernici o carte da parati per la decorazione esterna e interna; e ancora all'eventuale impianto di ascensore, ai prodotti dell'industria del legno per le porte esterne e interne e per le persiane degli appartamenti, ai vetri per le finestre e a moltissimi altri componenti.Nell'ambito dei servizi si può pensare ai trasporti, divenuti oggi possibili anche nel caso dei materiali da costruzione, al commercio (la cui produzione ovviamente corrisponde al valore aggiunto realizzato nell'ambito degli scambi intersettoriali originati dall'incremento della domanda di costruzioni), ma soprattutto al credito e alle assicurazioni, di cui l'industria edile si avvale in misura assai rilevante.
Per fornire una misura del potere attivante del settore produttivo delle 'costruzioni e opere pubbliche' può essere utile far ricorso alla matrice a 44 branche relativa al 1974, che ai fini presenti non può considerarsi superata e per la quale sono disponibili, già calcolati, i citati coefficienti di fabbisogno diretto e indiretto (v. ISTAT, 1978).
In base a tali dati si scopre (v. tab. IV) che 100 lire di domanda finale esercitata nei confronti dell'industria delle costruzioni richiedono, perché quest'ultima possa soddisfarla, un volume complessivo di produzione da parte di tutti i settori diversi dall'edilizia pari a quasi 63,3 lire. Tale importo rappresenta appunto il valore delle merci e dei servizi di cui l'edilizia ha bisogno per fabbricare nonché, risalendo all'indietro, quello dei prodotti che entrano nella fabbricazione delle merci e dei servizi che l'edilizia acquista, e così via pressoché all'infinito. Si deve inoltre tener presente, sempre secondo la matrice del 1974, che 100 lire di domanda finale di fabbricati implicano una produzione complessiva edilizia pari a 100,588882 lire (superiore alla domanda, giacché l'edilizia concorre alla realizzazione dei componenti intermedi che poi essa stessa utilizzerà per fabbricare). Se ne conclude che, incrementando di 100 lire la domanda finale di fabbricati, la produzione complessiva dell'economia, a parità di ogni altra condizione, aumenta di circa 163,886 lire. Appare molto importante non tanto il potere attivante complessivo, bensì quello al netto degli effetti sul settore delle costruzioni (nel caso della nostra tabella, come s'è già accennato, per ogni 100 lire di domanda finale: 163,885883 - 100,588882 = 63,297001 lire). Il valore dell'attivazione esercitata dall'industria delle costruzioni sulle rimanenti 43 branche dell'economia è dunque particolarmente elevato, anche se inferiore a quello che caratterizza altri settori di grande rilievo, come ad esempio quello dei prodotti in metallo, delle macchine agricole e industriali, degli autoveicoli e relativi motori. D'altra parte, sempre utilizzando le tavole intersettoriali, si può constatare come l'edilizia attivi importazioni in misura assai minore rispetto ai settori appena nominati, sicché un suo sostegno può essere vantaggiosamente preso in esame nell'ambito di una politica finalizzata a mantenere elevato il livello della domanda e della produzione interna minimizzandone contemporaneamente le ricadute negative sulla bilancia commerciale.
Tornando brevemente a un esame dei coefficienti di fabbisogno diretto e indiretto degli inputs di produzione interna per l'edilizia, si può avere un'idea precisa dei settori maggiormente beneficiati da una più decisa vivacità dell'attività di costruzione. Si scopre allora che un aumento di 100 lire della domanda finale esercitata sull'edilizia provoca una maggior produzione complessiva pari a 16,76 lire da parte dell'industria dei minerali e dei prodotti a base di minerali non metalliferi. Il fatto ovviamente non stupisce, essendo ricomprese in tale settore le industrie che producono i materiali di base per l'edificazione.
