BURKE, Edmund
Uomo di stato e scrittore politico inglese, nacque a Dublino (1728, o r729?) da genitori irlandesi, da padre protestante e da madre cattolica; morì nel 1797 a Beaconsfield. Studiò al Trinity College, in Dublino, e nel 1750 si trasferì a Londra per studiarvi legge, ma presto vi rinunciò per la letteratura, e nel 1756 divenne celebre per una magistrale parodia della filosofia di lord Bolingbroke, A Vindication of Natural Society, e per la sua Inquiry into the Origins of our Ideas of the Sublime and the Beautiful, in cui distingueva, nello stesso modo che usò il Lessing dopo di lui, tra gli effetti proprî della pittura e quelli proprî della poesia. Per trent'anni, dal 1758 in poi, fu il direttore e il principale collaboratore di The Annual Register, rivista di politica e lettere; fu uno della cerchia degl'intimi di Johnson, e membro del famoso Literary Club, fondato da Johnson e Reynolds nel 1764. Cominciò ad occuparsi di politica nel 1759; e nel 1765 il Marquis of Rockingham, nel costituire il suo primo ministero, lo nominò suo segretario privato, e lo fece eleggere alla Camera dei Comuni. La scelta fu una fortuna per i whigs non meno che per il Burke. Egli li attraeva per il suo carattere nobile e generoso, e per la sua arte di conversatore, e li aiutava continuamente nelle faccende politiche con il suo ricco patrimonio di idee e di esperienza. Come oratore parlamentare non ebbe molto successo. Solenne ed assorto nell'esauriente argomentazione e nella concezione universale del suo soggetto, egli era troppo profondo per il suo pubblico; e il pubblico lo chiamava "la campana del pranzo". Ma l'eccellenza letteraria dei suoi discorsi, con la loro fusione di immaginazione e di sagacia pratica, li rendeva efficaci quando venivano stampati, ed egli fu la mente animatrice del suo partito fino al 1791, allorché la sua ostilità alla Rivoluzione francese determinò la scissione del partito stesso.
Fino al ministero del più giovane Pitt nel 1783 le questioni più ardenti nella politica erano il governo personale di Giorgio III e la rivolta delle colonie americane. Il re salì al trono nel 1760, dopo che i whigs erano stati al potere per cinquant'anni e avevano sviluppato la tendenza - già latente nella rivoluzione del 1688 - a rendere il sovrano servo dei suoi ministri. Ma re Giorgio trovò a portata di mano un partito tory che il Bolingbroke aveva fornito di una nuova politica. Nel suo Patriot King (1738) il Bolingbroke aveva vagheggiato un monarca che governasse di nuovo non solo nelle forme ma nella sostanza, senza mutare una lettera della costituzione: il re doveva essere il solo capo politico del suo popolo, e il lealismo avrebbe unito sotto di lui parlamento e nazione. Per più di venti anni re Giorgio tentò di fare questa parte, e, mediante l'uso delle sue prerogative, delle sue rendite, e del suo prestigio sociale, cercò di far tacere le voci indipendenti nelle due Camere. Dal 1770 al 1782 egli governò a suo piacere attraverso l'ubbidiente ministero di lord North, esasperò il suo popolo, e perse le colonie. Alcuni dei whigs egli riuscì a sedurre al suo servizio, ma gli amici di Rockingham, il fiore dell'aristocrazia, si opposero costantemente al predominio del potere regale. Nella varia vicenda della lotta, i whigs giunsero tre volte al potere: nel 1765, nel 1782 e nel 1783. In questi ultimi anni Burke ebbe l'ufficio di Paymaster of the Forces. I principali servizî resi alla causa costituzionale furono: l'invettiva contro i pericoli e i sofismi del nuovo toryismo, nei Thoughts on Present Discontents (1770); e la riforma economica che fece approvare dal parlamento come ministro nel 1782, abolendo alcune cariche inutili nella casa reale, e limitando così gl'influssi corrotti della corte. In altre materie fu uno strenuo riformatore, e contribuì in larga parte all'abolizione delle limitazioni ai diritti dei cattolici in Inghilterra e Irlanda nel 1778, e alla liberazione del commercio irlandese nel 1780. Due dei suoi più grandi discorsi, American Taxation (1774) e Conciliation with the Colonies (1775) anticiparono la politica coloniale inglese dei tempi posteriori. Con fede appassionata nella libertà egli scongiurava il governo di imitare la politica di Rockingham nel 1765 (che esonerava l'America dalle tasse, pur proclamando il diritto del parlamento di imporle), e di non aspettarsi dai coloniali altro che liberi contributi. Un'ancor più profonda corrente di sentimento politico ispirò la sua immensa opera come tribuno dell'India, compito che si era spontaneamente imposto (1772-95). Egli fu la mente direttiva nel vano tentativo dei whigs di rimodellare il governo della Compagnia delle Indie nel 1782, e nel processo di Warren Hastings (1788-95). Le ingiustizie inflitte ai popoli e principi indiani da avventurieri europei e agenti della Compagnia suscitarono in Burke lo sdegno del profeta non meno che dello statista, e il grande discorso intitolato I debiti del Nabob di Arcot (1785) è una singolare fusione di passione profetica e di vasta e minuta erudizione. Questa medesima pietà religiosa verso tutte le società di antica fondazione e lunga permanenza venne profondamente commossa dalla Rivoluzione francese. Nel novembre 1790 denunciò la Rivoluzione e i suoi amici inglesi nelle sue Reflexions on the Revolution in France, il più poderoso dei suoi scritti. Esso spiacque ai whigs, e specialmente a Fox, che era allora il loro uomo più forte e che per molti anni aveva trovato in Burke una guida e un amico. Per il Fox i Francesi avevano superato l'Inghilterra nel sentiero della libertà; per il Burke essi erano intenti ad avvelenare non solo la vita politica d'Europa, ma la sua fede e la sua moralità. Nel maggio 1791, in una drammatica scena alla Camera dei Comuni, egli rinunciò all'amicizia di Fox, e più tardi, nel medesimo anno, nel suo Appeal from the New to the Old Whigs, accusava il Fox di essere infedele ai veri principî del suo partito. Col proseguire della Rivoluzione, l'autorità del Burke nel paese andò crescendo, e dopo l'esecuzione di Luigi XVI, una corrente di passione popolare spinse Pitt alla guerra contro la Francia (febbraio 1793). L'anno seguente Burke si ritirava dal parlamento, ma rimase appassionato osservatore, e nel 1796, nelle sue Letters on a Regicide Peace, lanciò un appello per una crociata europea. Nel 1794 il Parlamento gli votò una pensione, ma a ragione egli dichiarò, difendendo quel voto nella sua Letter to a Noble Lord, che i compensi ottenuti nella sua vita erano inadeguati alle sue fatiche.
