EDILIZIA
Mercato. Recupero. Edilizia sismica. Progettazione per la sostenibilità, materiali e life cycle. Bibliografia
Mercato. – La nuova mobilità del capitale, ovvero la capacità e possibilità di trasferire agevolmente capitali da una zona geografica all’altra del pianeta, ha trasformato sostanzialmente il mercato delle costruzioni pressoché in ogni Paese: dall’estrazione delle materie prime alla produzione e distribuzione di materiali da costruzione, dai sistemi di costruzione all’organizzazione del processo edilizio. Inoltre, la nuova mobilità del capitale ha alimentato un boom economico nel campo dell’e. su scala globale: si stima per il 2017 un valore complessivo di 4522,4 miliardi di dollari del settore dell’industria delle costruzioni, con un incremento del 36,6% rispetto al 2012. Mercati dinamici e capitale mobile sono stati integrati da una notevole crescita della capacità di trasporto rendendo gli effetti della distanza geografica insignificanti sia sull’accessibilità delle materie prime, sia sul costo finale del prodotto e sull’incremento dell’energia grigia, ovvero sulla quantità di energia necessaria per produrre, trasportare, mettere in opera, e smaltire un prodotto o un materiale da costruzione. L’approvvigionamento su scala planetaria connesso alla facilità del trasporto di materiali e componenti preassemblati modifica sostanzialmente il processo edilizio il quale, perdendo la dipendenza dalla reperibilità locale dei materiali, si trasforma in un puro assemblaggio industriale in situ di componenti (dalle dimensioni sempre maggiori) totalmente o parzialmente prefabbricati fuori opera, reperibili su scala mondiale. La concezione dell’edificio come un sistema di parti da assemblare trova riscontro in campo progettuale nei programmi di progettazione BIM (v.), concepiti per implementare il dialogo tra progettisti e industria durante gli ultimi stati di avanzamento progettuale. In questi programmi, gradualmente sempre più diffusi e intuitivi, l’edificio è concepito ed è gestito come un modello virtuale composto di un sistema di famiglie di componenti edilizi da aggregare e assemblare. Questo approccio gestionale che descrive l’edificio come un sistema di parti, si traduce nell’industria in un ricorso a lavorazioni artigianali sempre più marginale, privilegiando una gestione del cantiere composta da una sequenza di montaggio sempre più specifica. L’apertura del mercato edile alla scala globale sta quindi fortemente condizionando la gestione del cantiere anche in Italia, accelerando quel processo di industrializzazione del settore edilizio che ha sempre tardato a raggiungere un pieno sviluppo dal secondo dopoguerra.
In Italia le stime sul mercato delle costruzioni vanno in controtendenza rispetto alle previsioni presentate su scala mondiale, a causa della doppia recessione che ha colpito il Paese: la prima nel biennio 2008-09, che ha determinato una caduta del prodotto interno lordo (PIL) del 6,6%, e la seconda, dal 2012, segnata da una fase recessiva con un PIL a −2,5%. In questo quadro, gli investimenti in costruzioni sono diminuiti del 32% tra il 2008 e il 2014. Con un indice ISTAT della produzione nelle costruzioni che ha segnato nei primi nove mesi del 2014 una successiva flessione del 3,1% nel confronto con lo stesso periodo dell’anno precedente. La tendenza negativa del settore risulta visibile non solo dalle flessioni delle Casse edili, ma anche dall’evoluzione dei consumi di cemento, in calo sostanziale nel periodo gennaio-ottobre 2013 di circa il 16%. La caduta dei livelli produttivi coinvolge tutti i comparti, dalla produzione di nuove abitazioni, che tra il 2008 e il 2014 ha perduto il 28,74%, all’e. non residenziale privata, che ha registrato una riduzione del 23,6% nello stesso periodo, ai lavori pubblici, per i quali si stima una caduta del 4,3% nel 2015 rispetto all’anno precedente. L’ultimo dato è da imputarsi alle recenti politiche di bilancio orientate al risanamento della spesa corrente, irrigidendo una tendenza negativa, in atto dal 1990, che vede gli investimenti pubblici a lungo termine per nuove infrastrutture drasticamente ridotti dell’ordine del 61% negli ultimi 25 anni. In questo quadro, l’unico comparto che mostra un aumento dei livelli produttivi è l’e. legata alla riqualificazione degli immobili residenziali che nel 2014 è cresciuta dell’1,5% rispetto all’anno precedente.