Le stesse considerazioni possono essere fatte per il settore dei minerali e dei metalli ferrosi e non ferrosi (7,617 lire di maggior produzione per ogni 100 lire addizionali di domanda finale di costruzioni). Rilevante anche il coefficiente relativo al settore del credito e delle assicurazioni e a quello del legno e dei mobili in legno. Immediatamente dopo, secondo l'intensità del potere attivante esercitato su di esso dall'edilizia, troviamo il settore dei trasporti interni e quello del petrolio greggio, del gas naturale e dei prodotti petroliferi raffinati (si tenga presente che cemento e acciaio sono produzioni energy-intensive e che le costruzioni, attivandole, provocano indirettamente l'attivazione del settore energetico). Questo fattore non è però sufficiente a smentire quanto precedentemente rilevato in merito alla capacità dell'edilizia di far crescere limitatamente le importazioni, rispetto a quanto avviene per altri settori la cui domanda finale si rivela maggiormente dipendente dall'estero.
Individuato il ruolo davvero importante dell'industria in esame, al fine di assicurare al sistema produttivo un adeguato livello di attività in condizioni di equilibrio esterno, si pone il problema d'indicare i fattori che determinano la decisione di costruire. È in questo caso opportuna una netta distinzione tra fabbricati a uso non residenziale, opere pubbliche e abitazioni (distinguendo, soprattutto in quest'ultima categoria, le nuove realizzazioni dagli interventi finalizzati al recupero e alla ristrutturazione del patrimonio abitativo). I fattori esplicativi degli investimenti in fabbricati a destinazione non residenziale possono ragionevolmente essere assimilati a quelli alla base delle altre categorie d'investimenti industriali, quali impianti, macchinari, attrezzature, mezzi di trasporto. Pare allora opportuno sottolineare (v. Castellino, 1980) il ruolo delle grandi innovazioni tecnologiche (che generalmente conducono a cospicui flussi di investimenti in fabbricati industriali e opere pubbliche, come è avvenuto nel caso delle ferrovie, dell'introduzione dell'energia elettrica, della motorizzazione privata di massa). A spiegare tali investimenti concorrono inoltre le previsioni d'incremento non transitorio della domanda, il livello dei profitti attuali e attesi, il costo e la disponibilità del credito. I profitti attesi, in particolare, incrementandosi rendono economicamente convenienti operazioni di investimento che non erano tali in precedenza. Si può infatti ragionevolmente pensare che un'impresa sia disposta ad accumulare nuovo capitale fisico se il rendimento sperato dell'operazione supera il costo del denaro anticipato per l'acquisto dal sovventore dei mezzi finanziari (che può essere un istituto di credito ovvero lo stesso imprenditore, nel qual caso l'onere, economicamente reale ma privo di una manifestazione monetaria, prende il nome di 'costo-opportunità'). È allora chiaro che, a parità di tale costo, un aumento del rendimento atteso da un certo gruppo di progetti di investimento può trasformare alcune iniziative, precedentemente non proponibili, in opzioni potenzialmente redditizie. Le considerazioni testé riportate si applicano solo molto limitatamente agli investimenti in case di abitazione, le cui variabili esplicative sono individuate in via autonoma dalla teoria economica.
A tale proposito si può osservare (v. Dornbusch e Fischer, 1978) come le case si distinguano dai cespiti a destinazione industriale per il fatto di avere una vita media decisamente più lunga. Da ciò deriva che, ogni anno, gli investimenti in abitazioni (ossia il flusso delle nuove case edificate) costituiscono una frazione assai limitata del patrimonio abitativo esistente.Il capitale industriale è inoltre fortemente disomogeneo (il cespite fabbricato per un'impresa raramente può essere utilizzato hic et nunc da un'altra), mentre le case, intese ovviamente come 'appartamenti', presentano un grado maggiore (ancorché non molto elevato) di fungibilità, e dunque un prezzo di mercato. Le case di vecchia costruzione sono infine un succedaneo pressoché perfetto di quelle nuove, il che non è certamente vero per i beni strumentali (e i fabbricati non residenziali, a essi assimilabili). Ne consegue che la teoria degli investimenti in case deve partire dall'analisi del cosiddetto 'mercato di stock' (cioè dalla domanda delle case già esistenti), il flusso non essendo in grado di influenzare in misura significativa i livelli di prezzo.Mentre l'offerta di stock è evidentemente fissa nel breve periodo, la domanda di case esistenti è una funzione inversa del prezzo e dipende altresì da variabili quali la ricchezza delle famiglie e il tasso di rendimento reale ottenibile da altre attività. In tale contesto le case possono infatti essere considerate, nell'ottica della famiglia, come una possibile attività patrimoniale, da affiancare o sostituire in tutto o in parte alla moneta, ai depositi, ai titoli obbligazionari e azionari, ad altre merci (oro, quadri, gioielli, francobolli, ecc.) utilizzabili come forme d'investimento del risparmio.