Burke fu un vero whig che riveriva tanto il metodo quanto il risultato della rivoluzione inglese. Coloro che credono che la politica degli ultimi suoi anni differisse nei principi da quella dei primi, lo giudicano male. Invero, egli ripeté, nei suoi scritti e discorsi sull'America, che i governi esistono soltanto per eseguire la volontà del popolo, ma egli distingueva il popolo dalla maggioranza. La voce del polo si fa sentire soltanto, secondo lui, quando il desiderio delle masse è la volontà dell'aristocrazia naturale, che consiste non soltanto dei grandi proprietarî di terre, ma di tutti gli uomini colti o benestanti. I grandi proprietarî sono tuttavia l'elemento più forte in questa aristocrazia e in tutte le società sane; poiché la civiltà dipende dalla proprietà e dalle sue ineguaglianze; e il più saldo baluardo della proprietà sono sempre i beni immobili: inoltre l'arte di governare gli uomini è imparata a fondo soltanto da coloro per i quali essa è una tradizione e una funzione della loro condizione sociale. Soltanto un sistema che unisca i legami politici e i legami sociali, la lealtà allo stato e l'amore del paese e della casa, può fare della nazione una più grande famiglia, e della politica una vocazione liberale nel senso più lato. Le masse, incapaci per la loro posizione e per le loro occupazioni perfino all'esercizio del voto, possono per l'affetto personale e locale ai loro governanti sentire e comprendere la comunanza politica e la santità dello stato, visibilmente rappresentata dalla chiesa nazionale. Nell'autorità di questo stato il sovrano e l'alta e bassa aristocrazia, ciascuna con la sua Camera, sono i soci attivi; ma le loro parti sono determinate soltanto di epoca in epoca dal tempo e dall'esperienza. Il sistema muta sempre; ma la composizione stessa dello stato garantisce che i mutamenti radicali siano opera di molte menti e non di una sola generazione, poiché la generazione vivente è la minoranza della società, che consiste tanto dei morti quanto dei non nati ancora, e che assicura la sua continuità mediante la forza del pregiudizio e il conservatorismo degli affetti naturali. È uno dei meriti del Burke di avere anticipato, sebbene soltanto a volte e mai completamente, la concezione dello stato come di un organismo vivente, giacché egli usa spesso il paragone del corpo e dei suoi membri invece di quello di una società commerciale o di un equilibrio di pesi. Egli non conosceva abbastanza la Francia contemporanea. Considerava la Rivoluzione come una rivolta di moltitudini avide, eccitate da nobili scontenti e da avventurieri della penna e di altro genere; quindi non, come nel caso dell'America, un'azione del popolo; non il trionfo, ma la sconfitta della libertà. Il vangelo dei diritti naturali era per lui, come l'ideale tory di un'Inghilterra unita sotto un "re patriota", una semplice teoria per coprire l'ambizione di un tiranno, e per violare l'ordine esistente; né vi è per lui maggior sofisma che l'applicare teorie astratte alla politica. L'incoerenza di Burke non è fra i discorsi pronunciati per l'America e quelli contro la Francia, ma tra l'adorazione dello spirito umano nelle sue passate avventure e la diffidenza verso lo stesso spirito quando progetta l'avvenire. Rimane tuttavia un nucleo di permanente verità nel suo pensiero, per cui egli non solo affascinò lo spirito antigiacobino del suo tempo, ma fu anche il genio di quel compromesso politico che dominò l'Inghilterra per quasi tutto il sec. XIX.
Ediz.: Works and speeches, nella Bohns' Standard Library, 8 voll., 1917; Correspondence of E. B., ed. Fitzwilliam e Burke, 4 voll., 1844; Select Works, ed. Payne, 3 voll., 1897; Select Letters, ed. Laski, 1922.
Bibl.: Biografia di Sir J. Prior (in appendice alla ediz. Bohn), Life and Times of E. B., a cura di MacKnight, 3 voll., Londra 1858-60. E monografie di John Morley, Life of E. B., Londra 1879; Life, Correspondance and Writings of E. B., a cura di A. P. T. e A. W. Samuels, 1924; Lecky, Hist. of Engl. in 18th cent., voll. 3, Londra 1897-99; L. Stephen, Engl. Thought in 18th cent., 1876; Elton, Survey of Engl. Lit., 1780-1830, Londra 1920.