Recupero. – Il recupero del patrimonio edilizio esistente è un tema cruciale che ha legato, non senza incoerenti risultati, e., ricerca scientifica e ricerca progettuale sin dal secondo dopoguerra. Il dibattito disciplinare, avviato in tutta Europa negli anni Sessanta del 20° sec., giostra in sincrono da un lato sulle modalità di recupero dei centri storici e dall’altro sulla partecipazione corale degli abitanti. Nel 1975, dopo la Dichiarazione di Amsterdam, a conclusione dell’Anno europeo del patrimonio architettonico, si delinearono le linee guida per un sistema di interventi volto alla conservazione di tutto il patrimonio storico, anche non monumentale, grazie a proposte socialmente compatibili che non alterassero l’equilibrio e la composizione delle comunità insediate. In particolare, si cercò di formare una dottrina sociale e partecipata del recupero nell’e. abitativa, contrapposta alla tendenza (nata nel periodo postindustriale, ma ancora largamente diffusa) della casa concepita e soprattutto assegnata come un servizio passivo. I grandi cantieri di recupero intrapresi in Italia, nell’arco degli anni Settanta, furono orchestrati su una prassi e con tecnologie standard, approntabili soltanto con l’allontanamento degli abitanti dai nuclei insediativi e il loro ricovero in case momentanee, e marginate dall’intervento. I cantieri, così concepiti, avevano bisogno di alloggi provvisori, aumentando i costi dell’iniziativa, rendendo la logica del riuso meno suadente per investimenti pubblici e privati. Nella logica del ‘recupero leggero’, instillata nell’esperienza dei Laboratori di quartiere sul finire degli anni Settanta dall’architetto Renzo Piano, il cantiere di recupero era fondamentalmente basato sulla riduzione del suo impatto sulla comunità e sull’incremento dell’accessibilità e movimentazione all’interno dei centri storici, sia per gli operai sia per i macchinari edili.
Negli anni una progressiva personalizzazione di sistemi mobili per ponteggi, più flessibili e più leggeri, e la progettazione di macchinari edili sempre più compatti hanno permesso di facilitare l’installazione del cantiere di recupero all’interno dei centri storici, riducendo grandemente l’impatto ambientale e dimensionale delle lavorazioni. Il motore di una ricerca tecnologica più mirata allo sviluppo di un cantiere di recupero dalle logiche più agili è registrato da un sostanziale spostamento di centralità nella produzione edilizia dalle nuove realizzazioni verso l’uso dell’esistente, specialmente nell’ultimo quarto del 20° secolo. Un’indagine realizzata dal Censis nel 2012, su incarico del Consiglio nazionale degli architetti, ha riscontrato come oltre il 60% dell’attività edilizia in Italia riguardi la manutenzione, il recupero, la ristrutturazione; tale condizione si colloca all’interno di una tendenza positiva sul lungo periodo. Infatti, gli investimenti in riqualificazione del patrimonio abitativo, che hanno rappresentato nel 2013 il 37,3% del valore degli investimenti in costruzioni, sono stati l’unico comparto a mostrare un aumento dei livelli produttivi durante la crisi economica che ha investito il settore edile all’inizio della seconda decade del 21° sec.: rispetto al 2012, per gli investimenti in tale comparto si è stimata una crescita del 2,6% in termini reali grazie agli sgravi fiscali nella legge di stabilità 2014. Un sempre maggiore interesse nel riuso del patrimonio edilizio da parte di investitori privati di media e grande entità ha comportato un’evoluzione degli interventi di recupero che hanno gradualmente perso il semplice obiettivo di messa in sicurezza dei fabbricati per il loro riuso secondo un progetto architettonico rispettoso dell’originaria destinazione di uso. Sempre più frequenti, invece, sono gli interventi basati su variazioni di uso e frazionamenti, attuati con lavorazioni volte a garantire aggiornamenti impiantistici, specialmente attraverso integrazioni di sistemi passivi (energetici), e aggiornamenti di tutela strutturale, principalmente antisismica, in grado di adeguare gli standard qualitativi del patrimonio storico esistente ai sempre più alti requisiti di comfort offerti all’interno dei fabbricati ex novo. Le conseguenze di queste tendenze sono: l’introduzione sul mercato di componenti in grado di incrementare l’isolamento termico del fabbricato, riducendo le dispersioni di calore nei punti di discontinuità, come tra finestre e muri o tra muri e coperture; lo sviluppo tecnologico di materiali in grado di aumentare l’isolamento di murature, sia piene, tipiche delle realtà storiche del nostro Paese, sia con intercapedine di aria.