Al crescere della ricchezza complessiva delle famiglie è dunque presumibile che in più nuclei si raggiunga la soglia critica atta a 'far scattare' la decisione di acquistare un'abitazione, al fine di diversificare il patrimonio familiare e trarre un reddito dall'eventuale locazione, oppure semplicemente per poter abitare in una casa di proprietà (il che consente di ottenere, al di là degli ovvi 'guadagni' in termini di sicurezza psicologica e di orgoglio personale per il traguardo raggiunto, un reddito implicito pari all'ammontare del fitto risparmiato). In non pochi casi, inoltre, l'aumentato livello della ricchezza familiare induce ad acquistare una casa in sostituzione di quella precedente, già di proprietà, al fine di disporre di un'abitazione più ampia, più accogliente, in un immobile e in un quartiere di maggior prestigio. L'attenzione al valore d'uso dell'abitazione, implicita in quest'ultima motivazione all'acquisto, pare ad esempio essere stata alla base del consistente recupero dei prezzi delle case in Italia fra il 1987 e il 1990. In tale periodo, infatti, la ricchezza accumulata dopo oltre un quinquennio di espansione economica, di favorevole congiuntura borsistica e di rendimenti reali positivi sulle attività finanziarie, s'è tradotta in un'elevata liquidità, impiegabile nell'acquisto di abitazioni più confortevoli, in aderenza a un'articolata strategia finalizzata a migliorare la qualità della vita delle famiglie.È altresì evidente come anche le prospettive d'inflazione, e quindi di rivalutazione dei beni reali quali le case, possano stimolarne potentemente l'acquisto, giacché, in fasi caratterizzate da un'elevata dinamica del livello generale dei prezzi, i rendimenti reali delle attività finanziarie, in particolare a tasso fisso, risultano gravemente penalizzati. L'eccezionale aumento delle quotazioni immobiliari registrato in Italia tra la fine degli anni settanta e i primissimi anni ottanta viene generalmente fatto risalire proprio al tentativo dei risparmiatori di proteggere i rispettivi patrimoni da un'inflazione che aveva raggiunto e in alcuni momenti superato il 20%, falcidiando pesantemente gli impieghi monetari e finanziari.
È evidente che in quest'ultimo caso, a differenza del precedente, ad avere importanza non è il valore d'uso della casa, ovvero il piacere e l'utilità che se ne possono trarre andandola ad abitare, ma esclusivamente il valore di scambio che si concretizza nella speranza (non sempre realistica) di poter in ogni caso trovare in breve tempo una controparte disposta ad acquistare il cespite a un prezzo più elevato.
Per quanto riguarda infine i tassi d'interesse (e dunque la politica monetaria) deve essere chiarito il loro ruolo determinante, e quindi la possibilità, per l'operatore pubblico, d'intervenire per questa via in modo decisivo sul mercato delle abitazioni. Se infatti i tassi d'interesse salgono, la domanda di abitazioni risulta penalizzata a fronte dell'aumento degli oneri sui mutui ipotecari (cioè della componente fondamentale del costo della casa). Ma con tassi (reali) d'interesse più elevati, le abitazioni perdono parte della loro attrattiva anche a fronte del maggior rendimento delle attività alternative, e in particolare degli impieghi di natura monetaria e finanziaria (depositi bancari e postali, obbligazioni e titoli del debito pubblico). Affermazione vera nel periodo breve e medio, poiché, come s'è notato in precedenza, la persistenza nel lungo periodo di elevati rendimenti reali sulle attività finanziarie può concorrere, per il tramite della maggior ricchezza familiare, a un successivo incremento della domanda di case.In sintesi si può affermare che, supposta costante l'offerta dello stock abitativo esistente nel breve periodo, la domanda, influenzata dalle variabili sopra discusse, agisce sul prezzo di mercato delle case di vecchia costruzione, ipotizzabile, in prima approssimazione, eguale anche per le nuove case. La curva di offerta di queste ultime (curva di offerta 'di flusso') sarà ovviamente crescente al crescere del prezzo, sicché la produzione di nuove abitazioni (ossia gli investimenti in fabbricati residenziali) varierà direttamente al variare del prezzo determinatosi sul mercato dello stock.