Edilizia sismica. – Il territorio italiano è riconosciuto complessivamente a rischio sismico, con caratteristiche di pericolosità diverse secondo le varie zone. La pericolosità sismica corrisponde alla probabilità che, in una finestra temporale fissata convenzionalmente, si verifichi almeno un terremoto di intensità non inferiore a un certo livello (v. terremoto). Aumentare la resistenza sismica degli edifici vuol dire attuare una serie di prescrizioni progettuali e costruttive in grado, in generale, di evitare o ridurre la perdita di vite umane, il danneggiamento delle strutture portanti e dei componenti di un edificio, il rischio di danneggiamento del patrimonio storico-artistico.
Le tre principali tecniche di protezione antisismica sono: l’incremento di resistenza del fabbricato; la dissipazione dell’energia del terremoto; l’isolamento sismico. La prima tecnica consiste nell’aumentare la resistenza della struttura al fine di raggiungere un comportamento elastico durante il terremoto: una struttura si dice elastica quando sia in grado di ritornare nella sua configurazione originaria (dunque senza danni) a evento cessato. La seconda tecnica mira a dissipare l’energia del terremoto che è trasmessa dal suolo alla costruzione attraverso la proprietà del materiale di deformarsi in fase plastica. Questo vuol dire fare affidamento sulla duttilità del materiale di cui è composta la struttura portante di un fabbricato, prevedendo all’interno di esso una serie di componenti, come i dissipatori viscosi, in grado di dissipare localmente l’energia del terremoto per ridurne la sua componente distruttiva. Per questo sistema si ammette che la struttura si comporti plasticamente, ovvero tollerando dei danni locali che non compromettano però la stabilità complessiva dell’edificio. Essendo questa soluzione tecnicamente meno stringente, essa è la meno onerosa da un punto di vista economico: avere una struttura sismoresistente in grado di comportarsi elasticamente, infatti, comporta un costo di costruzione molto elevato e non sempre sostenibile, data l’ingerenza dimensionale degli elementi portanti. La terza tecnica di protezione antisismica consente, invece, di creare una vera e propria frattura tra l’edificio e il terreno, diminuendo direttamente nelle fondazioni la quantità di energia distruttiva trasmessa dal suolo alla costruzione. L’isolamento sismico del fabbricato si raggiunge con opportuni componenti, del tutto assimilabili a pattini, in grado di essere rigidi se sottoposti ad azioni verticali, come la gravità, ma abbastanza flessibili se sollecitati da forze di taglio orizzontali, come il terremoto. Tali dispositivi sono generalmente isolatori di gomma armata, costituiti da un sistema di strati di gomma e acciaio solidarizzati mediante loro vulcanizzazione. La componentistica di dissipatori e isolatori presenti sul mercato deve essere affiancata da una sensibilità progettuale che sia in grado di aumentare la rigidezza antisimica del fabbricato per sola forma. La geometria degli edifici è un punto nodale in grado di influenzare la risposta del manufatto al sisma: un edificio con una pianta regolare, con lati proporzionalmente paragonabili fra loro, avrà una risposta al sisma migliore di un edificio snello, caratterizzato da un lato più corto dell’altro.
Sebbene la resistenza antisismica dei nuovi edifici sia garantita dalle attuali normative in materia di progettazione strutturale (d. min. 14 genn. 2008), parte dell’e. si concentra oggi sulla messa in sicurezza del vasto patrimonio immobiliare esistente. Isolatori e dissipatori possono, infatti, essere installati in edifici esistenti con strutture a gabbia (in calcestruzzo armato o in acciaio) con lo scopo di aumentare localmente la capacità dissipatoria del sisma. Tuttavia tali sistemi risultano estremamente impattanti o addirittura inapplicabili per parte del patrimonio storico edilizio, principalmente realizzato in muratura, diffuso senza soluzioni di continuità anche su porzioni di Paese ad alto rischio sismico. Gli edifici in muratura sono realizzati dall’aggregazione di materiali incoerenti (mattoni, pietre, leganti), in grado di trasferire correttamente i carichi di compressione dovuti ai carichi verticali, come la gravità, ma contraddistinti da scarse caratteristiche meccaniche se soggetti a carichi orizzontali di taglio, ovvero sotto azione sismica: le murature storiche, realizzate in pietra o mattoni, hanno basse resistenze meccaniche sotto azioni orizzontali sul piano. Dagli inizi degli anni Novanta del 20° sec. la ricerca ha sviluppato l’utilizzo di materiali compositi fibrorinforzati per l’e. costituiti da una matrice inorganica, generalmente un legante pozzolanico, e da reti di fibra, in genere carbonio o vetro. Le proprietà fisico-meccaniche di questi materiali fibrorinforzati sono principalmente un’elevata leggerezza e soprattutto una notevole resistenza meccanica nel piano. Se ne deduce che l’uso nell’e. storica sia in grado di implementare notevolmente la resistenza al taglio delle murature. Oltre alle loro caratteristiche meccaniche, il successo delle fibre di carbonio nel restauro statico e nell’adeguamento sismico si deve principalmente alla loro flessibilità di uso: questi componenti si presentano sotto forma di tessuti, generalmente da incollare sulle superfici delle murature attraverso resine epossidiche, adattabili a configurazioni planimetriche non seriali, tipiche dei centri storici, e a elementi strutturali dalle diverse geometrie come solai piani o volte. La fasciatura e la cerchiatura con fibre di carbonio o vetro di elementi strutturali riducono al minimo l’incremento di spessore delle murature o degli orizzontamenti facendone una soluzione ottimale sia per il riuso abitativo di strutture esistenti, sia per il restauro artistico-conservativo.
Progettazione per la sostenibilità, materiali e life cycle. – Secondo il rapporto Brundtland del 1987, lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri. Per misurare la sostenibilità dello sviluppo edile occorre quantificare l’energia e i carichi ambientali che un fabbricato consuma durante tutti i processi che coinvolgono la sua vita, ben oltre il suo esercizio. Il ciclo vitale di un edificio è scandito attraverso le seguenti fasi: l’estrazione delle materie prime, il trasporto delle materie prime dal posto di estrazione alle industrie manifatturiere, la produzione dei prodotti da costruzione, l’approvvigionamento dei materiali da costruzione al cantiere, la costruzione e l’assemblaggio, la fase di uso del fabbricato, la manutenzione del fabbricato, la morte del fabbricato, la sua demolizione e, infine, la gestione dei materiali e il loro parziale riciclaggio.
L’energia primaria dell’edificio è impiegata durante la fase di uso, in particolare per il riscaldamento e il rinfrescamento degli ambienti e per il riscaldamento dell’acqua calda sanitaria. L’energia grigia, invece, è l’energia spesa per produrre, trasportare, mettere in opera, e smaltire i materiali e i componenti da costruzione che realizzano l’edificio. Grazie a un quadro legislativo gradualmente più completo, il risparmio energetico primario (o di esercizio) è un obiettivo raggiungibile nell’e. contemporanea grazie a diversi fattori: una crescente consapevolezza e diffusa sensibilità progettuale da parte delle figure professionali coinvolte; una crescente disponibilità di materiali sempre più prestazionali (soprattutto grazie all’attuale sviluppo continuo nel campo dei materiali polimerici e ceramici); la disponibilità sul mercato di sistemi impiantistici che richiedono temperature di esercizio dei fluidi vettori (acqua o aria) di gran lunga inferiori, con conseguente riduzione dei consumi energetici; sistemi integrati per l’uso di energie rinnovabili, come il sole e il vento, in grado di supplire parzialmente o integralmente al fabbisogno energetico dell’edificio, riducendo il consumo di energie non rinnovabili come gas, petrolio o carbone.