Paiono opportune due ultime considerazioni. S'è già in precedenza accennato al fatto che l'attività edilizia rivolta ai fabbricati residenziali non si esaurisce nella costruzione di abitazioni nuove, ma implica anche un impegno finalizzato al recupero, alla ristrutturazione e alla valorizzazione del patrimonio esistente. Si può a tal proposito affermare che i fattori capaci di influenzare la fabbricazione di nuovi edifici non agiscono sempre nello stesso modo sugli interventi di riqualificazione. Da un lato, ad esempio, si può pensare che la presenza di vincoli all'aggiornamento dei canoni scoraggi l'acquisto (e dunque la costruzione) di case da affittare, e contemporaneamente, riducendo il reddito reale dei locatori, renda più difficoltosa la realizzazione delle eventuali migliorie, quando non addirittura la stessa manutenzione ordinaria. D'altra parte, però, fattori come gli elevati tassi d'interesse sui mutui fondiari, una legislazione restrittiva sulle aree edificabili, i rendimenti competitivi d'impieghi del risparmio succedanei rispetto all'immobile, tutti elementi scoraggianti l'acquisto e la costruzione di case, possono indurre quanti abitano un immobile di proprietà a prolungarne la vita utile e a migliorarne prestigio e comfort attraverso interventi di ristrutturazione. Deve infine essere attentamente considerato il legame fondamentale tra l'accesso alla proprietà dell'abitazione, l'efficienza del mercato del credito e i meccanismi di formazione del risparmio delle famiglie. Quando, ad esempio, gli istituti di credito tendono a concedere mutui per un importo ridotto rispetto al prezzo di acquisto dell'immobile, si prospettano seri ostacoli alla diffusione della proprietà edilizia. In tali casi, come in parte è accaduto in Italia, dove si è assistito altresì alla pressoché totale scomparsa del mercato dell'affitto (a causa dei vincoli su canoni e disponibilità), si delinea imprescindibile la necessità di acquistare 'comunque' la casa e quindi un potentissimo incentivo al risparmio. Infatti, per ottenere la disponibilità di una casa le famiglie devono di necessità acquistarla, dal che discende una sorta di risparmio 'forzoso', finalizzato ad accumulare nei tempi più rapidi possibili la somma di denaro occorrente per poter successivamente accedere al mutuo fondiario. Non è escluso che in situazioni come queste, con la rimozione dei regimi vincolistici, l'avvio di una seria politica della casa, l'allineamento degli istituti di credito agli standard internazionali, ossia con il verificarsi di eventi decisamente positivi, venga meno l'assillo a raggiungere la massa monetaria minima per accedere al mercato delle abitazioni e, con questo, possa attenuarsi altresì la propensione al risparmio. (V. anche Cicli economici; Credito; Interesse, saggio dell'; Risparmio).
Castellino, O., Il quadro economico, Torino 1980.
Dornbusch, R., Fischer, S., Macroeconomics, New York 1978, 1987⁴ (tr. it.: Macroeconomia, Bologna 1980).
Drucker, P.F., The practice of management, New York 1954 (tr. it.: Il potere dei dirigenti, Milano 1967).
ISTAT (Istituto Centrale di Statistica), Tavola intersettoriale dell'economia italiana per l'anno 1974, in "Bollettino mensile di statistica", 1978, n. 23, suppl.