L’energia grigia, invece, ha guadagnato recentemente una graduale importanza nella valutazione ecologica di sostenibilità ambientale di un fabbricato, specialmente riguardo alla scelta dei materiali da costruzione in base al loro riuso o riciclo nel lungo periodo. Si premetta che la costruzione di edifici a basso consumo energetico richiede tendenzialmente un maggiore utilizzo di materiale rispetto a un edificio dalle caratteristiche standard. Si deduce che, essendo la quantità e la natura del materiale fattori in grado di aumentare notevolmente l’energia grigia, gli edifici dotati di involucri dalle ridotte dispersioni termiche hanno, viceversa, un’energia grigia più alta: per generare qualsiasi prodotto, infatti, l’industria manifatturiera necessita di materie prime e combustibili come input, generando come output, oltre al prodotto stesso, materiali di scarto in forma solida o liquida, dispersi in acqua, o gassosa, dispersi nell’atmosfera; quando infine un edificio deve essere demolito o riadattato saranno inoltre necessari ulteriori input di materie prime e combustibile e aggiuntivi output di rifiuti in grado di aumentare ancora il parametro dell’energia grigia. I principali criteri per una corretta progettazione ecocompatibile riguardano quindi: la minimizzazione del consumo di materiali ed energia come input, l’utilizzo di materiali naturali e facilmente rinnovabili, un’intensificazione dell’uso del prodotto da costruzione, l’ottimizzazione della vita dei prodotti attraverso una facile aggiornabilità e una costante manutenzione, la scarsa obsolescenza semantica e funzionale del linguaggio architettonico. La gestione di questi parametri allo scopo di ridurre l’energia grigia del fabbricato deve influenzare considerevolmente la progettazione del fabbricato in fase preliminare, non solo nella scelta materica, ma soprattutto nella configurazione architettonica. La vita di un fabbricato, per es., può essere estesa agendo sulla flessibilità e adattabilità della struttura portante, la quale, consentendo sostanziali cambi di destinazione dell’edificio, ne aumenti al tempo stesso la longevità di impiego. Se ne deduce che la fase di progettazione deve essere sensibilmente direzionata verso soluzioni distributive in grado di garantire un potenziale uso del fabbricato nel lungo periodo, attraverso facili rimozioni, sostituzioni e integrazioni di sue parti, portanti e non. Inoltre, la scelta materica deve essere indirizzata verso l’utilizzo di materiali rinnovabili in grado di comportare la riduzione del consumo di energia in tutte le fasi del ciclo di vita dell’edificio.
Tra i materiali da costruzione che apportano una visibile riduzione dell’energia grigia vi è il legno, in particolare nelle sue versioni ingegnerizzate o fibrorinforzate impiegate per strutture a gabbia (travi e colonne) o formate da pannelli portanti pieni. L’utilizzo di legno lamellare in Italia ha mostrato una rapida crescita del consumo, passando dai
100.000 m3 nel 1998 agli 870.000 m3 nel 2010. Questo sostanziale incremento è da imputarsi alle molteplici caratteristiche tecniche che il legno fibrorinforzato possiede a parità di costo con altri materiali: oltre alla buona risposta termica e acustica, il legno ha un comportamento al fuoco in linea con gli altri materiali tradizionali, una generale semplicità e velocità di montaggio che si traduce in costi contenibili grazie alla riduzione dei tempi di cantiere. In aggiunta, il legno fibrorinforzato possiede un’ottima risposta al sisma: l’elevato rapporto tra resistenza e peso del materiale, infatti, garantisce, a parità di sollecitazione orizzontale, un’ottima risposta elastica. Non ultimo, la tipica configurazione delle strutture di legno garantisce una facilità di ripristino dopo danni parziali, difficilmente raggiungibile in strutture di acciaio o calcestruzzo, garantendo una maggiore longevità del sistema edificio.
Bibliografia: Sergio Poretti, La costruzione, in Storia dell’architettura italiana. Il secondo Novecento, a cura di F. Dal Co, Milano 1997, pp. 268-93; G. Hammond, C. Jones, Embodied energy and carbon in construction materials, «Proceedings of the institution of civil engineers. Energy», 2008, 161, 2, pp. 87-98; Andrew Rabeneck, The transformation of construction by concrete, in Nuts & bolts of construction history: culture, technology and society, ed. R. Carvais, 3° vol., A. Guillerme, V. Nègre et al., Paris 2012, pp. 627-35; P. Tombesi, What do we mean by building design?, in Digital worflows in architecture. Design-Assembly-Industry, ed. S. Marble, Basel 2012, pp. 184-99. Si veda inoltre: ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili), direzione affari economici e centro studi, Osservatorio congiunturale sull’industria delle costruzioni, Roma 2014: http://www.ance.it/docs/docDownload.aspx?id=20423 (9 giugno 2015).